TAR Lazio (RM) Sez. II-s n. 4674 del 21 aprile 2021
Urbanistica.Demolizione e legittimo affidamento del privato
Il lasso di tempo intercorso fra il momento della realizzazione dell'abuso edilizio e l'adozione del provvedimento amministrativo, comunque sanzionatorio dell’abuso, non è idoneo ad ingenerare un legittimo affidamento in capo al privato interessato né impone all'amministrazione uno specifico onere di motivazione ciò in quanto il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento. L’accertato abuso edilizio impone alla p.a. l’adozione di un provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi, atteso che gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato
Pubblicato il 21/04/2021
N. 04674/2021 REG.PROV.COLL.
N. 11236/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11236 del 2009, proposto da
Stefano Bonfigli, rappresentato e difeso dall'avvocato Cosimo Damiano Fabio Mastrorosa, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Nizza 92;
contro
Comune di Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Antonio Ciavarella, domiciliataria ex lege in Roma, via Tempio di Giove, 21;
nei confronti
Graziano Vari non costituito in giudizio;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Mauro Romaldini, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Cardilli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via D.Purificato,147;
per l'annullamento
- del provvedimento prot. n. 89352 del 1.10.2009, notificato in data 9.10.2009, avente ad oggetto il diniego della D.I.A. in sanatoria inoltrata in data 13.11.2006, nonché la sospensione dei lavori;
- di ogni altro atto ad esso annesso, connesso, presupposto o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 19 marzo 2021 il dott. Roberto Vitanza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente ha presentato, in data 9 novembre 2006, la DIA in sanatoria per le opere realizzate, a suo dire, per ristrutturazione esterna e costruzione locali termici, sul manufatto, costruito nell’aprile 2005, giusto permesso di costruire n. 1261/2003 del comune di Roma e sviluppato in due edifici composti, a dire del ricorrente, da quattro unità immobiliari ciascuno.
In particolare, il tecnico incaricato, ha attestato, nella allegata relazione tecnica asseverata, la:
1) realizzazione dei locali tecnici adibiti a centrale termica e posti al piano seminterrato in adiacenza ad ogni singola unità;
2) realizzazione di aperture parziali dei timpani dei locali soffitta al piano sottotetto inserendo, in sostituzione della muratura di tamponamento, delle vetrate fisse;
3) a sostituzione dei solai di copertura prevista in latero-cemento armato con carpenteria di legno lamellare.
Personale della polizia municipale, in seguito ad un esposto, ha accertato e confermato, mediante ispezione esterna al manufatto, che lo stesso è composto da otto distinte unità abitative, al momento del controllo tutte occupate e che risultano realizzati, su tutte le abitazione, ampi finestroni, aperti sui timpani delle coperture.
L’amministrazione comunale, in data 11 ottobre 2007, con provvedimento notificato alla società Nisida srl il 29 novembre 2007, ha ordinato, rilevando la realizzazione di un abuso edilizio, la sospensione dei lavori, segnalando il fatto anche alla competente autorità giudiziaria penale.
La p.a., ha quindi, ordinato la demolizione delle opere abusive ( 19 febbraio 2008).
L’ordine non veniva eseguito.
In data 1 ottobre 2009 l’amministrazione comunale con determinazione con protocollo n. 89352, diretta al sig. Bonfigli Stefano ed altri, dopo aver premesso che in data 13 novembre 2006 era prevenuta la DIA per ristrutturazione edilizia relativo all’immobile sito in Roma, Via Pio Rajna, dal civ. 21 al 27, rilevava che gli interventi edilizi realizzati risultavano in contrasto con le norme edilizi di cui all’art. 3 del NTA del piano particolareggiato –Infernetto, pertanto statuiva che gli indicati lavori erano stati realizzati in assenza di titolo legittimante, provvedendo a reiterare la sospensione le opere.
Avverso tale provvedimento il sig. Stefano Bonfigli ha reagito con ricorso giurisdizionale e contestuale istanza cautelare.
Il Collegio con ordinanza cautelare n. 376/2010 ha respinto la chiesta misura cautelare.
La decisione non veniva appellata.
Alla udienza di smaltimento del giorno 19 marzo 2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Osserva il Collegio.
Per una esatta intelligenza della vicenda è necessario precisare che, in data 13 novembre 2006, Bonfigli Stefano, Bulkaen Gioia, Aiossa Germana, Marzicola Carlo, Faraco Carlo, Matera Stefania, Salamone Andrea, De Pascale Francesca, in qualità di comproprietari dell’immobile sito in Roma, Via Pio Rajana, dal civ. 21 al civ. 27, hanno presentato, come detto, la DIA per attività di ristrutturazione edilizia per l’indicato immobile.
La p.a ha prodotto agli atti di causa, sia la prova della notifica dell’atto di sospensione dei lavori spedito in data 29 novembre 2007 alla soc. Nisida srl, asseritamente proprietaria del manufatto e, per essa, al legale rappresentante, che il verbale di constatazione, a firma degli operatori della polizia municipale, datato 4 giugno 2006 ( sic) - invero da ricondursi ad una data successiva al 19 febbraio 2008, data in cui è stata assunta la determinazione di demolizione-, con il quale gli operanti hanno accertato l’inottemperanza all’ingiunzione a demolire le riscontrate opere abusive.
In realtà, la p.a. non ha fornito la prova che gli atti di sospensione dei lavori e la successiva determinazione di demolizione, sono stati notificati ai soggetti effettivamente legittimati (peraltro, per tale ultimo provvedimento, non è stata prodotta la prova circa la regolare partecipazione dell’atto ai diretto/o interessati/o), anzi è documentalmente provato che il ricorrente ha acquistato l’immobile dalla indicata società già dal giorno 5 maggio 2005, ossia molto prima della notifica degli indicati atti.
Conseguentemente tali provvedimenti non assumo alcuna valenza delle intervenute determinazioni della p.a. e lo scrutinio del proposto ricorso deve riguardare esclusivamente i soli rilievi afferenti al mancato o meglio del tardivo riscontro della DIA per tutte le ragioni riportate.
Ciò detto, la parte ricorrente ha censurato la illegittimità del provvedimento contestato perché partecipato al solo ricorrente malgrado la Dia fosse stata avanzata da tutti i comproprietari.
La questione sollevata è inconferente attesa la personalità dell’azione giudiziaria e del provvedimento assunto dalla p.a., relativo a singolari evenienze urbanistiche.
La contestuale domanda avanzata da più comproprietari, deve essere configurata, non già quale unica ed indissolubile istanza di denunzia di inizio attività, bensì quale espressione di autonome richieste, seppure contestuali, avanzate dai proprietari delle singole unità abitative, rispetto alle quali la p.a. può assumere distinti ed autonomi provvedimenti, proprio perché, all’evidenza, le singole determinazioni della p.a., anche se contenute in un unico atto, non hanno, né possono assumere la natura di provvedimento con valenza generale, quanto piuttosto quella di atto plurimo.
La parte ricorrente ha, poi, eccepito la violazione del termine per l’adozione del provvedimento di diniego di prosecuzione dell’attività denunciata, atteso che l’indicato provvedimento è intervenuto dopo circa tre anni dalla presentazione DIA, allorquando la norma prevede il termine di trenta giorni per potere inibire l’attività urbanistica denunziata.
E’ noto che la DIA è stata sostituita, con la L. 122/2010, con la SCIA, risultando, in buona sostanza, immutato l’impianto normativo.
L’indicata dichiarazione o segnalazione, invero, è legittima solo per gli interventi urbanistici di cui all’art. 6 bis del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 , n. 380, che consente l’adozione della indicata procedura solo in via residuale, ossia con riferimento a quelle attività : “… non riconducibili all'elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22”.
Nel caso di specie le opere realizzate sugli indicati immobili e di cui è stata chiesta la sanatoria, hanno riguardato, in buona sostanza: il cambio di destinazione nei locali del sottotetto, con elevazione della quota di gronda e realizzazione di pareti finestre.
Si tratta di interventi urbanistici disciplinati dall’art. 10, lettera c) del DPR citato, la cui realizzazione è subordinata al rilascio del permesso di costruire.
In altri termini si tratta di attività di costruzione che non possono essere realizzate, né tanto meno sanate, attraverso la presentazione della DIA ( ora SCIA), ma richiedono l’adozione, da parte della p.a., di un preventivo permesso di costruire.
Pertanto, l’indicato intervento, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di parte ricorrente, integra una vera e propria nuova costruzione, che non può essere configurata una mera ristrutturazione edilizia.
Sul punto si è espresso, in modo pacifico e costante anche del Giudice d’Appello amministrativo. Infatti, la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non coincidere con una nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente quanto a sagoma, superfici e volumi (cfr., ex multis, Cons. St., 20 maggio 2019, n. 3208; id, n. 12 agosto 2019, n. 5663).
Sicché, in disparte la statuizione circa la sospensione di lavori, perché i relativi manufatti erano stati, già, al momento della presentazione della DIA, realizzati, gli stessi non potevano e non possono essere sanati attraverso la presentazione della DIA.
Conseguentemente l’amministrazione comunale, con il provvedimento del 1 ottobre 2009, rilevato che l’intervento denunciato risultava contrario alle previsioni di cui all’art. 33 del N.T.A. del piano particolareggiato n. 51-Infernetto e, quindi, realizzato in difetto del previsto titolo, ha ordinato di “sospendere” la realizzazione delle opere denunciate.
Né la presentazione della DIA può cangiare la natura dell’intervento urbanistico denunciato.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale del giudice amministrativo: “in materia edilizia il carattere vincolato della determinazione sanzionatoria, dipendente unicamente dall’accertamento dell’abuso compiuto, esclude la necessità di una specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico concreto ed attuale o di una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, in quanto non è configurabile alcun affidamento giuridicamente tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che non può di norma essere sanata dal mero trascorrere del tempo (cfr. :Cons. Stato, sez. II, 19/06/2019 n. 4184; TAR Molise, sez. I, 21 giugno 2018, n. 382; T.A.R. Napoli, sez. IV, n. 03614/2016; Cons. St., sez. IV, 29/4/2014, n. 2228; T.A.R.)”. Inoltre, il lasso di tempo intercorso fra il momento della realizzazione dell'abuso e l'adozione del provvedimento amministrativo, comunque sanzionatorio dell’abuso, non è idoneo ad ingenerare un legittimo affidamento in capo al privato interessato né impone all'amministrazione uno specifico onere di motivazione : “Ciò in quanto il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, 27 marzo 2017, n. 1386; id., VI, 6 marzo 2017, n. 1060)”.
Infine, l’accertato abuso impone alla p.a. l’adozione di un provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi, atteso che gli: “ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile (l’estraneità agli abusi assumendo comunque rilievo sotto altri profili), applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, 26 luglio 2017, n. 3694).” (Consiglio di Stato, ad.plen. 17.10.2017, n. 9).
Pertanto il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Stralcio), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che a mente del D.M. n. 55/2014, complessivamente quantifica in euro 2.000,00, oltre IVA, cpa e spese generali, per ciascuna parte costituita.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2021, tenutasi da remoto ed in videoconfereenza, con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Roberto Vitanza, Consigliere, Estensore
Rocco Vampa, Referendario