Consiglio di Stato Sez. V n. n. 4466 del 23 settembre 2015,
Rifiuti. Obbligo di bonifica e principi comunitari

La Sezione ritiene che - quando una disposizione di legge consenta o imponga ad una amministrazione pubblica di effettuare  lavori di disinquinamento o di bonifica, su un sito il cui  inquinamento è ad altri imputabile – ovviamente continua a rilevare la  disciplina di carattere generale sulla responsabilità di chi abbia inquinato.Ogni diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con il principio  europeo «/chi inquina paga/» (ribadito dall’art. 3/ter/, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006) e comporterebbe – oltre ad un  aiuto di Stato, consentito solo in presenza dei relativi presupposti - serissimi dubbi di costituzionalità della relativa normativa, poiché  la vanificazione dell’obbligo di bonifica – in capo al responsabile – in linea di principio risulterebbe priva di base razionale (segnalazione e massima Avv. M. BALLETTA)

N. 04466/2015REG.PROV.COLL.

N. 01326/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1326 del 2015, proposto dal Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari e Anna Pulcini, con domicilio eletto presso il signor Nicola Laurenti in Roma, via Francesco Denza, n. 50/A; 

contro

La s.p.a. Fintecna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Ennio Magrì, Fabio Lorenzoni e Claudio Varrone, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ennio Magrì in Roma, via Guido d'Arezzo, n. 18; 
il Ministero dell'Interno, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, in persona dei Ministri pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 
l’Autorità Portuale di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Renato Spadaro e Massimiliano Scaringella, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Massimiliano Scaringella in Roma, via Costantino Morin, n. 1; 

nei confronti di

La s.p.a. Fallimento Bagnoli Futura, in liquidazione; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Campania, Sede di Napoli, Sez. V, n. 679/2015, resa tra le parti, concernente la messa in sicurezza dell'arenile di Coroglio-Bagnoli;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della s.p.a. Fintecna, del Ministero dell'Interno, del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e della Autorità Portuale di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Anna Pulcini, Ennio Magrì, Fabio Lorenzoni, Renato Spadaro, Massimiliano Scaringella;

Designati il Presidente e il relatore come coestensori della sentenza nella sua integralità;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso di primo grado n. 6185 del 2013 (proposto al TAR per la Campania), la s.p.a. Fintecna ha impugnato l'ordinanza contingibile ed urgente n. 1 del 3 dicembre 2013 (PG/2013/914058), con cui il Sindaco di Napoli – ai sensi degli articoli 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 - ha ordinato alla medesima società di presentare, entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento, un progetto per la rimozione integrale della colmata realizzata dalla s.p.a. Italsider negli anni 1962-1964 sull’arenile di Coroglio-Bagnoli e di realizzare il progetto, ai fini della messa in sicurezza dei luoghi.

2. Con la sentenza n. 679 del 2015, il TAR:

- ha respinto l’istanza di estromissione dal giudizio, formulata dal Ministero dell’Ambiente;

- ha dichiarato l’inammissibilità dell’atto di intervento depositato dal fallimento della s.p.a. Bagnoli Futura, in quanto non notificato alle parti del giudizio, come invece previsto dall’art. 50, comma 2, del c.p.a.;

- ha rilevato la tardività del deposito dei documenti depositati dalla s.p.a. Fintecna in data 24 ottobre 2014;

- ha accolto il secondo motivo di ricorso, ritenendo che in base al vigente quadro normativo (e, in particolare, all’art. 114 della legge n. 388 del 2000) vi sarebbe stata la «traslazione legale» dell’obbligo di effettuare la bonifica a carico dello stesso Comune Napoli, in quanto subentrato nella titolarità delle aree e dei finanziamenti, con la conseguente applicazione del principio «cuius commoda, eiusque incommoda»;

- ha «assorbito», e dunque non esaminato, gli altri motivi formulati col ricorso introduttivo.

3. Con l’appello in esame, il Comune di Napoli ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto.

Col primo motivo, l’Amministrazione appellante ha dedotto che la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente ricostruito l’ambito di applicazione del provvedimento impugnato in primo grado e sarebbe affetta anche da un vizio di ultrapetizione.

Ad avviso del Comune, l’art. 114, comma 19, della legge n. 388 del 2000 - nel prevedere la sua possibilità di acquisto delle aree della «terraferma» da bonificare – non avrebbe preso in considerazione anche il sito di realizzazione della «colmata» (cioè l’area sulla quale la società Italsider nel corso degli anni sessanta aveva colmato lo specchio d’acqua per creare maggiori spazi operativi per le proprie attività industriali): ciò sarebbe dimostrato dal fatto che l’area della «colmata» è di proprietà dell’Autorità Portuale di Napoli, tanto che la stessa società appellata aveva individuato proprio in tale l’Autorità il soggetto obbligato alla sua rimozione.

L’Amministrazione appellante ha inoltre rilevato che:

- nel corso del tempo sono stati conclusi accordi di programma (in data 17 luglio 2003 e 21 dicembre 2007), i cui effetti si devono intendere caducati non per propria responsabilità, ma perché le opere previste non sono state realizzate dal Provveditorato delle opere pubbliche per la mancanza di risorse finanziarie:

- sarebbe comunque erronea la statuizione con cui il TAR ha affermato che l’art. 114, comma 18, della legge n. 388 del 2000 avrebbe comportato la «traslazione degli obblighi di bonifica» in capo al Comune;

- quanto alla clausola di manleva, inserita a carico della s.p.a. Bagnoli Futura (cui è succeduto il Comune) nell’accordo transattivo stipulato il 13 marzo 2006, essa evidenzierebbe che l’art. 114, comma 18, della legge n. 388 del 2000 non ha previsto la «traslazione legale» rilevata dal TAR;

- l’art. 1, comma 14, del d.l. n. 486 del 1996 (convertito nella legge n. 582 del 1996) si è ispirato al principio «chi inquina paga» e ha mantenuto ferma la regola per cui l’obbligo di ripristino grava sul soggetto che ha realizzato la «colmata», sulla quale non ha inciso il medesimo art. 114, comma 18;

- in ogni caso, l’«accollo convenzionale» dell’obbligo di ripristino, stipulato nel 2002 tra la s.p.a. Bagnoli Futura ed il Comune, sarebbe nullo per violazione di norma imperativa o per impossibilità assoluta dell’oggetto ed il TAR avrebbe dovuto rilevarlo incidentalmente ex art. 8 del c.p.a.;

- sarebbe altresì errata l’affermazione del TAR in ordine all’irretroattività del principio espresso dall’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 1997, poiché l’illecito ambientale ha natura permanente, in coerenza col principio di derivazione comunitaria «chi inquina paga».

4. In data 13 marzo 2015, si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Ambiente ed il Ministero dell’Interno.

5. In data 17 marzo 2015, la s.p.a. Fintecna ha depositato un appello incidentale, col quale:

- ha chiesto che sia rilevata la tempestività del deposito documentale del 24 ottobre 2014 (nel rispetto dei termini, in quanto l’udienza di discussione in primo grado vi è stata il 4 dicembre 2014);

- ha rilevato che la s.p.a. Italsider era sottoposta al «controllo» dell’IRI e - per il tramite di questo –ai poteri di indirizzo e di vigilanza del Ministro delle partecipazioni statali, del CIPE e del CIPI, come dimostrerebbe la scelta negli anni ottanta di rifinanziamento del polo siderurgico di Bagnoli;

- ha dedotto che l’attività produttiva svolta nel settore dalle società partecipate si collocava nell’ambito della programmazione del C.I.P.I., la quale era sottoposta a sua volta al controllo del Parlamento per il tramite della legge finanziaria, sicché la responsabilità dell’inquinamento delle aree interessate dall’attività produttiva dovrebbe imputarsi allo «Stato azionista» ed in particolare alle scelte programmatiche effettuate dal C.I.P.E. e dal C.I.P.I. e condivise dal Parlamento;

- ha rilevato che la legge n. 582 del 1996 avrebbe dunque individuato un soggetto attuatore del risanamento, con lo stanziamento di risorse pubbliche per il ripristino dell’habitat naturale, con la conseguente «scissione» tra il soggetto imputato del danno e il soggetto (l’I.R.I.) onerato del ripristino.

La società Fitecna ha inoltre dedotto che:

- il provvedimento emanato dal Comune di Napoli si sarebbe posto in contrasto con il quadro normativo così inteso, da riaffermare a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 388 del 2000, che avrebbe individuato nel Comune di Napoli il soggetto obbligato, abrogando contestualmente l’art. 1, comma 1, 3-13, e 15, della legge n. 582 del 1996;

-in linea di continuità si porrebbe, da ultimo, la legge n. 164 del 2014, che avrebbe imposto l’effettuazione delle relative incombenze ad un commissario straordinario nominato della Presidenza del Consiglio dei Ministri, proprio perché ci si troverebbe in presenza di un «danno da attività legittima imputabile allo Stato»;

- indipendentemente dall’acquisto in proprietà delle aree oggetto di bonifica, spetterebbe al Comune di Napoli lo svolgimento di tali attività nella qualità di soggetto succeduto alla s.p.a. Bagnoli Futura;

- la responsabilità riferibile originariamente allo Stato si desumerebbe anche dal fatto che la «colmata a mare» appartiene al demanio marittimo, poiché il progetto è stato realizzato su beni demaniali, dopo la sua dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, disposta in applicazione del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato n. 1598 del 1947;

- si dovrebbe inoltre dare rilievo al fatto che, pur a seguito della entrata in vigore dell’art. 1, comma 14, della legge n. 486 del 1996, le Amministrazioni statali non hanno chiesto al concessionario la rimozione delle opere, al momento della riconsegna;

- nel 2003 l’area oggetto della colmata è stata ritrasferita all’Autorità portuale, che ha anche assunto l’obbligo di rimuovere la colmata;

- non sussisterebbe l’ipotizzata nullità della clausola contenuta nell’atto transattivo del 13 marzo 2006 (sull’«accollo» dell’obbligo di rimuovere la «colmata» da parte del Comune), non solo perché la s.p.a. Bagnoli Futura è stata parte del contratto nella duplice veste di proprietaria delle aree e di soggetto preposto alla bonifica, ma anche perché sulla validità della clausola si sarebbe già espresso il Tribunale civile di Napoli con ordinanza del 29 settembre 2014, che avrebbe altresì accertato il trasferimento della «funzione di ripristino» in capo al Comune di Napoli, il trasferimento della titolarità della «colmata» al demanio marittimo e l’inapplicabilità del principio «chi inquina paga» ratione temporis;

- neppure l’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 14 della legge n. 582 del 1996 sarebbe applicabile, sia perché il 31 dicembre 2000 sarebbero scaduti i vari atti di concessione, sia perché il 5 maggio 2003 la s.p.a. Fintecna avrebbe consegnato all’Autorità portuale l’area (e del resto il concedente non avrebbe tempestivamente esercitato il «diritto di ripristino», mentre gli impegni assunti dal concessionario sarebbero relativi soltanto alla rimozione di due scaricatori dai pontili ed al pagamento di canoni arretrati);

- non si applicherebbe l’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 1997, poiché non sarebbe nella specie configurabile un «concessionario» (essendo scaduta la concessione già nel 2000 con la restituzione dell’area nel 2003);

- in ragione dei vari mutamenti normativi, l’unico soggetto obbligato alla bonifica sarebbe proprio il Comune di Napoli, che non a caso avrebbe predisposto un piano di bonifica del SIN, come si evincerebbe anche dalla documentazione prodotta in giudizio che porrebbe in luce proprio le iniziative intraprese dallo stesso Comune.

Infine, l’appellante incidentale ha riproposto i motivi non esaminati in primo grado ed ha contestato la statuizione con cui il TAR ha compensato le spese del giudizio.

6. In data 19 marzo 2015, si è costituita in giudizio l’Autorità Portuale di Napoli, la quale ha chiesto l’accoglimento dell’appello principale.

7. Con memoria dell’11 giugno 2015, la s.p.a. Fintecna ha insistito nelle proprie conclusioni.

8. Con memoria del 15 giugno 2015, il Ministero dell’Interno ed il Ministero dell’Ambiente hanno dedotto che il Ministero dell’Interno sarebbe estraneo alla controversia e dovrebbe essere estromesso.

Il Ministero dell’Ambiente, invece, ha dedotto che il presente giudizio – pur riguardando i lavori di ripristino e di bonifica che il Comune di Napoli ritiene tuttora necessari per preminenti esigenze sanitarie – non attiene all’ambito di applicazione dell’art. 114, commi da 17 a 21, della legge n. 388 del 2000, né incide sui procedimenti attivati, sui provvedimenti adottati e sull’attività di vigilanza svolta dal Ministero in attuazione delle medesime disposizioni di legge, ma riguarda esclusivamente il provvedimento adottato dal Comune di Napoli per esigenze di natura sanitaria, ai sensi dell’art. 50, commi 4 e 5, del descreto legislativo n. 267 del 2000, e non può essere estesa – per affinità di materia, di funzioni o di scopi – ad atti che hanno presupposti normativi e percorsi procedimentali del tutto diversi.

Il Ministero dell’Ambiente ha altresì chiesto che sia accolto l’appello principale, proposto dal Comune di Napoli.

9. Con memoria di replica del 23 giugno 2015, l’appellante incidentale ha dedotto che le considerazioni svolte avverso la sentenza dal Ministero dell’Ambiente e dall’Autorità Portuale di Napoli sarebbero inammissibili, perché non introdotte con un appello notificato secondo le regole generali.

10. Così ricostruite le vicende che hanno condotto alla presente fase del giudizio, rileva la Sezione che in questa sede il thema decidendi è delimitato dalle questioni sollevate con l’appello principale e con l’appello incidentale.

Non può essere invece esaminata la domanda con cui il Ministero dell’Interno ha chiesto la sua estromissione, poiché sul punto l’Amministrazione statale non ha proposto un proprio atto d’appello.

11. Nel passare all’esame dell’appello principale, occorre esaminare la questione che ha un rilievo centrale nel presente giudizio, e cioè quella riguardante la sussistenza o meno dell’obbligo in capo alla s.p.a. Fintecna di disporre la bonifica dell’area ove a suo tempo la s.p.a. Italsider realizzò la «colmata» sull’arenile di Bagnoli-Coroglio:

- il Comune di Napoli, con il provvedimento impugnato in primo grado, ha ritenuto che la medesima s.p.a. Fintecna vada considerata obbligata, quale avente causa della società che a suo tempo ha realizzato la «colmata»;

- con la sentenza impugnata, il TAR per la Campania ha invece affermato che – in ragione del complessivo quadro normativo succedutosi nel corso dell’ultimo ventennio – il soggetto obbligato ad effettuare la bonifica sia lo stesso Comune di Napoli, vale a dire proprio l’autorità che ha emanato l’atto impugnato.

12. Ritiene al riguardo la Sezione che siano fondate tutte le censure rivolte dal Comune di Napoli avverso l’impugnata sentenza del TAR.

13. Con riferimento alle deduzioni del Comune, secondo cui il TAR avrebbe erroneamente assimilato la disciplina delle aree della «terraferma» a quella dell’area della «colmata», va rilevato che sia il d.l. n. 486 del 1996 (convertito nella legge n. 582 del 1996) che la legislazione successiva hanno nettamente distinto la disciplina delle «aree di sedime» degli stabilimenti industriali da quella riguardante la «colmata» (che è lo specifico oggetto del provvedimento impugnato in primo grado).

13.1. Quanto alle «aree di sedime» degli stabilimenti industriali (in origine realizzati sulla «terraferma»), l’art. 1 del d.l. n. 486 del 1996 (convertito nella legge n. 582 del 1996) aveva disposto che «l'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), direttamente o per il tramite di societa' partecipate e quando occorra di societa' specializzate, provvede al risanamento ambientale dei sedimi industriali interessati da stabilimenti di società del Gruppo e dall'ex Eternit, sulla base del progetto del "Piano di recupero ambientale - Progetto delle operazioni tecniche di bonifica dei siti industriali dismessi nella zona ad elevato rischio ambientale dell'area di crisi produttiva ed occupazionale di Bagnoli" di cui alle delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica del 13 aprile 1994 e del 20 dicembre 1994, pubblicate, rispettivamente, nelle Gazzette Ufficiali n. 184 dell'8 agosto 1994 e n. 46 del 24 febbraio 1995, e sulla base dello specifico piano di risanamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente in data 21 dicembre 1995, predisposto secondo le prescrizioni tecniche per l'attuazione del progetto del Ministero dell'ambiente approvate con decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 1995, di cui al comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 272 del 21 novembre 1995. Il risanamento ambientale di cui al presente comma comprende le operazioni di smantellamento e di rimozione, le demolizioni e le rottamazioni, nonche' la bonifica delle aree dalla presenza di inquinanti fino alla profondità interessata dalla contaminazione; i valori da esso risultanti dovranno corrispondere a quelli delle aree non inquinate circostanti il sito con analoghe caratteristiche geologiche e pedologiche».

Le relative disposizioni del sopra richiamato art. 1 sono state incise dall’art. 114 della legge n. 388 del 2000, del quale:

- il comma 17 ha disposto che «con decreto del Ministro dell'ambiente, emanato di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e' approvato, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le competenti Commissioni parlamentari, il piano di completamento della bonifica e del recupero ambientale dell'area industriale di Bagnoli. Il piano è predisposto, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal soggetto attuatore previsto dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 20 settembre 1996, n. 486, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 novembre 1996, n. 582, sulla base e nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti relativi all'area interessata e comprende il completamento delle azioni gia' previste dal citato articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 486 del 1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 582 del 1996, nonché la conservazione degli elementi di archeologia industriale previsti dagli ultimi due periodi del predetto articolo 1, comma 1, introdotti dall'articolo 31, comma 43, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. Al piano, che fissa un termine per la conclusione dei lavori finanziati, sono allegati una relazione tecnico-economica sullo stato degli interventi gia' realizzati ed un cronoprogramma relativo alla esecuzione dei lavori futuri, nonche' un motivato parere del comune di Napoli. A tale fine e' autorizzata la spesa di lire 50.000 milioni per ciascuno degli anni 2001-2003»;

- il comma 18 ha abrogato «i commi 1, da 3 a 13 e 15 dell'articolo 1 del citato decreto-legge n. 486 del 1996, convertito, con modificazioni, alla legge n. 582 del 1996»;

- il comma 19 ha tra l’altro previsto che «la funzione di vigilanza e controllo sulla corretta e tempestiva attuazione del piano di recupero di Bagnoli è attribuita al Ministero dell'ambiente, il quale, in caso di inosservanza delle prescrizioni e dei tempi stabiliti nel piano stesso, può, previa diffida a conformarsi alle previsioni entro congruo termine, disporre l'affidamento a terzi per l'esecuzione dei lavori in danno, ai sensi dell'articolo 17, commi 2, 9, 10 e 11, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni…. In considerazione del pubblico interesse alla bonifica, al recupero ed alla valorizzazione dell'area di Bagnoli, e' attribuita facoltà al comune di Napoli, entro il 31 dicembre 2001, di acquisire la proprietà delle aree oggetto degli interventi di bonifica anche attraverso una società di trasformazione urbana… Il comune di Napoli, a seguito del trasferimento di proprietà, subentra nelle attività di bonifica attualmente gestite dalla società Bagnoli spa con il trasferimento dei contratti in essere, dei finanziamenti specifici ad essi riferiti e di quelli non ancora utilizzati, ivi compresi i finanziamenti per il completamento della bonifica, gli affidamenti dei lavori».

Il comma 19 ha per oggetto le «aree di sedime» degli stabilimenti industriali ed ha altresì comportato nella sua parte finale che – in ragione della determinazione di un prezzo di cessione «ridotto», che ha tenuto conto anche dei costi delle attività di bonifica – il Comune di Napoli unitamente alla qualità di proprietario delle aree sia subentrato anche nell’obbligo di effettuare le relative attività di bonifica.

13.2. Ben diversa è stata ed è la normativa riguardante la «colmata» (oggetto del provvedimento impugnato in primo grado).

Per questa, l’art. 1, al penultimo periodo del comma 14, del d.l. n. 486 del 1996 (convertito nella legge n. 582 del 1996), ha previsto che «gli interventi di ripristino, ove previsti dalla concessione demaniale relativa all’arenile e all’area marina, sono a carico dei relativi concessionari».

Il comma 14 dell’art. 1 non è stato abrogato dalla legge n. 388 del 2000 (tanto meno dall’art. 114, comma 18), proprio in ragione del particolare regime giuridico del bene demaniale, oggetto della concessione, sul quale è stata a suo tempo effettuata la «colmata».

Pertanto, le aree in questione (riconsegnate in data 5 maggio 2003 all’Autorità portuale di Napoli) non potevano essere acquistate (e non sono state acquistate) dal Comune di Napoli: queste aree – riguardando l’originario specchio acqueo destinato a ridiventare tale – continuano ad essere soggette alla relativa disciplina, sulla sussistenza dell’obbligo della rimozione a carico del concessionario.

13.3. Risultano pertanto fondate le censure formulate dal Comune di Napoli, circa l’erronea applicazione – da parte del TAR - dell’art. 114, comma 19, della legge n. 388 del 2000, oltre che sulla sussistenza di un vizio di extrapetizione della sentenza appellata.

Infatti, le disposizioni riguardanti l’acquisto da parte del Comune delle aree da bonificare della «terraferma» (cioè di quelle ove erano stati realizzati gli stabilimenti industriali) non si applicano alla «colmata», avente un regime giuridico del tutto diverso e del quale – in ragione della sua natura demaniale per la sua riconducibilità allo specchio d’acqua da ripristinare – è divenuta titolare l’Autorità Portuale di Napoli.

Contrariamente a quanto rilevato dal TAR, l’art. 114, comma 18, della legge n. 388 del 2000 non ha dunque comportato la «traslazione degli obblighi di bonifica» in capo al Comune, dovendosi distinguere la posizione del concessionario, tenuto a rimuovere la colmata e a bonificare l’area, da quella delle società a suo tempo proprietarie delle aree interessate dagli stabilimenti industriali.

Risultano pertanto erronei i presupposti interpretativi, posti a base della sentenza appellata.

14. Risultano altresì fondate tutte le censure del Comune di Napoli riguardanti:

a) gli accordi di programma conclusi in data 17 luglio 2003 e 21 dicembre 2007 e l’«accollo convenzionale» dell’obbligo di ripristino, stipulato nel 2002 tra la s.p.a. Bagnoli Futura ed il Comune;

b) l’art. 1, comma 14, del decreto legge n. 486 del 1996 (convertito nella legge n. 582 del 1996);

c) l’ambito di applicazione dell’art. 17, comma 2, del d.lg. n. 22 del 1997;

14.1. Per ragioni di ordine logico, vanno esaminati con priorità il rilievo e l’ambito di applicazione dell’art. 17, comma 2, del d.lg. n. 22 del 1997.

Quanto al suo rilievo, si deve ritenere che l’art. 1, comma 14 del decreto legge n. 484 del 1996 (convertito nella legge n. 582 del 1996), contiene disposizioni speciali rispetto alla normativa generale sulle bonifiche: esso ha preso in considerazione proprio quanto accaduto nel corso del tempo in relazione alla «colmata», riaffermando la sussistenza di un obbligo di rimozione (pur discendente dall’originario rapporto concessorio, che condusse alla trasformazione dello specchio acqueo).

Non ha rilievo decisivo, dunque, riaffermare che anche sulla base di altre disposizioni il concessionario è tenuto alla rimozione della «colmata» ed alla bonifica.

Peraltro, quanto al suo ambito, il sopra richiamato art. 17, comma 2, ha comunque un ulteriore autonomo rilievo, riaffermando in termini generali che gli obblighi di bonifica riguardano anche le situazioni e le attività riferibili al periodo antecedente alla sua entrata in vigore.

L’art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 non solo ha previsto gli strumenti normativi tali da condurre alla bonifica dei siti inquinati dopo la sua entrata in vigore, ma ha inteso affrontare anche le situazioni verificatesi in precedenza (come si evince con chiarezza anche dall’art. 114, comma 7, della legge n. 388 del 2000, che ha previsto – in presenza di determinati presupposti - una causa di non punibilità per chi avesse commesso l’inquinamento prima dell’entrata in vigore del medesimo art. 17).

Non si tratta dunque di una applicazione retroattiva delle sue disposizioni (che peraltro il legislatore ben avrebbe potuto disporre, in ragione degli interessi primari della tutela dell’ambiente e della salute), ma di una applicazione delle sue disposizioni alle situazioni accertate dopo la sua entrata in vigore.

Sotto tale profilo, quanto agli aspetti amministrativi (per le eventuali conseguenze penali, cfr. Cass. Pen., Sez. I, 19 novembre 2014/23 febbraio 2015, n. 7941), l’illecito ambientale, in coerenza col principio «chi inquina paga», può essere qualificato come illecito di natura permanente, poiché l’evento – la compromissione dell’ambiente - continua a sussistere fin quando viene meno l’inquinamento.

14.2. Quanto agli accordi di programma conclusi in data 17 luglio 2003 e 21 dicembre 2007 e l’«accollo convenzionale» dell’obbligo di ripristino, stipulato nel 2002 tra la s.p.a. Bagnoli Futura ed il Comune, in rapporto all’art. 1, comma 14, del decreto legge n. 486 del 1996 (convertito nella legge n. 582 del 1996), risulta dagli atti che:

- con decreto del 31 luglio 2003 il Ministero dell’Ambiente, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, ha approvato il piano di bonifica presentato dalla s.p.a. Bagnoli Futura, in base al quale l’Autorità Portuale di Napoli ha assunto l’obbligo di rimuovere e di smaltire la colmata a mare e di provvedere al trattamento e al trasporto dei relativi materiali di risulta;

- con la transazione del 13 marzo 2006, la s.p.a. Bagnoli Futura ha assunto l’obbligo di manlevare «tutte le società che tempo per tempo sono state concessionarie delle aree demaniali marittime sulle quali sono state realizzate la ‘colmata a mare’ e i ‘pontili’, da ogni responsabilità conseguente alla mancata rimozione sia della stessa colmatache dei medesimi pontili, da parte di tutte le società che sono state tempo per tempo concessionarie, assumendo a proprio carico gli oneri conseguenti all’ipotesi che tali rimozioni non fossero eseguite dall’Autorità Portuale. La manleva si estende anche al caso in cui a tanto provvedesse il Commissario di Governo o qualsivoglia altro soggetto e che si rivalessero successivamente su tutte le società che tempo per tempo ne hanno detenuto la concessione».

Ritiene al riguardo la Sezione che:

a) il perdurante vigore dell’art. 1, comma 14, del decreto legge n. 486 del 1996 (convertito nella legge n. 582 del 1996), che si è ispirato al principio «chi inquina paga» e sul quale non ha inciso l’art. 114, comma 18, della legge n. 388 del 2000), comporta che gli obblighi di ripristino continuino a ricadere sul concessionario;

b) il decreto del 31 luglio 2003, non potendo incidere sulle disposizioni del medesimo comma 14, va inteso nel senso che l’attribuzione all’Autorità Portuale dell’obbligo di rimuovere e di smaltire la «colmata», e di provvedere al trattamento e al trasporto dei materiali, ha comportato un concorrente suo obbligo rispetto a quello sancito ex legein capo al concessionario, ferma restando la regola generale per la quale – nel caso di anticipazione di esborsi economici in luogo del soggetto obbligato ex lege – sarebbe stato possibile agire nei suoi confronti;

c) quanto all’«accollo convenzionale» dell’obbligo di ripristino, di cui alla clausola della transazione stipulata nel 2006 tra la s.p.a. Bagnoli Futura ed il Comune, non sono rilevanti in questa sede le statuizioni dell’ordinanza del Tribunale civile di Napoli del 29 settembre 2014 sulla sua validità, poiché oggetto del presente giudizio è il provvedimento che ha identificato il soggetto tenuto ad effettuare i lavori di bonifica e comunque le medesime statuizioni non sono riferibili ad un giudicato (sicché in questa sede in via incidentale si può anche valutare la validità della medesima clausola).

Al riguardo, ritiene la Sezione che;

- poiché oggetto della transazione vanno considerate le aree a suo tempo acquistate (e riferibili alla mission attribuita alla società), non può che escludersi che essa abbia anche riguardato le aree delle quali è titolare l’Autorità Portuale di Napoli;

- comunque, poiché l’eventuale accollo dell’obbligo di bonifica, con esclusione della responsabilità del soggetto individuato dalla legge, si sarebbe posto in contrasto con la relativa norma imperativa, effettivamente una tale interpretazione della clausola dovrebbe comportare in questa sede la declaratoria della sua nullità ex art. 1418 c.c., in via incidentale, ai sensi dell’art. 8 del codice del processo amministrativo;

- per il principio della conservazione degli effetti degli atti negoziali, la clausola può essere interpretata nel senso che essa ha riguardato solo i rapporti interni tra le parti, senza incidere sull’ambito degli obblighi derivanti dalla legge.

In ogni caso, sotto tale ultimo profilo ritiene la Sezione che, quand’anche una disposizione di legge ovvero uno dei provvedimenti o dei contratti complessivamente richiamati dal TAR avesse espressamente disposto l’obbligo del Comune di Napoli di porre in essere la bonifica o la messa in sicurezza della «colmata», una tale disposizione o un tale atto non potrebbero che essere interpretati, sulla base della normativa di settore, quale atti genetici di un obbligo «aggiuntivo», ma non «sostitutivo» di quello gravante sul responsabile ex lege.

In materia ambientale, vi è infatti un principio di ordine generale per il quale l’Amministrazione pubblica – in presenza di un inquinamento riferibile ad un responsabile e in assenza dell’attività che deve essere da lui effettuata – a tutela dell’interesse pubblico, della salute e dell’ambiente ben può porre in essere ogni misura volta al disinquinamento ed alla messa in sicurezza, ferma restando la responsabilità dell’autore dell’inquinamento.

Un tale principio già si desume dal codice civile.

Per l’art. 2041 del codice civile, l’Amministrazione pubblica – comunque preposta alla tutela del territorio, della salute o dell’ambiente – se ha le relative risorse, previa contestazione dell’inadempimento nei confronti del responsabile (neppure necessaria nel caso d’urgenza), può anche senza indugio effettuare i relativi lavori, potendo poi agire nei suoi confronti, per il ristoro delle spese affrontate.

Più specificamente, gli artt. 244 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006 si riferiscono ad ogni pubblica amministrazione che, «nell’esercizio delle proprie funzioni», si attivi in materia ambientale e non esclude che, ove essa abbia le relative risorse, effettui quei lavori che non siano stati realizzati dal responsabile, a spese di questi: in luogo dell’azione dell’art. 2041, ai sensi dell’art. 250 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006 il Comune «territorialmente competente», ovvero la Regione, può avvalersi anche delle specifiche disposizioni dell’art. 252, in tema di «oneri e privilegi speciali».

In altri termini, la Sezione ritiene che - quando una disposizione di legge consenta o imponga ad una amministrazione pubblica di effettuare lavori di disinquinamento o di bonifica, su un sito il cui inquinamento è ad altri imputabile – ovviamente continua a rilevare la disciplina di carattere generale sulla responsabilità di chi abbia inquinato.

Ogni diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con il principio europeo «chi inquina paga» (ribadito dall’art. 3ter, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006) e comporterebbe – oltre ad un aiuto di Stato, consentito solo in presenza dei relativi presupposti - serissimi dubbi di costituzionalità della relativa normativa, poiché la vanificazione dell’obbligo di bonifica – in capo al responsabile – in linea di principio risulterebbe priva di base razionale.

Sotto tale profilo, risulta irrilevante nel presente giudizio il fatto che il Provveditorato alle opere pubbliche non abbia realizzato i relativi lavori, presumibilmente per mancanza di risorse finanziarie: lo svolgimento totale o parziale dei lavori da parte del Provveditorato, ovvero il loro mancato svolgimento, non avrebbe comunque inciso sull’ambito degli obblighi della società ricorrente in primo grado.

Similmente, è del tutto irrilevante che la legge n. 164 del 2014 abbia disposto misure volte a disporre sollecitamente la bonifica del sito, con la possibile nomina di un commissario straordinario, perché è ben possibile che la legge preveda i procedimenti e le risorse economiche per il ripristino ambientale, a spese del responsabile che continui ad essere inerte.

15. Per le considerazioni che precedono, vanno respinte le contrarie deduzioni formulate dall’appellata nel proprio atto di appello incidentale, riguardanti gli ambiti di applicazione della legge n. 582 del 1996 e della legge n. 388 del 2000.

Vanno altresì respinte le censure con cui complessivamente la società ha affermato che – trattandosi di attività a suo tempo poste in essere da società «partecipate» dallo Stato – sussisterebbe la responsabilità delle Amministrazioni statali, in ragione del regime giuridico che all’epoca caratterizzava il sistema delle partecipazioni statali, nonché i poteri di indirizzo e di coordinamento attribuiti al Governo.

Al riguardo, osserva la Sezione che nessuna disposizione di diritto privato o di diritto pubblico ha inciso sul principio generale, per il quale la società che ha causato l’inquinamento – pur «partecipata» - è tenuta ad effettuare la bonifica.

Neppure la legge n. 582 del 1996 può essere interpretata nel senso che alla responsabilità della società autrice del fatto (comunque specificamente individuata dalla legge come soggetto obbligato, nella specie dall’art. 1, comma 14, del d.l. n. 484 del 1996) si sostituisca quella di altri soggetti (pubblici o privati), che non abbiano posto in essere la relativa attività inquinante.

Inoltre, in sede di impugnazione del provvedimento che impone al responsabile di effettuare i relativi lavori, sono irrilevanti le deduzioni con cui questi affermi che i propri comportamenti e le proprie scelte imprenditoriali siano stati la conseguenza di provvedimenti emessi nell’esercizio dei poteri di indirizzo, coordinamento o vigilanza (comunque nella specie né identificati specificamente, né ritualmente impugnati).

Quanto alla deduzione per la quale lo Stato dovrebbe disporre la bonifica e la messa in sicurezza in ragione della natura demaniale dell’area (e della sua titolarità da parte dell’Autorità portuale di Napoli), essa è manifestamente infondata, poiché il responsabile come individuato in base alle disposizioni generali (e nella specie anche dall’art. 1, comma 14, del d.l. n. 484 del 1996) ha l’obbligo di effettuare la bonifica e la messa in sicurezza anche quando si tratti di un’area non di sua proprietà: l’unica differenza è che in tal caso il responsabile deve anche risarcire i danni derivanti al titolare dell’area, anche di natura demaniale, per l’impossibilità per questi di utilizzare la sua area, per l’inerzia di chi deve effettuare la bonifica e la messa in sicurezza.

E’ altresì manifestamente infondata la deduzione secondo cui rileverebbe la mancata richiesta di rimozione della «colmata», in sede di consegna delle relative aree alla Autorità Portuale.

Infatti, la consegna – conseguente alla scadenza del rapporto concessorio – non ha affatto inciso su tutti gli altri obblighi derivanti dalla normativa di settore.

Per le stesse ragioni, è irrilevante che la stessa Autorità Portuale abbia dichiarato di voler effettuare essa stessa i lavori di bonifica e messa in sicurezza.

Essa – quale titolare formale del bene - è uno dei soggetti interessati a avere nella propria disponibilità l’area disinquinata e messa in sicurezza (col ripristino dello specchio d’acqua) e in base ai principi generali ben può svolgere le relative attività sul bene suo, beninteso a spese del responsabile.

Tuttavia, anche la prospettata iniziativa del titolare dell’area o di altri, che mira a bonificare l’area e metterla in sicurezza, non scalfisce l’obbligo giuridico di chi deve realizzarle a proprie spese (nella specie, del concessionario specificamente individuato dalla legge).

16. Risulta invece irrilevante la residua censura della società, riguardante la tempestività o meno del deposito documentale del 24 ottobre 2014, poiché la definizione della presente controversia prescinde dall’accertamento di tale tempestività.

17. Per le ragioni che precedono, vanno respinte tutte le censure accolte in primo grado, come richiamate anche nell’atto di appello incidentale.

18. Occorre, pertanto, passare all’esame dei motivi del ricorso di primo grado, assorbiti dal TAR e riproposti in questa sede con l’appello incidentale.

19. Ritiene la Sezione che sia fondato e vada accolto il motivo con cui la società ha lamentato la violazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000.

Il Sindaco di Napoli ha emanato una ordinanza contingibile edurgente, che non contiene una specifica motivazione sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla normativa ora richiamata.

Per la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio, le ordinanze sindacali contingibili ed urgenti possono essere emanate per fronteggiare situazioni impreviste e non altrimenti fronteggiabili con gli strumenti ordinari, al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana (cfr. da ultimo, Cons. St. Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3024; Sez. VI, 31 maggio 2013, n. 3007).

Per imporre la bonifica e la messa in sicurezza dei siti inquinati, in linea di principio le Amministrazioni possono emanare i provvedimenti previsti dagli artt. 244 ss. del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, in particolare, quello previsto dall’art. 244, comma 2, per il quale, qualora sia stato riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza (d'emergenza o definitiva), di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti ai soggetti «responsabili dell'inquinamento», sulla base del relativo procedimento.

Qualora le esigenze della bonifica o della messa in sicurezza risultino impellenti, il Comune può senz’altro emanare l’ordinanza contingibile ed urgente, ma in tal caso dalla relativa motivazione devono risultare le relative ragioni d’urgenza, che non possono essere in re ipsa.

Nella specie, è ben vero che dalla complessiva documentazione depositata emerge che la «colmata» sia composta anche da materiali contenenti sostanze inquinanti (ad es., l’arsenico, il vanadio, il cadmio, il piombo, lo stagno, lo zinco, gli idro policliclici aromatici, il ferro, il nichel), ma è anche vero che una tale situazione è molto risalente nel tempo.

L’emanazione di un provvedimento contingibile ed urgente si sarebbe giustificata ove dall’istruttoria fosse emerso un improvviso peggioramento delle condizioni ambientali, ciò che peraltro non risulta né provato, né riferito nell’atto impugnato in primo grado.

Va pertanto accolto il motivo che ha dedotto l’illegittimità dell’atto, per eccesso di potere sotto i profili di inadeguata istruttoria e di inadeguata motivazione.

20. Per le ragioni che precedono, l’appello principale va accolto, con conseguente reiezione dei motivi accolti in primo grado come riproposti in questa sede, e, in accoglimento del motivo assorbito dal TAR e richiamato dalla società appellata, va accolto il motivo esaminato al precedente punto 19.

Ne consegue che va confermato il dispositivo della sentenza del TAR, che ha disposto l’annullamento del provvedimento impugnato, sulla base di una diversa motivazione, con salvezza degli ulteriori provvedimenti della autorità amministrativa.

In ragione della reciproca soccombenza, vanno compensate le spese dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 1326 del 2015:

- accoglie l’appello principale e, in riforma della sentenza del TAR, respinge i motivi accolti in primo grado, come riproposti in grado d’appello;

- accoglie la censura di eccesso di potere, formulata col ricorso principale e riproposta dalla società appellata;

- conferma il dispositivo della sentenza di primo grado di annullamento dell’atto impugnato, sulla base di diversa motivazione, con salvezza degli ulteriori provvedimenti della autorità amministrativa.

Compensa tra tutte le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente coestensore

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere coestensore

Carlo Schilardi, Consigliere

     
     
IL CONSIGLIERE COESTENSORE   IL PRESIDENTE COESTENSORE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/09/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)