Cass. Sez. III n. 38753 del 21 agosto 2018 (Cc 9 lug 2018)
Pres. Di Nicola Est. Ramacci Ric. PM in proc. Burato
Ambiente in genere.Autorizzazione integrata ambientale
Le specifiche finalità indicate dal legislatore ed, in ogni caso, desumibili dal complesso delle norme in tema di AIA, impongono una rigorosa e restrittiva interpretazione, tale da non vanificare gli effetti di questa particolare disciplina e non può prescindersi da una altrettanto rigorosa disamina dei contenuti del titolo abilitativo e della corrispondenza tra quanto autorizzato e le condizioni effettive di svolgimento dell’attività, senza che tale verifica possa arrestarsi di fronte alla mera disponibilità dell’autorizzazione.
Se l’AIA è richiesta per le “installazioni” che svolgono le attività descritte nell’Allegato VIII (art. 6, comma 13) e se tra le installazioni rientra qualsiasi altra attività accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attività svolte e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento, è evidente che tale connessione non può che riferirsi comunque ad attività comprese tra quelle elencate nel suddetto allegato e non anche riferibili ad altre attività eventualmente svolte nel medesimo insediamento, con la conseguenza che l’AIA rilasciata per attività non comprese nell’Allegato VIII alla Parte Seconda del d.lgs. 152/06 prima delle modifiche apportate dal d.lgs. 46/2014 comporta l’applicazione della disciplina transitoria di cui all’art. 29 del citato decreto legislativo e la conseguente necessità di una nuova istanza di rilascio dell’AIA, ovvero di una istanza di adeguamento
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Mantova, con ordinanza del 2/2/2018 ha parzialmente accolto la richiesta di riesame presentata nell'interesse della società “Mantovagricoltura di BURATO Fernando & C. s.n.c.”, revocando il sequestro preventivo dei macchinari impiegati dalla suddetta società presso la sede operativa di Rodigo per il trattamento di scorie e ceneri, nonché delle scorie di cenere presenti presso il relativo stabilimento, confermando nel resto il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di quella città nell'ambito di un procedimento penale nel quale viene prospettato, secondo l'ipotesi accusatoria, che la società suddetta esercitasse, presso il sito denominato Famac, in carenza di titolo abilitativo, un'attività di gestione di una quantità nel tempo ingente - pari a circa 130.000 tonnellate - di rifiuti in assenza di autorizzazione (capo 1 della provvisoria imputazione), di fatto realizzando e gestendo una discarica abusiva (capi 2 e 3), esercitando un'attività non consentita di miscelazione di rifiuti non pericolosi con rifiuti pericolosi (capo 4), cagionando con le descritte condotte un pericolo concreto di inquinamento e deterioramento del suolo e delle acque di falda (capi 5 e 6), non provvedendo al ripristino ambientale (capo 7) ed alle opere di messa in sicurezza (capo 8).
In relazione a tali fatti di reato veniva anche ipotizzato, a carico della società Mantovagricoltura, l'illecito amministrativo di cui agli articoli 5, lett. a), 6, 25-undecies, comma 1 e comma 2, lett. b), nn. 1, 2 e 3 e lett. c) d.lgs. 231/2001, per l'illecito vantaggio ricavato dall'avere i propri legali rappresentanti, nel suo interesse, svolto presso il sito Famac le descritte attività costituenti reato, al fine di profitto ed in assenza dei controlli da parte delle autorità preposte (capo12 della provvisoria incolpazione).
Ai legali rappresentanti della società veniva, altresì, contestato di aver esercitato, presso il sito suddetto, l'attività di recupero di scorie e ceneri non autorizzata, in quanto estranea alla autorizzazione integrata ambientale (AIA) di cui la stessa società era munita, reato di cui all'articolo 29-quaterdecies, comma 1 d.lgs. 152/2006 e 452-novies cod. pen. (capo 11 della provvisoria incolpazione).
2. Avverso tale pronuncia propongono ricorso per cassazione “Mantovagricoltura di BURATO Fernando & C. s.n.c.” tramite il proprio difensore di fiducia ed il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Mantova, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso Mantovagricoltura.
Con un unico motivo di ricorso viene dedotta la nullità dell'ordinanza impugnata per violazione dell'articolo 125 cod. proc. pen. per assoluto difetto di motivazione o, comunque, per motivazione meramente apparente.
Osserva a tale proposito la società ricorrente che l'apparato argomentativo posso a sostegno dell'ordinanza impugnata sarebbe mancante o, comunque, privo dei requisiti minimi di coerenza completezza e ragionevolezza, con conseguente inidoneità a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal Tribunale.
In particolare, si osserva che la motivazione relativa al mantenimento del sequestro risulterebbe costituita da poche righe e avrebbe quantificato l'illecito profitto sulla base di dati contabili non significativi e, segnatamente, sulla base di dati ipotetici ricavati da preventivi e non anche su dati reali riscontrabili sulle fatture emesse per i corrispettivi incassati.
Tali determinazioni, si aggiunge, sarebbero state adottate omettendo anche di pronunciarsi sui rilievi avanzati dalla difesa.
4. Ricorso del Pubblico Ministero
Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge per inosservanza, ovvero erronea applicazione, dell'articolo 29-quaterdecies d.lgs. 152/2006 in relazione all'articolo 6, comma 13, lett. e) dell'Allegato VIII e all'articolo 5, comma i-quater e quinquies del d.lgs. 152/2006, come modificato dall'articolo 2, comma 1, lett. a) d.lgs. 4 marzo 2014, n. 46, in relazione all'articolo 29 del medesimo decreto.
Osserva, a tale proposito, che il Tribunale del riesame, malamente interpretando la richiamata normativa, avrebbe erroneamente ritenuto che la società fosse abilitata ad effettuare il trattamento di scorie e ceneri di fusione e non fosse, quindi, tenuta a richiedere, come invece si assume nella provvisoria incolpazione, al capo 11, una nuova autorizzazione integrata ambientale (AIA), essendo già munita delle necessarie autorizzazioni.
Rileva, dunque, che quanto asserito dal Tribunale si porrebbe in aperto contrasto con quanto previsto dalla disciplina richiamata, producendo peraltro effetti esattamente opposti a quelli perseguiti dalla legge.
Con un secondo motivo di ricorso deduce l’omessa motivazione in relazione al insussistenza del fumus del reato di cui all'articolo 29-quaterdecies d.lgs. 152/2006.
5. Insistono pertanto per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono fondati per le ragioni di seguito specificate.
2. Va premesso, con riferimento al ricorso della società Mantovagricoltura, che la costante giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente espressa nel senso che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o preventivo) può essere proposto esclusivamente per violazione di legge e non anche con riferimento ai motivi di cui all’articolo 606, lettera e) cod. proc. pen., pur rientrando, nella violazione di legge, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, Bevilacqua, Rv. 226710 . V. anche Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 35532 del 25/6/2010, Angelini, Rv. 248129; Sez. 6, n. 7472 del 21/1/2009, Vespoli, Rv. 242916; Sez. 5, n. 8434 del 11/1/2007, Ladiana, Rv. 236255).
La mera apparenza della motivazione, peraltro, è stata individuata nell'assenza dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'"iter" logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (da ultimo, Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656 ed altre prec. conf.).
Invero, l’ordinanza impugnata ha fornito una motivazione estremamente succinta sul punto controverso, spiegando le ragioni per le quali ha ritenuto correttamente quantificato l’ammontare dei profitti conseguiti sottoposti a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente.
A fronte, tuttavia, di una richiesta di riesame (allegata in copia al ricorso per cassazione) con allegata documentazione, unitamente ad una “perizia contabile” di parte, non ha espresso alcun giudizio, neppure di mera attendibilità, sui contenuti della stessa, omettendo quindi del tutto la motivazione.
Tale evenienza comporta l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale affinché colmi, la rilevata lacuna motivazionale.
3. Per ciò che concerne, invece, il ricorso del Pubblico Ministero, occorre osservare che lo stesso prende in considerazione, nel primo motivo di ricorso, la violazione contestata al capo 11 della provvisoria incolpazione riportata nel decreto di sequestro ed ha ad oggetto l’attività di recupero e gestione di scorie e ceneri, pari a diverse migliaia di tonnellate in un triennio (anni 2014, 2015 e 2016) in assenza della prescritta autorizzazione integrata ambientale (AIA), richiesta dall’art. 6 del d.lgs. 152/06 come modificato dalla legge 46/2014 e con l’aggravante di cui al predetto art. 6, disponendo la società Mantovagricoltura di AIA per il solo recupero e messa in riserva di rifiuti speciali non pericolosi (R3, rifiuti organici; R5, rifiuti inerti; R13, messa in riserva).
Assume invece il Tribunale che, sulla base della documentazione prodotta, già dal 2013 la società Mantovagricoltura esercitava l'attività di gestione dei rifiuti costituiti da scorie di fusione e ceneri non in procedura semplificata e quale accessorio all'attività di gestione dei rifiuti derivanti da carcasse di animali o, comunque, da sottoprodotti di origine animale, in virtù di una AIA, in quanto parte dell'altro ramo di attività produttiva, consistente nella gestione e recupero di rifiuti derivanti dall'edilizia, al fine di ricavarne sottoprodotti destinati all'utilizzo come rilevati di sottofondi stradali, ferroviari, di piazzali industriali eccetera.
L'AIA, per tale ultima attività è divenuta necessaria solo a decorrere dall'entrata in vigore del decreto legislativo 46/2014 ma, secondo il Tribunale, il fatto che fin da 2013 la società se ne fosse volontariamente munita, rendeva evidentemente superflua la necessità di richiedere una nuova autorizzazione nel 2014, come risulterebbe dai provvedimenti amministrativi successivi, di mero aggiornamento dell'AIA conseguita nel 2013.
Ritiene invece il Pubblico Ministero ricorrente che le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale sarebbero frutto di una non corretta applicazione della normativa considerata, la quale, sempre secondo quanto dedotto in ricorso, stabilirebbe che i gestori di installazioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del decreto fossero tenuti ad adeguare, secondo termini specifici, la propria attività al nuovo regime autorizzatorio richiesto e, quindi, con un apertura del procedimento previsto dagli articoli 29-bis e seguenti d.lgs. 152/2006, finalizzati ad imporre, per tali specifiche attività, l'applicazione dei più rigorosi presidi ambientali imposti dall'ordinamento.
Tale affermazione troverebbe conferma nel comma 3 del citato articolo, secondo cui, nelle more del procedimento, l'esercizio dell'attività può proseguire sulla base delle autorizzazioni vigenti, purché venga data compiuta attuazione agli adeguamenti proposti nelle predette istanze, in quanto necessari a garantire la conformità dell'esercizio dell'installazione con il procedimento di autorizzazione integrata ambientale.
Sostiene ancora il Pubblico Ministero ricorrente che lo scopo della norma, anche in considerazione delle specifiche scadenze temporali imposte, sarebbe quello di impedire che un'attività non IPPC possa essere svolta in assenza dei presidi ambientali richiesti dall'ordinamento e, segnatamente, dell'Autorizzazione integrata ambientale.
4. Tali considerazioni, diametralmente opposte a quelle sviluppate nell’ordinanza impugnata, rendono necessaria la disamina delle disposizioni richiamate.
Con il d.lgs.18 febbraio 2005, n.59 venne data completa attuazione alla la direttiva 96\61\CE sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC), inizialmente recepita solo in parte con il d.lgs. 4 agosto 1999 n. 372, che riguardava esclusivamente gli impianti esistenti (secondo la definizione datane nel decreto medesimo), rinviando ad altro momento il completo recepimento della direttiva comunitaria e che, con l'entrata in vigore del d.lgs. 59\2005, veniva abrogato, fatto salvo quanto previsto all'articolo 4, comma 2.
Il d.lgs. 59/2005 veniva poi abrogato con il «terzo correttivo» al d.lgs. 152\06 (d.lgs. 29 giugno 2010 n.128), con il quale si provvedeva alla trasposizione, con sostanziali modifiche, della relativa disciplina nella Parte Seconda del d.lgs. 152\06, effettuando anche il coordinamento, prima mancante, delle procedure di VIA ed AIA.
Il d.lgs. 59\2005 prevedeva misure atte ad evitare o, qualora non fosse possibile, ridurre le emissioni di determinate attività (descritte nell’allegato 1) nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti ed a conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente, nel suo complesso, adottando le migliori tecnologie disponibili.
Le finalità della menzionata direttiva comunitaria, fatte proprie dal legislatore nazionale, erano evidentemente orientate dalla necessità di prevedere una visione globale dei problemi connessi alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento, adottando procedure che, oltre ad essere semplificate, consentissero una verifica complessiva della situazione relativa ad un determinato impianto.
Veniva così previsto un unico procedimento autorizzatorio per il singolo impianto, eliminando la necessità per il gestore dello stesso di conseguire più autorizzazioni per lo svolgimento di una singola attività.
Le finalità dell'AIA sono ora indicate dall'articolo 4, comma 4, lett. c) del dlv. 152\2006 e riguardano la prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività indicate all'allegato VIII. Si prevedono misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente, salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale, mentre le definizioni relative alla materia sono integrate nell'articolo 5.
La specifica disciplina è invece contenuta nel Titolo III-bis appositamente inserito nel d.lgs. 152\06.
I requisiti della domanda di autorizzazione e la relativa procedura sono indicati negli artt. 29-ter e 29-quater.
Analogamente a quanto previsto dall’abrogato d.lgs. 59/2005, il comma 11 dell'art. 29-quater d.lgs. 152\06, afferma che le autorizzazioni integrate ambientali sostituiscono, ad ogni effetto, le autorizzazioni riportate nell'elenco dell'allegato IX e, a tal fine, il provvedimento di autorizzazione integrata ambientale richiama esplicitamente le eventuali condizioni, già definite nelle autorizzazioni sostituite, la cui necessità permane. Inoltre, le autorizzazioni integrate ambientali sostituiscono la comunicazione di cui all'articolo 216.
Per il resto, la previgente disciplina veniva riprodotta, con modifiche di carattere formale, negli articoli da 29-quinquies a 29-quattordecies ed ha subito modifiche nel tempo.
5. L’art.29-quaterdecies, in particolare, è stato integralmente sostituito in forza dell’art. 7, comma 13 del d.lgs. 46/2014 e sanziona, al primo comma, chiunque esercita una delle attività di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda del d.lgs. 152/06 senza essere in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale, o dopo che la stessa sia stata sospesa o revocata.
Tale condotta è stata contestata nel capo 11 della provvisoria incolpazione ed è quella di cui qui si tratta.
La necessità dell’AIA per le installazioni che svolgono le attività di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda del d.lgs. 152/06 è stabilita dall’art. 6, comma 13 del medesimo decreto legislativo. L’autorizzazione è rilasciata secondo le procedure stabilite dagli artt. 29-bis e ss. del d.lgs.
L’Allegato VIII alla Parte Seconda del d.lgs. 152/06 ha subito anch’esso l’ultima modifica ad opera del d.lgs. 46/2014, che ne ha disposto, con l’art. 26, comma 1, l’integrale sostituzione.
Esso individua le categorie di attività di cui all'articolo 6, comma 13 citato e vi comprende ora il trattamento di scorie e ceneri, in precedenza non previsto.
Il d.lgs. 46/2014, in considerazione delle modifiche apportate alla disciplina di settore, contiene, nell’art. 29, alcune disposizioni transitorie che riguardano specificamente, al comma 3, i gestori delle installazioni esistenti che non svolgono attività già ricomprese all'Allegato VIII alla Parte Seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, i quali erano tenuti a presentare istanza per il primo rilascio della autorizzazione integrata ambientale, ovvero istanza di adeguamento ai requisiti del Titolo III-bis della Parte Seconda, nel caso in cui l'esercizio debba essere autorizzato con altro provvedimento, entro il 7 settembre 2014.
Il successivo comma 3 impone all’autorità competente al rilascio del titolo abilitativo il completamento dei procedimenti, avviati in esito alle istanze di cui al comma 2, entro il 7 luglio 2015, consentendo, nelle more, la prosecuzione dell’attività in base alle autorizzazioni previgenti, se del caso opportunamente aggiornate a cura delle autorità che le hanno rilasciate, a condizione di dare piena attuazione, secondo le tempistiche prospettate nelle istanze di cui al comma 2, agli adeguamenti proposti nelle predette istanze, in quanto necessari a garantire la conformità dell'esercizio dell'installazione con il titolo III-bis della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni.
L’art. 5, comma 1, lett. i-quater d.lgs. 152/06 definisce la “installazione” come “unità tecnica permanente, in cui sono svolte una o più attività elencate all'allegato VIII alla Parte Seconda e qualsiasi altra attività accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attività svolte nel luogo suddetto e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento. E' considerata accessoria l'attività tecnicamente connessa anche quando condotta da diverso gestore”.
L’art. 5, comma 1, lett. i-quinquies definisce la “installazione esistente” come quella che, “al 6 gennaio 2013, ha ottenuto tutte le autorizzazioni ambientali necessarie all'esercizio o il provvedimento positivo di compatibilità ambientale o per la quale, a tale data, sono state presentate richieste complete per tutte le autorizzazioni ambientali necessarie per il suo esercizio, a condizione che essa entri in funzione entro il 6 gennaio 2014. Le installazioni esistenti si qualificano come 'non già soggette ad AIA' se in esse non si svolgono attività già ricomprese nelle categorie di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128”.
6. Scopo della disciplina, come si è avuto già modo di osservare (Sez. 3, n. 4346 del 17/12/2013 (dep. 2014), Roda, Rv. 259247) è quello di prevedere, attraverso il superamento del sistema settoriale delle autorizzazioni, mediante un approccio integrato, una valutazione complessiva e coordinata degli impatti ambientali di un insediamento, finalizzata anche ad evitare le conseguenze di fenomeni complessi dovuti al contestuale rilascio di più agenti inquinanti.
Si perseguono dunque, attraverso le disposizioni contenute nella Parte Seconda del d.lgs. 152/06, gli obiettivi indicati dalla normativa comunitaria e, per ciò che concerne l’Autorizzazione integrata ambientale, come espressamente stabilito dall’art. 4, lett. c), la prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività di cui all'allegato VIII, prevedendo misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente, salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale.
Le caratteristiche dell'autorizzazione integrata ambientale sono stabilite dalla legge, la quale prevede, così come in precedenza il d.lgs. 59/2005, una norma di chiusura, con la quale si stabilisce che l'autorizzazione possa contenere anche altre condizioni specifiche «giudicate opportune» dall'autorità competente, così ampliando in modo rilevante il possibile ambito di operatività dell'autorizzazione.
7. E’ appena il caso di osservare che proprio le specifiche finalità indicate dal legislatore ed, in ogni caso, desumibili dal complesso delle norme solo in parte in precedenza richiamate, impongono una rigorosa e restrittiva interpretazione, tale da non vanificare gli effetti di questa particolare disciplina e che, pare quasi superfluo precisarlo, non può prescindere da una altrettanto rigorosa disamina dei contenuti del titolo abilitativo e della corrispondenza tra quanto autorizzato e le condizioni effettive di svolgimento dell’attività, senza che tale verifica possa arrestarsi di fronte alla mera disponibilità dell’autorizzazione.
8. Ciò posto, osserva il Collegio che l'interpretazione della disciplina transitoria di cui all’art. 29 d.lgs. 46/2014 appare condivisibile, perché tiene conto proprio delle particolari esigenze di tutela dell’ambiente avvertite dal legislatore.
Rileva infatti il ricorrente che sarebbe superfluo il richiamo alla necessità dell’AIA, in quanto meramente ripetitivo di ciò che è già disposto dall’art. 6, comma 13 d.lgs. 152/06, se la disciplina transitoria dettata dall’art. 29 d.lgs. 46/2014 non venisse letta nel senso che con essa si persegue lo scopo di un tempestivo adeguamento alla disciplina vigente entro limiti temporali particolarmente contenuti, sicché il mancato adeguamento nei termini e la prosecuzione dell’attività, ormai rientrante nell’Allegato VIII, configura la violazione dell’art. 29-quaterdecies comma 1, perché effettuata in assenza di AIA.
Altrettanto condivisibile, perché conforme alla lettera della legge, risulta la lettura suggerita dal ricorrente con riferimento all’art. 6, comma 13 d.lgs. 152\06 in relazione alle definizioni di “installazione” ed “installazione esistente”, in precedenza richiamate, contenute nell’art. 5, comma 1, lett. i-quater ed i-quinquies.
9. Invero, se l’AIA è richiesta per le “installazioni” che svolgono le attività descritte nell’Allegato VIII (art. 6, comma 13) e se tra le installazioni rientra qualsiasi altra attività accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attività svolte e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento, è evidente che tale connessione non può che riferirsi comunque ad attività comprese tra quelle elencate nel suddetto allegato e non anche riferibili ad altre attività eventualmente svolte nel medesimo insediamento, con la conseguenza che l’AIA rilasciata per attività non comprese nell’Allegato VIII alla Parte Seconda del d.lgs. 152/06 prima delle modifiche apportate dal d.lgs. 46/2014 comporta l’applicazione della disciplina transitoria di cui all’art. 29 del citato decreto legislativo e la conseguente necessità di una nuova istanza di rilascio dell’AIA, ovvero di una istanza di adeguamento.
10. Considerato quindi che il confronto tra i contenuti dell'autorizzazione e le condotte contestate costituisce un accertamento in fatto di esclusiva pertinenza del giudice del merito, che non può essere effettuato o ripetuto in questa sede, deve tuttavia osservarsi che, sulla scorta di quanto indicato nel provvedimento impugnato, unico atto al quale, unitamente al ricorso, questa Corte ha accesso, il Tribunale ha sostanzialmente ritenuto non necessaria, nella fattispecie, l’attuazione della procedura appena descritta per l'attività di gestione dei rifiuti costituiti da scorie di fusione e ceneri inserita nell’Allegato VIII alla Parte Seconda del d.lgs. 152/06 ad opera del d.lgs. 46/2014 e prima assente, ritenendo valida ed equipollente altra AIA rilasciata nel 2013, ma attinente ad attività non IPPC, con una lettura delle disposizioni che si pone in contrasto con quella dianzi prospettata.
11. Tale evenienza impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata sul punto, con rinvio al Tribunale per nuovo esame alla luce dei principi in precedenza affermati.
Resta assorbito il secondo motivo di ricorso del Pubblico Ministero.
P.Q.M.
In accoglimento di entrambi i ricorsi annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Mantova
Così deciso in data 9/7/2018