Acque reflue urbane. Paghiamo penalità di decine di milioni per inadempienza alla normativa comunitaria: l’ultima (per ora) condanna della Corte Europea di Giustizia

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringraziano Autore ed Editore

10 milioni di euro subito e poi 13.687.500 euro per ogni semestre di ritardo: è l’ultima condanna inflitta dalla Corte europea di giustizia al nostro paese per inadempimento della normativa comunitaria concernente il trattamento delle acque reflue urbane (cioè gli scarichi delle pubbliche fognature). Si tratta di una nota particolarmente dolente per il nostro paese che, come già abbiamo documentato su queste colonne, proprio per questo è stato oggetto di quattro procedure di infrazione (del 2004, 2009, 2014, e 2024) con diverse sentenze di condanna della Corte europea di giustizia1, per inadempienze relative complessivamente a più di 800 agglomerati italiani.2

Più in particolare, la sentenza oggi in esame è diretta conseguenza della sentenza C-85/13, pronunciata dalla Corte il 10 aprile 2014, con cui veniva dichiarata l’inadempienza dell’Italia con conseguente messa in mora ed invito alla regolarizzazione per 41 agglomerati (elencati nella sentenza) sprovvisti di fognature ovvero privi dei trattamenti di depurazione previsti dalla normativa comunitaria, inclusi alcuni ricadenti in aree sensibili soggette ad eutrofizzazione, tenendo conto che le acque reflue non trattate possono comportare rischi per la salute umana e inquinano i laghi, i fiumi, il terreno e le acque costiere e sotterranee.

Regolarizzazione che avveniva solo in parte in quanto, secondo la Commissione UE, nove anni dopo la sentenza e oltre vent’anni dopo la scadenza dei termini per l’adeguamento, almeno 5 agglomerati -cioè Castellammare del Golfo, Cinisi, Terrasini, Trappeto (Sicilia) e Courmayeur (Valle d’Aosta)- risultavano ancora non in regola e, in particolare, non avevano adottato tutte le misure necessarie affinché gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane fossero progettati, costruiti, gestiti e mantenuti in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e in modo da tenere conto delle variazioni stagionali del carico, come richiesto dalla normativa comunitaria.

La difesa dell’Italia contestava alcune osservazioni relative alle località indicate (specie Trappeto e Courmayeur) ed evidenziava, che, in via generale, il nostro paese, sin dal 2017 aveva istituito la figura del Commissario Straordinario Unico con durata triennale proprio per adempiere alle contestazioni UE, precisando che “rimarrebbero in infrazione, in quanto non ancora conformi, 618 agglomerati per un totale di poco più di 18 milioni di abitanti equivalenti”.3

Rinviando alla sentenza per maggiori dettagli, sembra sufficiente, in questa sede, ricordare che la Corte europea ha accolto solo le deduzioni difensive relative a Trappeto, mettendo contestualmente in evidenza, sotto il profilo generale, che ben “quattro procedimenti di infrazione sono pendenti contro la Repubblica italiana nel settore del trattamento delle acque reflue urbane, vertenti su un numero totale di oltre 800 agglomerati”, e che tale Stato membro è già stato oggetto di diverse sentenze che hanno constatato un inadempimento in tale settore specifico; aggiungendo che si tratta di infrazione particolarmente grave in quanto riguarda normativa che ha lo scopo di proteggere l’ambiente dalle ripercussioni negative provocate dagli scarichi di acque reflue; per cui “l’assenza o l’insufficienza di sistemi di raccolta o di trattamento delle acque reflue urbane rischia di arrecare danni all’ambiente e deve essere considerata come particolarmente grave” specie se si tratta di agglomerati che scaricano in aree sensibili.

Tuttavia -prosegue la CGCE- occorre tener conto che il numero di agglomerati (inizialmente 41) oggetto della sentenza del 2014 è stato significativamente ridotto a 4 “e, correlativamente, il danno ambientale è diminuito rispetto a quello risultante dall’inadempimento iniziale”. Anche se ciò non toglie che persiste un pregiudizio, seppur minore, all’ambiente. Tale pregiudizio è tanto più grave se si considera che tutti e quattro gli agglomerati non conformi scaricano le loro acque reflue in acque recipienti considerate aree sensibili. Occorre, inoltre, valutare -prosegue la Corte- che vi sono anche circostanze attenuanti per il nostro paese quali la cooperazione della Repubblica italiana con i servizi della Commissione nel corso dell’intera procedura; cui si aggiungono i progressi che tale Stato membro ha compiuto nell’esecuzione della sentenza C‑85/13 nonché gli sforzi d’investimento rilevanti che detto Stato membro ha intrapreso per dare esecuzione a tale sentenza; e la nomina di un commissario straordinario unico a tal fine. E, quindi, è su queste basi, in negativo ed in positivo, che si è determinata la pena sopra riportata a carico del nostro paese.

In ogni caso – ed è il dato, a nostro avviso, più rilevante-, appare chiaro che, nonostante le procedure, le messe in mora e le condanne comunitarie, l’Italia ha ancora molta strada da fare per mettere a norma le fognature e gli impianti di depurazione comunali. Compito tanto più importante se si considera che oggi è in vigore la nuova direttiva n. 3019 del 27 novembre 2024 per il trattamento delle acque reflue urbane. Già abbiamo illustrato su queste colonne i contenuti della nuova direttiva ma, a parte i dettagli tecnici, quello che deve essere messo in evidenza è che essa non si basa su un contesto puramente difensivo ma punta decisamente al riconoscimento della importanza strategica del riutilizzo delle acque reflue urbane per diminuire l’inquinamento e per garantire la disponibilità di acqua per diversi usi in un contesto di crescente scarsità idrica e cambiamenti climatici.

Più in particolare, come opportunamente evidenzia il rapporto SNPA (Sistema Nazionale Protezione Ambiente) del 2024, il riutilizzo delle acque reflue riduce lo stress idrico, preserva gli ecosistemi, costituisce un’alternativa più economica rispetto all’utilizzo di acqua potabile per scopi non potabili, e può consentire il recupero di energia. E, altrettanto opportunamente, precisa che le acque reflue depurate possono essere utilizzate per irrigazione agricola e di aree verdi, per usi industriali (raffreddamento, lavaggio e processi produttivi), ricarica delle falde acquifere e per usi civili.

E pertanto, pur considerando che la direttiva non è immediatamente operativa ma presenta diverse fasi per l’attuazione, è ancor più necessario, vista la sua importanza strategica, che il nostro paese acceleri con decisione per la messa a norma dei nostri impianti e delle nostre fognature in vista dei nuovi obiettivi; anche potenziando adeguatamente, come struttura e come competenze, la figura del Commissario straordinario unico per il coordinamento e la realizzazione degli interventi funzionali a garantire l’adeguamento alle sentenze di condanna della Corte di giustizia dell’UE, tenendo, peraltro, conto che recentemente, il Commissario in carica ha apertamente lamentato le difficoltà di “competenze” e di burocrazia che frenano il suo lavoro.

A questo proposito, peraltro, è opportuno ricordare, in conclusione, che la condanna dell’Italia oggi in esame non è la prima ma non sarà neppure l’ultima, visto che esistono, come rilevato, diverse altre procedure di infrazione ancora aperte. E ricordare anche che tutto ciò è costato e costerà alle nostre casse fior di milioni che potrebbero ben più utilmente essere destinati alla salvaguardia ambientale.


  1. il nostro paese ha già sborsato oltre 142 milioni di euro per queste condanne↩︎
  2. Per approfondimenti circa la situazione italiana e le citate procedure di infrazione si rinvia al nostro Acque reflue urbane: le inadempienze italiane e gli obblighi della nuova direttiva comunitaria in questa Rivista 9 gennaio 2025 e in www.lexambiente.it, 27 gennaio 2025↩︎
  3. DAL SITO DEL COMMISSARIO STRAORDINARIO Procedure d’infrazione Sono quattro oggi le procedure attive nei confronti dell’Italia in tema di collettamento, fognatura e depurazione. 1 Per l’infrazione 2004/2034, che individua un elenco di interventi in aree urbane per agglomerati sopra i quindicimila abitanti equivalenti che scaricano in aree non sensibili, sono già arrivate due sentenze di condanna da parte della Corte di Giustizia europea verso l’Italia, nel luglio 2012 (C-565/10) e poi nel maggio 2018 (C-251/17). In quest’ultima si è previsto per l’Italia il pagamento di una sanzione pecuniaria di trenta milioni di euro a semestre, pari a 165 mila euro al giorno, circa 10 euro l’anno ad abitante equivalente, per gli iniziali 123 interventi in 75 agglomerati, prevalentemente dislocati in Sicilia, Calabria e Campania. 2 La procedura 2009/2034 riguarda invece il mancato rispetto della Direttive europea in 16 agglomerati (per 28 interventi) superiori per numero ai diecimila abitanti equivalenti, che scaricano in aree sensibili. Per tale procedimento è intervenuta nell’aprile 2014 la sentenza di condanna della Corte di Giustizia europea (C-85/13). 3 -4 Il decreto legge Clima (14 ottobre 2019 n.111) ha inoltre esteso i compiti della rinnovata Struttura Commissariale alle due procedure d’infrazione 2014/2059 e 2017/2181, come anche ad altri eventuali agglomerati oggetto di ulteriori infrazioni. Per la prima delle due procedure è intervenuta una sentenza di condanna, mentre la 2017/2181 si trova in fase istruttoria. Le due procedure prevedono complessivi 606 interventi in 13 regioni italiane, riguardanti agglomerati con popolazione >2.000 abitanti equivalenti. Un DPCM assegnerà le risorse necessarie per realizzare gli interventi: da quel momento il Commissario svolgerà il ruolo di soggetto attuatore per 306 interventi o di soggetto coordinatore delle realtà locali per la restante parte di interventi.↩︎