Cass. Sez. III n. 24988 del 2 settembre 2020 (CC 16 lug 2020)
Pres. Izzo Est. Reynaud Ric. Quercetti
Beni culturali.Reato di impossessamento illecito
Il reato di impossessamento illecito di beni culturali di cui all'art. 176 del D.Lgs. n. 42 del 2004 non richiede, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l'accertamento del cosiddetto interesse culturale, né che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la "culturalità" sia desumibile da caratteristiche oggettive del bene . Del resto, «le cose indicate nell’articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, se mobili…sono sottoposte alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2» (art. 12, comma 1, d.lgs. 42 del 2004, come modificato dall'art. 1, comma 175, lett. c, l. 4 agosto 2017, n. 124, che ha elevato il termine in precedenza fissato in cinquanta anni), vale a dire la verifica della sussistenza di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 4 febbraio 2020, il Tribunale di Ancona ha rigettato il riesame proposto dall’odierno ricorrente Paolo Quercetti avverso il decreto con cui il pubblico ministero aveva disposto il sequestro probatorio di una statua in marmo riproducente un’aquila, rinvenuta presso l’abitazione del suddetto, sottoposto ad indagine per il reato di cui all’art. 176, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Secondo la provvisoria imputazione, la statua, già facente parte del complesso monumentale ubicato ad Ancona e dedicato all’imperatore Traiano, inaugurato nel 1934 e successivamente smantellato, sarebbe identificabile come bene culturale ai sensi dell’art. 10 del citato decreto legislativo e apparterrebbe quindi allo Stato ai sensi del successivo art. 91 e Paolo Quercetti se ne sarebbe illecitamente impossessato.
2. Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore fiduciario l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con unico, articolato, motivo la violazione dell’art. 176, comma 1, d.lgs. 42 del 2004, per insussistenza dell’elemento oggettivo e del dolo alla luce delle modalità con cui egli venne in possesso della statua, avallate dalla stessa Procura della Repubblica allorquando, in altro procedimento, iscritto per il reato di ricettazione, ebbe a richiedere ed ottenere dal g.i.p. l’archiviazione. Il ricorrente allega di aver ereditato dal padre, deceduto nel 2012, la statua in questione, al genitore regalata da un amico imprenditore che, su incarico del comune di Ancona, negli anni ’70 aveva dragato il porto della città, ripescandola nel fondale unitamente ad altra identica. La statua, insieme alla seconda aquila in marmo e ad altre sculture, componeva l’opera monumentale, smantellata dal Comune di Ancona nel 1945 e gettata nel limitrofo mare «perché ritenuta di alcun interesse ed anzi evocativa di un periodo da “cancellare”», essendo stata donata alla città da Benito Mussolini e inaugurata nel 1934. Difetterebbe, dunque, il fumus del reato ipotizzato, sia quanto alla condotta di “impossessamento” – non configurabile – sia quanto al dolo, essendo Paolo Quercetti certamente in buona fede, come peraltro ipotizzato dallo stesso Tribunale del riesame.
2.1. L’ordinanza impugnata – secondo il ricorrente – è del pari illegittima nella parte in cui, prospettando la buona fede dell’indagato e l’assenza del reato, sostiene che la statua non potrebbe in ogni caso essergli restituita perché appartenente al patrimonio indisponibile del Comune di Ancona.
Al proposito il ricorrente rileva che:
• se non v’è fumus del reato è comunque illegittimo il sequestro probatorio;
• essendo mancata la verifica dell’interesse culturale dell’opera, ex artt. 12, 13 e 14 d.lgs. 42 del 2004, la statua non può considerarsi “bene culturale” ai sensi del precedente art. 10, sicché, al di là della non configurabilità del reato ipotizzato anche per questa ragione, non può essere ritenuta appartenente al Comune;
• il Comune di Ancona, del resto, se ne era disfatto nel 1945, sicché, a seguito di tale rinuncia abdicativa, la statua era divenuta res nullius ed al momento del suo ritrovamento in fondo al mare, nel 1970, essa non era assoggettata al regime dell’allora vigente l. n. 1089 del 1939 in quanto non ancora decorsi 50 anni dalla sua esecuzione;
• neppure sarebbero applicabili gli artt. 826 e 822 cod. civ., non essendo bene appartenente al patrimonio artistico nazionale né bene mobile, e tanto meno l’art. 511 cod. nav., non trattandosi di cosa recuperata da parte di una nave.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso che il procedimento è stato trattato benché, in violazione dei termini previsti dall’art. 83, comma 12-ter, d.l. n. 18/2020, conv., con modiff., dalla l. n. 27/2020, il Procuratore generale abbia trasmesso le sue richieste scritte alla cancelleria di questa Corte soltanto il giorno precedente a quello dell’udienza fissata, con conseguente, tardiva, comunicazione delle stesse, effettuata lo stesso giorno a mezzo p.e.c., alla difesa del ricorrente. Avendo il difensore del ricorrente a sua volta concluso, con memoria, senza alcunché contestare in ordine al mancato rispetto dei termini previsti dalla citata disposizione, così rinunciando ad eccepire la nullità ed accettando gli effetti dell’atto, avvalendosi peraltro delle facoltà al cui esercizio la pur tardiva trasmissione era preordinata, la relativa nullità a regime intermedio, riconducibile al novero di quelle di cui all’art. 178, lett. c, cod. proc. pen., è stata sanata ai sensi dell’art. 183 cod. proc. pen.
2. L’ordinanza impugnata ha respinto il riesame, negando la restituzione del bene sequestrato, per due, alternative, ragioni: la necessità di effettuare accertamenti ai fini di chiarire la sussistenza del reato ipotizzato; l’assenza di legittimazione ad ottenerne la restituzione in capo a Paolo Quercetti, trattandosi di bene appartenente al patrimonio indisponibile del Comune di Ancona.
3. Con riguardo al primo profilo, in ricorso si lamenta soltanto l’insussistenza del fumus commissi delicti sulla base della ricostruzione operata circa i tempi e le modalità con cui l’indagato sarebbe venuto in possesso della statua. L’ordinanza impugnata, tuttavia, pur riconoscendo che detta ricostruzione è stata avallata dalla Procura della Repubblica nel distinto procedimento penale aperto per ricettazione ed allo stato conclusosi con provvedimento di archiviazione, osserva che trattasi di ricostruzione non corroborata da oggettivi elementi di prova e che risulterebbe contestata dalle dichiarazioni rese da tali Di Matteo e Sparapani, rispettivamente – si legge in ricorso – storico dell’arte locale e autore di una monografia e funzionario addetto all’Assessorato alla cultura del Comune di Ancona. Secondo l’ordinanza, il mantenimento del bene in sequestro sarebbe necessario anche per accertare i profili in questione.
Il ricorrente non si duole specificamente della ritenuta necessità del sequestro ai fini di prova nell’ottica da ultimo delineata, ma censura l’assunto del giudice di merito, sostenendo che i testimoni indicati non avrebbero in alcun modo “contestato” la ricostruzione della vicenda sostenuta dall’indagato, essendosi limitati a sostenere che la statua era effettivamente proveniente dal complesso monumentale sopra indicato.
Tale doglianza, tuttavia, attinendo alla logicità della motivazione – per travisamento della prova – non può costituire motivo di ricorso per cassazione nella presente fase cautelare, giusta il consolidato principio secondo cui, in forza dell’art. 325 cod. proc. pen., essendo il ricorso per cassazione ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 251616) ed essendo quindi deducibile soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell'art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119), il giudice di legittimità non può procedere ad un penetrante vaglio sulla motivazione addotta nel provvedimento impugnato (v. già Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692, secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice).
4. Poiché, pertanto, l’argomentazione di cui si è detto è sufficiente a giustificare il mantenimento del sequestro probatorio sulla statua e rivela l’infondatezza delle doglianze sulla sussistenza del fumus commissi delicti proposte in ricorso – in quanto basate su una ricostruzione della vicenda che il giudice della cautela reputa non certa, contestata e da verificare – le ulteriori doglianze sull’alternativa ratio decidendi addotta nell’ordinanza impugnata circa il difetto di legittimazione del ricorrente ad ottenere in restituzione il bene sono generiche e vanno ritenute inammissibili.
Ed invero, questa Corte ha ripetutamente affermato il difetto di specificità, con violazione dell’art. 581 cod. proc. pen., del ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448; Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, Melis e Bimonte, non massimata) e, sotto altro angolo visuale, negli stessi casi, il difetto di concreto interesse ad impugnare, in quanto l'eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all’accoglimento del ricorso (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Koci, Rv. 254506).
5. Ci si limita soltanto ad osservare – con particolare riguardo al fatto che difetterebbe comunque il fumus commissi delicti, poiché, in assenza della verifica dell’interesse culturale, la statua non potrebbe ritenersi tutelata ai sensi dell’art. 10 d.lgs. 42 del 2004 – che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il reato di impossessamento illecito di beni culturali di cui all'art. 176 del D.Lgs. n. 42 del 2004 non richiede, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l'accertamento del cosiddetto interesse culturale, né che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la "culturalità" sia desumibile da caratteristiche oggettive del bene (Sez. 2, n. 36111 del 18/07/2014, Medda, Rv. 260366; Sez. 3, n. 24344 del 15/05/2014, Rapisarda, Rv. 259305; Sez. 3, n. 41070 del 07/07/2011, Saccome e a., Rv. 251295). Del resto, «le cose indicate nall’articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, se mobili…sono sottoposte alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2» (art. 12, comma 1, d.lgs. 42 del 2004, come modificato dall'art. 1, comma 175, lett. c, l. 4 agosto 2017, n. 124, che ha elevato il termine in precedenza fissato in cinquanta anni), vale a dire la verifica della sussistenza di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.
Posto che alla data dell’accertamento del reato, secondo la ricostruzione del Tribunale, sussistevano i requisiti indicati dalla citata disposizione per ritenere, quantomeno a livello di fumus, che la statua sia ex lege da qualificarsi come bene culturale già appartenente al Comune di Ancona – vale a dire l’essere l’opera risalente ad oltre cinquanta anni prima (1934), attribuibile ad artista defunto (lo scultore Mentore Maltoni) e donata, appunto al Comune di Ancona – in difetto di verifica della correttezza della ricostruzione circa le modalità ed i tempi con cui l’indagato ne sarebbe venuto in possesso non si può allo stato escludere il fumus del contestato reato di cui all’art. 176, comma 1, del codice dei beni culturali e del paesaggio. Del resto, il reato di impossessamento illecito di beni culturali è configurabile anche laddove questi siano stati rinvenuti da persona diversa dall'autore dell'impossessamento (Sez. 3, n. 33977 del 22/06/2010, Bertasi, Rv. 248222), sicché è imprescindibile il rigoroso accertamento delle effettive modalità e dei tempi con cui l’indagato e i suoi danti causa sono venuti in possesso del bene.
La previsione incriminatrice, del resto, riproduce il disposto di cui all’art. 125 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, che, a sua volta, si poneva in linea di continuità con l’art. 67 l. 1 giugno 1939 n. 1089 (per quest’ultima affermazione, v. Sez. 3, n. 47922 del 25/11/2003, Petroni, Rv. 226869), sicché l’impossessamento di “cose di antichità e d’arte, rinvenute fortuitamente” (così l’art. 67, primo comma, l. 1089/1939) costituisce da tempo reato.
6. Il ricorso, complessivamente infondato, va pertanto rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 luglio 2020.