Corte costituzionale sent.76 del 9 aprile 2019
Giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 318-septies, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Cuneo, nel procedimento penale a carico di M. M., con ordinanza del 17 novembre 2017, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2018.
SENTENZA N. 76
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 318-septies, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Cuneo, nel procedimento penale a carico di M. M., con ordinanza del 17 novembre 2017, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 febbraio 2019 il Giudice relatore Giovanni Amoroso.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 17 novembre 2017, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Cuneo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 318-septies, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Riferisce il giudice a quo di dover decidere sulla richiesta di oblazione avanzata, nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto penale di condanna, da M. M. − imputato del reato previsto dal comma 4 dell’art. 256 cod. ambiente (rubricato «Attività di gestione di rifiuti non autorizzata») − perché, nella sua qualità di amministratore delegato della società, aveva superato il termine di 360 giorni, tempo previsto per la messa in riserva del rifiuto speciale non pericoloso costituito da 55.000 metri cubi di rifiuti misti da costruzione e demolizione (CER 170904).
L’imputato ha domandato di essere ammesso a pagare una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa − in analogia a quanto previsto in materia antinfortunistica dall’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro) − in luogo della somma pari alla metà del massimo dell’ammenda, secondo quanto previsto dalla norma censurata.
Il rimettente ritiene che la norma censurata violi i principi di eguaglianza e ragionevolezza «nella parte in cui prevede che l’adempimento tardivo, ma che comunque risulta avvenuto in un tempo congruo a norma dell’articolo 318-quater, co. 1, D.Lgs. 152/06, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza, valutati ai fini dell’applicazione dell’articolo 162-bis del codice penale, determinino una riduzione della somma da versare nella misura della metà del massimo dell’ammenda edittale prevista per il reato in contestazione anziché nella misura del quarto del medesimo ammontare, come invece disposto dall’art. 24 co. 3 D.Lgs. 758/94 in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro».
Il GIP evidenzia che sia in materia ambientale, sia in materia di sicurezza e di igiene del lavoro il legislatore ha previsto che, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza «impartisce al contravventore un’apposita prescrizione», fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario, prorogabile, in casi particolari, una sola volta e per un periodo non superiore a sei mesi (art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 758 del 1994 e art. 318-ter, comma 1, cod. ambiente).
In entrambi i casi, inoltre, è previsto che «[l]’adempimento in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione, ma che comunque risulta congruo […], ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza sono valutati ai fini dell’applicazione dell’articolo 162-bis del codice penale». In tali casi il legislatore ha previsto che la somma da versare è ridotta. Tuttavia, le discipline divergono, sostanzialmente, per un unico aspetto, ossia la misura di questa riduzione: per i reati ambientali essa corrisponde «alla metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa» (art. 318-septies, comma 3, cod. ambiente), mentre in materia antinfortunistica la somma da versare «è ridotta al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa» (art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 758 del 1994).
A fronte di tale parallelismo vi sarebbe un’ingiustificata disciplina differenziata quanto all’oblazione.
In entrambi i casi i beni tutelati, sicurezza dei lavoratori e preservazione dell’ambiente, assumerebbero rilevanza costituzionale.
L’analogia tra la formulazione letterale delle norme che disciplinano le due fattispecie poste a confronto porterebbe a escludere ogni plausibile giustificazione (peraltro non rinvenibile nei lavori preparatori della norma censurata) rispetto alla scelta di differenziare il trattamento in caso di oblazione.
Inoltre, la norma censurata − nel prevedere la possibilità di accedere all’oblazione versando la metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa, a condizione di aver provveduto alla regolarizzazione − risulterebbe sostanzialmente inutile in quanto ripetitiva della disciplina generale contenuta nell’art. 162-bis, comma 3, del codice penale, il quale prevede che l’oblazione non è ammessa quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore.
2.– Con atto depositato il 16 maggio 2018, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
In punto di ammissibilità, la difesa dell’interveniente rileva che il giudice rimettente, avendo già ammesso il contravventore al pagamento dell’oblazione, avrebbe consumato la propria potestas iudicandi.
Nel merito, la questione sarebbe infondata in quanto la comparazione viene effettuata in relazione alla materia antinfortunistica, ossia a una disciplina volta a tutelare beni giuridici diversi, del tutto eterogenei rispetto a quelli che costituiscono oggetto della norma censurata.
3.– Con memoria depositata il 16 gennaio 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito le proprie deduzioni, osservando, in particolare, che, sebbene secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale la diversità dei beni giuridici protetti non impedisca la comparazione (sentenza n. 68 del 2012), la differenza delle «cornici edittali» dettate dal legislatore per sanzionare il fatto incriminato (sentenza n. 233 del 2018) porta a escludere, nel caso in esame, ogni profilo di incostituzionalità.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 17 novembre 2017, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Cuneo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 318-septies, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede che l’adempimento tardivo, ma comunque avvenuto in un tempo congruo a norma dell’art. 318-quater, comma 1, cod. ambiente, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza, sono valutati ai fini dell’applicazione dell’art. 162-bis del codice penale, e determinano una riduzione della somma da versare alla metà del massimo dell’ammenda prevista per il reato in contestazione, anziché a un quarto del medesimo ammontare massimo, come invece disposto in fattispecie analoga, in caso di contravvenzione alle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, dall’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro).
Il giudice rimettente sospetta la violazione dell’art. 3 Cost. atteso che la sostanziale analogia tra la formulazione letterale delle norme che disciplinano le due fattispecie poste a confronto porta a escludere ogni plausibile giustificazione rispetto alla scelta di differenziare il trattamento in caso di oblazione. Il maggior rigore con cui il legislatore ha trattato le contravvenzioni in materia ambientale rispetto a quelle commesse in materia antinfortunistica mal si coniugherebbe con la previsione di un ambito applicativo circoscritto agli illeciti «che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette» (art. 318-bis cod. ambiente).
Inoltre, la norma censurata − nel prevedere la possibilità di accedere all’oblazione versando la metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa a condizione di aver provveduto alla regolarizzazione − sarebbe sostanzialmente inutile, in quanto ripetitiva della disciplina generale contenuta nell’art. 162-bis, comma 3, cod. pen., il quale prevede che l’oblazione non è ammessa quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato, eliminabili da parte del contravventore.
2.– Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale il rimettente, avendo già ammesso il contravventore al pagamento dell’oblazione, avrebbe consumato la propria potestas iudicandi.
In realtà, il giudice rimettente, pur avendo ammesso genericamente il pagamento dell’oblazione, si è riservato di pronunciarsi in ordine alla richiesta dell’imputato di essere ammesso all’oblazione prevista dalla disposizione censurata mediante il pagamento di una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda prevista per la contravvenzione contestata e non già alla metà, secondo l’attuale formulazione della disposizione stessa. Egli, quindi, ritiene – plausibilmente – di dover fare applicazione di tale disposizione, oggetto di censura di illegittimità costituzionale, e tanto basta perché sia integrato il presupposto della rilevanza della questione.
3.– Nel merito la questione non è fondata.
4.– Va premesso che l’art. 1, comma 9, della legge 22 maggio 2015, n. 68 (Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente), ha aggiunto al codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006) l’intera Parte Sesta-bis (dall’art. 318-bis all’art. 318-octies), recante la disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale.
In particolare, l’art. 318-ter ha previsto che, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, ovvero la stessa polizia giudiziaria impartisce al contravventore un’apposita prescrizione, asseverata tecnicamente dall’ente specializzato competente nella materia trattata, fissando per la regolarizzazione un termine non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario.
Il successivo art. 318-quater prevede la verifica dell’adempimento. Quando risulta l’ottemperanza del contravventore alla prescrizione impartitagli, l’organo accertatore ammette quest’ultimo a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo accertatore comunica al pubblico ministero l’adempimento della prescrizione nonché l’eventuale pagamento della predetta somma.
A tal fine, è prevista (dall’art. 318-septies,) una particolare ipotesi di estinzione del reato: la contravvenzione si estingue se il contravventore adempie la prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento della somma suddetta. In tale evenienza il pubblico ministero richiede l’archiviazione se la contravvenzione è estinta per effetto di questa oblazione extraprocessuale.
5.– Ove sia mancato l’adempimento tempestivo, è però possibile quello tardivo.
Infatti il comma 3 dell’art. 318-septies stabilisce che l’adempimento in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione, ma che comunque risulta «congruo», ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza, sono comunque valutati ai fini dell’oblazione ai sensi dell’art. 162-bis cod. pen. In tal caso, la somma da versare è ridotta alla metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione.
L’obiettivo è stato quello di ottenere un effetto deflattivo dei processi per reati ambientali e di incentivare, al contempo, l’adeguamento degli impianti inquinanti anche mediante l’adempimento, seppur tardivo, delle prescrizioni a tal fine impartite dall’organo di vigilanza.
6.– Lo stesso obiettivo ha perseguito, in precedenza, il legislatore nel prevedere un’analoga ipotesi di oblazione per la violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Infatti l’art. 20 del d.lgs. n. 758 del 1994 stabilisce che l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, impartisce al contravventore un’apposita prescrizione, allo scopo di eliminare la irregolarità riscontrata, fissando un termine a tal fine. Quando risulta l’adempimento della prescrizione, l’organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa (art. 21 del d.lgs. n. 758 del 1994), con conseguente estinzione della contravvenzione.
Anche in tal caso è previsto l’adempimento tardivo, comunque in un termine «congruo», oppure l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza.
Tale comportamento operoso del contravventore è parimenti valutato ai fini dell’oblazione processuale ai sensi dell’art. 162-bis cod. pen., ma la somma da versare è ridotta al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione.
7.– Tanto premesso, può considerarsi che nei due casi di oblazione posti a confronto, di cui si è detto sopra, i beni tutelati – salvaguardia dell’ambiente e sicurezza dei lavoratori − pur entrambi di rilevanza costituzionale, non richiedono però che la tutela apprestata sia identica.
L’analogia tra la formulazione letterale delle norme che disciplinano le due fattispecie (art. 318-septies cod. ambiente, norma censurata, e art. 24 del d.lgs. n. 758 del 1994, tertium comparationis) non implica che la corrispondenza debba estendersi anche alla quantificazione della somma da versare per l’oblazione ai sensi dell’art. 162-bis cod. pen. Pur essendo palese che il legislatore ha utilizzato per i reati ambientali una soluzione che ricalca il sistema già sperimentato in materia antinfortunistica, non è manifestamente irragionevole la previsione di una diversa entità della somma che l’imputato deve pagare per beneficiare dell’oblazione ai sensi dell’art. 162-bis cod. pen. in caso di adempimento tardivo delle prescrizioni imposte dall’organo di vigilanza. La differenza è riconducibile a scelte discrezionali del legislatore in relazione a beni diversi con conseguente non omogeneità del tertium comparationis evocato. Solo l’accertata «piena omogeneità delle situazioni poste a raffronto» potrebbe comportare l’estensione della disciplina invocata quale tertium comparationis (ex plurimis, sentenze n. 134 del 2017, n. 290 del 2010 e n. 431 del 1997; ordinanza n. 398 del 2001).
La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che «obiettivo del controllo sulla manifesta irragionevolezza delle scelte sanzionatorie non è alterare le opzioni discrezionali del legislatore, ma ricondurre a coerenza le scelte già delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all’eliminazione di ingiustificabili incongruenze» (ex multis, sentenza n. 236 del 2016).
Nella specie, l’aver previsto in materia ambientale una somma più elevata per l’oblazione delle contravvenzioni, rispetto a quella prevista per le contravvenzioni in materia di sicurezza del lavoro, non dà luogo a una «ingiustificabil[e] incongruenz[a]», trattandosi, piuttosto, di una soluzione parametrata al maggior grado di intensità con cui il legislatore ha inteso modulare la tutela dell’ambiente.
8.– Infine, il giudice a quo ha lamentato che, sul piano sistematico, la norma censurata − nel prevedere la possibilità di accedere all’oblazione versando la metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa a condizione di aver provveduto, seppur tardivamente, alla regolarizzazione − risulterebbe sostanzialmente inutile, in quanto ripetitiva della disciplina generale contenuta nell’art. 162-bis, comma 3, cod. pen., il quale prevede che l’oblazione non è ammessa quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore.
Ma la circostanza che una norma di settore preveda una disciplina analoga a quella generale non costituisce un indice idoneo a fondare di per sé una censura di illegittimità costituzionale per irragionevolezza. In ogni caso il contravventore, ammesso a pagare, a titolo di oblazione, la somma comunque ridotta rispetto all’ammenda stabilita per legge, beneficia dell’estinzione del reato come trattamento premiale della condotta ripristinatoria o riparatoria tenuta dopo la commissione del fatto contestato.
9.– Conclusivamente la questione va dichiarata non fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 318-septies, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Cuneo con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2019.