Urbanistica. Interventi di nuova costruzione (finalità della definizione)
L'art. 3 del DPR 380/2001, attualmente vigente, nel
riprodurre le definizioni di cui all'art. 31 della L. n. 45778, con riferimento
alle tipologie di interventi edilizi, ha, nel punto 3 del primo comma, specificato quali interventi,
diversi da quelli elencati in precedenza,
devono qualificarsi di nuova costruzione e, pertanto, subordinati al
rilascio del permesso di costruire, ai sensi del successivo art. 10, comma 1
lett. a), del DPR. Tale disposto riproduce, quindi, la categoria generale degli
interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, già
prevista dall'art. 1 della L. n. 10/77,
e successivamente specifica quali interventi sono, comunque, da
considerarsi tali.
Non appare dubbio che la successiva specificazione degli
interventi di nuova costruzione non ha affatto
valore aggiuntivo rispetto alla previsione generale, avente carattere onnicomprensivo,
con la quale si subordina al
rilascio del permesso di costruire e precedentemente della concessione l'attività di trasformazione
edilizia del territorio. Peraltro proprio
sulla base della previsione di carattere
generale già vigente, gli interventi meglio specificati nei vari numeri della lettera e) dell'art.
3 rientravano nella previsione
della fattispecie sanzionata penalmente, secondo il consolidato indirizzo
interpretativo in materia di questa Suprema
Corte. Nella specie, pertanto, si è in presenza
di una normativa avente carattere specificatorio di quanto già
precedentemente previsto dalla normativa abrogata, con la conseguenza
non vi è stato alcun ampliamento della fattispecie penale. Si tratta,infatti, della tipizzazione di
condotte che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo della
giurisprudenza di legittimità, già si ritenevano comprese nella fattispecie
della esecuzione di interventi di trasformazione edilizia del territorio.
Udienza
Pubblica del 06/03/07
SENTENZA N.696
REG. GENERALE N. 4916/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
composta dagli Ill.mi Signori:
Presidente Dott. Ernesto Lupo
Consigliere
"
Ciro Petti
"
Alfredo Maria Lombardi
"
Aldo Fiale
"
Margherita Marmo
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto dall'Avv. Anna Luigia Creti, difensore di fiducia
di Scorrano Giuseppe, n. a Miste il 21.3.1953, avverso la sentenza in
data 11.11.2005 della Corte di Appello di Lecco, con la quale, a
conferma di quella del Tribunale di Lecce, sezione distaccata di
Casarano, in data 22.6.2004, venne condannato alla pena di mesi uno di
arresto ed € 20.000,00 di ammenda, quale colpevole del reato
di cui agli art. 20 lett. c) della L. n. 47/85, 146, 151 e 163 del D.
L.vo n. 490/99. Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo
Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Vittorio
Meloni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Lecce ha confermato la
pronuncia di colpevolezza di Scorrano Giuseppe in ordine al reato di
cui agli art. 20 lett. e) della L. n. 47/85, 146, 151 e 163 del D. L.vo
n. 490/99, ascrittogli per avere realizzato, in zona sottoposta a
vincolo paesaggistico e di inedificabilità assoluta, un
manufatto, costituito da due strutture prefabbricate, occupanti la
superficie complessiva di 160 mq., adibite a bar ed annesso gazebo,
senza concessione edilizia e senza l'autorizzazione
dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo.
In punto di fatto si è accertato che l'imputato aveva
installato i manufatti di cui alla contestazione in base ad
un'autorizzazione provvisoria emessa dal Comune di Alliste, ma non li
aveva poi rimossi alla scadenza del termine previsto dai provvedimenti
autorizzatori e neppure a seguito della ingiunzione di sgombero e di
rimessione in pristino dello stato dei luoghi emessa dall'ente locale.
La sentenza ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante
aveva dedotto che il fatto di cui alla contestazione, sussunto dal
giudice di primo grado nell'ipotesi di cui all'art. 3 del DPR n.
380/2001, non era previsto dalla legge come reato all'epoca in cui
venne commesso, nonché la inesistenza dell'elemento
psicologico della fattispecie contravvenzionale, per essere stata
ingenerata nell'imputato la convinzione della liceità del
comportamento tenuto dai provvedimenti autorizzatori emessi dalla
pubblica amministrazione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dello Scorrano,
che la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione
ed errata applicazione dell'art. 2 c.p..
Premesso che la sentenza di primo grado aveva inquadrato il fatto
ascritto all'imputato nell'ipotesi di cui agli art. 10 e 3 lett. el )
ed e5) del DPR n. 380/2001, il ricorrente ripropone la questione della
inesistenza di continuità normativa tra la citata
fattispecie prevista dal Testo Unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia e la legislazione precedente, vigente
all'epoca della commissione del fatto.
Si deduce sul punto che il DPR n. 380/2001 non è meramente
compilativo delle disposizioni in esso recepite, ma appartiene alla
categoria dei testi unici innovativi, poiché, recependo gran
parte delle norme contenute nella L. n. 47/85 e nelle altre
disposizioni ad essa collegate, ha introdotto significative
modificazioni e specificazioni.
In particolare, si osserva che il citato testo unico contiene una
maggiore dilatazione nella individuazione dei casi in presenza dei
quali occorre il permesso di costruire, analiticamente tipizzati,
rispetto alle ipotesi soggette, in base alla normativa precedente, alla
concessione edilizia. Queste ultime, connotate da evidente
genericità, devono individuarsi nelle previsioni di cui agli
art. 1 della L. n. 10/1977 e 31 della L. n. 457/78.
Si afferma, quindi, che le citate disposizioni del Testo Unico,
integrando la norma che sanziona l'abuso edilizio, hanno ampliato e
specificato i casi in cui è attualmente necessario il
permesso di costruire, sicché nella successione delle
disposizioni citate non può ravvisarsi un'ipotesi di abrogatio
sine abolitio, avendo il Testo Unico arricchito la
fattispecie costituente reato di nuovi elementi.
Con lo stesso motivo si aggiunge che, seppure dovesse ravvisarsi
un'ipotesi di continuità normativa tra le fattispecie di
reato previste dalle leggi succedutesi nel tempo, nel caso in esame,
doveva applicarsi ai sensi dell'art. 2, comma 3, c.p. la normativa
più favorevole, da ravvisarsi in quella vigente all'epoca
del fatto.
Si deduce, quindi, che nella vigenza di tale normativa il Comune di
Alliste aveva emesso tre autorizzazioni provvisorie in favore dello
Scorrano e che, pertanto, il giudice penale non poteva disapplicare le
predette autorizzazioni sulla base di quanto previsto dalla normativa
urbanistico edilizia sopravvenuta, al fine di ritenere illecita la
condotta dell'imputato, senza violare il disposto di cui al citato art.
2 c.p..
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la sentenza per
illogicità della motivazione.
Il ricorrente censura la motivazione con la quale la sentenza impugnata
ha rigettato il motivo di gravame afferente alla dedotta esimente della
buona fede nelle contravvenzioni, osservando che lo Scorrano aveva
ottenuto dal Comune di Alliste vari provvedimenti autorizzatori per la
installazione del bar-gazebo di cui alla contestazione,
sicché doveva ritenersi che l'imputato aveva fatto legittimo
affidamento nell'operato della pubblica amministrazione o, comunque,
era incorso in errore in ordine alla portata dei predetti atti
autorizzatori, mentre la sentenza impugnata ha illogicamente
valorizzato le qualità personali dell'imputato per
affermarne la colpevolezza.
Il ricorso non è fondato.
E' stato precisato da questa Suprema Corte, con riferimento ai criteri
in base ai quali deve essere individuata la continuità
normativa tra le norme penali succedutesi nel tempo, che 'In tema di
successione di leggi penali, perchè sia applicabile la
regola del terzo comma dell'art. 2 c.p., occorre che il fatto
costituente reato secondo la legge precedente sia tuttora punibile
secondo la nuova legge, mentre non sono più punibili i fatti
commessi in precedenza e rimasti fuori del perimetro della nuova
fattispecie. Tale situazione va verificata in base al criterio di
coincidenza strutturale tra le fattispecie previste dalle leggi
succedutesi nel tempo, senza che sia necessario, di regola, fare
ricorso ai criteri valutativi del bene tutelato o delle
modalità di offesa ...... Ne consegue che un fatto
è punibile se, astrattamente considerato e sulla base dei
criteri enunciati, rientra nell'ambito normativa di disposizioni che si
sono succedute nel tempo e, quando ciò accade e nei limiti
in cui accade, non opera l'effetto abolitivo della disposizione
successiva." (sez, un. 200325887, Giordano ed altri, RV 224607).
Per affermare l'esistenza della continuità normativa, nel
caso in esame, tra la fattispecie sanzionata penalmente dall'abrogato
art. 20 della L. n. 47/85 e quella di cui all'art. 44 del DPR n.
380/2001 occorre, pertanto, raffrontare le predette ipotesi di reato
con riferimento alla condotta posta in essere dall'imputato di cui alla
contestazione e negli stessi termini accertata dai giudici di merito.
Orbene, sia l'art. 20 della L. n. 47/85 che l'art. 44 del DPR n.
380/2001 costituiscono norme penali parzialmente in bianco,
poiché la previsione della fattispecie costituente reato da
esse sanzionate deve essere integrata dalle disposizioni della
legislazione urbanistica in materia di attività soggetta
alla concessione edilizia ed attualmente al permesso di costruire, al
fine di individuare la illiceità dell'attività
edificatoria posta in essere.
In particolare nella vigenza dell'art. 20 della L. n. 47/85 la
fattispecie contravvenzionale, al fine di individuare gli interventi
edilizi illeciti, era integrata dalla previsione di cui all'art. 1
della L. n. 10/1977, ai sensi del cui disposto era subordinata a
concessione "Ogni attività comportante la trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio comunale".
Tale fattispecie era stata successivamente integrata dal disposto di
cui all'art. 31 della L. n. 457/78, che aveva effettuato una
più analitica definizione degli interventi edilizi, e con il
successivo art. 48 della medesima legge aveva sottratto all'obbligo
della concessione gli interventi di manutenzione ordinaria e
straordinaria.
Nella vigenza del citato art. 20 della L. n. 47/85 era stato poi
precisato dal consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema
Corte che "Rientrano nella previsione delle norme urbanistiche e
richiedono la concessione dell'autorità comunale non solo i
manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie,
ma anche le opere di qualsiasi genere, nel suolo o sul suolo, senza che
abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui si sia assicurata la
stabilità del manufatto (infissione o appoggio al suolo), in
quanto la stabilità non va confusa con
l'inamovibilità della struttura o con la
perpetuità della finzione ad essa assegnata dal costruttore,
ma si estrinseca nell'oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare un
bisogno non provvisorio, ossia nell'attitudine ad una destinazione che
non abbia il carattere della precarietà, cioè non
sia temporanea o contingente." (cfr. sez. III, 199405326, Alzetta, RV
197451 ed altre).
Ed ancora: "Una costruzione può definirsi precaria e,
quindi, non soggetta a concessione edilizia, solo se viene realizzata
per motivi di carattere contingente, a prescindere dal materiale
adoperato e dalla più o meno facile rimovibilità,
e cioè quando sia destinata oggettivamente ad uso temporaneo
e limitato." (sez. III, 198711420, Albaione, RV 176966)
Non si palesa dubbio, pertanto, che in applicazione dell'art. 20 della
L. n. 47/85 rientrava nella previsione della fattispecie sanzionata
penalmente dalla norma la installazione, senza concessione edilizia, di
manufatti prefabbricati destinati a soddisfare esigenze durature nel
tempo. L'art. 3 del DPR n. 380/2001, attualmente vigente, nel
riprodurre le definizioni di cui all'art. 31 della L. n. 457/78, con
riferimento alle tipologie di interventi edilizi, ha, nel punto 3 del
primo comma, specificato quali interventi, diversi da quelli elencati
in precedenza, devono qualificarsi di nuova costruzione e, pertanto,
subordinati al rilascio del permesso di costruire, ai sensi del
successivo art. 10, comma I lett. a), del DPR.
Tale disposto riproduce, quindi, la categoria generale degli interventi
di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio,
già prevista dall'art. 1 della L. n. 10/77, e
successivamente specifica quali interventi sono, comunque, da
considerarsi tali.
Orbene, non appare dubbio che la successiva specificazione degli
interventi di nuova costruzione non ha affatto valore aggiuntivo
rispetto alla previsione generale, avente carattere onnicomprensivo,
con la quale si subordina al rilascio del permesso di costruire e
precedentemente della concessione l'attività di
trasformazione edilizia del territorio.
Peraltro, proprio sulla base della previsione di carattere generale
già vigente, gli interventi meglio specificati nei vari
numeri della lettera e) dell'art. 3 rientravano nella previsione della
fattispecie sanzionata penalmente, secondo il consolidato indirizzo
interpretativo in materia di questa Suprema Corte.
Nella specie, pertanto, si è in presenza di una normativa
avente carattere specificatorio di quanto già
precedentemente previsto dalla normativa abrogata, con la conseguenza
non vi è stato alcun ampliamento della fattispecie penale.
Si tratta, infatti, della tipizzazione di condotte che, secondo il
consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di
legittimità, già si ritenevano comprese nella
fattispecie della esecuzione di interventi di trasformazione edilizia
del territorio.
Il problema della continuità normativa potrebbe porsi,
pertanto, solo con riferimento ad eventuali ipotesi di cui all'art. 3,
primo comma lett. e), del DPR n. 380/2001, che, secondo
l'interpretazione giurisprudenziale, non potevano essere inquadrate tra
le attività di trasformazione edilizia del territorio o in
ordine alle quali non vi era stata interpretazione univoca.
Tale non è certamente l'ipotesi della installazione di
manufatti prefabbricati, di cui alla lett. e5), in relazione ai quali
la giurisprudenza dì questa Suprema Corte sopra riportata si
palesa assolutamente consolidata nell'affermare che tale
attività rientra tra quelle di trasformazione urbanistica
del territorio allorché risulti diretta a soddisfare
esigenze durature nel tempo, cosi come puntualmente specificato dalla
norma attualmente vigente.
Sicché si palesa evidente che sussiste piena
continuità normativa tra la previsione di cui all'art. 44
del DPR n. 380/2001 e quella dell'art 20 della L. n. 47/85, con
riferimento, nel caso in esame, alla individuazione
dell'attività edilizia subordinata a concessione o permesso
di costruire la cui carenza è prevista come reato dalle
citate disposizioni succedutesi nel tempo.
E' altresì infondata la censura del ricorrente con la quale
si denuncia la disapplicazione da parte del giudice di merito delle
autorizzazioni rilasciate allo Scorrano dall'ente locale.
invero, la sentenza impugnata non ha affatto proceduto a detta
disapplicazione, ma solo affermato la inidoneità dei
provvedimenti emessi dall'ente locale a legittimare
l'attività edificatoria posta in essere dall'imputato,
essendo all'uopo necessaria la concessione edilizia.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
La sentenza ha rigettato l'appello dell'imputato con riferimento
all'asserita esimente dello affidamento sui provvedimenti della
pubblica amministrazione sulla base di una motivazione esaustiva ed
immune da vizi logici.
E' stato, infatti evidenziato sul punto dai giudici di merito non solo
che la normativa urbanistica e paesaggistica, dì portata
generale, doveva essere comunque nota ad un operatore del settore
turistico-recettivo, ma altresì che la volontà
dell'imputato di adibire i manufatti di cui alla contestazione ad un
uso destinato a protrarsi nel tempo, in violazione degli stessi
provvedimenti autorizzatori, è dimostrato dalla successiva
inottemperanza all'ingiunzione di rimuoverli.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. al rigetto dell'impugnazione segue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 6.3.2007.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 4/4/2007