Cass. Sez. III n. 9472 del 6 marzo 2024 (UP 15 feb 2024)
Pres. Ramacci Rel. Mengoni Ric. Guarnieri
Rifiuti.Competenza per emanazione ordinanza di rimozione

Il dirigente comunale non può considerarsi competente all’adozione di un’ordinanza adottata ai sensi dell’art. 192 dlv 152\06, e ciò in base al consolidato orientamento secondo cui l’ordinanza di rimozione dei rifiuti abbandonati può essere adottata esclusivamente dal Sindaco e non dal dirigente, poiché l’articolo 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006 è una disposizione sopravvenuta, speciale e derogatoria rispetto all’articolo 107, comma 2 del decreto legislativo n. 267 del 2000 – il quale attribuisce in via generale ai dirigenti l’adozione di atti di natura gestionale e a rilevanza esterna.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17/3/2023, la Corte di appello di Perugia confermava la pronuncia emessa l’11/10/2021 dal locale Tribunale, con la quale Angelino Guarnieri era stato giudicato colpevole della contravvenzione di cui all’art. 255, comma 3, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e condannato alla pena di due mesi di arresto.
2. Propone ricorso per cassazione il Guarnieri, deducendo i seguenti motivi:
- violazione dell’art. 107, d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267; nullità dell’ordinanza sindacale. La Corte di appello avrebbe riconosciuto come correttamente emessa l'ordinanza la cui violazione ha generato il procedimento; questa conclusione sarebbe però errata, in quanto un'ordinanza come la n. 154 del 2018 (come tutti i provvedimenti ripristinatori-sanzionatori) avrebbe potuto essere emessa soltanto dal dirigente dell'apposito servizio, ai sensi dell’art. 107 TUEL, non anche dal sindaco, titolare soltanto di un potere di ordinanza extra ordinem, a fronte di situazioni impreviste, eccezionali, non altrimenti affrontabili, al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Ebbene, nessuna di queste situazioni si sarebbe posta nel caso di specie, atteso che l'area in oggetto - peraltro di dimensioni ridottissime – avrebbe costituito luogo di deposito almeno dal 2018, che il Comune di Bastia Umbra ne sarebbe stato a conoscenza e che l'illecito contestato al ricorrente avrebbe riguardato soltanto 3 big bag; d'altronde, dall'accertamento della polizia municipale all'emanazione dell'ordinanza sarebbero trascorsi oltre due mesi. La competenza del dirigente e non del sindaco, peraltro, risulterebbe da copiosa giurisprudenza amministrativa;
- violazione dell’art. 255, comma 3, d. lgs. n. 152 del 2006 in relazione all’art. 192, comma 3, stesso decreto; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La sentenza sarebbe viziata anche laddove avrebbe riconosciuto la correttezza di un'ordinanza notificata soltanto al Guarnieri e non al Comune di Bastia Umbra, obbligato in solido in quanto proprietario del terreno; in tal modo, peraltro, la fattispecie di reato non sarebbe stata costruita in termini concorsuali, quel che avrebbe impedito di riconoscere l'effettivo contributo offerto dal ricorrente. Le disposizioni procedural-amministrative, peraltro, indicherebbero quale obbligato principale proprio il titolare del diritto reale sul terreno. Nel caso di specie, inoltre, il Comune e l’Arpa Umbria avrebbero avuto da tempo conoscenza di abbandoni di rifiuti certamente non riferibili al Guarnieri, perché precedenti (come da relazione del 20/11/2018, in atti); ne conseguirebbe che l'ordinanza sindacale avrebbe dovuto essere indirizzata anche all'amministrazione comunale, non potendo, diversamente, il singolo ricorrente - al quale è contestata una minima porzione di abbandoni - provvedere alla bonifica dell'intera area. Proprio il perdurare di condotte negligenti ed omissive da parte del Comune, d'altronde, avrebbe causato una cattiva abitudine consolidata, permettendo che gli abbandoni si consolidassero. Infine sul punto, il ricorrente afferma che anche la Corte d'appello avrebbe implicitamente riconosciuto la posizione dell'ente come formale e sostanziale obbligato ad adempiere (e, dunque, destinatario necessario della notifica dell'ordinanza): la sospensione condizionale della pena, infatti, sarebbe stata concessa ai sensi dell’art. 255, u.c., d. lgs. n. 152 del 2006, dando atto che l'area sarebbe stata successivamente bonificata proprio con l'intervento del Comune;
- infine, si lamenta il vizio di motivazione, nei termini dell'apparenza, quanto al mancato riconoscimento della causa di esclusione della colpevolezza di cui all'art. 131-bis cod. pen., della quale, invece, ricorrerebbero tutti i presupposti, oggettivi (scarsa capacità inquinante dei rifiuti, nessuno sversamento nessun danno ambientale) e soggettivi (condotta non abituale, incensuratezza).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso, che non attiene affatto al merito della vicenda, risulta manifestamente infondato. 
4. Con riguardo al primo motivo, concernente il rapporto tra l’art. 192, d. lgs. n. 152 del 2006 e l’art. 107, d. lgs. n. 267 del 2000, e dunque il riparto di poteri tra sindaco e dirigente amministrativo in materia, il Collegio rileva che la questione non aveva formato oggetto di gravame, così da non poter essere proposta per la prima volta in sede di legittimità.
4.1. A ciò si aggiunga, in ogni caso, che - sul tema del rapporto le due figure quanto all'emanazione di ordinanze come quella in esame - la giurisprudenza amministrativa smentisce la tesi difensiva che attribuirebbe la competenza esclusiva in materia al funzionario. Da ultimo con la sentenza n. 9722 del 13/11/2023, il Consiglio di Stato ha ribadito che il dirigente comunale non può considerarsi competente all’adozione di un’ordinanza adottata ai sensi dell’art. 192 citato, e ciò in base al consolidato orientamento secondo cui l’ordinanza di rimozione dei rifiuti abbandonati può essere adottata esclusivamente dal Sindaco e non dal dirigente, poiché l’articolo 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006 è una disposizione sopravvenuta, speciale e derogatoria rispetto all’articolo 107, comma 2 del decreto legislativo n. 267 del 2000 – il quale attribuisce in via generale ai dirigenti l’adozione di atti di natura gestionale e a rilevanza esterna.
5. Anche il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.
5.1. La Corte di appello, pronunciandosi sulla medesima questione (quale la necessità che l'ordinanza sindacale fosse notificata anche alla stessa amministrazione comunale), ha innanzitutto richiamato l'art. 192, comma 3, d. lgs. n. 152 del 2006, in forza del quale “chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”.
5.2. Di seguito - con valutazione in fatto priva di illogicità manifesta, dunque non censurabile in questa sede – la Corte di appello ha ritenuto non ravvisabile una situazione di dolo o di colpa in capo al Comune, evidenziando che, stante le dimensioni di proprietà dell'ente, non sarebbe certamente esigibile un obbligo di custodia tale da comportare un intervento immediato al fine di prevenire l'abbandono dei rifiuti. Anzi, la sentenza ha sottolineato che il Comune di Bastia Umbra, ponendo le cd. “fototrappole”, aveva adottato le precauzioni necessarie a consentire un intervento il più rapido possibile al fine di accertare le violazioni e far ripristinare lo stato dei luoghi, così da non potersi ravvisare un'omissione colposa tale da imporre una responsabilità solidale nel recupero dell'area e, a monte, l'obbligo di notificare anche all'amministrazione l'ordinanza n. 154 in esame.
5.3. In senso contrario, peraltro, non possono essere esaminate le considerazioni oggetto del secondo motivo di ricorso, fondate sul numero degli abbandoni (pregressi a quello contestato) e sulla loro conoscenza da parte del Comune, sull'inerzia di questo, sull'estensione dell'area e sul contenuto di una relazione dell'Arpa Umbria (analiticamente richiamato alla pag. 15): tutti questi argomenti, infatti, rivestono un carattere di puro merito ed il loro esame non è consentito in sede di legittimità.
5.4. In senso contrario, infine, non depone neanche la sospensione condizionale della pena riconosciuta ai sensi dell’art. 255, comma 3, secondo periodo, d. lgs. n. 152 del 2006. Questa norma stabilisce che nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all'articolo 192, comma 3, ovvero all'adempimento dell'obbligo di cui all'articolo 187, comma 3; ebbene, la tesi difensiva “prova troppo”, nel senso che ritiene che tale esecuzione sia avvenuta con l'intervento del Comune di Bastia Umbra, pur in assenza di qualunque riscontro al riguardo, in effetti neppure menzionato.
6. Con riguardo, infine, alla causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, la Corte d'appello l'ha negata in ragione della natura di rifiuti speciali pericolosi, propria di quelli abbandonati dal ricorrente; ancora, è stata sottolineata “la natura diffusa degli interessi protetti dalla normativa ambientale e le ragioni del tutto pretestuose addotte per giustificare l'inottemperanza all'ordinanza sindacale”. Una motivazione, dunque, ancora del tutto congrua e priva di illogicità manifeste, dunque non censurabile.
7. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2024