Cass. Sez. III n. 5601 del 12 febbraio 2021 (PU 17 dic 2020)
Pres. Di Nicola Est. Galterio Ric. D’Ambroggio
Rifiuti.Abbandono ed obbligo di controllo
Nell’obbligo di controllo incombente su chi riveste formalmente la carica di amministratore rientra anche quello, in materia ambientale, sull'operato dei dipendenti della società che abbiano posto in essere la condotta di abbandono di rifiuti indipendentemente dal luogo in cui si è consumata, così come di chi, gestendo in concreto la società, abbia assunto tale iniziativa in violazione delle norme che impongono l’osservanza di specifiche procedure per il loro smaltimento.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 3.6.2019 la Corte di Appello di Venezia ha confermato la condanna alla pena di due mesi di arresto ed € 1.8000 di ammenda resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Rovigo nei confronti di Silvia D’Ambroggio ritenendola responsabile in qualità di amministratore della Merlo Logistica s.r.l., in concorso con Roberto Merlo che la amministrava di fatto, del reato di cui all’art. 256, primo e secondo comma d. lgs. 152/2006 per abbandono incontrollato di rifiuti attinenti all’attività commerciale esercitata in un’area di pertinenza della società.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputata ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..
2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 192 cod. proc. pen. e al vizio motivazionale, che la Corte di Appello pur senza pronunciarsi sulla richiesta di acquisizione della comunicazione di recesso dal contratto di affitto di ramo di azienda sottoscritto tra la Merlo Trasporti s.n.c. e la Merlo Logistica s.r.l., aveva ciò nondimeno tenuto conto del suddetto documento che aveva, tuttavia, travisato. Nel riconoscere che la società di cui era formalmente amministratrice era stata affittuaria, giusta contratto stipulato il 16.12.2013 con la Merlo Trasporti s.n.c., del ramo di azienda comprendente il terreno oggetto della contestata discarica, sostiene tuttavia la ricorrente che, per effetto del recesso datato 18.2.2015 della società locatrice che aveva richiesto la restituzione dell’azienda essendo stata dichiarata fallita in data 23.12.204, la Merlo Logistica non aveva più la disponibilità dell’area suddetta da almeno un anno prima dell’eseguito sopralluogo; deduce pertanto che fosse venuto meno ogni obbligo di vigilanza e sorveglianza da parte propria, non più responsabile da allora di quanto avveniva sul terreno, che era rientrato nella disponibilità della Merlo Trasporti s.n.c..
2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 256 d. lgs. 152/2006 e al vizio motivazionale, la configurabilità di un deposito temporaneo, indebitamente escluso dalla Corte di Appello senza aver considerato il limite temporale di tre mesi che consente al produttore di accumulare una quantità illimitata di rifiuti da smaltire o recuperare entro detto termine, il cui superamento deve essere dimostrato dall’accusa che nella specie nulla aveva dedotto al riguardo.
2.3. Con il terzo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art.131 bis cod. pen. e al vizio motivazionale, che malgrado la richiesta articolata dalla difesa sia pure in estremo subordine relativa all’applicabilità della causa di non punibilità per la speciale tenuità del fatto in ragione sia della condotta dell’imputata accusata soltanto di omessa vigilanza, sia della sua condizione di incensuratezza, nessuna pronuncia fosse stata resa sul punto dalla Corte veneziana.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il primo motivo non può ritenersi ammissibile alla luce della genericità delle doglianze difensive che, nel reiterare le medesime censure già articolate nell’atto di appello, non si confrontano con le puntuali argomentazioni spese dai giudici distrettuali in ordine ai presupposti fondanti l’affermazione di responsabilità dell’imputata.
Va in primo luogo rilevato che non risulta affatto che la Corte lagunare abbia dato seguito alla richiesta di rinnovazione istruttoria formulata dalla difesa in ordine all’acquisizione della comunicazione di recesso del curatore della fallita Merlo Trasporti s.n.c. dal ramo di affitto di azienda, comprensivo dell’area in cui è stato rinvenuto, all’esito del sopralluogo della PG, l’ammasso di rifiuti depositati alla rinfusa sul suolo derivati sia dall’attività di trasporto svolta dalla società , quali copertoni, componenti di veicoli, ammortizzatori di autocarri, filtri dell’olio e via dicendo, unitamente a rottami dei generi più vari. E ciò per l’evidente ragione, scaturente, dal ragionamento successivamente sviluppato dalla sentenza impugnata, che trattavasi di documento del tutto irrilevante ai fini sia della configurabilità del reato che della responsabilità della prevenuta.
La circostanza che fosse stata richiesta la restituzione dell’area non significa affatto che la stessa fosse stata riconsegnata, come del resto escluso dalla deposizione del curatore della società Merlo Trasporti che pure aveva formalizzato, in quanto subentrato nella posizione dell’affittante, la comunicazione di recesso, e in ogni caso non comprovato da altre risultanze, risultando comunque il terreno, indipendentemente da un titolo che legittimasse la sua detenzione, nella disponibilità di fatto della società Merlo Logistica: che quest’ultima avesse o meno o titolo ad occupare l’area de qua è questione che non rileva ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 256 primo e secondo comma d. lgs. 152/2006 che si perfeziona per il fatto di raccogliere, trasportare, recuperare, smaltire e commerciare rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione, ed in cui conseguentemente rientra l’attività di accumulo ed abbandono dei rifiuti, reiteratamente sversati sull’area de qua ed altresì parzialmente smaltiti dando loro fuoco, come desunto dai residui in parte incombusti ed in parte al momento del sopralluogo ancora fumanti, rinvenuti all’interno di un cassone metallico, così come da chiazze nere presenti sul terreno, e dalle dichiarazioni testimoniali rese da un confinante che aveva personalmente più volte assistito nel corso dell’anno agli incendi appiccati nell’area a lui limitrofa. E che la suddetta attività fosse riconducibile alla Merlo Logistica emerge, stando alla coerente ed analitica ricostruzione del fatto effettuata dalla sentenza impugnata, dalle dichiarazioni di Moumen Abbes, operaio alle dipendenze di Roberto Merlo (che da legale rappresentante della fallita Merlo Trasporti era diventato l’effettivo amministratore di fatto della società formalmente amministrata dall’odierna ricorrente) che ha riferito come gli autisti fossero soliti gettare al ritorno dalle trasferte i rifiuti, e dalla presenza in loco al momento dell’accesso della PG dello stesso Roberto Merlo, la cui correità nel reato in contestazione risulta essere stata già accertata con autorità di giudicato per avere egli rinunciato all’appello inizialmente proposto avverso la pronuncia di primo grado.
A fronte di tale solido compendio probatorio, del tutto inconsistenti si rivelano le doglianze articolate dall’imputata che focalizza le proprie difese sull’asserita cessazione di un onere di vigilanza rientrante nelle incombenze dell’amministratore sull’area che, per effetto della sopravvenuta cessazione del contratto di affitto di azienda, sarebbe tornata nella detenzione dell’affittuaria.
La tesi, oltre ad essere smentita in fatto dalle acquisite risultanze probatorie, univocamente rivelatrici della protratta disponibilità del terreno da parte della Merlo Logistica, è errata in diritto posto che nell’obbligo di controllo incombente su chi riveste formalmente la carica di amministratore rientra anche quello, in materia ambientale, sull'operato dei dipendenti della società che abbiano posto in essere la condotta di abbandono di rifiuti indipendentemente dal luogo in cui si è consumata, così come di chi, gestendo in concreto la società, abbia assunto tale iniziativa in violazione delle norme che impongono l’osservanza di specifiche procedure per il loro smaltimento.
Si è infatti affermato che "in tema di rifiuti la responsabilità per l'attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell'azienda” (Sez. 3, n. 47432 del 5.11.2003). E ciò in base al principio generale secondo il quale il prestanome che, accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi, si espone comunque alle conseguenze dell'operato degli amministratori di fatto e dunque alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, in base alla posizione di garanzia di cui all'art. 2392 cod. civ., in forza della quale l'amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi.
2. Le doglianze articolate con il secondo motivo relative alla configurabilità di un deposito temporaneo devono ritenersi manifestamente infondate. E’ sufficiente al riguardo rilevare che ai fini della riconducibilità della condotta di deposito incontrollato di rifiuti a deposito temporaneo occorrono gli specifici requisiti richiesti dall’art. 183 bb) d. lgs. 152/2006, gravando sull’imputato, posto che il regime giuridico più favorevole invocato ha portata derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, l’onere di fornirne la relativa dimostrazione (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015 - dep. 08/07/2015, Favazzo e altro, Rv. 264121). E' agevole evidenziare che nel caso di specie non solo manca la suddivisione per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute, ma difetta, ancor prima, la condizione che preesiste, nelle intenzioni del legislatore, a tutte le altre, ovverosia che il raggruppamento dei rifiuti venga effettuato nel luogo di loro produzione, essendo incontestato che sull’area de qua si trovassero ammassati insieme ai rifiuti derivati dall’attività di autotrasporto effettuata dalla Merlo Logistica, scorie di ogni genere, dalle bottiglie di plastica ai componenti in disuso di vetture ed autocarri. Conseguentemente nessuna rilevanza riveste l’elemento temporale atteso che, sia che si trattasse di quantitativi inferiori ai 30 metri cubi sia che si trattasse di entità superiori, era comunque a carico della difesa l’onere dimostrare di non avere superato il limite temporale consentito per il loro raggruppamento prima della raccolta e dell’avvio alle operazioni di recupero o smaltimento.
3. Del pari inammissibile deve ritenersi il terzo motivo, dolendosi la ricorrente del mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto che tuttavia non ha mai richiesto, risultando dai verbali del procedimento celebrato innanzi ai giudici del gravame che l’unica istanza svolta in udienza al riguardo provenisse dalla difesa di Giannandrea Merlo.
Conseguentemente nessuna omissione motivazionale può essere addebitata alla Corte lagunare, tenuto conto che la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. ha natura personale, concorrendo alla sua configurabilità non soltanto l’indice requisito della particolare tenuità dell’offesa, ma altresì quello della non abitualità della condotta che, attenendo alla condizione soggettiva del suo autore, non si comunica agli altri concorrenti nel reato. Non possono pertanto essere rivolte a questa Corte, chiamata al controllo di legittimità della sentenza impugnata, doglianze su questioni che non risultano essere state preventivamente indirizzate al giudice di merito, tanto più ove involgano come nel caso di specie un apprezzamento di natura discrezionale, ostandovi il divieto generale previsto dall’art. 606, ult. comma cod. proc. pen. che preclude la devoluzione a questa Corte di questioni relative al vizio di violazione di legge non sottoposte alla cognizione del giudice di appello, venendo altrimenti meno la funzione del sindacato di legittimità cui è sotteso il presente giudizio.
4. Segue all’esito del ricorso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché quello, tenuto conto non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 17.12.2020