TAR Molise, Sez. I, n. 154, del 17 aprile 2015
Rifiuti.Legittimità diniego per realizzazione di capannone e locali annessi per stoccaggio di sottoprodotti di origine animale
La normativa europea sui sottoprodotti di origine animale (s.o.a.) non fornisce alcuna utile indicazione sulla possibilità che il loro stoccaggio o il loro trattamento possa avvenire in zona agricola. Neppure il D.Lgs. 3.12.2010 n. 205 e s.m.i. consente di escludere che i s.o.a. siano classificabili come rifiuti speciali non pericolosi. Quanto alla possibilità che un rifiuto cessi di essere tale, se sottoposto a operazione di recupero, riciclaggio o riutilizzo (ex art. 184-ter del D.Lgs. n. 152/2006), si deve considerare che il progetto della società ricorrente si limita a individuare un capannone quale spazio chiuso e coperto di stoccaggio (non di riciclaggio) e, comunque, se anche si trattasse di riciclaggio di sottoprodotti animali, sarebbe la struttura di un’attività artigianale o industriale, non precisamente rientrante tra le attività agricole in senso proprio. Lo stoccaggio, inteso come deposito preliminare, per poi destinare gli scarti verso l’incenerimento o la discarica autorizzata, non rientra in nessuna delle richiamate attività agricole. Esso è piuttosto una fase intermedia nello smaltimento dei rifiuti e, pertanto, non può giustificare il sensibile aumento di cubatura nei fabbricati agricoli che soltanto l’attività agricola in senso proprio giustificherebbe. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00154/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00059/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 59 del 2014, proposto da Gestimpianti S.r.l., in persona del legale rappresentante p. t., con sede in Venafro, rappresentata e difesa dall’avv. Carmen Ucciferri, con elezione di domicilio in Campobasso, via Muricchio n. 3, presso lo studio Lucia Petrucci,
contro
Comune di Venafro, in persona del Sindaco p. t., rappresentato e difeso dall’avv. Arianna Vallone, con domicilio eletto in Campobaso, via D’Amato n. 13/D, preso lo studio Rivellino,
per l'annullamento
dei seguenti atti: 1)il diniego del permesso di costruire prot. n. 19150 del 13.11.2013, notificato alla ricorrente il 21.11.2013, relativo alla richiesta prot. n. 4597 del 6.4.2012, per la realizzazione di un capannone e di locali annessi per lo stoccaggio di sottoprodotti di origine animale e di prodotti derivati rientranti nelle categorie 1 e 3 (artt. 8 e seguenti del Regolamento U.E. 1069 del 2009); 2)tutti gli atti conseguenti e connessi;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2015 il dott. Orazio Ciliberti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I – La ricorrente società, avendo chiesto un permesso di costruire per realizzare un capannone in zona agricola e ricevendone un diniego - motivato dal fatto che il progetto riguarderebbe una costruzione priva del carattere agricolo – insorge, con il ricorso notificato il 20.1.2014 e depositato il 17.2.2014, per impugnare i seguenti atti: 1)il diniego del permesso di costruire prot. n. 19150 del 13.11.2013, notificato alla ricorrente il 21.11.2013, relativo alla richiesta prot. n. 4597 del 6.4.2012, per la realizzazione di un capannone e di locali annessi per lo stoccaggio di sottoprodotti di origine animale e di prodotti derivati rientranti nelle categorie 1 e 3 (artt. 8 e seguenti del Regolamento U.E. 1069 del 2009); 2)tutti gli atti conseguenti e connessi. La ricorrente deduce i seguenti motivi: 1)illegittimità per violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990 in relazione agli artt. 7 e 10 del Regolamento Ce 1069/09, travisamento ed erronea valutazione di fatti; 2)violazione artt. 1 e 3 legge n. 241/1990 in relazione agli artt. 8, 9 e 10 Regolamento Ce 1069/09, eccesso di potere, contraddittorietà interna e tra più atti di diverse Amministrazioni, difetto di istruttoria, illogicità della motivazione; 3)illegittimità per violazione di legge e falsa applicazione artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990 in relazione agli artt. 7 e 10 del Regolamento Ce 1069/09, travisamento ed erronea valutazione di fatti; 4)violazione artt. 1 e 3 legge n. 241/1990 in relazione agli artt. 8, 9 e 10 Regolamento Ce 1069/09, eccesso di potere, contraddittorietà interna e tra più atti di diverse Amministrazioni, difetto di istruttoria, illogicità della motivazione; 5)violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990, in relazione all’art. 216 T.u.l.p., all’art. 2135 c.c. e all’art. 16 del P.R.G., eccesso di potere, contraddittorietà interna e tra più atti di diverse Amministrazioni, difetto di istruttoria, illogicità della motivazione.
Si costituisce l’Amministrazione comunale intimata, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso. Conclude per la reiezione.
All’udienza del 26 marzo 2015, la causa viene introitata per la decisione.
II – Il ricorso è infondato.
III – La ricorrente società chiede un permesso di costruire per realizzare un capannone in zona agricola e riceve dal Comune un diniego, motivato dal fatto che il progetto riguarderebbe una costruzione priva del carattere agricolo. Infatti, l’intervento oggetto dell’istanza di assenso edilizio, quale proposta dalla società ricorrente, riguarda sottoprodotti di origine animale provenienti da attività agricole e prodotti derivati rientranti nelle categorie 1 e 3 di cui all’art. 8 del Regolamento U.E. 1068/2009.
Il Comune – con l’impugnato provvedimento di diniego del permesso di costruire – ha ritenuto, dunque, che l’attività proposta non rientri tra i servizi agricoli collettivi di cui all’art. 16 delle N.t.a. del vigente P.R.G., di guisa che il relativo progetto non possa essere assentito. Invero, la stessa società ricorrente, nella sua istanza, descrive un’attività di stoccaggio di scarti di macellazione anche per conto terzi, avente carattere commerciale e industriale di servizio. Poiché l’uso del capannone progettato non sarebbe agricolo, né agricolo-collettivo, in quella zona non si potrebbe utilizzare, per il volume del fabbricato, l’indice di fabbricazione 05mc/mq. Inoltre, l’attività progettata – che non ha funzione migliorativa o integrativa dello sviluppo del fondo agricolo, o della zootecnia o di trasformazione di prodotti agricoli o zootecnici - rientra tra quelle classificabili come “industria insalubre di prima classe”, ai sensi dell’art. 216 del r.d. 27 luglio 1934 n. 1265 (testo unico delle leggi sanitarie). L’intervento, pertanto, è giudicato non conforme all’art. 16 delle N.t.a. che, per la zona E2 (zona agricola speciale con servizi agricoli collettivi) consente la realizzazione - con indice 0,5 - di cantine, frantoi, caseifici, centri di raccolta di prodotti agricoli, ma certamente non lascia intendere che in detto genere di strutture sia annoverabile anche un impianto di stoccaggio di rifiuti speciali, ancorché si tratti di rifiuti con una qualche possibile provenienza da attività agricole.
IV – I motivi del ricorso sono destituiti di fondamento.
Il provvedimento impugnato è stato preceduto dal preavviso di diniego, che ha reso possibile una fase partecipativa del procedimento. Inoltre, esso è stato congruamente motivato e, nella motivazione, non presenta evidenti aspetti di contraddittorietà. Il diniego, invero, non ha alcuna attinenza con i presupposti pareri tecnici (paesaggistico, sanitario, ambientale), ma si basa sulla semplice constatazione – plausibile sul piano argomentativo e rientrante nell’apprezzamento tecnico-discrezionale dell’Amministrazione – che la struttura progettata non sia affatto classificabile nel novero di quelle assentibili in zona E2 del P.R.G. comunale.
La normativa europea sui sottoprodotti di origine animale (s.o.a.) non fornisce alcuna utile indicazione sulla possibilità che il loro stoccaggio o il loro trattamento possa avvenire in zona agricola. Neppure il D.Lgs. 3.12.2010 n. 205, recante l’attuazione della Direttiva 2008/98/Ce, nella parte in cui ha integrato e modificato il codice ambientale (D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, artt. 181-bis, 184-bis e 184-ter), consente di escludere che i s.o.a. siano classificabili come rifiuti speciali non pericolosi. Quanto alla possibilità che un rifiuto cessi di essere tale, se sottoposto a operazione di recupero, riciclaggio o riutilizzo (ex art. 184-ter del D.Lgs. n. 152/2006), si deve considerare che il progetto della società ricorrente si limita a individuare un capannone quale spazio chiuso e coperto di stoccaggio (non di riciclaggio) e, comunque, se anche si trattasse di riciclaggio di sottoprodotti animali, sarebbe la struttura di un’attività artigianale o industriale, non precisamente rientrante tra le attività agricole in senso proprio. Di scarsa utilità è anche il richiamo dell’art. 2135, comma terzo, del codice civile, riguardante le cosiddette “attività connesse” dell’imprenditore agricolo (manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali), poiché lo stoccaggio di carcasse animali ben difficilmente può inquadrarsi in una di queste attività. Lo stoccaggio, inteso come deposito preliminare, per poi destinare gli scarti verso l’incenerimento o la discarica autorizzata, davvero non rientra in nessuna delle menzionate attività agricole. Esso è piuttosto una fase intermedia nello smaltimento dei rifiuti e, pertanto, non può giustificare il sensibile aumento di cubatura nei fabbricati agricoli che soltanto l’attività agricola in senso proprio giustificherebbe.
V – Il ricorso, in conclusione, non può essere accolto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in euro 1000,00 (mille), oltre Iva e accessori di legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge, perché infondato.
Condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese di giudizio, forfetariamente liquidate in euro 1000,00 (mille), oltre Iva e accessori di legge.
Ordina all'Autorità amministrativa di dare esecuzione alla presente sentenza.
Così deciso in Campobasso, presso la sede del T.A.R., nella Camera di Consiglio del 26 marzo 2015, dal Collegio così composto:
Antonio Onorato, Presidente
Orazio Ciliberti, Consigliere, Estensore
Domenico De Falco, Referendario
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)