Sez. 3, Sentenza n. 16890 del 14/04/2005 Ud. (dep. 05/05/2005 ) Rv. 231649
Presidente: Papadia U. Estensore: Grillo C. Relatore: Grillo C. Imputato:
Gallucci ed altro. P.M. Patrone I. (Diff.)
(Dichiara inammissibile, Trib. Firenze, 30 Giugno 2003)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Reato di cui all'art. 51, comma quarto, D.Lgs. n.
22 del 1997 - Natura - Reato permanente - Fondamento.
Il reato di inosservanza delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni, di
cui all'art. 51, comma quarto, del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, ha natura
permanente, non rilevando il fatto che la P.A. abbia fissato un termine per
l'adempimento delle prescrizioni, atteso che è punito non l'inadempimento in sé
delle prescrizioni ma la protrazione della specifica condotta di smaltimento,
recupero, trasporto od altro senza l'osservanza delle stesse. (Massima
Fonte CED Cassazione)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 14/04/2005
Dott. GRILLO Carlo M. - Consigliere - SENTENZA
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - N. 755
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 44254/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GALLUCCI GIOVANNI, nato a Rionero in Vulture il 17/12/1935;
GALLUCCI MICHELE, nato a Rionero in Vulture il 9/1/1961;
avverso la sentenza n. 3422 del 30/6-17/9/2003, pronunciata dal Tribunale di
Firenze.
Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
udita in Pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere Dott. Carlo M.
Grillo;
udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott.
PATRONE I., con le quali chiede l'annullamento senza rinvio della gravata
sentenza essendo il reato estinto per prescrizione;
udito il difensore, avv. FALCIANI A., che insiste per l'accoglimento del
ricorso.
la Corte osserva:
FATTO E DIRITTO
Con la decisione indicata in premessa il Tribunale di Firenze, in composizione
monocratica, condannava Gai lucci Giovanni e Gai lucci Michele, legali
rappresentanti della ditta "Gallucci Giovanni & C. s.n.c.", esercente attività
di recupero e stoccaggio di materiali ferrosi, e non ferrosi, opponenti a
decreto penale, alla pena di euro 1.500,00 di ammenda ciascuno in ordine al
reato di cui all'art. 51, comma 4, d.l.vo n. 22/1997 (inosservanza delle
prescrizioni contenute nell'autorizzazione), accertato il 2/6/99. Avverso tale
decisione ricorrono per Cassazione gli imputati, con un unico atto di
impugnazione, deducendo: 1) estinzione per prescrizione della contravvenzione in
questione prima della pronunzia della sentenza de qua, avendo essa pacificamente
natura di reato istantaneo con effetti permanenti e risultando non ottemperata
la prescrizione (di pavimentare l'area di stoccaggio dei rifiuti), e quindi
commesso il reato, alla scadenza del termine assegnato dall'autorità. (Provincia
di Firenze), e cioè nel dicembre 1998; 2) erronea applicazione della legge
penale, non essendo sussistente la contravvenzione contestata per mancanza
dell'elemento oggettivo, nonché illogicità della motivazione sul punto; infatti
la pavimentazione è prescritta dall'art. 6 D.M. 5/2/1998 solo in caso di "messa
in riserva" dei rifiuti, operazione però non sempre indispensabile per lo
stoccaggio, che può avvenire, come nel caso di specie, anche attraverso il
semplice "deposito temporaneo", con permanenza dei rifiuti non talmente
protratta de concretizzare rischio per l'ambiente; 3) mancanza di motivazione
della, sentenza, impugnata in ordine alla responsabilità, penale dei prevenuti,
avendo il Tribunale omesso ogni indagine finalizzata all'individuazione del
legale rappresentante della società. All'odierna udienza dibattimentale, il P.G.
e la difesa concludono come riportato in premessa.
Il ricorso è inammissibile.
La prima doglianza, in ordine alla prospettata natura istantanea del reato in
questione, oltre che irrilevante - nel caso di specie - per i motivi infra
indicati, è anche manifestamente infondata. Infatti, posto che pacificamente le
condotte descritte dall'art. 51, comma 1, d.l.vo n. 22/1997, ove protratte nel
tempo, conservano la loro antigiuridicità fino a quando non siano legittimate da
un provvedimento autorizzatorio, configurando quindi reati di natura permanente,
e considerato che l'autorizzazione, sottoposta a condizioni o subordinata
all'osservanza di determinate prescrizioni tecniche, non ha piena efficacia fino
a quando non si ottemperi ad esse, è evidente che anche al reato (meno grave)
previsto dal comma 4 del menzionato art. 51 deve riconoscersi natura permanente,
giacché l'inottemperanza alle prescrizioni non consente di ritenere
"autorizzata" l'attività svolta. A poco rileva che l'Autorità abbia stabilito un
termine per l'adempimento delle prescrizioni e che lo stesso risulti superato,
in quanto è punito non l'inadempimento delle prescrizioni, ma il protrarre la
specifica condotta rapportata ai rifiuti (di smaltimento, recupero, trasporto,
ecc.), che non può ritenersi "autorizzata" senza l'osservanza delle stesse.
Tant'è che se la menzionata condotta cessasse, diverrebbe penalmente irrilevante
l'inottemperanza alle prescrizioni dell'autorizzazione. La irrilevanza della
questione giuridica appena trattata, e quindi la mani festa infondatezza della
doglianza, discende poi dalla circostanza che il ricorrente, nel prospettare
l'avvenuta prescrizione del reato, non ha tenuto conto delle sospensioni del
termine di cui agli artt. 157 e 160 c.p.p., assommanti a mesi 7 e giorni 5,
dovute a rinvii del dibattimento "addebitabili" alla difesa, per cui comunque il
reato de qua si è prescritto successivamente alla pronunzia della sentenza
impugnata. Anche le altre due doglianze sono inammissibili. La seconda perché
con essa si censura sostanzialmente una scelta dell'autorità amministrativa,
contestandosi l'opportunità, se non la legittimità, di imporre una determinata
prescrizione nel caso di specie, problematica in cui certamente non può
interferire il giudice ordinario. La. terza doglianza perché è estremamente
generica oltre che manifestamente infondata, in quanto pur contestando la
propria responsabilità in ordine ai fatti di causa, in relazione al ruolo
societario da essi ricoperto, i prevenuti si guardano bene dall'indicare a chi
fosse addebitabile la condotta in contestazione nell'ambito aziendale,
considerato peraltro che trattasi di una società di persone. A mente dell'art.
616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, non
potendo escludersi che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost.
sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento, nonché
del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa
equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 500,00 per
ciascuno di essi.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al
pagamento delle spese processuali, nonché ciascuno al versamento della somma di
euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2005.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2005