Consiglio di Stato Sez. VI n. 4193 del 25 maggio 2022
Urbanistica.Sindacato giurisdizionale sugli strumenti urbanistici
La sollecitazione di un sindacato giurisdizionale sugli strumenti urbanistici, generali e attuativi è ammissibile nel solo caso in cui la parte ricorrente si dolga di prescrizioni che riguardino direttamente i beni di proprietà ovvero comportino un significativo decremento del valore di mercato o dell’utilità dei suoi immobili, non potendo, invece, essere sufficiente l’allegazione di un generico danno all'ordinato assetto del territorio, alla salubrità dell'ambiente e ad altri valori la cui fruizione potrebbe essere rivendicata da qualsiasi soggetto residente, anche non stabilmente, nella zona interessata dalla pianificazione. In definitiva, il criterio della vicinitas, se è idoneo a comprovare la sussistenza di una posizione giuridica qualificata e differenziata in astratto configurabile come interesse legittimo, tuttavia, non esaurisce le condizioni di ammissibilità del ricorso, dovendo la parte ricorrente fornire, altresì, la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo, sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l'area
Pubblicato il 25/05/2022
N. 04193/2022REG.PROV.COLL.
N. 07459/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7459 del 2017, proposto da
Renate Corona, Christian Antholzer e Condominio III Birken, rappresentati e difesi dagli avvocati Massimo Colarizi e Manfred Natzler, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Parcines, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luca Mazzeo e Manfred Schullian, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Renate Von Guggenberg, Fabrizio Cavallar, Hansjörg Silbernagl e Luca Graziani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Michael Götsch e Rita Maria Holzknecht, rappresentati e difesi dagli avvocati Alexander Bauer e Luigi Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. - Sezione autonoma della Provincia di Bolzano, n. 00212/2017, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Parcines, della Provincia Autonoma di Bolzano, di Michael Götsch e di Rita Maria Holzknecht;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2022 il Cons. Francesco De Luca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, il Condominio III Birken e i Sig.ri Corona e Antholzer appellano la sentenza n. 212 del 2017, con cui il TRGA ha dichiarato l’inammissibilità e, comunque, ha rigettato il ricorso di prime cure, diretto ad ottenere l’annullamento della deliberazione della giunta provinciale di Bolzano n. 235 del 3.3.2015 (e i relativi atti connessi), recante l’approvazione del piano urbanistico rielaborato del Comune di Parcines.
Secondo quanto dedotto in appello:
- con deliberazione 286/2014 la Giunta comunale di Parcines ha adottato la quarta rielaborazione del piano urbanistico comunale, recante 16 modifiche all’assetto previgente; tra queste, ai fini dell’odierno giudizio, assume rilevanza la modifica n. 13, che, da un lato, ha previsto l’inserimento di una nuova zona residenziale C1 sulla p.f. 315 e su una parte della p.f. 320 con una superficie complessiva di 1926 m²; dall’altro, ha trasformato una porzione di 347 m² della p.ed. 439 da verde agricolo in zona di completamento B1;
- gli odierni appellanti e alcuni condomini hanno presentato osservazioni in merito alla proposta del piano urbanistico comunale, interessante la zona residenziale di espansione confinante con la particella 915/1 su cui insiste il condominio ricorrente;
- il Consiglio Comunale di Parcines ha rigettato le osservazioni all’uopo formulate;
- nella seduta del 19 gennaio 2015 la Commissione provinciale per la natura, il paesaggio e lo sviluppo del territorio ha rilasciato un parere positivo;
- con deliberazione 235/2015, la Giunta provinciale di Bolzano ha approvato il piano urbanistico comunale rielaborato;
- gli odierni ricorrenti hanno impugnato la deliberazione provinciale n. 235/15 cit. e gli atti connessi, articolando plurime censure, che il TRGA ha ritenuto inammissibili e, comunque, infondate.
2. In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla sentenza odiernamente gravata, il TRGA ha rilevato che:
- nel caso di impugnazione di una modifica al piano urbanistico, il semplice rapporto di vicinitas non è sufficiente, essendo necessaria anche la prova dell'esistenza di un concreto pregiudizio che non sia solo potenziale o dichiarato;
- la previsione della zona di espansione di per sé non rappresentava un peggioramento concreto e specifico della qualità della vita, dell'incidenza della luce e del valore delle abitazioni, ciò potendo eventualmente avvenire per effetto delle future opere di costruzione; di conseguenza, in assenza dell’approvazione di un progetto di costruzione, non sarebbe stato possibile verificare se i timori avanzati dai ricorrenti fossero effettivamente motivati o meno, pure tenuto conto di taluni elementi caratterizzanti il caso di specie, dati dalla lieve pendenza dell’area (con posizionamento del condominio ricorrente ad un livello superiore alla nuova zona di espansione) e dall’altezza massima di otto metri prevista per gli edifici nelle zone C1;
- i ricorrenti non sembravano neppure distinguersi e differenziarsi chiaramente dagli altri abitanti, tenuto conto che una doglianza incentrata su un possibile deterioramento di alcuni valori generici per effetto di una modifica del piano urbanistico avrebbe potuto essere avanzata da ogni residente nel Comune, anche ove non confinante;
- pertanto, il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse;
- in ogni caso, il ricorso doveva ritenersi infondato nel merito, tenuto conto che:
a) la mancanza di un piano delle zone di pericolo e di un piano comunale di classificazione acustica non poteva impedire al Comune di prevedere una zona di espansione;
b) il Comune aveva provveduto alla rilevazione del fabbisogno abitativo, adattando il piano urbanistico a detto fabbisogno;
c) le parti sociali erano state informate dell'imminente rielaborazione del piano urbanistico con nota del Comune di data 11-9-2014;
d) dai pertinenti documenti risultava chiaramente che la zona di espansione prevista apparteneva alla categoria C 1, risultando la definizione C 3 utilizzata in alcuni documenti non rilevanti una mera svista;
e) la p.f. 315 rappresentava un’area idonea all’edificazione, mentre le questioni relative alle presunte distanze mancanti e alla natura del muro portante o di contenimento concretamente rilevante ai fini del calcolo delle distanze avrebbero dovuto essere dedotte contro il futuro titolo edilizio una volta elaborato il relativo piano attuativo;
f) l’aggiunta di una porzione di 347 m/2 della p.ed. 439, in precedenza qualificata come verde agricolo, alla zona di completamento insistente sulla p.ed. 915/1 riguardava un’area già edificata per il 99%, la cui annessione alla zona di completamento risultava ragionevole secondo il punto di vista urbanistico ai fini del riempimento di un interstizio e, comunque, non afferiva ad alcuna operazione speculativa in quanto la parte da incorporare risultava completamente edificata;
g) la rielaborazione del piano urbanistico non risultava tanto radicale da chiedere l’elaborazione di un nuovo piano del traffico, tenuto conto pure che i tecnici avevano evidenziato la sufficienza del piano del traffico esistente;
h) il Comune aveva esaminato nel merito l’opposizione presentata dalle parti ricorrenti in sede procedimentale, provvedendo al suo rigetto con motivazione coerente.
3. I ricorrenti in primo grado hanno appellato la sentenza pronunciata dal TRGA, censurando sia il capo decisorio riferito all’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, sia i capi decisori, afferenti al merito, con cui il primo giudice ha rigettato le singole doglianze attoree.
4. Le Amministrazioni, comunale e provinciale, nonché i controinteressati in primo grado si sono costituiti nell’odierno grado di giudizio, resistendo al ricorso in appello.
5. Le parti, in vista dell’udienza di discussione, hanno argomentato a sostegno delle rispettive conclusioni con il deposito di memorie conclusionali; gli appellanti hanno pure prodotto documentazione in data 16.12.2021.
6. Gli appellanti, l’Amministrazione comunale e i controinteressati hanno depositato repliche alle avverse deduzioni.
7. Le parti, mediante il deposito di note difensive, hanno chiesto il passaggio in decisione della controversia.
8. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2022.
DIRITTO
1. L’appello consta di dieci motivi di impugnazione, il primo dei quali assume natura pregiudiziale, essendo diretto a censurare l’erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado.
1.1 In particolare, secondo quanto dedotto in appello, i ricorrenti, agendo in primo grado, non avrebbero lamentato un generico pregiudizio all’ordinato assetto del territorio, alla salubrità dell’ambiente e ad altri valori la cui fruizione potrebbe essere rivendicata da qualsiasi soggetto residente, ma un concreto pregiudizio per il proprio immobile, discendente, altresì, dalla possibilità di una nuova edificazione in violazione delle distanze dal muro di sostegno situato a valle, facente parte dell’edificio condominiale.
Difatti, la peculiare forma della zona inserita nel piano urbanistico comunale farebbe concretamente prevedere un pregiudizio non solo ipotetico e di fatto, ma anche di diritto in relazione al tema delle distanze, pure comprovato sulla base delle ipotesi di edificazione documentate in atti.
L’accoglimento della tesi sostenuta dal primo giudice impedirebbe l’impugnabilità della variante al piano urbanistico comunale: i soggetti localizzati all’esterno della zona oggetto dell’intervento amministrativo non potrebbero, infatti, censurare la variante urbanistica, dovendo attendere l’adozione degli strumenti attuativi o il rilascio del titolo edilizio, con conseguente emersione di un diniego di giustizia.
1.2 Il motivo di appello è fondato nei sensi e nei limiti di seguito precisati.
1.3 In materia di impugnazione degli strumenti di programmazione territoriale la giurisprudenza di questo Consiglio (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. II, 22 novembre 2021, n. 7812 e la giurisprudenza ivi citata) è orientata a ritenere che la sussistenza della mera vicinitas non costituisca elemento sufficiente a comprovare contestualmente la legittimazione e l'interesse al ricorso, occorrendo invece la positiva dimostrazione, in relazione alla configurazione dell’interesse ad agire, di un danno (certo o altamente probabile) riguardante la posizione della parte istante.
La sollecitazione di un sindacato giurisdizionale sugli strumenti urbanistici, generali e attuativi è, infatti, ammissibile nel solo caso in cui la parte ricorrente si dolga di prescrizioni che riguardino direttamente i beni di proprietà ovvero comportino un significativo decremento del valore di mercato o dell’utilità dei suoi immobili, non potendo, invece, essere sufficiente l’allegazione di un generico danno all'ordinato assetto del territorio, alla salubrità dell'ambiente e ad altri valori la cui fruizione potrebbe essere rivendicata da qualsiasi soggetto residente, anche non stabilmente, nella zona interessata dalla pianificazione.
In definitiva, il criterio della vicinitas, se è idoneo a comprovare la sussistenza di una posizione giuridica qualificata e differenziata in astratto configurabile come interesse legittimo, tuttavia, non esaurisce le condizioni di ammissibilità del ricorso, dovendo la parte ricorrente fornire, altresì, la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo, sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l'area (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 8 giugno 2021, n. 4375).
Trattasi di principi generali, incentrati sulla necessità, ai fini dell’ammissibilità dell’azione giudiziaria, dell’integrazione di tutte le sue condizioni, non essendo sufficiente la legittimazione al ricorso, bensì occorrendo, altresì, l’interesse ad ottenere una pronuncia di merito idonea ad arrecare un’utilità concreta alla parte ricorrente.
Anche l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (con la sentenza 9 dicembre 2021, n. 22), seppure statuendo sull’impugnazione dei titoli autorizzatori edilizi, ma con argomentazioni riferibili al caso di specie, in quanto incentrate sull’applicazione di principi processuali generali, ha confermato la “distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione”, ravvisando la necessità “che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato”.
Tali precisazioni, incentrate su principi processuali di portata generale - implicanti la necessaria differenziazione tra legittimazione ed interesse al ricorso, applicabile anche al rilascio dei titoli edilizi - ostano ad un nuovo deferimento all’Adunanza Plenaria delle questioni segnalate dagli appellanti con memoria di replica, riferite alla “differenziazione in merito alla “prova” dell’interesse a ricorrere tra atti di pianificazione e titoli edificatori, quando – … - gli atti di pianificazione sono già largamente sottratti al sindacato giudiziale sotto altri profili”.
La prova delle circostanze da cui possa desumersi un pregiudizio per la parte ricorrente per effetto dell’adozione del provvedimento impugnato si impone, difatti, tanto in relazione ai titoli edilizi, quanto con riferimento agli atti di pianificazione, non potendo, nell’ambito di una giurisdizione di natura soggettiva, quale quella amministrativa, ammettersi (salve le ipotesi eccezionali di azioni popolari previste dal legislatore) iniziative processuali che non siano idonee ad arrecare un’utilità concreta ed effettiva in capo alla parte ricorrente.
1.4 Alla stregua di tali principi, tenuto conto delle circostanze del caso concreto portate all’attenzione del Collegio, il ricorso di primo grado deve ritenersi ammissibile nella sola parte riferita alla contestazione della variante urbanistica influente sulla p.f. 315 e sulla p.f. 320 (entrambe C.C. Parcines) per 1.926 m/2 complessivi, deputata alla previsione di una nuova zona C1 di espansione residenziale, risultando, invece, inammissibile nella parte diretta a denunciare l’illegittimità della variante urbanistica interessante l’estensione della destinazione residenziale B1 all’intera p.ed. 439 (per 347 mq).
1.5 In particolare, l’odierno giudizio investe la legittimità della rielaborazione del piano urbanistico comunale, approvata con deliberazione n. 235 del 3 marzo 2015 della Giunta della Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige.
Le censure attoree si riferiscono alla modifica n. 13, con cui sono stati previsti, da un lato, una nuova zona residenziale C1 – zona d’espansione sulle pp.ff. 315 e 320/1, per un’estensione di circa 1.926 m2; dall’altro, l’ampliamento non sostanziale della zona residenziale B1 – zona di completamento, per un’estensione di circa 347 m2, interessante la p.ed. 439.
Come emergente dalla relazione illustrativa riferita alla modifica n. 13 cit., in specie dal confronto in scala 1:5000 tra il “piano urbanistico esistente” e il “piano urbanistico nuovo”, nonché dalla descrizione delle modifiche all’uopo apportate:
- la nuova zona residenziale C1, riferita alle p.f. 320/1 e 315, si trova in adiacenza alla zona residenziale B1 (di completamento), determinando l’assegnazione di una capacità edificatoria ad un’area di verde agricolo confinante con la particella ove insiste il Condominio odierno ricorrente;
- la destinazione a zona residenziale B1 riguarda, invece, la “superficie restante della p.ed. 439”, comportando l’estensione di tale destinazione urbanistica ad un mero “tassello tra la nuova zona residenziale di espansione C1 e la zona residenziale B1” (pag. 74 relazione illustrativa); in tale modo, la zona residenziale B1 è stata estesa per l’intera superficie della p.ed. 439, consentendone un utilizzo come area accessoria.
1.6. Avuto riguardo al caso di specie, sebbene debba riscontrarsi, per entrambe le modifiche urbanistiche, una legittimazione al ricorso in capo agli odierni appellanti, non altrettanto può affermarsi con riguardo all’interesse al ricorso.
1.6.1 Sotto il primo profilo, attinente alla legittimazione al ricorso, infatti, tanto in relazione all’istituzione della nuova zona residenziale di espansione C1, quanto con riferimento all’estensione della zona residenziale di completamento B1, risulta integrato il requisito della vicinitas, idoneo a differenziare la posizione delle parti istanti rispetto a quella ascrivibile alla generalità dei consociati.
In particolare, premesso che la condizione legittimante della vicinitas è intesa dalla giurisprudenza, anziché in termini di necessaria materiale contiguità dei suoli interessati, quale situazione di stabile e oggettivo collegamento fra essi (Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2616), nella specie emerge un collegamento qualificato tra l’immobile di titolarità dei ricorrenti e le aree sulle quali sono destinati a prodursi gli effetti del piano contestato, facendosi questione della medesima porzione del territorio comunale, considerata unitariamente nell’ambito della modifica n. 13 (in cui si opera un riferimento sia alle zone direttamente interessate dalla variante, sia alla zona contigua B1, su cui insiste il Condominio odierno ricorrente).
1.6.2 Sotto il secondo profilo, riguardante l’interesse al ricorso, invece, il pregiudizio lamentato dai ricorrenti, a sostegno dell’intrapresa azione giudiziaria, potrebbe essere riscontrato soltanto in relazione all’istituzione della nuova zona residenziale C1.
In particolare, secondo quanto allegato in appello:
- il condominio ricorrente si trova sulla p.ed. 915/1, direttamente confinante con la zona residenziale di espansione, inserita con una forma rettangolare longilinea, avente larghezza di 20 metri e lunghezza di circa 100 metri, di difficile accesso, in quanto pur formalmente situata accanto alla strada comunale, ubicata ad un livello inferiore rispetto a questa;
- l’edificazione ammessa dalla modifica urbanistica in esame comporterebbe probabilmente la violazione delle distanze in ragione della ristrettezza del terreno trasformato in zona residenziale di espansione;
- “nonostante la mancanza di un concreto progetto per la zona residenziale di espansione, avevano lamentato un concreto pregiudizio per il loro immobile e non per l’assetto del territorio e la salubrità dell’ambiente in generale” (pag. 6 ricorso in appello);
- per l’effetto, “il pregiudizio deriva proprio dalla peculiare forma della zona prevista, che fa concretamente prevedere un pregiudizio non solo ipotetico e di fatto anche di diritto per quanto riguarda il problema delle distanze” (pag. 7 appello).
L’azione giudiziaria, dunque, tendeva ad ottenere, attraverso l’annullamento delle previsioni di piano impugnate, la conservazione a verde agricolo di un’area, variata in zona residenziale di espansione, confinante con quella di titolarità degli odierni ricorrenti, al fine di evitare che la realizzazione di nuovi manufatti, ammessa dalla variante urbanistica impugnata, determinasse la violazione delle disposizioni sulle distanze in danno dei ricorrenti (a prescindere, poi, dall’effettiva sussistenza di una tale violazione, profilo riguardante, anziché l’ammissibilità dell’azione, il merito delle censure all’uopo svolte).
Un tale interesse, effettivamente idoneo a sostenere l’azione giudiziaria, risulta, dunque, configurabile soltanto in relazione all’istituzione della nuova zona residenziale C1, confinante a sud con l’area di titolarità degli istanti, rispetto alla quale è specificatamente denunciata un’ipotetica violazione delle distanze.
Parimenti, anche tenendo conto di quanto contestato dai ricorrenti in sede procedimentale (cfr. osservazione riportata al punto 1.2 della deliberazione comunale n. 1/15 cit.) in merito ad una incidenza negativa della variante urbanistica de qua in termini di luce, sole e valore delle unità immobiliari di titolarità degli appellanti, tali pregiudizi, che risultano pure idonei a sostenere l’interesse al ricorso - sulla rilevanza della luce e dell'aria quali bisogni elementari suscettibili di compromissione per effetto dell’altrui attività edilizia (nella specie ammessa dalle previsioni urbanistiche in commento), cfr. Cass. civ. Sez. II, 7 settembre 2016, n. 17695 - potrebbero riscontrarsi soltanto con riferimento all’istituzione della nuova zona residenziale di espansione in adiacenza a quella di titolarità dei ricorrenti.
Difatti, tenuto conto che il condominio risultava già circondato per tre lati da aree edificabili (deduzione svolta in sede amministrativa e non contestata dal Comune con la deliberazione n. 1/15), soltanto l’istituzione, in corrispondenza del quarto lato (fino a quel momento libero perché confinante con una zona a verde agricolo), della nuova zona residenziale di espansione avrebbe potuto produrre una lesione della sfera giuridica dei ricorrenti idonea a sostenere l’interesse al ricorso.
Attraverso l’istituzione della zona C1, il Comune, in particolare, aveva consentito lo svolgimento in tale area dell’attività edificatoria, in tale modo assumendo una scelta pianificatoria che, a prescindere dalle concrete modalità costruttive dei manufatti erigendi, ancora da definire difettando il piano attuativo e il rilascio del titolo edilizio abilitativo, in ogni caso, in ragione degli indici di edificabilità già previsti per l’area in esame (legittimanti nuove costruzioni fino a 8 metri di altezza) e della particolare conformazione del territorio (caratterizzato dalla presenza di un Condominio già circondato per tre lati da aree edificabili), nonostante il lieve dislivello del territorio, era già idonea a produrre un vulnus ai soggetti istanti: risultava, in tale modo, autorizzata un’attività, in precedenza preclusa, comunque idonea a limitare il valore economico e il godimento delle unità immobiliari di proprietà dei ricorrenti.
Tali pregiudizi, invece, non sono riscontrabili con riferimento all’estensione della destinazione urbanistica residenziale B1 alla “superficie restante della p.ed. 439”.
In tale ipotesi, infatti, si fa questione di una superficie costituente un mero “tassello” tra la zona residenziale di espansione C1 e la zona residenziale B1, rispetto a cui non emergono elementi idonei a comprovare una presunta violazione della disciplina sulle distanze ovvero un’asserita riduzione di aria, luce, soleggiamento o panoramicità discendente dall’attività edificatoria ammessa dall’Amministrazione.
Al contrario di quanto riscontrabile per l’istituzione della nuova zona residenziale di completamento che, sviluppandosi per un’apprezzabile estensione in adiacenza alla p.ed. 915/1 su cui insiste il Condominio ricorrente e legittimando interventi di nuova costruzione, risultava effettivamente idonea a pregiudicare i ricorrenti – per effetto di una limitazione dell’aria, della luce, del soleggiamento e della panoramicità, discendente dall’attività edificatoria all’uopo assentita lungo l’unico lato del Condominio al tempo non confinante con zone residenziali - l’estensione della zona B1 alla rimanente superficie della p.ed. 439, in ragione della localizzazione e delle limitate dimensioni dell’area interessata, non poteva produrre un concreto pregiudizio alle parti ricorrenti, dovendo condividersi l’assunto comunale secondo cui “si tratta di un’area neanche percepita dal condominio” (pag. 21 memoria conclusionale); né una prova contraria è stata al riguardo fornita in giudizio.
1.7 Alla luce di tali considerazioni, il primo motivo di appello può essere accolto soltanto in relazione alle censure svolte contro l’istituzione della nuova zona residenziale C1, rispetto alle quali sono riscontrabili tanto la legittimazione al ricorso, discendente dal requisito della vicinitas, quanto l’interesse ad una pronuncia di annullamento delle previsioni urbanistiche impugnate, potendo un’eventuale sentenza di accoglimento del ricorso arrecare un’utilità concreta in capo alle parti appellanti.
Deve, invece, confermarsi l’inammissibilità del ricorso, dichiarata dal Tar, relativamente alle censure dirette contro l’estensione della destinazione residenziale B1 alla superficie restante della p.ed. 439, difettando al riguardo un interesse al ricorso idoneo a sostenere l’intrapresa azione giudiziaria.
Per l’effetto, nel prosieguo della disamina, gli ulteriori motivi di impugnazione proposti dagli appellanti potranno essere esaminati soltanto in relazione all’istituzione della nuova zona residenziale C1: le doglianze rivolte contro l’estensione della destinazione residenziale B1 non saranno, invece, scrutinabili nel merito in quanto inammissibili.
2. Definito il primo motivo di impugnazione, afferente alle statuizioni di rito rese dal primo giudice, in ordine all’ammissibilità del ricorso, è possibile esaminare gli ulteriori motivi di impugnazione, diretti a censurare le statuizioni di merito con cui il TRGA ha escluso i pretesi vizi di legittimità invocati in ricorso.
Ribadendo la possibilità di scrutinare il merito dell’impugnazione limitatamente all’istituzione della nuova zona residenziale C1, come si osserverà infra, ad eccezione dell’ottavo motivo di appello indirizzato proprio contro l’estensione della zona B1 (inammissibile per difetto di interesse), le altre censure risultano infondate; il che esime il Collegio dallo statuire sulle ulteriori eccezioni di inammissibilità opposte dalle parti intimate, riferite tanto ai rimanenti motivi di impugnazione, quanto ai nuovi documenti prodotti dai ricorrenti nell’odierno grado di giudizio.
3. Ciò premesso, è possibile soffermarsi sul secondo motivo di appello (B1), diretto ad impugnare il capo decisorio con cui il primo giudice ha ritenuto che l’assenza del piano delle zone di pericolo non fosse ostativa alla previsione, in sede di variante urbanistica, di una nuova zona residenziale.
3.1 Secondo quanto dedotto dagli appellanti, ai sensi dell’art. 22 bis L.P. n. 13/97 (inserito dalla L.P. n. 3/07), ratione temporis applicabile alla specie, i Comuni avrebbero dovuto adeguare i propri piani urbanistici ai redigenti piani delle zone di pericolo, di competenza comunale: tale incombente avrebbe dovuto essere eseguito entro tre anni dall’entrata in vigore della relativa normativa, completata con il DPP n. 42/08, avvenuta in data 3.12.2008.
Nelle more dell’approvazione dei piani delle zone di pericolo, sarebbe stato possibile approvare progetti e strumenti di pianificazione in base dalla normativa previgente (DPP n. 5/98), ai sensi di quanto previsto dall’art. 13 DPP n. 42/08 (disposizione successivamente abrogata), ma soltanto fino alla scadenza dettata dall’art. 22 bis, comma 2, L.P. n. 13/97. Successivamente, non sarebbe stato più possibile approvare progetti e strumenti di pianificazione in assenza di un valido piano delle zone di pericolo.
Né sarebbe stato possibile sopperire alla mancanza di un piano delle zone di pericolo con la verifica ex artt. 10 e 11 DPP n. 42/08, presupponendosi in tali ipotesi, comunque, la preesistenza di un piano delle zone di pericolo approvato.
In definitiva, nella specie, scaduto il termine di cui all’art. 22 bis, comma 2, L.P. n. 13/97, in assenza di un piano delle zone di pericolo, non sarebbe stato possibile approvare la variante urbanistica per cui è causa.
3.2 Il motivo di appello è infondato.
3.3 Gli appellanti richiamano, a sostegno delle proprie censure, una normativa (art. 22 bis L.P. n. 13/97 e DPP n. 42/08, applicabili ratione temporis), che non impediva, in assoluto, l’esercizio del potere pianificatorio, di approvazione di nuove zone residenziali, in assenza di un piano delle zone di pericolo.
In particolare, l’art. 22 bis L.P. n. 13/97 prevedeva:
- la redazione dei piani delle zone di pericolo o l’adeguamento degli studi sulla classificazione del rischio idrogeologico già esistenti entro definiti termini temporali, da parte dei comuni e nel rispetto delle linee guida approvate dalla Giunta provinciale;
- in caso di mancata adozione di tali piani, ai sensi del combinato disposto degli artt. 22 bis, comma 4, e 23 L.P. n. 13/97, la possibilità di un intervento sostitutivo della giunta provinciale;
- la prevalenza delle prescrizioni del piano delle zone di pericolo sulle prescrizioni contrastanti del piano urbanistico;
- la modifica del piano delle zone di pericolo in caso di nuove conoscenze o quando, per effetto della realizzazione di nuove opere di protezione o di eventi di altro genere, si fossero verificati cambiamenti sostanziali delle situazioni di pericolo;
- la sospensione della decisione sulle richieste di rilascio del titolo edilizio in caso di contrasto tra l’opera progettata e il piano delle zone di pericolo, in attesa della modifica del progetto, della realizzazione di opere di protezione o, comunque, fino all’eliminazione della situazione di pericolo.
Il D.P.P. n. 42 del 2008, parimenti richiamato dai ricorrenti, recante il regolamento di esecuzione concernente i piani delle zone di pericolo, prevedeva, per quanto di interesse ai fini dell’odierno giudizio:
- prescrizioni generali per gli interventi consentiti nelle zone esposte a pericolo idrogeologico, distinguendo a seconda che gli interventi fossero riferibili alle zone di pericolo H4 (molto elevato), H3 (elevato) e H2 (medio);
- la necessità, per gli interventi nelle zone non indagate nei piani delle zone di pericolo (salve talune eccezioni riportate all’art. 3, comma 3, DPP n. 42/08), di una preventiva verifica del pericolo idrogeologico ed idraulico e di una verifica di compatibilità idrogeologica o idraulica di cui agli artt. 10 e 11 dello stesso regolamento;
- l’individuazione degli interventi consentiti sul patrimonio edilizio a seconda della zona di pericolo presa in esame, con la definizione dei presupposti e delle condizioni per l’esecuzione dei relativi interventi;
- la possibilità, al ricorrere di talune condizioni, di prevedere nuove zone edificabili nelle aree di pericolo idrogeologico elevato e medio;
- le modalità di verifica del pericolo idrogeologico ed idraulico, nonché della verifica di compatibilità idrogeologica o idraulica, riguardanti, rispettivamente, (tra l’altro) le aree non indagate e i progetti nelle zone già indagate nella relativa categoria di grado di studio.
3.4 Sebbene la disciplina primaria sembrasse ritenere necessaria l’approvazione del piano delle zone di pericolo al fine di assentire i singoli interventi, autorizzabili in ragione del grado e del tipo di pericolo all’uopo rilevato - con conseguente emersione di limiti all’esercizio del potere autorizzatorio dello ius aedificandi spettante in capo all’Amministrazione comunale - la normativa secondaria regolava espressamente anche il potere pianificatorio, subordinando la possibilità di prevedere “nuove zone edificabili” a talune condizioni.
In particolare:
- nelle zone di pericolo idrogeologico elevato, risultava possibile prevedere nuove zone edificabili “purché, anche dopo la ponderazione degli interessi coinvolti e l'esame delle alternative, non sia possibile trovare una soluzione idonea fuori della zona di pericolo” e sempre nel rispetto delle “misure di sicurezza e prescrizioni” da definire nel piano urbanistico comunale (art. 5, comma 3, DPP m. 42/2008);
- nelle zone di pericolo idrogeologico medio, la previsione di nuove zone edificabili risultava subordinata alla “previa ponderazione degli interessi coinvolti ed esame d'idonee alternative” (art. 6, comma 2, DPP n. 42/2008).
Per l’effetto, sembra effettivamente che la disciplina secondaria non avesse ad oggetto il solo potere autorizzatorio dello ius aedificandi (attraverso la definizione della tipologia di interventi ammissibili nelle varie zone e delle condizioni da accertare in via preventiva ai fini del rilascio del relativo titolo edilizio abilitativo), ma riguardasse pure l’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, subordinando la possibilità di prevedere nuove zone residenziali nelle aree caratterizzate da un pericolo idrogeologico medio ed elevato al rispetto di specifiche condizioni all’uopo indicate: non essendo contemplata un’analoga possibilità per le zone di pericolo idrogeologico molto elevato, coerentemente, doveva ritenersi che per le stesse fosse preclusa la previsione di nuove aree residenziali, in ragione dell’elevato grado di pericolo sulle medesime gravante.
3.5 Il motivo di appello argomenta, dunque, sulla base di un assunto corretto, dato dal collegamento tra la pianificazione generale, volta a garantire l’ordinato e armonico sviluppo del territorio comunale, e la pianificazione specialmente rivolta alla protezione dal rischio idrogeologico: il dato primario prevedeva la prevalenza dei piani delle zone di pericolo sul piano urbanistico e il dato secondario limitava il potere di previsione di nuove zone residenziali.
La conseguenza del collegamento qualificato esistente tra i due strumenti di pianificazione non sembra, tuttavia, individuabile in quella prospettata dai ricorrenti, ovverossia l’impossibilità di approvare varianti urbanistiche fintantoché non fosse stato approvato il prevalente piano delle zone di pericolo.
3.6 In particolare, avuto riguardo già al dato letterale, tanto l’art. 22 bis L.P. n. 13/97, quanto il DPP n. 42/08 non prevedevano alcun divieto per l’Amministrazione comunale di esercitare il potere di pianificazione territoriale in assenza del piano delle zone di pericolo; non potendo, dunque, introdursi un limite al potere pianificatorio in assenza di una corrispondente previsione normativa.
Sul piano sistematico, provvedendo all’interpretazione delle disposizioni recate dall’art. 22 bis L.P. n. 13/97 e dal DPP n. 42/08, le une per mezzo delle altre, avuto riguardo al sistema normativo dalle stesse delineato, emerge che l’omessa adozione del piano delle zone di pericolo entro i termini assegnati dal legislatore provinciale produceva, quale conseguenza all’uopo regolata, anziché la decadenza dell’Amministrazione comunale e provinciale dall’esercizio del potere di pianificazione territoriale (effetto non regolato), il solo intervento sostitutivo della Giunta provinciale (cfr. art. 22 bis, comma 4, cit.).
Anche avuto riguardo all’obiettivo di tutela alla base della disciplina provinciale in commento, non sembra potesse predicarsi l’impossibilità di esercitare il potere di pianificazione urbanistica in assenza della previa approvazione del piano delle zone di pericolo.
Si era infatti in presenza di previsioni tese a subordinare gli interventi pianificatori e autorizzatori dell’attività edilizia ad una previa verifica del grado e del tipo di pericolo insistente su una data zona territoriale; una tale verifica avrebbe potuto essere condotta, tuttavia, non soltanto in via generalizzata, mediante l’approvazione del piano della zona di pericolo, ma anche in relazione a singole zone concretamente rilevanti ai fini amministrativi.
Come osservato, il DPP n. 42/08 (art. 3, comma 3) prevedeva (salve talune eccezioni) la necessità di subordinare, alla preventiva verifica del pericolo idrogeologico ed idraulico di cui all'articolo 10 ed alla verifica di compatibilità idrogeologica o idraulica di cui all'articolo 11 del medesimo regolamento, gli interventi relativi a zone “non indagate nei piani delle zone di pericolo”: si tratta di locuzione riferibile a tutte le zone che non fossero state indagate con l’approvazione dei piani delle zone di pericolo; circostanza riscontrabile tanto in relazione alle zone “non indagate” perché non comprese nei piani già approvati - nel qual caso, la verifica, conducendo pure alla modifica del piano delle zone di pericolo, avrebbe dovuto essere svolta nel rispetto delle medesime previsioni procedimentali di cui al combinato disposto degli artt. 22 bis, comma 3, L.P. n. 13/97 e 10, comma 2, DPP n. 42/04 (le modifiche di un piano delle zone di pericolo preesistente, alla stregua del principio del contrarius actus, avrebbero infatti potuto essere apportate soltanto nell’osservanza delle stesse regole procedimentali operanti per la sua approvazione) -, quanto con riguardo alle “zone non indagate” per la mancata approvazione dei relativi piani (nel qual caso le verifiche da svolgere avrebbero dovuto rispettare il contenuto sostanziale previsto dagli artt. 10 e 11 DPP n. 42/04 cit.).
In tali ultime ipotesi, pure potendo imporsi un’apposita verifica sul grado di pericolosità idrogeologica della zona - funzionale ad evitare interventi pianificatori ed edilizi con esso incompatibili, a tutela di primari beni costituzionalmente rilevanti -, non sembrava possibile paralizzare l’azione amministrativa urbanistica ed edilizia, impedendo l’approvazione di varianti urbanistiche; l’opposta interpretazione, sostenuta in ricorso, avrebbe determinato uno sproporzionato vulnus agli interessi pubblici dalla stessa tutelati, che sarebbero rimasti insoddisfatti stante la forzosa inerzia amministrativa.
Per l’effetto, nel contemperamento degli interessi in raffronto (tutela della pubblica incolumità discendente dal divieto di interventi incompatibili con il tipo e il grado di pericolo riscontrabile nella relativa area, nonché tutela dell’ordinato ed armonioso sviluppo del territorio, implicante la persistenza del potere urbanistico in capo all’Amministrazione competente), doveva ritenersi possibile, per l’Amministrazione, esercitare la potestà pianificatoria anche in zone non previamente indagate sul piano idrogeologico attraverso l’approvazione di un piano di pericolo; a condizione, tuttavia, che, qualora per l’esercizio di quella data potestà, occorresse conoscere il grado e il tipo di pericolo concretamente rilevante, si procedesse, prima dell’adozione della decisione finale, allo studio della relativa area territoriale, ai sensi degli artt. 10 e 11 DPP n. 42/08.
In definitiva, tenuto conto che, per la previsione di nuove zone residenziali, occorreva conoscere previamente il grado e il tipo di pericolo insistente sull’area presa in esame, influendo tali circostanze sia sull’an che sul quomodo dell’esercizio del potere pianificatorio (e, dunque, sulla possibilità di prevedere la nuova zona residenziale e sulle condizioni, anche procedurali, da rispettare per la relativa decisione), l’assenza di un piano delle zone di pericolo non avrebbe potuto ostare all’esercizio del potere pianificatorio, imponendo soltanto la previa indagine della zona, al fine di rilevare il suo effettivo pericolo idrogeologico e, in caso affermativo, la sua compatibilità con l’attività edificatoria.
3.7 Alla luce dei rilievi svolti, il motivo di appello deve essere rigettato, in quanto la mancata adozione dei piani delle zone di pericolo, come rilevato dal primo giudice, non poteva impedire la previsione di nuove zone residenziali, essendo sufficiente a tali fini lo svolgimento di apposita verifica sul grado di pericolo idrogeologico ed idraulico della zona regolata ai sensi degli artt. 10 e 11 DPP n. 42/04 cit., in tale modo realizzandosi sia l’interesse ad evitare l’edificazione in zone connotate da una tipologia e un grado di pericolo (all’uopo previamente studiati) incompatibili con la relativa attività edilizia, sia l’interesse a garantire la continuità del potere pianificatorio, in funzione del corretto governo del territorio.
Tali verifiche risultano essere state svolte nella specie dall’Amministrazione comunale, attraverso l’acquisizione di apposita relazione geologica rassegnata, tra l’altro, secondo le previsioni degli artt. 10 e 11 D.P.P. n. 42/08, allo scopo di classificare il rischio geologico-idrogeologico ed idraulico-valanghivo (altresì) dell’area per cui è causa.
Lo studio in proposito svolto (doc. 18 produzione Amministrazione provinciale in primo grado) ha, in particolare, permesso di ravvisare la compatibilità idrogeologica e idraulica per la riclassificazione di “verde agricolo” in “zona residenziale C1” su parti delle p.f. 315 e 320/1 cit.
Ne deriva l’infondatezza del motivo di appello, non riscontrandosi limiti normativi, correlati all’assenza del piano delle zone di pericolo, ostativi all’approvazione della nuova zona residenziale C1 per cui è causa, stante lo svolgimento di una puntuale verifica del rischio idrogeologico idonea a garantire la compatibilità dell’edificazione con il titolo e il grado di rischi rilevati.
4. Con il terzo motivo di appello (B2) è censurato il capo decisorio con cui il primo giudice ha escluso la necessaria previa approvazione del piano comunale di classificazione acustica (P.C.C.A.) ai fini dell’approvazione della variante urbanistica in esame.
4.1 Secondo quanto dedotto dai ricorrenti, la disciplina valorizzata dal TRGA per rigettare la corrispondente censura articolata in primo grado, data dall’art. 19, comma 2, L.P. n. 20/12, presupporrebbe la previa approvazione della proposta di cui al primo comma dello stesso articolo, nella specie non rinvenibile negli atti di causa, né sul sito del Comune.
Per l’effetto, la giunta provinciale non avrebbe potuto approvare varianti al piano urbanistico comunale mediante l’inserimento di nuove zone residenziali senza la previa approvazione degli strumenti di pianificazione sull’inquinamento acustico.
4.2 Il motivo di appello è infondato.
4.3 L’art. 19, comma 2, LP n. 20/12, ratione temporis applicabile alla specie, prevedeva che, nelle more dell’approvazione del piano sull’inquinamento acustico, si sarebbe dovuta applicare la classificazione acustica di cui alla tabella 1 dell'allegato A, recante l’indicazione della classe acustica per ciascuna destinazione urbanistica.
Tale previsione, nel fissare esclusivamente il dies ad quem di applicazione della disciplina transitoria, dato dall’approvazione del piano de quo, non subordinava la sua operatività all’adozione della proposta di P.C.C.A. (come, invece, ritenuto dai ricorrenti), limitandosi a definire una disciplina operante fintantoché il piano non fosse stato approvato e, dunque, a prescindere dalla pendenza del relativo procedimento amministrativo.
Ne deriva che l’adozione della proposta del piano sull’inquinamento acustico non risultava necessaria per l’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, sub specie di previsione di una nuova zona residenziale di espansione C1, non soltanto perché il dato letterale non riconduceva all’assenza di una tale proposta un limite per lo svolgimento dell’attività pianificatoria, ma anche perché il legislatore aveva espressamente dettato una disciplina suppletiva, da applicarsi in mancanza dell’approvazione del relativo piano (e a prescindere dall’intervenuta adozione della proposta di P.C.C.A), comunque idonea a garantire gli obiettivi di interesse generale rilevanti in materia, correlati alla tutela dall’inquinamento acustico.
Al riguardo, il TRGA ha pure rilevato che “La presente zona di espansione rientra nella classe acustica II, come riportato anche nella relazione illustrativa allegata alla modifica del piano urbanistico (doc. 2.1 del fascicolo del Comune), in cui tra l'altro si legge anche che nella zona prevista non sussiste alcun inquinamento acustico causato dalla strada statale e che complessivamente è ipotizzabile una scarsa incidenza del rumore”, richiamando una circostanza, pure riportata nella modifica n. 13, relativa all’inserimento della zona in classe acustica II, la cui attendibilità non risulta oggetto di specifica contestazione, non emergendo la provata incongruità di una tale classificazione rispetto all’inquinamento acustico registrabile nei luoghi di causa.
Per l’effetto, non essendo necessaria la previa adozione della proposta del piano de quo ai fini della previsione di una nuova zona residenziale C1 (il che è già sufficiente per il rigetto del motivo di impugnazione), nonché non avendo i ricorrenti dedotto specifici elementi da cui desumere la presenza nella zona de qua di un livello di inquinamento acustico diverso da quello rilevato dall’Amministrazione e, comunque, incompatibile con le scelte pianificatorie in contestazione, le doglianze in esame devono essere rigettate.
5. Con il quarto motivo di appello (B3) viene impugnato il capo decisorio con cui il primo giudice ha disatteso le censure incentrate sulla violazione delle previsioni in materia di riduzione del consumo del suolo (art. 1, commi 3, lett. d) e 3 bis, e art. 35 L.P. n. 13/97).
5.1 Secondo quanto dedotto dai ricorrenti, l’Amministrazione non avrebbe motivato le ragioni che giustificavano la deroga al principio che impone di privilegiare l’uso delle aree edificate e degli edifici esistenti rispetto all’inserimento di nuove zone residenziali, pure tenuto conto dell’inottemperanza della Giunta provinciale a quanto previsto dall’art. 1, comma 3, L.P. n. 13/97.
Risulterebbe inattendibile pure il calcolo del presunto fabbisogno da realizzare con la previsione di una nuova zona residenziale (con un potenziale di 11.356 m³, nonostante l’esistenza di cubatura disponibile nella misura di 29.132 m³), tenuto conto che:
- con la rielaborazione del piano urbanistico comunale nel 2003 erano state inserite nuove zone residenziali con una cubatura ammissibile di 9852 m3 (a fronte di zone residenziali già inserite nel piano urbanistico comunale aventi un potenziale edificatorio già corrispondente a 19.722 m3);
- tale potenziale edificatorio non sarebbe stato consumato, tenuto conto che nel 2015 il potenziale edificatorio risultava salito da 19722 m3 (punto di partenza prima del PUC2003) a 29131 m3 nel 2015; nel 2015 risultavano 13.660 m3 ancora realizzabili nelle zone residenziali di espansione già previste nel 2003;
- del precedente potenziale accumulato di 29.574 m³ risultavano consumati soltanto 442 m³ (configurando 29.132 m³ il punto di partenza della rielaborazione in contestazione), ragion per cui non sarebbero serviti ulteriori 11.000 m³ per coprire il fabbisogno residenziale;
- nella stima del fabbisogno di nuove zone residenziali non sarebbe stato neanche menzionato il patrimonio edilizio esistente (prevalentemente nelle zone del centro storico), il cui utilizzo avrebbe dovuto avere priorità anche secondo il piano provinciale di sviluppo e di coordinamento del territorio;
- non sarebbero stati menzionati gli effetti del cosiddetto piano casa (bonus energetico) di cui all’articolo 127 della legge urbanistica provinciale;
- non si sarebbe presa in esame la cubatura residenziale ammessa in verde agricolo, sia con riferimento alle sedi dei masi chiusi, sia per quanto riguarda l’ampliamento di edifici residenziali esistenti;
- peraltro, a fronte di un aumento del numero dei nuclei familiari non sarebbe stato possibile stimare un corrispondente aumento lineare della superficie residenziale;
- l’art. 35 cit. avrebbe richiesto di esaminare, anziché i nuclei familiari, lo sviluppo della popolazione residente;
- il difetto di istruttoria emergerebbe anche dalla tempistica di adozione della rielaborazione del piano urbanistico comunale, attesa la coincidenza temporale tra l’acquisizione presso la Giunta comunale della documentazione relativa alla previsione delle nuove zone residenziale e l’assunzione della relativa delibera comunale.
5.2 Il motivo di appello è infondato.
5.3 La relazione illustrativa del Piano in contestazione, alle pagg. 7 e ss., reca una puntuale disamina sia dello stato demografico riscontrato al tempo dell’istruttoria, caratterizzante la popolazione comunale, sia del suo sviluppo nel decennio successivo, influente sul fabbisogno edilizio da soddisfare con le scelte pianificatorie per cui è causa.
In particolare, quanto allo stato attuale, sono stati specificati il numero degli abitanti, l’evoluzione demografica registratasi a partire dal 1869, la suddivisione della popolazione in categorie di età, l’evoluzione della composizione dei nuclei familiari a partire dal 1971, nonché l’andamento del numero dei nuclei familiari a partire dal 2000.
Con riferimento allo sviluppo demografico, sulla base delle valutazioni svolte dall’istituto provinciale di statistica ASTAT, sono stati stimati nel periodo 2012-2022 l’aumento della popolazione di 67 abitanti e l’aumento di ca. 147 nuclei familiari.
La stessa relazione illustrativa, alle pagg. 32 e ss., individua gli obiettivi edificatori sottesi alle scelte pianificatorie.
In particolare, premesso che la zona di espansione C2 Linter con 9.707 m2 a Rablà non risultava ancora edificata, si è dato atto che, alla stregua dei dati dell’ufficio di statistica, la popolazione al 31.12.2012 risultava pari a 3581 abitanti per 1363 nuclei familiari, con un incremento stimato fino al 31.12.2022 di 59 abitanti e di 147 nuclei familiari, computando un numero medio di 2,41 abitanti per famiglia.
Tali dati risultavano rilevanti ai fini della determinazione del fabbisogno di cubatura residenziale.
Computando un fabbisogno di 239 m3 per famiglia (derivante dal prodotto tra il fabbisogno individuale di 99 m3 per membro della famiglia e il numero medio dei componenti familiari pari a 2,41), considerata la stima di 147 nuove famiglie fino al 31.12.2022, il fabbisogno di cubatura da soddisfare risultava infatti pari a 35.133 m3, cui dovevano aggiungersi 10.395 m3 per n. 21 richieste relative all’edilizia agevolata (derivanti dal prodotto tra il fabbisogno per famiglia, in tale caso determinato sulla base di una media di cinque abitanti per famiglia, pari a 495 m3, e il numero di richieste prese in esame), per un fabbisogno complessivo di cubatura residenziale fino al 2022 pari a 45.528 m3.
Nel valutare la previsione di nuove zone residenziali, volte a soddisfare tale fabbisogno, l’Amministrazione ha tenuto conto, da un lato, delle zone di espansione non ancora edificate, facendo riferimento espresso alla zona di espansione C2 a Rablà, idonea a legittimare una cubatura di 11.939 m3; dall’altro, della cubatura non edificata nelle zone di completamento (poss. privato) per 23.302 m3.
Per l’effetto, detraendo dal fabbisogno di cubatura residenziale complessivamente rilevato la cubatura riferita alle zone di espansione non ancora edificate, nonché tenendo conto della cubatura non edificata nelle zone di completamento, l’Amministrazione ha previsto nuova cubatura nei limiti di 11.356 m3, di cui 6.527 m3 per la zona di espansione C2 a Rablà, 1.594 m3 per la zona di espansione C2 a Parcines e 3.235 m3 per la zona di espansione C1 a Parcines (oggetto di giudizio).
5.4 Il procedimento di calcolo del fabbisogno di cubatura residenziale è immune dai vizi dedotti dagli appellanti, incentrandosi su un corretto procedimento metodologico, fondato:
- sulla disamina dei dati statistici riguardanti lo sviluppo demografico registratosi nel tempo nell’ambito del territorio comunale;
- su una ragionevole stima previsionale in ordine allo sviluppo demografico riferito al decennio successivo;
- sul computo del fabbisogno di nuova cubatura tenuto conto sia delle zone di espansione non edificate, sia delle cubature non edificate nelle zone di completamento.
5.5 Le doglianze attoree, a fronte di un tale procedimento di calcolo, metodologicamente corretto e attendibile, non possono trovare accoglimento.
5.6 In particolare, una prima contestazione opposta dagli appellanti concerne il necessario prioritario utilizzo delle aree edificate e degli edifici esistenti rispetto all’inserimento di nuove zone residenziali.
Nella specie, tuttavia, da un lato, il Comune ha tenuto conto proprio delle zone di espansione non edificate e delle cubature non edificate nelle zone di completamento, senza prevedere nuova cubatura residenziale in assenza del previo sfruttamento di quella precedentemente assentita; dall’altro, non risultano specificati quali fossero gli edifici esistenti suscettibili di essere utilizzati per i nuovi insediamenti familiari e su quali basi detti edifici potessero essere assegnati ai relativi nuclei familiari.
5.7 Altra doglianza riguarda l’inattendibilità del calcolo del fabbisogno di cubatura residenziale, richiamando gli appellanti le previsioni urbanistiche del 2003 e il potenziale edificatorio non consumato negli anni precedenti: tuttavia, tali elementi sono stati valorizzati dall’Amministrazione, che ha scomputato dal fabbisogno stimato proprio la cubatura, assentita dalle precedenti previsioni pianificatorie, non ancora edificata (cfr. zone di espansione non edificate – Linter a Rablà).
Inoltre, la previsione del fabbisogno di cubatura riguarda lo sviluppo demografico atteso nel decennio successivo, incentrato sull’insediamento di 147 nuove famiglie e la presentazione di 21 richieste per l’edilizia agevolata: trattasi di circostanze stimate sulla base di dati statistici elaborati dall’Amministrazione - anche tenuto conto delle previsioni dell’Ufficio statistico provinciale -, che non risultano minati nella loro attendibilità dalle censure attoree, le quali sono per lo più incentrate sul ridotto consumo della cubatura registratosi negli anni precedenti, anziché sul fabbisogno di cubatura futuro, per come emergente dalla sopravvenienza di eventi riguardanti l’aumento dei nuclei familiari e la presentazione di richieste per l’edilizia agevolata, idonei ad evidenziare un fabbisogno non realizzabile sulla base della sola cubatura assentita negli anni passati e non ancora utilizzata a fini edificatori.
5.8 Gli appellanti deducono pure che l’Amministrazione non avrebbe garantito il prioritario utilizzo del patrimonio edilizio esistente, né avrebbe tenuto conto degli effetti del piano casa di cui all’art. 127 L.U.P.: anche in tale caso, non si specifica quali sarebbero gli edifici nella disponibilità dell’Amministrazione, destinabili al soddisfacimento del nuovo fabbisogno abitativo; non potrebbero neppure utilmente invocarsi misure promozionali rimesse all’iniziativa individuale, incerte nell’an e non necessariamente idonee a garantire l’insediamento di nuovi e diversi nuclei familiari.
5.9 Non possono essere condivise neppure le contestazioni incentrate sulla valorizzazione della cubatura residenziale ammessa in verde agricolo, anche in tale caso non specificandosi gli immobili esistenti che l’Amministrazione avrebbe potuto destinare ai nuovi insediamenti familiari.
5.10 I ricorrenti ritengono pure che all’aumento del numero dei nuclei familiari non possa corrispondere un incremento lineare della superficie residenziale richiesta, a fronte pure di previsioni normative che richiederebbero di tenere conto dello sviluppo della popolazione residente.
Nella specie, invero, il calcolo del fabbisogno di cubatura residenziale è stato operato sulla base della necessità di garantire 99 m3 per ciascun componente del nucleo familiare, ragion per cui l’Amministrazione, sebbene abbia svolto le proprie valutazioni tenendo conto dell’incremento dei nuclei familiari, ha fondato i propri calcoli pure su una stima di cubatura riferibile al singolo componente, facente parte della popolazione comunale: in particolare, il valore di 239 m3 per famiglia è il risultato del prodotto tra 99 m3 per componente/abitante e il numero medio di componenti/abitanti per famiglia, pari a 2,41; con la conseguenza che il fabbisogno è stato commisurato, comunque, anche alla crescita del numero degli abitanti e, dunque, della popolazione residente.
Peraltro, l’insediamento di nuovi nuclei familiari, anche per distacco dal nucleo originario, pure a fronte di un numero di abitanti in ipotesi rimasto immutato (circostanza nella specie esclusa, essendosi stimato, come supra osservato, anche un aumento degli abitanti nel decennio successivo preso in esame), sarebbe stato comunque idoneo a valorizzare un aumento del fabbisogno di cubatura residenziale, occorrendo reperire nuove unità immobiliari per i nuclei neo istituiti.
Non emergono, inoltre, specifiche censure in grado di minare l’attendibilità di un valore di 99 m3 per componente del nucleo familiare, non potendosi escludere che tale valore sia stato inteso come valore minimo, necessario per realizzare le esigenze residenziali del singolo componente familiare, non riducibile nelle operazioni aritmetiche da eseguire per quantificare il fabbisogno di cubatura residenziale in relazione al progressivo aumento del numero dei nuclei familiari; con conseguente andamento costante del relativo valore di cubatura.
Non risulta neppure rilevante (oltre ad essere sfornita di supporto probatorio) l’affermazione secondo cui in tutti i paesi dell’Europa occidentale si assiste ad una tendenziale riduzione dei componenti dei nuclei familiare, tenuto conto che nella specie si discorre di una stima riferita alla realtà locale, del Comune intimato; ragion per cui gli appellanti avrebbero dovuto specificatamente indicare e provare le circostanze fattuali idonee ad evidenziare l’inattendibilità del calcolo operato dal Comune.
In ogni caso, si osserva che il Comune aveva dato atto della riduzione, a partire dal 1971, del numero dei componenti del nucleo familiare, essendosi transitati da una media di 3,6 del 1971 ad una di 2,5 del 2013 con una ragionevole prognosi di 2,4 in relazione al 2022 (pag. 9 relazione illustrativa del piano rielaborato): risultava, dunque, posta alla base della determinazione del fabbisogno di cubatura residenziale proprio la circostanza valorizzata dai ricorrenti, riferita ad una progressiva riduzione dei componenti del nucleo familiare, tale, dunque, da non minare l’attendibilità delle stime previsionali alla base delle scelte pianificatorie in contestazione.
5.11 I ricorrenti fanno leva, al fine di asseverare l’illegittimità degli atti impugnati, anche sulla tempistica di adozione della rielaborazione del piano urbanistico comunale: tuttavia, non risulta manifestamente irragionevole una tempestiva adozione del piano alla stregua delle risultanze istruttorie già raccolte, prontamente esaminabili durante la stessa giornata in cui si è tenuta la seduta dall’organo decisorio, senza che al riguardo siano di per sé prospettabili tempi minimi di valutazione, violati i quali l’atto assunto possa ritenersi, per ciò solo, illegittimo per difetto di istruttoria.
5.12 Parimenti, la mancata definizione dell’obiettivo quantitativo riferito ad un “valore indicativo dell’area annualmente edificabile” di cui all’art. 1, comma 3 bis, L.P. n. 13/97 (ratione temporis rilevante nella specie) non avrebbe impedito al Comune l’esercizio del potere pianificatorio, non facendosi questione – né la disciplina primaria prevedeva alcunché al riguardo – di un presupposto essenziale per l’approvazione delle misure di piano riferite all’istituzione di nuove zone residenziali.
5.13 L’insussistenza di vizi riferibili al calcolo del fabbisogno impedisce, altresì, di configurare un’ipotesi di omesso controllo in capo alla Commissione provinciale per la natura, il paesaggio e lo sviluppo del territorio nonché alla Giunta provinciale, non registrandosi un’azione illegittima per cui possano in ipotesi rispondere pure gli organi di controllo per la condotta inerte al riguardo tenuta.
6. Con il quinto motivo di appello (B4) è censurato il capo decisorio con cui il TRGA ha ritenuto che i rappresentanti delle parti sociali fossero stati informati della prevista rielaborazione del piano urbanistico comunale, ai sensi di quanto previsto dall’art. 19, comma 1, LUP.
6.1 Secondo quanto dedotto in ricorso, la documentazione alla base dell’approvazione della variante urbanistica sarebbe stata protocollata in data 7.10.2014, ragion per cui la lettera del 12.9.2014, valorizzata dal TRGA per l’ottemperanza di quanto previsto dall’art. 19, comma 1, cit., non avrebbe potuto avere ad oggetto la proposta approvata dalla giunta comunale del 7.10.2014: la documentazione sarebbe stata completata solo in tale data e, dunque, al 12.9.2014 non potevano ritenersi sussistenti gli elementi essenziali della proposta del piano urbanistico comunale, oggetto di informativa alle parti sociali.
I ricorrenti ribadiscono pure il difetto di istruttoria, emergente dall’avvio della discussione del progetto di piano da parte della Giunta alle ore 08:00 del 7.10.2014, stesso giorno di acquisizione della documentazione tecnica istruttoria.
6.2 Il motivo di appello è infondato.
6.3 La violazione degli obblighi comunicativi gravanti sull’Amministrazione procedente può essere, di regola, utilmente censurata soltanto dai soggetti nel cui interesse tali obblighi sono prescritti: l’art. 8, comma 4, L. n. 241/90, nel prevedere che “L’omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può esser fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista”, esprime un principio generale in forza del quale, a fronte di omissioni comunicative, soltanto il soggetto direttamente leso, che avrebbe dovuto essere informato dall’Amministrazione di circostanze rilevanti per l’esercizio delle proprie facoltà partecipative, potrebbe lamentare l’illegittimità (procedimentale) del provvedimento così assunto.
Per l’effetto, tenuto conto che l’asserita omissione comunicativa riguardava le parti sociali, che non sarebbero state informate dalla prevista rielaborazione del piano urbanistico, soltanto queste ultime avrebbero potuto dedurre una tale illegittimità.
6.4 In ogni caso, si rileva che, come emergente dalla delibera della giunta comunale del 7.10.2014, il progetto del piano urbanistico rielaborato era stato già predisposto (risalendo all’agosto 2012 l’incarico tecnico della sua rielaborazione – delibera della giunta comunale n. 209 del 21.8.2012) e in relazione allo stesso era stata già fornita l’informativa ai rappresentanti locali delle parti sociali maggiormente rappresentative a livello provinciale con nota n. 4022 dell’11.9.2014.
Il che corrisponde a quanto prescritto (ratione temporis) dall’art. 19, comma 1, L.P. n. 13/97, che imponeva l’adozione del progetto di piano urbanistico comunale, a cura della giunta comunale, “previa informazione dei rappresentanti locali delle parti sociali più rappresentative a livello provinciale…”, con la conseguenza che l’informativa doveva precedere l’atto di adozione.
Il 7.10.2014, giorno valorizzato dagli appellanti, non corrisponde, pertanto, alla data di completamento di un progetto privo dei suoi elementi essenziali – come tale, insuscettibile di formare oggetto di una preventiva informativa – ma costituisce la data di adozione del piano a cura della giunta provinciale, ragion per cui non soltanto era possibile, ma occorreva che l’informativa de qua fosse fornita alle parti sociali in un momento anteriore, sulla base di un progetto di piano ancora non adottato, come nella specie correttamente avvenuto con la nota del settembre 2014 cit.
6.5 Con riferimento alla tempistica della disamina, a cura della Giunta comunale, della proposta di rielaborazione, si rinvia a quanto sopra osservato in ordine all’impossibilità di definire termini minimi per l’esame della documentazione tecnica, decorsi i quali l’azione amministrativa risulterebbe illegittima.
7. Con il sesto motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il primo giudice ha rigettato le censure incentrate sulla contraddittorietà della documentazione tecnica posta alla base del piano rielaborato.
7.1 Secondo quanto dedotto dai ricorrenti, parte della documentazione - intitolata elenco dei proprietari - riferiva la modifica 13 (relativa alla zona residenziale di espansione prevista sulla p.f. 315 CC Parcine) alla previsione di una nuova zona residenziale della categoria C3, mentre il rapporto ambientale riguardava una zona C1.
Anche le indicazioni relative all’ampliamento della zona residenziale B1, zona di completamento, sarebbero state contraddittorie, tenuto conto che nell’elenco proprietari si prevedeva che la modifica della destinazione avrebbe interessato 116 m2, mentre nella delibera consiliare si prevedeva un ampliamento di 374 m2.
Per l’effetto, sarebbe stata violata la disciplina di cui all’art. 19 L.U.P., con violazione delle garanzie partecipative procedimentali di cui all’art. 15 L.P. n. 17/93.
7.2 Il motivo di appello è infondato.
7.3 Preliminarmente, alla luce delle considerazioni svolte nella disamina del primo motivo di appello, deve ribadirsi la possibilità di esaminare, nel merito, le sole censure impugnatorie riferite alla nuova zona residenziale C1, risultando gli appellanti carenti di interesse a contestare l’estensione della zona residenziale B1.
Ciò premesso, si osserva che il riferimento alla zona residenziale C3, operato nell’elenco dei proprietari interessati dalla previsione pianificatoria di istituzione della nuova zona residenziale C1, costituisce un evidente errore materiale, di per sé inidoneo ad influire sulla legittimità degli atti impugnati in primo grado.
Al riguardo, si osserva che, affinché ricorra un’ipotesi di errore materiale in senso tecnico-giuridico, tale, dunque, da non assumere natura invalidante - dando luogo ad una mera irregolarità suscettibile di rettifica - occorre che esso sia il frutto di una svista che determini una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità, senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo, valendo il requisito della riconoscibilità ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole del soggetto destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto dichiarato nell’atto a ciò che risulti effettivamente voluto (Consiglio di Stato, sez. II, 5 ottobre 2020, n. 5818).
Nel caso di specie, ricorrono tali elementi, idonei ad escludere un vizio di legittimità censurabile in giudizio.
L’erroneo riferimento alla destinazione C3 (in luogo di quello corretto C1) è recato, infatti, nell’ambito dell’elenco proprietari interessati dalla modifica n. 13, pure contenuto nella relazione illustrativa del Piano adottato dalla Giunta comunale nell’ottobre 2014.
Tale relazione, tuttavia, evidenziava chiaramente che la modifica n.13 afferiva alla previsione di una nuova zona residenziale C1, come emergente, oltre che a pag. 37 in cui si individuavano le nuove zone residenziali, alle pagg. 73 e ss. in cui si descriveva l’oggetto della misura n. 13, con la puntuale illustrazione della regula iuris del caso concreto in fase di approvazione: in particolare, ivi si discorreva espressamente di una “zona residenziale di espansione “C1” p.f. 320/1 e 315”, di cui erano specificate pure la densità edilizia massima e l’altezza massima consentita; nella stessa pag. 73 veniva riportato l’elenco dei proprietari interessati con la corretta classificazione della zona. Anche il rapporto ambientale di cui alla pag. 75 richiamava chiaramente una zona residenziale di espansione C1.
Avendo l’Amministrazione, dunque, chiarito con la relazione illustrativa (oltre che con la successiva deliberazione del consiglio comunale n. 1 del 2015) la previsione, in parte qua, di una nuova zona residenziale di espansione C1 - di cui venivano coerentemente illustrate le caratteristiche - il mero riferimento alla zona C3 riportato nell’elenco dei proprietari non può che considerarsi un evidente errore materiale, inidoneo ad ingenerare un affidamento incolpevole del destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto riportato nel solo elenco proprietari e quanto effettivamente voluto dall’Amministrazione (istituzione di una zona di espansione C1 puntualmente descritta nella sua natura e portata nell’ambito della sezione, recata nella relazione illustrativa, destinata alla modifica n. 13 in contestazione).
8. Con il settimo motivo di appello (B6) è censurato il capo decisorio con cui il primo giudice ha rigettato le doglianze incentrate sulla inidoneità della zona C1 ad una razionale edificazione, trattandosi di zona ristretta, con larghezza di soli 20 metri e con un lato lungo di 100 m.
8.1 Alla stregua di quanto previsto dall’art. 15 LUP, l’Amministrazione avrebbe dovuto svolgere un’apposita verifica delle condizioni locali, tenuto conto che la p.f. 315 CC Parcines, per la sua forma, dimensione e posizione sarebbe stata inidonea all’inserimento di una nuova zona residenziale.
Difatti, considerate le disposizioni in materia di distanze dai confini, sarebbe stata difficile una razionale edificazione compatibile con l’impatto sul paesaggio, senza violare le distanze di cui al decreto ministeriale 1444/1968 o produrre un aumento della quota zero con contestuale emersione di un’edificazione “piuttosto alta” (pag. 25 del ricorso in appello).
Si tratterebbe di una decisione pianificatoria illogica, che lascerebbe presagire “il problema delle distanze”.
8.2 Il motivo di appello è infondato.
8.3 La previsione di una zona residenziale di espansione C1, da un lato, non sembra il frutto di una irragionevole scelta pianificatoria, riguardando una zona adiacente ad altre zone residenziali, con conseguente concentrazione dell’attività edificatoria nella medesima porzione del territorio comunale; dall’altro, risulta rispettosa dei dettami di cui all’art. 35 L.P. n. 13/97 (ratione temporis applicabile alla specie), apparendo omogenea, compatta e chiusa.
Non potrebbe essere fondatamente censurata neppure la violazione delle distanze, essendosi limitata l’Amministrazione a fissare una densità edilizia massima (2,0 mc/mq) e un’altezza massima consentita (8 metri), senza derogare alla disciplina in materia di distanze di cui al DM n. 1444/1968.
Quanto all’altezza massima assentita, si tratterebbe, peraltro, di una circostanza idonea a radicare l’interesse al ricorso, ma ininfluente sulla legittimità dell’atto impugnato, non sussistendo una irragionevolezza del limite degli otto metri posto dalla disciplina pianificatoria, tenuto conto pure dell’andamento inclinato del terreno e della maggiore altezza di dieci metri prevista per la zona residenziale B1 adiacente.
8.4 Ai sensi dell’art. 10 N.T.A Piano Urbanistico, inoltre, per le zone residenziali di espansione C1 occorre la redazione di uno specifico pianto di attuazione; ragion per cui i ricorrenti non possono dedurre anticipatamente nell’odierno giudizio e con un ragionamento ipotetico o probabilistico la violazione delle distanze discendenti dalla futura edificazione, trattandosi di circostanza allo stato non dimostrata (a pag. 23 del ricorso in appello si discorre di un’asserita “difficile” razionale edificazione, compatibile anche con l’impatto sul paesaggio, senza che possa ritenersi provata l’oggettiva impossibilità di un’edificazione in violazione delle norme sulla distanza).
Gli istanti, piuttosto, dovranno attendere l’approvazione del piano di attuazione - ovvero, ove questo non sia immediatamente lesivo, il rilascio del titolo abilitativo edilizio - per verificare se la costruzione in concreto assentita sia o meno realizzabile nel rispetto della disciplina sulle distanze invocata a fondamento del motivo di impugnazione.
8.5 Pertanto, non essendo provata con certezza che qualsiasi ipotesi costruttiva compatibile con la previsione urbanistica in parola sia comunque violativa della disciplina sulle distanze dal confine, nonché non avendo la disposizione pianificatoria in contestazione previsto alcuna deroga alla disciplina sulle distanze, in assenza dei relativi atti attuativi e applicativi, la mera previsione di una zona residenziale C1 nella porzione territoriale per cui è causa non consente di ritenere certa e dimostrata la violazione delle distanze; il che è sufficiente per rigettare, allo stato, le censure attoree, rimanendo salvi i rimedi azionabili dai ricorrenti contro i successivi e dipendenti atti amministrativi.
8.6 Non integrano, invece, vizi di legittimità le mere ragioni di opportunità, che avrebbero suggerito una diversa previsione urbanistica, dovendosi riaffermare in materia il principio (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 30 maggio 2013, n. 2960), per cui le scelte pianificatorie e di destinazione urbanistica effettuate dal Comune sono il frutto di giudizi amplissimamente discrezionali, di carattere tecnico-amministrativo: come tali, implicano valutazioni di merito che, per natura, sono di norma sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvi i casi in cui le stesse siano viziate da arbitrarietà, irragionevolezza, errori di fatto, abnormità e irrazionalità delle stesse ovvero dal travisamento di fatti in relazione alle esigenze che s'intendono concretamente soddisfare.
Tutti elementi nella specie non ricorrenti, facendosi questione, come osservato, di una zona di espansione adiacente ad una zona residenziale B1, idonea a garantire la concentrazione dell’attività edificatoria, con l’individuazione di uno spazio che, salve le specificazioni e le prescrizioni ancora da definire in sede di pianificazione attuativa e di rilascio del titolo edilizio abilitativo, non può ritenersi manifestamente inidoneo all’edificazione.
Anche le contestazioni riportate a pag. 14 della memoria conclusionale, incentrate su un “diverso posizionamento ed una diversa conformazione della zona che avrebbe permesso altre quote di accesso e pertanto avrebbe reso superfluo realizzare muri di sostegno ed edifici stretti ed alti”, manifestano il tentativo inammissibile dei ricorrenti di sindacare scelte di merito riservate all’Amministrazione, immuni da vizi di legittimità.
8.7 Parimenti irrilevanti risultano circostanze sopravvenienti rispetto all’approvazione degli atti per cui è causa (pure richiamate in sede di memoria conclusionale dai ricorrenti), dovendo la legittimità delle scelte amministrative, in applicazione del principio del tempus regit actum, valutarsi sulla base dello stato di fatto e di diritto esistente al momento in cui sono assunte.
9. Con l’ottavo motivo di appello (B7) è impugnato il capo decisorio con cui il primo giudice ha escluso, in relazione all’estensione della zona B1 sulla p.ed. 439, la violazione dell’art. 36 bis L.P. n. 13/97, sebbene non fosse stata dimostrata l’edificazione del 70% della zona al momento del suo inserimento come zona residenziale di completamento.
Pertanto, non sussistendo i presupposti di cui all’art. 36 bis, comma 1, L.P. n. 13/97 e non risultando applicato il disposto di cui all’art. 36 bis, comma 2, della stessa legge, l’ampliamento della zona residenziale completamento B1 sarebbe avvenuto in violazione di legge e in assenza di adeguata motivazione.
Il motivo di appello è inammissibile, come correttamente eccepito dall’Amministrazione comunale (pag. 20 memoria conclusionale) e dalle parti controinteressate (pag. 26 memoria conclusionale).
Nel rinviare alle considerazioni svolte nella disamina del primo motivo di appello, i ricorrenti non specificano il pregiudizio derivante dall’estensione della destinazione urbanistica B1 all’intera p. ed. 493, tenuto conto pure che trattasi di un mero “tassello” tra la nuova zona di espansione C1 e l’adiacente zona B1.
Per l’effetto, in assenza dell’integrazione di una condizione dell’azione, correlata all’interesse al ricorso, non vi è luogo a statuire sulle censure di merito all’uopo formulate (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5, secondo cui “la reiezione per motivi di rito, comporta il necessario assorbimento delle questioni di merito”, a dimostrazione di come, ravvisata una causa ostativa all’ammissibilità della domanda, non può statuirsi sul merito dell’azione proposta).
10. Con il nono motivo (B8) è dedotta l’erroneità del capo decisorio con cui sono state rigettate le doglianze riferite all’assenza di un piano di viabilità ex artt. 15 e 17 LUP, sebbene la predisposizione di tale piano non potesse essere rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione in occasione di ogni singola variante urbanistica.
Il motivo di appello è infondato.
Gli artt. 15 e 17 della LP n. 13/1997 impongono l’adozione del piano di viabilità ai fini dell’approvazione del PUC: nella specie, tuttavia, la rielaborazione del piano si è tradotta nella previsione di alcune modifiche di una disciplina pianificatoria previgente, che per quanto non diversamente previsto è rimasta immutata, non emergendo, per l’effetto, l’ipotesi dell’approvazione di un nuovo piano urbanistico.
L’Amministrazione comunale, inoltre, risultava dotata di un piano del traffico esistente - circostanza, da un lato, dedotta dall’Amministrazione provinciale a pag. 21 della memoria conclusionale e dai controinteressati a pag. 30 della memoria conclusionale, dall’altro, non specificatamente contestata dagli appellanti che, in relazione al presente motivo, si sono limitati genericamente a contestare “quanto asserito dalle controparti” (pag. 20 memoria di replica) -, nonché ha precisato che la zona presentava un raccordo con l’infrastruttura esistente e un buon raccordo stradale (relazione illustrativa, pag. 75).
Per l’effetto, non facendosi questione dell’approvazione di un nuovo Piano Urbanistico Comunale, ma soltanto di varianti ad un Piano Urbanistico preesistente, considerata la specifica valutazione svolta in sede amministrativa in ordine al buon raccordo stradale, non compromesso dall’istituzione della nuova zona di espansione, non occorreva che l’Amministrazione provvedesse, ai sensi degli artt. 15 e 17 L.P. n. 13/1997, all’approvazione di un nuovo piano della viabilità.
11. Con il decimo motivo di appello (B9) è impugnato il capo decisorio con cui il TRGA ha rigettato le censure riferite alla mancata considerazione delle osservazioni proposte dal condominio ricorrente prima dell’approvazione definitiva della variante urbanistica.
11.1 Invero, secondo quanto dedotto dai ricorrenti, a fronte di osservazioni riguardanti il merito amministrativo della scelta e il pregiudizio di fatto e di diritto discendente dall’inserimento della zona in contestazione, il consiglio comunale si sarebbe limitato a considerare come non motivata l’osservazione in quanto, secondo le considerazioni del consiglio comunale non meglio esplicitate, non sarebbe stata violata “la legge”
11.2 Il motivo di appello è infondato.
11.3 Le osservazioni presentate in occasione dell'adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all'Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione, oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree. Pertanto, seppure l'Amministrazione sia tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può però essa essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse (tra gli altri, Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 marzo 2021, n. 2412).
Nella specie, l’Amministrazione comunale non soltanto ha preso in esame le osservazioni presentate dagli istanti, ma ha pure puntualmente indicato le ragioni ostative al loro accoglimento.
In particolare, con la deliberazione n. 1 del 27.1.2015 (punto 1.2), l’Amministrazione comunale non si è limitata ad evidenziare la compatibilità della modifica urbanistica n. 13 con la normativa vigente - in specie il codice civile e la legge urbanistica provinciale - ma ha pure evidenziato come la previsione della nuova zona residenziale di espansione fosse motivata dall’esigenza di uno sviluppo organico dell’abitato, dalla necessità di prevenire una dispersione edilizia, dalla considerazione della viabilità e dalla raggiungibilità del servizio di trasporto pubblico; ciò, tenuto conto della vicinanza della zona al centro del paese.
Emerge, dunque, che l’Amministrazione ha preso in esame l’osservazione, individuando le ragioni di legittimità e di merito alla base della propria scelta pianificatoria, in tale modo ponendo i destinatari in condizione di percepire adeguatamente l’iter logico giuridico alla base della determinazione in concreto assunta; il che esclude il vizio motivazionale dedotto con l’ultimo motivo di appello.
12. Alla stregua delle osservazioni svolte, il ricorso in appello:
- deve essere accolto limitatamente alla censura riguardante la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado, nella parte in cui era diretto a denunciare l’illegittima previsione della nuova zona residenziale di espansione C1;
- deve essere dichiarato inammissibile, nella parte in cui solleva doglianze relative all’estensione della zona B1 alla superficie rimanente della p.ed. 493;
- deve essere rigettato per il resto.
Per l’effetto, previa la parziale riforma della sentenza gravata, il ricorso di primo grado deve essere, in parte, dichiarato inammissibile (in relazione alla censurata estensione della zona B1 alla superficie rimanente della p.ed. 493), per il resto deve essere rigettato.
La particolarità della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in parte lo accoglie, in altra parte lo dichiara inammissibile e lo rigetta nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, nei predetti limiti, in parte dichiara inammissibile e in altra parte rigetta il ricorso di primo grado.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2022 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Alessandro Maggio, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere, Estensore
Thomas Mathà, Consigliere