Cass. Sez. III n. 9402 del 10 marzo 2020 (UP  17 ott 2019)
Pres. Ramacci Est. Galterio Ric. Cresti
Urbanistica.Permesso di costruire e vincolo paesaggistico

Muovendo dalla disposizione dell’art. 146 d. lgs. 42/2004, secondo la quale “i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alle amministrazioni competenti  i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, preordinata alla verifica della compatibilita' fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione”, ne deriva che costituisce onere dell’interessato rappresentare, nel richiedere il permesso di costruire, che l’intervento progettato insiste su una zona vincolata sul piano paesaggistico, così come verificare, una volta conseguito il titolo abilitativo ai fini urbanistici, se lo stesso sia congruo in relazione alla situazione di fatto, riferita cioè  alla specifica zona in cui l’intervento deve essere realizzato.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 12.7.2018 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Siena, ha confermato la penale responsabilità di Luciano Cresti per il reato di cui all’art. 181, comma 1 bis lett. b) d. lgs. 42/2004 per aver realizzato, previo disboscamento del terreno, in qualità di proprietario e committente nella veste di legale rappresentante della Cresti s.r.l. due capannoni industriali della superficie rispettiva di 1.350 e 2.700 mq in area sottoposta a vincolo paesaggistico, in quanto boschiva, in assenza dell’autorizzazione della Soprintendenza, ed ha dichiarato estinto per intervenuta prescrizione il concorrente reato di cui all’art. 44 lett c) d.P.R. 380/2001, riducendo per l’effetto la pena in un anno e due mesi di reclusione.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale deduce, in relazione al vizio di violazione di legge che essendo stato richiesto ed ottenuto il permesso di costruire, di fatto costituito da ben tre titoli abilitativi, incombesse sul Comune, e non già sul privato cittadino l’onere di valutare se l’intervento necessitasse o meno di autorizzazione paesaggistica, tanto più che nella specie il Comune di Trequanda è secondo la legge regionale toscana, e segnatamente dalle L. n. 39 del 2000 e n.1 del 2005, attuative della delega amministrativa di cui all’art. 146 d. lgs. 42/2004, l’unico organo preposto a valutare se il tipo di intervento necessiti o meno della suddetta autorizzazione e ad acquisire il parere della Soprintendenza competente alla tutela del vincolo paesaggistico per la presenza di una presunta area boschiva. Invoca al riguardo tanto l’art. 5 d.P.R. 380/2001 che prevede nel terzo comma che sia lo Sportello Unico per l’Edilizia ad acquisire gli atti di assenso previsti per gli interventi edilizi su immobili vincolati ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, quanto l’art. 83 L. Reg. Toscana 1/2005 secondo cui, nel caso in cui all’istanza del permesso di costruire non siano stati allegati tutti gli atti di assenso delle altre amministrazioni necessario per l’esecuzione dei lavori, il responsabile del procedimento acquisisce gli atti di assenso entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza ovvero indìce a tal fine una conferenza di servizi. In definitiva secondo la difesa il Comune aveva ritenuto in sede di pianificazione urbanistica che l’area in questione non fosse soggetta ad alcun vincolo paesaggistico, come del resto emerge espressamente dalle repliche indirizzate dal Comune di Trequanda  alle osservazioni della Provincia di Siena in cui si dà atto che le modifiche effettuate ai perimetri delle aree non incidono su aree boscate e che comunque, quand’anche un vicolo in tal senso vi fosse, era il Comune che avrebbe dovuto attivarsi per conseguirlo prima di definire la pratica edilizia. Non essendovi alcuna prova, e comunque non essendo stata ventilata neppure l’ipotesi, di una collusione tra la P.A. e l’imputato, costui doveva ritenersi in perfetta buona fede, non essendo consapevole dell’esistenza di un vincolo paesaggistico che a detta del Comune, ovverosia dell’organo competente, sia pure per delega, alla sua tutela, non c’era, e conseguentemente non poteva comunque configurarsi in capo al medesimo alcun dolo. Deduce inoltre che essendo decorso il termine inizialmente fissato in tre anni dall’art. 21 nonies della L. 241/1990 e ridotto dalla L. 124/2015 a diciotto mesi, dal rilascio del permesso di costruire, risalente al 2011, l’atto non era più passibile di revoca o di annullamento quand’anche fosse stato ab origine illegittimo per difetto dell’autorizzazione paesaggistica, il che precludeva al giudice penale la possibilità di disapplicarlo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non può essere ritenuto ammissibile.
L’assunto della difesa, secondo il quale la delega da parte della Regione della funzione autorizzatoria di cui agli articoli 146, 153 e 154 del Codice dei beni culturali e del paesaggio ai comuni imporrebbe di individuare nell’ente locale, proprio in quanto preposto al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, il soggetto chiamato a valutare in primis la necessità o meno del suddetto titolo abilitativo e in caso affermativo ad attivarsi motu proprio per acquisire il parere della competente Soprintendenza, risulta manifestamente infondato.
Quand’anche all’epoca del commesso reato competesse al Comune, e non già alla Regione, il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica secondo la legge regionale toscana n.1 del 2005, ciò non toglie che trattasi di un titolo che mantiene la sua autonomia ad ogni effetto, ivi compreso quello sanzionatorio, rispetto al permesso di costruire: trattasi invero di due procedimenti distinti in ragione della diversità degli interessi presidiati dalle rispettive norme penali, finalizzati l’uno alla compatibilità dell’intervento edilizio volto ad incidere sul patrimonio paesaggistico e l’altro alla tutela dell’assetto urbanistico in conformità agli strumenti di pianificazione del territorio. La giurisprudenza tanto ordinaria quanto amministrativa ha avuto modo di sottolineare, con consolidato orientamento, che il procedimento di rilascio del permesso di costruire ha un rapporto di autonomia e non di interdipendenza rispetto al rilascio del parere ambientale, secondo quanto risulta dalla stessa lettera della legge (articolo 159, per la disciplina transitoria e articolo 146, Dlgs 22 gennaio 2004, n. 42), che prevede, per un verso, che l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti intervento urbanistico-edilizio e che i lavori non possono essere iniziati in difetto di essa (cfr. in termini la pronuncia del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 5016/2017, nonché Consiglio di Stato, Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4234 del 21 agosto 2013).
Del resto che la procedura per il rilascio del permesso di costruire sia ontologicamente diversa e comunque autonoma rispetto a quella per l’autorizzazione paesaggistica, trova conferma nella stessa legge regionale della Toscana 1/2015 che all’art. 88, terzo comma prevede espressamente che “il responsabile del procedimento amministrativo in materia urbanistico-edilizia non può essere responsabile del procedimento amministrativo in materia di autorizzazione paesaggistica”.
Muovendo infatti dalla disposizione dell’art. 146 d. lgs. 42/2004, secondo la quale “i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alle amministrazioni competenti  i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, preordinata alla verifica della compatibilita' fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione”, ne deriva che costituisce onere dell’interessato rappresentare, nel richiedere il permesso di costruire, che l’intervento progettato insiste su una zona vincolata sul piano paesaggistico, così come verificare, una volta conseguito il titolo abilitativo ai fini urbanistici, se lo stesso sia congruo in relazione alla situazione di fatto, riferita cioè  alla specifica zona in cui l’intervento deve essere realizzato.
Il ricorrente non può perciò sottrarsi agli obblighi su lui stesso incombenti per la realizzazione dei capannoni in un’area boscata trincerandosi dietro un’insussistente autonoma iniziativa del Comune sol perché si tratta dello stesso ente deputato al rilascio sia dell’autorizzazione paesaggistica che del permesso di costruire, quando è lui stesso ad aver taciuto quale fosse l’effettivo stato dei luoghi al momento della domanda. Né di alcun supporto alla tesi difensiva propugnata può ritenersi la costituzione da parte dell’Amministrazione comunale dello Sportello Unico per l’Edilizia in conformità a quanto previsto dall’art. 5 d.P.R. 380/2001 al quale lo stesso imputato si è rivolto: tale ufficio, il quale assolve alla funzione di curare tutti i rapporti fra il privato, l'amministrazione e, ove occorra, le altre amministrazioni tenute a pronunciarsi in ordine all'intervento edilizio oggetto della richiesta di permesso o di denuncia di inizio attività, ha unicamente finalità di semplificazione procedimentale ed organizzativa, fungendo da tramite tra il privato e l'amministrazione per il rilascio dei titoli abilitativi (Sez. 3, n. 19315 del 27/04/2011 - dep. 17/05/2011, Manera, Rv. 250017), ma certamente non può sostituirsi alla carente rappresentazione dello stato dei luoghi da parte dell’interessato che, invece, era ben consapevole dell’esistenza di un bosco sull’area in questione essendo stato lui stesso ad averne eseguito preventivamente il taglio senza averne richiesto neppure in tale occasione l’autorizzazione.
Del resto, l’assunto secondo il quale competeva al Comune attivarsi per il conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica secondo le proprie autonome determinazioni è contraddetto dalle successive allegazioni della stessa difesa che sostiene che, non sussistendo alcun bosco sull’area al momento dell’edificazione, non doveva essere rilasciata alcuna autorizzazione paesaggistica, così negando nel medesimo ricorso l’autonomia decisionale dell’ente locale fermamente sostenuta poche pagine prima.
La tesi, anche a prescindere dalla sua intrinseca incoerenza con il precedente assunto difensivo, mostra tutta la sua fragilità sol che si consideri che così opinando verrebbe con un sol colpo annullato lo stesso vincolo paesaggistico, contemplante per sua natura la valutazione dell’impatto sul contesto ambientale circostante dell’opera realizzanda, rimettendo allo stesso interessato la possibilità, con una condotta, necessariamente arbitraria proprio in quanto non preventivamente autorizzata, mediante la preventiva modifica dello stato dei luoghi, di aggirare il vincolo stesso: conseguenza questa all’evidenza paradossale, tenuto conto che nello specifico l’imputato non aveva mai chiesto, neppure in relazione al disboscamento, che entrambi i giudici di merito ritengono logicamente  preordinato alla successiva edificazione, alcuna autorizzazione sul piano paesaggistico essendosi munito soltanto del parere favorevole ai fini del diverso vincolo idrogeologico, che attesta in via ineludibile la preesistente sussistenza di un’area boschiva, così come la consapevolezza in capo al medesimo di operare in area vincolata.
E poiché il vincolo paesaggistico sussiste per il solo fatto della presenza di un bosco, inteso secondo il previgente l’art. 2 d. lgs. 227/2001, come un “terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento”, definizione questa non modificata dalla vigente normativa, costituita dal T.U. in materia forestale del 3.4.2018 n.34 null’altro evincendosi dall’art. 142 d. lgs. 42/2004 che rimanda alla nozione recepita dal legislatore nazionale in materia forestale, ne consegue che nessuna rilevanza possa attribuirsi alle determinazioni assunte dal Comune al riguardo. Va infatti considerato che sono solo le Regioni che possono nell’ambito della potestà legislativa concorrente in subiecta materia a poter integrare, per addizione o sottrazione, la definizione di area boschiva assunta dalla legge nazionale, aggiungendo o escludendo da essa determinate aree, e che in ogni caso la nozione di bosco assunta dalla legge regionale toscana n.1/2005, all’epoca vigente, non si discosta da quella nazionale testè riportata: conseguentemente una volta accertata la natura boschiva di un'area, il vincolo paesaggistico derivante ex lege dall’art. 142 d. lgs. 42/2004 produce effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali. Deve perciò ritenersi priva di rilievo l’affermazione resa dal Comune di Trequanda, in risposta ai rilievi della Provincia di Siena, secondo cui l’area in esame non era qualificabile come boscata, sussistendo l'imprescindibile obbligo in capo all’imputato di rappresentare all'amministrazione competente la sussistenza dello specifico vincolo paesaggistico dovuto alla presenza del bosco.
D’altra parte è stata proprio la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica, configurante presupposto di efficacia del permesso di costruire, ad aver determinato la contestazione di illegittimità del titolo urbanistico in quanto mancante dell’atto presupposto ex lege e comunque in violazione delle norme previste per il suo rilascio, ancorchè il relativo reato sia stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione sin dalla sentenza di primo grado: epilogo questo sufficiente ad escludere la rilevanza delle disquisizioni difensive volte a contrastare il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice penale, trattandosi di questioni estranee al delitto paesaggistico, consumatosi per l’omesso conseguimento della relativa autorizzazione, ma semmai attinenti al permesso di costruire, non più oggetto di disamina da parte dei giudici del gravame.
L’ inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).
Tenuto conto della sentenza del 13.6.2000 n.186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità” all’esito del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 17.10.2019