Lexambiente - Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Ambiente
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Accertamento di compatibilità paesaggistica: applicabile il silenzio assenso al parere della Soprintendenza. Il Consiglio di Stato benedice il difficile connubio tra 17-bis (l. 241/90) e 167 (d.lgs. 42/04)
(nota a margine della sentenza del Consiglio di stato, Sez. VII, del 2 febbraio 2024, n. 1093)
di Lorenzo Bruno MOLINARO
Consiglio di Stato Sez. VI n. 3357 del 12 aprile 2024
Urbanistica.Nozione di stato legittimo e di consistenza
Ai sensi del comma 1-bis dell’art. 9-bis, d.P.R. n. 380/2001: “Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”. Diverso dallo “stato legittimo” è la consistenza ossia la sussistenza materiale dell’immobile in concreto nelle sue caratteristiche dimensionali. Nozione quest’ultima che prescinde dallo “stato legittimo”. Pertanto, non può sostenersi che sia esclusiva competenza dell’amministrazione comunale definire la consistenza dell’immobile.
Consiglio di Stato Sez. IV n. 3204 del 8 aprile 2024
Ambiente in genere.Valutazione di impatto ambientale
La valutazione d'impatto ambientale non determina una generica verifica di natura tecnica in merito all'astratta compatibilità ambientale di un'opera implicando la stessa una complessiva e approfondita analisi comparativa di tutti gli elementi incidenti sull'ambiente del progetto unitariamente considerato, al fine di valutare in concreto, alla luce delle alternative possibili e dei riflessi della stessa c.d. opzione-zero, il sacrificio imposto all’ambiente rispetto all'utilità socio-economica perseguita
Cass. Sez. III n. 16189 del 18 aprile 2024 (CC 10 apr 2024)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Savoca
Urbanistica.Sequestro impeditivo diritto all'abitazione e diritto di proprietà
Il sequestro impeditivo, diversamente dai provvedimenti di confisca o demolizione, già di per sé implica un ridotto limite all’utilizzo del bene vincolato, siccome limitato nel tempo. Il diritto all'abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all'art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l'ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell'ambiente. Quanto al diritto di proprietà, rispetto ad un sequestro impeditivo esso appare suscettibile di sacrificio non nella sua integrità, posto che la misura non mira a sottrarre definitivamente il bene bensì a limitarlo nelle sole correlate facoltà di disporre della cosa, e solo per un tempo comunque limitato, a garanzia e tutela di interessi pubblici. Ma sopratutto, a fronte di un’ipotesi inerente opere radicalmente abusive, come tali determinanti la nullità degli atti traslativi e quindi l’insussistenza del titolo in capo ad acquirenti dell’immobile illecito, non emerge in capo a terzi un problema di proporzionale compressione della proprietà privata, quale che sia la facoltà che se ne intenda valorizzare, emergendo, piuttosto, eventuali profili risarcitori tra le parti, a fronte di un sequestro impeditivo che non mira alla realizzazione di alcuna ipotesi di confisca del bene e dell’area di sedime, non prevista per meri abusi edilizi.
Consiglio di Stato Sez. IV n. 3945 del 30 aprile 2024
Ambiente in genere. Sugli obblighi che gravano sugli Stati membri per evitare il degrado degli habitat naturali e sul rimedio dell’azione avverso il silenzio inadempimento.
Nel caso di accertato stato di degrado di un sito di interesse comunitario/zona speciale di conservazione, a seguito di un’istanza-diffida per l’adozione di misure per evitare tale degrado da parte degli enti esponenziali di interessi legittimi collettivi relativi alla tutela dell’ambiente, le amministrazioni competenti hanno l’obbligo di provvedere, anche ai sensi dell’art. 6, paragrafo 2 della direttiva habitat, all’adozione di autonome e ulteriori “opportune misure”. Pertanto, non possono limitarsi a documentare l’adozione di provvedimenti contenenti misure di conservazione, ma debbono dimostrare di aver adottato atti contenenti misure “proattive” e “opportune”, ovvero “non formali” e, dunque, “effettive” “efficaci” e “adeguate”, con effetti misurabili, tali da invertire efficacemente il trend attuale, e quindi specificamente indirizzate a prevenire e contrastare il progressivo deterioramento del sito, ovvero ad assicurare il ripristino delle caratteristiche ecologiche esistenti al momento della sua designazione quale sito di importanza comunitaria. Nel caso di mancata risposta nei sopra indicati termini è ammessa ed è fondata l’azione avverso il silenzio inadempimento ex art. 117 c.p.a. Il contenuto delle misure di prevenzione e di contrasto al degrado degli habitat protetti è di natura tecnico-discrezionale, ma la previsione contenuta nell’art. 6, paragrafo 2 della direttiva habitat, circa la necessità che le misure siano “opportune”, ovvero efficaci e adeguate, riduce il margine discrezionale degli Stati membri e limita le eventuali facoltà regolamentari o decisionali delle autorità nazionali alla individuazione dei mezzi da impiegare e alle scelte tecniche da operare nell’ambito delle dette “opportune misure”. L’adeguatezza delle misure e, quindi, l’efficacia dell’adempimento, dovrà essere misurata in concreto, ex post, in termini di effettiva riduzione dei fenomeni indicatori del degrado.
Cass. Sez. III n. 16178 del 18 aprile 2024 (CC 15 feb 2024)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Licciardi
Urbanistica.Legittimazione alla presentazione della domanda di condono
Premessa la diversa disciplina circa la legittimazione attiva, dettata in ordine alla richiesta di permesso in sanatoria ex art. 36 DPR 380/01 - atteso che il primo comma del citato articolo 36 fissa un ambito di operatività della legittimazione alquanto peculiare quanto ai tempi di proponibilità della domanda di sanatoria e al novero dei soggetti interessati, essendo in proposito alternativamente inclusi sia il proprietario che il responsabile dell’abuso (solo fino alla scadenza del termine di cui agli artt. 31 comma 3, 33 comma 1 DPR 380/01 e comunque fino alla irrogazione delle sanzioni amministrative) –, va osservato come incida sulla legittimazione di chi può proporre la diversa e distinta domanda di condono la titolarità del bene al momento della proposizione della medesima. Va al riguardo evidenziato che ai sensi dell’art. 32 comma 25 del D. L. 269/2003, convertito con legge 326/2003, per la disciplina del condono stabilita con tali previsioni normative (cd. terzo condono) si applicano, tra le altre, le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni. Consegue che operano, in ordine ai soggetti che possono proporre domanda di condono, le indicazioni già elaborate dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento al secondo condono (del 1994), secondo le quali legittimati alla presentazione dell'istanza di condono sono il proprietario della costruzione abusiva, il titolare della concessione edilizia, il committente delle opere, il costruttore ed il direttore dei lavori, con esclusione dei figli del proprietario, salvo ipotesi di tipo successorio
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