Corte di Giustizia Sez. VIII sent. 22 dicembre 2008
«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 75/442/CEE – Art. 1 – Nozione di “rifiuto” – Rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche – Combustibile da rifiuti di qualità elevata – Trasposizione non corretta»
Commissione CE contro Repubblica Italiana
«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 75/442/CEE – Art. 1 – Nozione di “rifiuto” – Rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche – Combustibile da rifiuti di qualità elevata – Trasposizione non corretta»
Commissione CE contro Repubblica Italiana
Nella causa C‑283/07,
avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 12 giugno 2007,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. C. Zadra e J.‑B. Laignelot, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Ottava Sezione),
composta dal sig. T. von Danwitz (relatore), presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta e dal sig. G. Arestis, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 ottobre 2008,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il presente ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato e mantenendo in vigore disposizioni quali:
– l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 27 dicembre 2004; in prosieguo: la «legge n. 308/2004»), e
– l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale (Supplemento ordinario alla GURI n. 88 del 14 aprile 2006; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 152/2006»),
per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il combustibile da rifiuti di qualità elevata (in prosieguo: il «CDR‑Q») sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»), è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2 L’art. 1 della direttiva 75/442 così dispone:
«Ai sensi della presente direttiva, si intende per:
a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.
(…)
d) gestione: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni nonché il controllo delle discariche dopo la loro chiusura.
(…)».
3 Al suo art. 1, lett. e) e f), tale direttiva definisce le nozioni di «smaltimento» e di «recupero» dei rifiuti come tutte le operazioni previste, rispettivamente, negli allegati II A e II B.
4 L’art. 2, n. 1, lett. b), della medesima direttiva elenca i rifiuti che sono esclusi dal suo campo di applicazione «qualora già contemplati da altra normativa».
5 L’allegato I della direttiva 75/442, rubricato «Categorie di rifiuti», include in particolare le categorie Q 1, «Residui di produzione o di consumo in appresso non specificati», e Q 16, «Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate».
6 L’allegato II B della direttiva, come modificato dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE (GU L 135, pag. 32), è espressamente inteso ad elencare le operazioni di recupero come avvengono nella pratica. Tra le operazioni annoverate in tale allegato figurano, al punto R 1, l’«[u]tilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia», al punto R 4, il «[r]iciclo/recupero dei metalli o dei composti metallici», e, al punto R 13, la «[m]essa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R 1 a R 12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)».
7 L’abrogazione della direttiva 75/442 – tramite la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti (GU L 114, pag. 9), entrata in vigore il 17 maggio 2006 – non rileva ai fini del ricorso per inadempimento in esame. La direttiva 2006/12, nell’operare una codificazione della direttiva 75/442 a fini di chiarezza e razionalizzazione, riproduce nei suoi artt. 1 e 2, nonché nei suoi allegati I e II B, le disposizioni sopra menzionate. Inoltre, l’art. 20, primo comma, della direttiva 2006/12 stabilisce che la direttiva 75/442 «è abrogata, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di attuazione di cui all’allegato III, parte B».
La normativa nazionale
8 L’art. 6, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio (Supplemento ordinario alla GURI n. 38 del 15 febbraio 1997; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 22/97»), definisce, ai fini di tale decreto legislativo, il «rifiuto» come «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi».
9 L’art. 8, comma 1, del suddetto decreto prevede l’esclusione di alcune categorie di rifiuti dal proprio campo di applicazione.
10 La legge n. 308/2004 introduce talune modifiche al decreto legislativo n. 22/97. L’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), di detta legge così dispone:
«25. In attesa di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti che disciplini in modo organico la materia, alla lettera a) del comma 29, sono individuate le caratteristiche e le tipologie dei rottami che, derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per le attività siderurgiche e metallurgiche, nonché le modalità affinché gli stessi siano sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti.
26. Fermo restando quanto disposto (…) sono sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, se rispondenti alla definizione di materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche di cui al comma 1, lettera q‑bis), dell’articolo 6 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dal comma 29, i rottami di cui al comma 25 dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso o non abbia l’obbligo di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, ma siano destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici.
27. I rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall’estero sono riconosciuti a tutti gli effetti come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero se dichiarati come tali da fornitori o produttori di Paesi esteri che si iscrivono all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti con le modalità specificate al comma 28.
(…)
29. Al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le seguenti:
q bis) materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche: rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o ad altre specifiche nazionali e internazionali, nonché i rottami scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche sopra menzionate;
(…)».
11 L’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004 ha inserito all’art. 8, comma 1, del decreto legislativo n. 22/97 la lettera f quinquies), che esclude dal campo di applicazione di tale decreto «il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come descritto dalle norme tecniche UNI 9903‑1 (RDF [Refuse Derived Fuel] di qualità elevata), utilizzato in co‑combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, (…), come sostituita dall’articolo 1 del decreto del Ministro delle attività produttive 18 marzo 2002, (…), in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002, (…)».
12 L’art. 183, comma 1, lett. s), del decreto legislativo n. 152/2006 prevede che costituisce un «combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR‑Q): il combustibile classificabile, sulla base delle norme tecniche UNI 9903‑1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF di qualità elevata, cui si applica l’articolo 229».
13 L’art. 229, comma 2, del medesimo decreto legislativo così dispone:
«Ferma restando l’applicazione della disciplina di cui al presente articolo, è escluso dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto [concernente le norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati] il combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR‑Q), (...) come definito dall’articolo 183, comma 1, lettera s), prodotto nell’ambito di un processo produttivo che adotta un sistema di gestione per la qualità basato sullo standard UNI‑EN ISO 9001 e destinato all’effettivo utilizzo in co‑combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, (…), in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002, (…)».
14 Le due disposizioni da ultimo menzionate sono state integrate dal decreto del Ministero delle Attività produttive 2 maggio 2006, recante le modalità di utilizzo per la produzione di energia elettrica del CDR‑Q (GURI n. 106 del 9 maggio 2006, pag. 14; in prosieguo: il «decreto ministeriale 2 maggio 2006»).
Procedimento precontenzioso
15 Reputando che la normativa italiana non fosse idonea a garantire una trasposizione corretta della direttiva 75/442, la Commissione decideva di intraprendere il procedimento previsto all’art. 226 CE e, con lettera in data 13 luglio 2005, metteva in mora la Repubblica italiana.
16 Non avendo ritenuto soddisfacente la risposta della Repubblica italiana del 17 novembre 2005, il successivo 19 dicembre la Commissione le trasmetteva un parere motivato, invitandola ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi decorrenti dalla sua ricezione. La Repubblica italiana accludeva alla propria risposta in data 27 febbraio 2006 una nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio.
17 Successivamente, con lettera in data 12 maggio 2006, la Repubblica italiana notificava alla Commissione, nell’ambito di altri procedimenti di infrazione relativi alla mancata trasposizione di alcune direttive comunitarie, il testo del decreto legislativo n. 152/2006.
18 Poiché a seguito dell’adozione del suddetto decreto legislativo la Commissione riteneva opportuno precisare l’oggetto del procedimento, il 15 dicembre 2006 trasmetteva alla Repubblica italiana un parere motivato complementare, concedendole nuovamente un termine di due mesi decorrente dalla ricezione di detto parere per presentare eventuali obiezioni. Lo Stato membro rispondeva con lettera del 19 gennaio 2007, alla quale erano allegate la copia di un progetto di decreto legislativo che prevedeva l’abrogazione di tutte le disposizioni oggetto del procedimento, nonché una nota del Ministero dell’Ambiente indicante che tale progetto era in corso di adozione «per superare i rilievi formulati dalla Commissione (…)» e che la Commissione sarebbe stata informata «con la massima sollecitudine sugli ulteriori passaggi dell’iter di adozione del decreto correttivo in questione».
19 Non avendo ricevuto ulteriori notizie da parte della Repubblica italiana, la Commissione decideva di proporre il presente ricorso.
Sulla ricevibilità del ricorso
20 In primo luogo, la Repubblica italiana sostiene che il decreto legislativo n. 152/2006 non costituisce la mera conferma delle disposizioni relative al CDR‑Q già previste nella legge n. 308/2004 e prese in considerazione nella lettera di messa in mora, cosicché l’oggetto del ricorso sarebbe stato ampliato mediante il riferimento al decreto legislativo nel parere motivato complementare e nel ricorso.
21 A tale proposito occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito di un procedimento di infrazione la lettera di messa in mora e il parere motivato indirizzati allo Stato membro interessato delimitano l’oggetto della controversia. Pertanto, il ricorso deve essere fondato sui medesimi motivi e mezzi del parere motivato (v., in particolare, sentenze 27 novembre 2003, causa C‑185/00, Commissione/Finlandia, Racc. pag. I‑14189, punto 80 e la giurisprudenza ivi citata; 18 dicembre 2007, causa C‑194/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑11661, punto 20, nonché 11 settembre 2008, causa C‑274/07, Commissione/Lituania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22).
22 Tale esigenza non implica, tuttavia, che debba sussistere in ogni caso una perfetta coincidenza tra le disposizioni nazionali menzionate nel parere motivato e quelle richiamate nel ricorso. Qualora tra queste due fasi del procedimento sia intervenuta una modifica legislativa, è sufficiente che il sistema instaurato dalla normativa contestata nella fase precontenziosa sia stato nel complesso conservato dalle nuove misure adottate dallo Stato membro dopo il parere motivato e impugnate nell’ambito del ricorso (v. sentenze 1° febbraio 2005, causa C‑203/03, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑935, punti 29 e 30, nonché 22 settembre 2005, causa C‑221/03, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑8307, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).
23 Nel caso in esame, occorre sottolineare che il contenuto delle disposizioni controverse presenti nel decreto legislativo n. 152/2006 coincide sostanzialmente con quello dell’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004. Tali disposizioni, infatti, sottraggono il CDR‑Q rispondente a talune condizioni dall’ambito di applicazione della normativa nazionale sui rifiuti prima del suo utilizzo effettivo come combustibile, e ciò a prescindere da qualsivoglia valutazione delle circostanze del caso concreto.
24 Di conseguenza si deve constatare che la Commissione, allorché ha denunciato le disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006 nel parere motivato complementare e nell’atto introduttivo, non ha esteso l’oggetto del presente ricorso. La prima eccezione di irricevibilità deve quindi respingersi in quanto infondata.
25 In secondo luogo, la Repubblica italiana eccepisce che il ricorso è irricevibile a causa della durata eccessiva del procedimento precontenzioso.
26 A tale proposito, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte, le norme di cui all’art. 226 CE devono essere applicate senza che la Commissione sia tenuta ad osservare un termine prestabilito, salvo i casi in cui la durata eccessiva del procedimento precontenzioso disciplinato dalla suddetta disposizione sia tale da rendere maggiormente difficoltosa, per lo Stato coinvolto, la confutazione degli argomenti della Commissione, con conseguente violazione dei diritti della difesa. Spetta allo Stato membro interessato addurre la prova di una siffatta incidenza (sentenze 5 novembre 2002, causa C‑475/98, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑9797, punto 36, e 18 luglio 2007, causa C‑490/04, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑6095, punto 26).
27 Poiché la Repubblica italiana non ha apportato alcun elemento concreto idoneo a costituire una violazione dei suoi diritti della difesa in relazione alla durata del procedimento precontenzioso, non occorre esaminare la questione della durata eccessiva di detta fase. Anzi, è possibile osservare che lo stesso Stato membro ha domandato alla Corte una proroga del termine per il deposito della sua controreplica, e questo benché la Commissione gli avesse concesso, mediante il parere motivato complementare, un’ulteriore opportunità di replicare alle sue censure. Si deve pertanto respingere la seconda eccezione d’irricevibilità.
28 In terzo luogo, la Repubblica italiana addebita alla Commissione la mancata o errata ricostruzione della normativa oggetto del contenzioso, non avendo tenuto conto della circostanza del completamento delle disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006 operato attraverso il decreto ministeriale 2 maggio 2006.
29 Al riguardo, è opportuno osservare che le autorità italiane non hanno notificato alla Commissione il decreto ministeriale di cui trattasi e che lo hanno citato per la prima volta nel loro controricorso, sebbene gli Stati membri siano obbligati, in forza dell’art. 10 CE, a cooperare lealmente ad ogni indagine svolta dalla Commissione ai sensi dell’art. 226 CE (sentenze 13 luglio 2004, causa C‑82/03, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑6635, punto 15, e 26 aprile 2005, causa C‑494/01, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑3331, punti 197 e 198 nonché giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che la mancata presa in considerazione di detto decreto ministeriale durante il procedimento precontenzioso non può comportare l’irricevibilità del ricorso.
30 In quarto luogo, la Repubblica italiana sostiene che la Commissione ha omesso la verifica effettiva dell’applicazione in concreto della contestata normativa, in particolare a seguito del decreto ministeriale 2 maggio 2006, essendo tale applicazione conforme alla direttiva 75/442.
31 Neppure siffatta eccezione di irricevibilità può essere accolta.
32 Invero, una tale applicazione conforme delle disposizioni di diritto nazionale non può, di per sé, presentare la chiarezza e la precisione necessarie a garantire la certezza del diritto (v., in tal senso, sentenze 19 settembre 1996, causa C‑236/95, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑4459, punto 13; 10 maggio 2001, causa C‑144/99, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑3541, punto 21, nonché 10 maggio 2007, causa C‑508/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑3787, punto 79).
33 Inoltre, non è possibile ritenere che semplici prassi amministrative, per loro natura modificabili a discrezione dell’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, costituiscano adempimento degli obblighi che incombono agli Stati membri nell’ambito della trasposizione di una direttiva (v. sentenze 13 marzo 1997, causa C‑197/96, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑1489, punto 14; 10 marzo 2005, causa C‑33/03, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑1865, punto 25, e 10 maggio 2007, Commissione/Austria, cit., punto 80).
34 Da ultimo, occorre rilevare che le sentenze 9 novembre 1999, causa C‑365/97, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑7773), e 26 aprile 2007, causa C‑135/05, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑3475), invocate dalla Repubblica italiana a sostegno della propria argomentazione, non sono a tal fine pertinenti. Esse, infatti, riguardano dei ricorsi per inadempimento aventi ad oggetto non la conformità con il diritto comunitario del contenuto delle disposizioni nazionali, bensì l’applicazione in concreto del diritto comunitario o nazionale vigente.
35 Il ricorso è dunque ricevibile.
Sul ricorso
36 In via preliminare, occorre ricordare che l’abrogazione delle disposizioni controverse operata dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, recante disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo n. 152/2006 (Supplemento ordinario alla GURI n. 24 del 29 gennaio 2008), non produce effetti sul ricorso in esame, poiché è intervenuta soltanto dopo che erano scaduti i termini fissati nel parere motivato e nel parere motivato complementare, e persino dopo la presentazione del ricorso.
Sui rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica
Argomenti delle parti
37 La Commissione sostiene che l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a) della legge n. 308/2004 esclude, a priori e in via generale, i rottami ferrosi e non ferrosi destinati ad attività siderurgiche e metallurgiche dall’ambito di applicazione della normativa nazionale di trasposizione della direttiva 75/442. Tale esclusione avrebbe l’effetto di rendere inapplicabile a tali materiali, in particolare alla loro gestione, al loro deposito e al loro trasporto, la normativa comunitaria sulla tutela dell’ambiente.
38 Ebbene, secondo la Commissione, tali rottami possono ricadere nella nozione di «rifiuto» di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Detti rottami non costituirebbero materie prime secondarie, bensì semplici residui di produzione e di consumo che rimarrebbero tali fino alla conclusione del processo di recupero completo, che termina con la loro trasformazione in prodotti siderurgici e metallurgici. Peraltro, i rottami in questione non possono essere considerati «sottoprodotti» ai sensi della giurisprudenza della Corte.
39 Le Repubblica italiana ritiene che l’esclusione di tali rottami operata dalla normativa nazionale controversa sia legittima, avuto riguardo alle condizioni da quest’ultima stabilite. In primo luogo, detta normativa esige che i rottami in questione posseggano non soltanto talune caratteristiche oggettive, che consentono di qualificarli come merci dotate di un valore commerciale, ma anche destinazioni specifiche e verificabili alle attività dell’industria siderurgica o metallurgica. In secondo luogo, la normativa in questione inserisce l’attività di raccolta dei rottami ferrosi e non ferrosi in un contesto produttivo industriale senza soluzione di continuità.
Giudizio della Corte
40 In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, si deve considerare «rifiuto» qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I della medesima direttiva e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.
41 Pertanto, nel contesto di tale direttiva, la portata della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi». Quest’ultimo deve essere interpretato alla luce della finalità della direttiva stessa, che, ai sensi del suo terzo ‘considerando’, consiste nella protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti, nonché alla luce dell’art. 174, n. 2, CE. Quest’ultimo dispone che la politica della Comunità europea in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva (v., segnatamente, sentenze 11 novembre 2004, causa C‑457/02, Niselli, Racc. pag. I‑10853, punto 33; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 33, e 24 giugno 2008, causa C‑188/07, Commune de Mesquer, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 38).
42 La Corte ha altresì dichiarato che, stante la finalità perseguita dalla direttiva 75/442, la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo (v. sentenze 15 giugno 2000, cause riunite C‑418/97 e 419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I‑4475, punto 40; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 33, nonché Commune de Mesquer, cit., punto 39).
43 L’effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442 deve essere accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 73, 88 e 97, nonché 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, punto 41).
44 A tale riguardo, alcune circostanze possono costituire indizi della sussistenza di un’azione, di un’intenzione oppure di un obbligo di disfarsi di una sostanza o di un oggetto ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Ciò si verifica, in particolare, se la sostanza utilizzata è un residuo di produzione o di consumo, vale a dire un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale (v. citate sentenze 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, punto 34, e Commune de Mesquer, punto 41).
45 Nel caso di specie, nessuno ha posto in dubbio che, malgrado la loro conformità a talune specifiche tecniche nazionali ed internazionali, i rottami oggetto della normativa controversa costituiscano residui di produzione o di consumo non ricercati in quanto tali.
46 Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, né il metodo di trasformazione né le modalità di utilizzo di una sostanza sono determinanti al fine di stabilire se si tratti o meno di un rifiuto (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punto 64, nonché 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, punti 36 e 49). In particolare, la nozione di rifiuto non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Il sistema di vigilanza e di gestione stabilito dalla direttiva 75/442, infatti, si applica a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo (v. in tal senso, segnatamente, sentenze 25 giugno 1997, cause riunite C‑304/94, C‑330/94, C‑342/94 e C-224/95, Tombesi e a., Racc. pag. I‑3561, punti 47 e 52; 18 aprile 2002, causa C‑9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I‑3533, in prosieguo: la sentenza «Palin Granit», punto 29, nonché Commune de Mesquer, cit., punto 40).
47 Di conseguenza, l’argomento della Repubblica italiana che deduce sia la specifica destinazione sia la qualità di merce e il valore commerciale dei rottami oggetto della normativa controversa non è rilevante al fine di escludere a priori detti rottami dalla qualificazione come rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Alla luce della precitata giurisprudenza, quindi, in via di principio i rottami in questione devono essere considerati rifiuti.
48 Però, dalla giurisprudenza della Corte si evince parimenti che un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire un sottoprodotto, del quale il detentore non cerca di disfarsi, ma che intende sfruttare o commercializzare a condizioni favorevoli in un processo successivo. Tuttavia, occorre circoscrivere il ricorso a tale argomentazione relativa ai sottoprodotti, a quelle situazioni in cui il riutilizzo, compreso quello per i fabbisogni di operatori economici diversi da quello che li ha prodotti, non sia solo eventuale, bensì certo, prescinda da operazioni di trasformazione preliminare, ed avvenga nel corso del processo di produzione (v. sentenze Palin Granit, cit., punti 34-36; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punti 38 e 46, nonché Commune de Mesquer, punti 42 e 44).
49 Nel caso di specie, è evidente come l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge n. 308/2004 contempli un’ampia varietà di situazioni. Non si può escludere che il «riutilizzo effettivo» in attività siderurgiche e metallurgiche previsto da queste disposizioni venga effettuato solo dopo il decorso di un periodo di tempo notevole, se non addirittura indeterminato, e che pertanto siano necessarie delle operazioni di stoccaggio durevole dei materiali in questione. Ebbene, siffatte operazioni di stoccaggio sono tali da rappresentare un intralcio per il detentore. Inoltre, esse costituiscono una potenziale fonte di quel danno per l’ambiente che la direttiva 75/442 mira specificamente a limitare. Ne consegue che la sostanza di cui trattasi dev’essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (v., in tal senso, sentenze Palin Granit, cit., punto 38; 11 settembre 2003, causa C‑114/01, AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I‑8725, punto 39, nonché 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punti 40 e 48).
50 Inoltre, dalla formulazione delle suddette disposizioni emerge che esse prevedono, in via generale, la possibilità di escludere i materiali in questione dall’ambito di applicazione della legislazione nazionale sui rifiuti, anche qualora tali materiali vengano trasformati prima del loro riutilizzo.
51 È quindi inevitabile constatare che le disposizioni controverse relative ai rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica comportano che, nel diritto italiano, taluni residui, pur corrispondendo alla definizione di rifiuto sancita all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, siano sottratti al tale qualificazione.
52 La disposizione da ultimo menzionata non soltanto reca la definizione della nozione di «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, ma determina altresì, in combinato disposto con il suo art. 2, n. 1, l’ambito di applicazione della medesima direttiva. Invero, l’art. 2, n. 1, indica quali tipi di rifiuti sono oppure possono essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva, e a quali condizioni, laddove, in linea di principio, vi rientrano tutti i rifiuti corrispondenti alla suddetta definizione. Orbene, qualsiasi disposizione di diritto nazionale che limita in modo generale la portata degli obblighi derivanti dalla direttiva 75/442 oltre quanto consentito dal citato art. 2, n. 1, travisa necessariamente l’ambito di applicazione della direttiva stessa, pregiudicando in tal modo l’efficacia dell’art. 174 CE (v. sentenza 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 54 e giurisprudenza ivi citata).
53 Sul punto è sufficiente osservare, riguardo al caso in esame, che i rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica oggetto delle disposizioni controverse non rientrano tra le eccezioni all’ambito di applicazione della direttiva 75/447 previste al suo art. 2, n. 1.
54 Pertanto, la prima parte del ricorso della Commissione è fondata.
Sul CDR‑Q
Argomenti delle parti
55 La Commissione osserva che l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004 nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo n. 152/2006 sono tutti egualmente incompatibili con la direttiva 75/442, in quanto escludono dall’ambito di applicazione della normativa nazionale sui rifiuti, a priori e in via generale, il CDR‑Q rispondente a talune condizioni. Siffatta esclusione pregiudicherebbe l’effettività della medesima direttiva, come pure quella di altre disposizioni comunitarie poste a tutela dell’ambiente e la cui portata risulta determinata in base alla nozione di «rifiuto» sancita dalla direttiva.
56 La Commissione sostiene che il CDR‑Q, come i rifiuti solidi urbani che lo compongono, è un residuo di consumo e rientra quindi nella definizione di «rifiuto» di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442 fino al momento della sua effettiva combustione per produrre energia. L’operazione di trattamento dei rifiuti solidi urbani volta ad ottenere del CDR‑Q implicherebbe soltanto una mera selezione e mescolanza di rifiuti e, pertanto, non sarebbe possibile ravvisarvi un processo di fabbricazione di un prodotto.
57 La Repubblica italiana ribatte che, nel momento in cui tali materiali giungono a soddisfare le condizioni per l’applicazione della normativa controversa, essi hanno ormai completato il ciclo di recupero da rifiuti e pertanto costituiscono vere e proprie merci, in ogni caso aventi un valore economico. Già lo stesso processo di fabbricazione del CDR‑Q sfocerebbe nella produzione di un nuovo materiale, che sarebbe equivalente – non da ultimo grazie alle sue caratteristiche calorifiche – ad un vero e proprio combustibile fossile primario. Con la conseguenza che, già prima della sua effettiva combustione, il CDR‑Q dovrebbe essere considerato quale il risultato di un recupero completo e non ricadrebbe nella nozione di «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, come interpretata dalla Corte.
58 Oltre a ciò, la Repubblica italiana sostiene che il decreto ministeriale 2 maggio 2006 istituisce un sistema di controllo e di tutela dell’ambiente che, unitamente alle altre regole del settore, garantisce un livello di tutela dell’ambiente quantomeno equivalente a quello previsto dalla disciplina comunitaria sui rifiuti, la cui effettività non risulterebbe, quindi, pregiudicata.
Giudizio della Corte
59 Occorre anzitutto osservare che, come si evince dal punto 46 della presente sentenza, l’argomento della Repubblica italiana inerente alla qualità di merce ed al valore commerciale del CDR‑Q è irrilevante rispetto al fine di escludere a priori tale sostanza dalla qualificazione come rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Inoltre, non è stato contestato che il CDR‑Q derivi esclusivamente da residui di consumo e che, per tale ragione, il suo processo di produzione debba essere assoggettato, in quanto tale, alla normativa nazionale in materia di gestione di rifiuti.
60 In ordine all’argomento secondo cui il CDR‑Q costituirebbe il risultato di un recupero completo di rifiuti, è opportuno ricordare che una siffatta operazione di recupero non è sufficiente, di per sé, a determinare se la sostanza risultante costituisca o meno un rifiuto. Invero, il fatto che una sostanza sia il risultato di un’operazione di recupero completo ai sensi dell’allegato II B della direttiva 75/442 rappresenta solamente uno degli elementi che devono essere presi in considerazione al fine di stabilire una conclusione definitiva in merito (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 94 e 95, nonché Palin Granit, punto 46).
61 Del resto, un’operazione di recupero può dirsi completa soltanto se ha l’effetto di conferire al materiale in questione le medesime proprietà e caratteristiche di una materia prima e di renderlo utilizzabile nelle stesse condizioni di precauzione rispetto all’ambiente (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 94 e 96, nonché Palin Granit, punto 46).
62 Ebbene, il CDR‑Q, anche se corrisponde alle norme tecniche UNI 9903‑1, non possiede le stesse proprietà e caratteristiche dei combustibili primari. Come ammette la stessa Repubblica italiana, esso può sostituire solo in parte il carbone e il coke di petrolio. Peraltro, le misure di controllo e di precauzione relative al trasporto e alla ricezione del CDR‑Q negli impianti di combustione, nonché le modalità della sua combustione previste dal decreto ministeriale 2 maggio 2006, dimostrano che il CDR‑Q e la sua combustione presentano rischi e pericoli specifici per la salute umana e l’ambiente, che costituiscono una delle caratteristiche dei residui di consumo e non dei combustibili fossili.
63 Inoltre, la giurisprudenza della Corte relativa alla distinzione tra lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, invocata dalla Repubblica italiana, non è idonea a sostenere l’argomentazione di detto Stato membro. Secondo tale giurisprudenza, benché la caratteristica essenziale di un’operazione di recupero consista nel fatto che il suo obiettivo principale è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile (v. sentenze 27 febbraio 2002, causa C‑6/00, ASA, Racc. pag. I‑1961, punto 69, e 13 febbraio 2003, causa C‑228/00, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑1439, punti 41, 45‑46, nonché ordinanza 27 febbraio 2003, cause riunite da C‑307/00 a C‑311/00, Oliehandel Koeweit e a., Racc. pag. I‑1821, punto 97), il recupero avviene soltanto nel momento stesso in cui la sostanza de qua svolge effettivamente una funzione utile, segnatamente all’atto della produzione di energia attraverso la combustione o il deposito in una miniera in disuso.
64 Ne consegue che il CDR‑Q non costituisce il risultato di un recupero completo, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di tale operazione, bensì soltanto il risultato di una fase ad esso precedente.
65 Occorre aggiungere che la presunta «certezza dell’utilizzo effettivo» del CDR‑Q, addotta dalle autorità italiane, non rappresenta un criterio rilevante al fine di escludere definitivamente l’azione, l’intenzione, o l’obbligo del detentore del CDR‑Q di disfarsene. Il riutilizzo certo di un bene o di un materiale è soltanto una delle tre condizioni necessarie per qualificare detto bene o materiale come sottoprodotto, come risulta dal punto 48 della presente sentenza e dalla giurisprudenza ivi citata. Orbene, la Corte ha sottolineato che detta giurisprudenza non è valida per quanto riguarda i residui di consumo, i quali non possono essere considerati «sottoprodotti» (sentenza Niselli, cit., punto 48).
66 Risulta dalle suesposte considerazioni che le disposizioni controverse relative al CDR‑Q comportano altresì la sottrazione alla normativa nazionale sui rifiuti di residui che corrispondono alla definizione di rifiuto di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, ma non ricadono fra le eccezioni previste al suo art. 2, n. 1.
67 Infine, non può essere accolto l’argomento della Repubblica italiana esposto al punto 58 della presente sentenza. La Commissione ha dimostrato in modo circostanziato, senza essere contraddetta sul punto, che il decreto ministeriale 2 maggio 2006 non garantisce un livello di tutela della salute umana e dell’ambiente equivalente a quello derivante dalla normativa comunitaria sui rifiuti. Ad esempio, relativamente allo stoccaggio del CDR‑Q negli impianti di produzione di energia elettrica, tale decreto adotta una nozione più limitata di tutela dell’ambiente perché impone misure precauzionali volte ad evitare soltanto la contaminazione dell’aria, dell’acqua e del suolo, quando invece l’art. 4, n. 1, della direttiva 75/442 mira a salvaguardare anche la fauna, la flora, il paesaggio e i siti di particolare interesse e vieta di causare inconvenienti da rumori od odori. Pertanto le disposizioni invocate dalla Repubblica italiana non risultano idonee a garantire la completa conformità della normativa nazionale agli scopi della direttiva 75/442.
68 Il ricorso della Commissione è quindi fondato sul punto.
69 Di conseguenza, si deve constatare che la Repubblica italiana, avendo adottato e mantenendo in vigore disposizioni quali l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge n. 308/2004 e l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo n. 152/2006, per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il CDR‑Q sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva 75/442, è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva.
Sulle spese
70 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana, avendo adottato e mantenuto in vigore disposizioni quali:
l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, e
l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale,
per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR‑Q) sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme
avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 12 giugno 2007,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. C. Zadra e J.‑B. Laignelot, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Ottava Sezione),
composta dal sig. T. von Danwitz (relatore), presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta e dal sig. G. Arestis, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 ottobre 2008,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il presente ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato e mantenendo in vigore disposizioni quali:
– l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 27 dicembre 2004; in prosieguo: la «legge n. 308/2004»), e
– l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale (Supplemento ordinario alla GURI n. 88 del 14 aprile 2006; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 152/2006»),
per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il combustibile da rifiuti di qualità elevata (in prosieguo: il «CDR‑Q») sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»), è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2 L’art. 1 della direttiva 75/442 così dispone:
«Ai sensi della presente direttiva, si intende per:
a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.
(…)
d) gestione: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni nonché il controllo delle discariche dopo la loro chiusura.
(…)».
3 Al suo art. 1, lett. e) e f), tale direttiva definisce le nozioni di «smaltimento» e di «recupero» dei rifiuti come tutte le operazioni previste, rispettivamente, negli allegati II A e II B.
4 L’art. 2, n. 1, lett. b), della medesima direttiva elenca i rifiuti che sono esclusi dal suo campo di applicazione «qualora già contemplati da altra normativa».
5 L’allegato I della direttiva 75/442, rubricato «Categorie di rifiuti», include in particolare le categorie Q 1, «Residui di produzione o di consumo in appresso non specificati», e Q 16, «Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate».
6 L’allegato II B della direttiva, come modificato dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE (GU L 135, pag. 32), è espressamente inteso ad elencare le operazioni di recupero come avvengono nella pratica. Tra le operazioni annoverate in tale allegato figurano, al punto R 1, l’«[u]tilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia», al punto R 4, il «[r]iciclo/recupero dei metalli o dei composti metallici», e, al punto R 13, la «[m]essa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R 1 a R 12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)».
7 L’abrogazione della direttiva 75/442 – tramite la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti (GU L 114, pag. 9), entrata in vigore il 17 maggio 2006 – non rileva ai fini del ricorso per inadempimento in esame. La direttiva 2006/12, nell’operare una codificazione della direttiva 75/442 a fini di chiarezza e razionalizzazione, riproduce nei suoi artt. 1 e 2, nonché nei suoi allegati I e II B, le disposizioni sopra menzionate. Inoltre, l’art. 20, primo comma, della direttiva 2006/12 stabilisce che la direttiva 75/442 «è abrogata, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di attuazione di cui all’allegato III, parte B».
La normativa nazionale
8 L’art. 6, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio (Supplemento ordinario alla GURI n. 38 del 15 febbraio 1997; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 22/97»), definisce, ai fini di tale decreto legislativo, il «rifiuto» come «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi».
9 L’art. 8, comma 1, del suddetto decreto prevede l’esclusione di alcune categorie di rifiuti dal proprio campo di applicazione.
10 La legge n. 308/2004 introduce talune modifiche al decreto legislativo n. 22/97. L’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), di detta legge così dispone:
«25. In attesa di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti che disciplini in modo organico la materia, alla lettera a) del comma 29, sono individuate le caratteristiche e le tipologie dei rottami che, derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per le attività siderurgiche e metallurgiche, nonché le modalità affinché gli stessi siano sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti.
26. Fermo restando quanto disposto (…) sono sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, se rispondenti alla definizione di materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche di cui al comma 1, lettera q‑bis), dell’articolo 6 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dal comma 29, i rottami di cui al comma 25 dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso o non abbia l’obbligo di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, ma siano destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici.
27. I rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall’estero sono riconosciuti a tutti gli effetti come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero se dichiarati come tali da fornitori o produttori di Paesi esteri che si iscrivono all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti con le modalità specificate al comma 28.
(…)
29. Al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le seguenti:
q bis) materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche: rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o ad altre specifiche nazionali e internazionali, nonché i rottami scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche sopra menzionate;
(…)».
11 L’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004 ha inserito all’art. 8, comma 1, del decreto legislativo n. 22/97 la lettera f quinquies), che esclude dal campo di applicazione di tale decreto «il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come descritto dalle norme tecniche UNI 9903‑1 (RDF [Refuse Derived Fuel] di qualità elevata), utilizzato in co‑combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, (…), come sostituita dall’articolo 1 del decreto del Ministro delle attività produttive 18 marzo 2002, (…), in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002, (…)».
12 L’art. 183, comma 1, lett. s), del decreto legislativo n. 152/2006 prevede che costituisce un «combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR‑Q): il combustibile classificabile, sulla base delle norme tecniche UNI 9903‑1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF di qualità elevata, cui si applica l’articolo 229».
13 L’art. 229, comma 2, del medesimo decreto legislativo così dispone:
«Ferma restando l’applicazione della disciplina di cui al presente articolo, è escluso dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto [concernente le norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati] il combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR‑Q), (...) come definito dall’articolo 183, comma 1, lettera s), prodotto nell’ambito di un processo produttivo che adotta un sistema di gestione per la qualità basato sullo standard UNI‑EN ISO 9001 e destinato all’effettivo utilizzo in co‑combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, (…), in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002, (…)».
14 Le due disposizioni da ultimo menzionate sono state integrate dal decreto del Ministero delle Attività produttive 2 maggio 2006, recante le modalità di utilizzo per la produzione di energia elettrica del CDR‑Q (GURI n. 106 del 9 maggio 2006, pag. 14; in prosieguo: il «decreto ministeriale 2 maggio 2006»).
Procedimento precontenzioso
15 Reputando che la normativa italiana non fosse idonea a garantire una trasposizione corretta della direttiva 75/442, la Commissione decideva di intraprendere il procedimento previsto all’art. 226 CE e, con lettera in data 13 luglio 2005, metteva in mora la Repubblica italiana.
16 Non avendo ritenuto soddisfacente la risposta della Repubblica italiana del 17 novembre 2005, il successivo 19 dicembre la Commissione le trasmetteva un parere motivato, invitandola ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi decorrenti dalla sua ricezione. La Repubblica italiana accludeva alla propria risposta in data 27 febbraio 2006 una nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio.
17 Successivamente, con lettera in data 12 maggio 2006, la Repubblica italiana notificava alla Commissione, nell’ambito di altri procedimenti di infrazione relativi alla mancata trasposizione di alcune direttive comunitarie, il testo del decreto legislativo n. 152/2006.
18 Poiché a seguito dell’adozione del suddetto decreto legislativo la Commissione riteneva opportuno precisare l’oggetto del procedimento, il 15 dicembre 2006 trasmetteva alla Repubblica italiana un parere motivato complementare, concedendole nuovamente un termine di due mesi decorrente dalla ricezione di detto parere per presentare eventuali obiezioni. Lo Stato membro rispondeva con lettera del 19 gennaio 2007, alla quale erano allegate la copia di un progetto di decreto legislativo che prevedeva l’abrogazione di tutte le disposizioni oggetto del procedimento, nonché una nota del Ministero dell’Ambiente indicante che tale progetto era in corso di adozione «per superare i rilievi formulati dalla Commissione (…)» e che la Commissione sarebbe stata informata «con la massima sollecitudine sugli ulteriori passaggi dell’iter di adozione del decreto correttivo in questione».
19 Non avendo ricevuto ulteriori notizie da parte della Repubblica italiana, la Commissione decideva di proporre il presente ricorso.
Sulla ricevibilità del ricorso
20 In primo luogo, la Repubblica italiana sostiene che il decreto legislativo n. 152/2006 non costituisce la mera conferma delle disposizioni relative al CDR‑Q già previste nella legge n. 308/2004 e prese in considerazione nella lettera di messa in mora, cosicché l’oggetto del ricorso sarebbe stato ampliato mediante il riferimento al decreto legislativo nel parere motivato complementare e nel ricorso.
21 A tale proposito occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito di un procedimento di infrazione la lettera di messa in mora e il parere motivato indirizzati allo Stato membro interessato delimitano l’oggetto della controversia. Pertanto, il ricorso deve essere fondato sui medesimi motivi e mezzi del parere motivato (v., in particolare, sentenze 27 novembre 2003, causa C‑185/00, Commissione/Finlandia, Racc. pag. I‑14189, punto 80 e la giurisprudenza ivi citata; 18 dicembre 2007, causa C‑194/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑11661, punto 20, nonché 11 settembre 2008, causa C‑274/07, Commissione/Lituania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22).
22 Tale esigenza non implica, tuttavia, che debba sussistere in ogni caso una perfetta coincidenza tra le disposizioni nazionali menzionate nel parere motivato e quelle richiamate nel ricorso. Qualora tra queste due fasi del procedimento sia intervenuta una modifica legislativa, è sufficiente che il sistema instaurato dalla normativa contestata nella fase precontenziosa sia stato nel complesso conservato dalle nuove misure adottate dallo Stato membro dopo il parere motivato e impugnate nell’ambito del ricorso (v. sentenze 1° febbraio 2005, causa C‑203/03, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑935, punti 29 e 30, nonché 22 settembre 2005, causa C‑221/03, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑8307, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).
23 Nel caso in esame, occorre sottolineare che il contenuto delle disposizioni controverse presenti nel decreto legislativo n. 152/2006 coincide sostanzialmente con quello dell’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004. Tali disposizioni, infatti, sottraggono il CDR‑Q rispondente a talune condizioni dall’ambito di applicazione della normativa nazionale sui rifiuti prima del suo utilizzo effettivo come combustibile, e ciò a prescindere da qualsivoglia valutazione delle circostanze del caso concreto.
24 Di conseguenza si deve constatare che la Commissione, allorché ha denunciato le disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006 nel parere motivato complementare e nell’atto introduttivo, non ha esteso l’oggetto del presente ricorso. La prima eccezione di irricevibilità deve quindi respingersi in quanto infondata.
25 In secondo luogo, la Repubblica italiana eccepisce che il ricorso è irricevibile a causa della durata eccessiva del procedimento precontenzioso.
26 A tale proposito, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte, le norme di cui all’art. 226 CE devono essere applicate senza che la Commissione sia tenuta ad osservare un termine prestabilito, salvo i casi in cui la durata eccessiva del procedimento precontenzioso disciplinato dalla suddetta disposizione sia tale da rendere maggiormente difficoltosa, per lo Stato coinvolto, la confutazione degli argomenti della Commissione, con conseguente violazione dei diritti della difesa. Spetta allo Stato membro interessato addurre la prova di una siffatta incidenza (sentenze 5 novembre 2002, causa C‑475/98, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑9797, punto 36, e 18 luglio 2007, causa C‑490/04, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑6095, punto 26).
27 Poiché la Repubblica italiana non ha apportato alcun elemento concreto idoneo a costituire una violazione dei suoi diritti della difesa in relazione alla durata del procedimento precontenzioso, non occorre esaminare la questione della durata eccessiva di detta fase. Anzi, è possibile osservare che lo stesso Stato membro ha domandato alla Corte una proroga del termine per il deposito della sua controreplica, e questo benché la Commissione gli avesse concesso, mediante il parere motivato complementare, un’ulteriore opportunità di replicare alle sue censure. Si deve pertanto respingere la seconda eccezione d’irricevibilità.
28 In terzo luogo, la Repubblica italiana addebita alla Commissione la mancata o errata ricostruzione della normativa oggetto del contenzioso, non avendo tenuto conto della circostanza del completamento delle disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006 operato attraverso il decreto ministeriale 2 maggio 2006.
29 Al riguardo, è opportuno osservare che le autorità italiane non hanno notificato alla Commissione il decreto ministeriale di cui trattasi e che lo hanno citato per la prima volta nel loro controricorso, sebbene gli Stati membri siano obbligati, in forza dell’art. 10 CE, a cooperare lealmente ad ogni indagine svolta dalla Commissione ai sensi dell’art. 226 CE (sentenze 13 luglio 2004, causa C‑82/03, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑6635, punto 15, e 26 aprile 2005, causa C‑494/01, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑3331, punti 197 e 198 nonché giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che la mancata presa in considerazione di detto decreto ministeriale durante il procedimento precontenzioso non può comportare l’irricevibilità del ricorso.
30 In quarto luogo, la Repubblica italiana sostiene che la Commissione ha omesso la verifica effettiva dell’applicazione in concreto della contestata normativa, in particolare a seguito del decreto ministeriale 2 maggio 2006, essendo tale applicazione conforme alla direttiva 75/442.
31 Neppure siffatta eccezione di irricevibilità può essere accolta.
32 Invero, una tale applicazione conforme delle disposizioni di diritto nazionale non può, di per sé, presentare la chiarezza e la precisione necessarie a garantire la certezza del diritto (v., in tal senso, sentenze 19 settembre 1996, causa C‑236/95, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑4459, punto 13; 10 maggio 2001, causa C‑144/99, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑3541, punto 21, nonché 10 maggio 2007, causa C‑508/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑3787, punto 79).
33 Inoltre, non è possibile ritenere che semplici prassi amministrative, per loro natura modificabili a discrezione dell’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, costituiscano adempimento degli obblighi che incombono agli Stati membri nell’ambito della trasposizione di una direttiva (v. sentenze 13 marzo 1997, causa C‑197/96, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑1489, punto 14; 10 marzo 2005, causa C‑33/03, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑1865, punto 25, e 10 maggio 2007, Commissione/Austria, cit., punto 80).
34 Da ultimo, occorre rilevare che le sentenze 9 novembre 1999, causa C‑365/97, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑7773), e 26 aprile 2007, causa C‑135/05, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑3475), invocate dalla Repubblica italiana a sostegno della propria argomentazione, non sono a tal fine pertinenti. Esse, infatti, riguardano dei ricorsi per inadempimento aventi ad oggetto non la conformità con il diritto comunitario del contenuto delle disposizioni nazionali, bensì l’applicazione in concreto del diritto comunitario o nazionale vigente.
35 Il ricorso è dunque ricevibile.
Sul ricorso
36 In via preliminare, occorre ricordare che l’abrogazione delle disposizioni controverse operata dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, recante disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo n. 152/2006 (Supplemento ordinario alla GURI n. 24 del 29 gennaio 2008), non produce effetti sul ricorso in esame, poiché è intervenuta soltanto dopo che erano scaduti i termini fissati nel parere motivato e nel parere motivato complementare, e persino dopo la presentazione del ricorso.
Sui rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica
Argomenti delle parti
37 La Commissione sostiene che l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a) della legge n. 308/2004 esclude, a priori e in via generale, i rottami ferrosi e non ferrosi destinati ad attività siderurgiche e metallurgiche dall’ambito di applicazione della normativa nazionale di trasposizione della direttiva 75/442. Tale esclusione avrebbe l’effetto di rendere inapplicabile a tali materiali, in particolare alla loro gestione, al loro deposito e al loro trasporto, la normativa comunitaria sulla tutela dell’ambiente.
38 Ebbene, secondo la Commissione, tali rottami possono ricadere nella nozione di «rifiuto» di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Detti rottami non costituirebbero materie prime secondarie, bensì semplici residui di produzione e di consumo che rimarrebbero tali fino alla conclusione del processo di recupero completo, che termina con la loro trasformazione in prodotti siderurgici e metallurgici. Peraltro, i rottami in questione non possono essere considerati «sottoprodotti» ai sensi della giurisprudenza della Corte.
39 Le Repubblica italiana ritiene che l’esclusione di tali rottami operata dalla normativa nazionale controversa sia legittima, avuto riguardo alle condizioni da quest’ultima stabilite. In primo luogo, detta normativa esige che i rottami in questione posseggano non soltanto talune caratteristiche oggettive, che consentono di qualificarli come merci dotate di un valore commerciale, ma anche destinazioni specifiche e verificabili alle attività dell’industria siderurgica o metallurgica. In secondo luogo, la normativa in questione inserisce l’attività di raccolta dei rottami ferrosi e non ferrosi in un contesto produttivo industriale senza soluzione di continuità.
Giudizio della Corte
40 In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, si deve considerare «rifiuto» qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I della medesima direttiva e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.
41 Pertanto, nel contesto di tale direttiva, la portata della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi». Quest’ultimo deve essere interpretato alla luce della finalità della direttiva stessa, che, ai sensi del suo terzo ‘considerando’, consiste nella protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti, nonché alla luce dell’art. 174, n. 2, CE. Quest’ultimo dispone che la politica della Comunità europea in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva (v., segnatamente, sentenze 11 novembre 2004, causa C‑457/02, Niselli, Racc. pag. I‑10853, punto 33; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 33, e 24 giugno 2008, causa C‑188/07, Commune de Mesquer, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 38).
42 La Corte ha altresì dichiarato che, stante la finalità perseguita dalla direttiva 75/442, la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo (v. sentenze 15 giugno 2000, cause riunite C‑418/97 e 419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I‑4475, punto 40; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 33, nonché Commune de Mesquer, cit., punto 39).
43 L’effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442 deve essere accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 73, 88 e 97, nonché 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, punto 41).
44 A tale riguardo, alcune circostanze possono costituire indizi della sussistenza di un’azione, di un’intenzione oppure di un obbligo di disfarsi di una sostanza o di un oggetto ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Ciò si verifica, in particolare, se la sostanza utilizzata è un residuo di produzione o di consumo, vale a dire un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale (v. citate sentenze 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, punto 34, e Commune de Mesquer, punto 41).
45 Nel caso di specie, nessuno ha posto in dubbio che, malgrado la loro conformità a talune specifiche tecniche nazionali ed internazionali, i rottami oggetto della normativa controversa costituiscano residui di produzione o di consumo non ricercati in quanto tali.
46 Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, né il metodo di trasformazione né le modalità di utilizzo di una sostanza sono determinanti al fine di stabilire se si tratti o meno di un rifiuto (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punto 64, nonché 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, punti 36 e 49). In particolare, la nozione di rifiuto non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Il sistema di vigilanza e di gestione stabilito dalla direttiva 75/442, infatti, si applica a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo (v. in tal senso, segnatamente, sentenze 25 giugno 1997, cause riunite C‑304/94, C‑330/94, C‑342/94 e C-224/95, Tombesi e a., Racc. pag. I‑3561, punti 47 e 52; 18 aprile 2002, causa C‑9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I‑3533, in prosieguo: la sentenza «Palin Granit», punto 29, nonché Commune de Mesquer, cit., punto 40).
47 Di conseguenza, l’argomento della Repubblica italiana che deduce sia la specifica destinazione sia la qualità di merce e il valore commerciale dei rottami oggetto della normativa controversa non è rilevante al fine di escludere a priori detti rottami dalla qualificazione come rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Alla luce della precitata giurisprudenza, quindi, in via di principio i rottami in questione devono essere considerati rifiuti.
48 Però, dalla giurisprudenza della Corte si evince parimenti che un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire un sottoprodotto, del quale il detentore non cerca di disfarsi, ma che intende sfruttare o commercializzare a condizioni favorevoli in un processo successivo. Tuttavia, occorre circoscrivere il ricorso a tale argomentazione relativa ai sottoprodotti, a quelle situazioni in cui il riutilizzo, compreso quello per i fabbisogni di operatori economici diversi da quello che li ha prodotti, non sia solo eventuale, bensì certo, prescinda da operazioni di trasformazione preliminare, ed avvenga nel corso del processo di produzione (v. sentenze Palin Granit, cit., punti 34-36; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punti 38 e 46, nonché Commune de Mesquer, punti 42 e 44).
49 Nel caso di specie, è evidente come l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge n. 308/2004 contempli un’ampia varietà di situazioni. Non si può escludere che il «riutilizzo effettivo» in attività siderurgiche e metallurgiche previsto da queste disposizioni venga effettuato solo dopo il decorso di un periodo di tempo notevole, se non addirittura indeterminato, e che pertanto siano necessarie delle operazioni di stoccaggio durevole dei materiali in questione. Ebbene, siffatte operazioni di stoccaggio sono tali da rappresentare un intralcio per il detentore. Inoltre, esse costituiscono una potenziale fonte di quel danno per l’ambiente che la direttiva 75/442 mira specificamente a limitare. Ne consegue che la sostanza di cui trattasi dev’essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (v., in tal senso, sentenze Palin Granit, cit., punto 38; 11 settembre 2003, causa C‑114/01, AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I‑8725, punto 39, nonché 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punti 40 e 48).
50 Inoltre, dalla formulazione delle suddette disposizioni emerge che esse prevedono, in via generale, la possibilità di escludere i materiali in questione dall’ambito di applicazione della legislazione nazionale sui rifiuti, anche qualora tali materiali vengano trasformati prima del loro riutilizzo.
51 È quindi inevitabile constatare che le disposizioni controverse relative ai rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica comportano che, nel diritto italiano, taluni residui, pur corrispondendo alla definizione di rifiuto sancita all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, siano sottratti al tale qualificazione.
52 La disposizione da ultimo menzionata non soltanto reca la definizione della nozione di «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, ma determina altresì, in combinato disposto con il suo art. 2, n. 1, l’ambito di applicazione della medesima direttiva. Invero, l’art. 2, n. 1, indica quali tipi di rifiuti sono oppure possono essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva, e a quali condizioni, laddove, in linea di principio, vi rientrano tutti i rifiuti corrispondenti alla suddetta definizione. Orbene, qualsiasi disposizione di diritto nazionale che limita in modo generale la portata degli obblighi derivanti dalla direttiva 75/442 oltre quanto consentito dal citato art. 2, n. 1, travisa necessariamente l’ambito di applicazione della direttiva stessa, pregiudicando in tal modo l’efficacia dell’art. 174 CE (v. sentenza 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 54 e giurisprudenza ivi citata).
53 Sul punto è sufficiente osservare, riguardo al caso in esame, che i rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica oggetto delle disposizioni controverse non rientrano tra le eccezioni all’ambito di applicazione della direttiva 75/447 previste al suo art. 2, n. 1.
54 Pertanto, la prima parte del ricorso della Commissione è fondata.
Sul CDR‑Q
Argomenti delle parti
55 La Commissione osserva che l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004 nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo n. 152/2006 sono tutti egualmente incompatibili con la direttiva 75/442, in quanto escludono dall’ambito di applicazione della normativa nazionale sui rifiuti, a priori e in via generale, il CDR‑Q rispondente a talune condizioni. Siffatta esclusione pregiudicherebbe l’effettività della medesima direttiva, come pure quella di altre disposizioni comunitarie poste a tutela dell’ambiente e la cui portata risulta determinata in base alla nozione di «rifiuto» sancita dalla direttiva.
56 La Commissione sostiene che il CDR‑Q, come i rifiuti solidi urbani che lo compongono, è un residuo di consumo e rientra quindi nella definizione di «rifiuto» di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442 fino al momento della sua effettiva combustione per produrre energia. L’operazione di trattamento dei rifiuti solidi urbani volta ad ottenere del CDR‑Q implicherebbe soltanto una mera selezione e mescolanza di rifiuti e, pertanto, non sarebbe possibile ravvisarvi un processo di fabbricazione di un prodotto.
57 La Repubblica italiana ribatte che, nel momento in cui tali materiali giungono a soddisfare le condizioni per l’applicazione della normativa controversa, essi hanno ormai completato il ciclo di recupero da rifiuti e pertanto costituiscono vere e proprie merci, in ogni caso aventi un valore economico. Già lo stesso processo di fabbricazione del CDR‑Q sfocerebbe nella produzione di un nuovo materiale, che sarebbe equivalente – non da ultimo grazie alle sue caratteristiche calorifiche – ad un vero e proprio combustibile fossile primario. Con la conseguenza che, già prima della sua effettiva combustione, il CDR‑Q dovrebbe essere considerato quale il risultato di un recupero completo e non ricadrebbe nella nozione di «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, come interpretata dalla Corte.
58 Oltre a ciò, la Repubblica italiana sostiene che il decreto ministeriale 2 maggio 2006 istituisce un sistema di controllo e di tutela dell’ambiente che, unitamente alle altre regole del settore, garantisce un livello di tutela dell’ambiente quantomeno equivalente a quello previsto dalla disciplina comunitaria sui rifiuti, la cui effettività non risulterebbe, quindi, pregiudicata.
Giudizio della Corte
59 Occorre anzitutto osservare che, come si evince dal punto 46 della presente sentenza, l’argomento della Repubblica italiana inerente alla qualità di merce ed al valore commerciale del CDR‑Q è irrilevante rispetto al fine di escludere a priori tale sostanza dalla qualificazione come rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Inoltre, non è stato contestato che il CDR‑Q derivi esclusivamente da residui di consumo e che, per tale ragione, il suo processo di produzione debba essere assoggettato, in quanto tale, alla normativa nazionale in materia di gestione di rifiuti.
60 In ordine all’argomento secondo cui il CDR‑Q costituirebbe il risultato di un recupero completo di rifiuti, è opportuno ricordare che una siffatta operazione di recupero non è sufficiente, di per sé, a determinare se la sostanza risultante costituisca o meno un rifiuto. Invero, il fatto che una sostanza sia il risultato di un’operazione di recupero completo ai sensi dell’allegato II B della direttiva 75/442 rappresenta solamente uno degli elementi che devono essere presi in considerazione al fine di stabilire una conclusione definitiva in merito (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 94 e 95, nonché Palin Granit, punto 46).
61 Del resto, un’operazione di recupero può dirsi completa soltanto se ha l’effetto di conferire al materiale in questione le medesime proprietà e caratteristiche di una materia prima e di renderlo utilizzabile nelle stesse condizioni di precauzione rispetto all’ambiente (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 94 e 96, nonché Palin Granit, punto 46).
62 Ebbene, il CDR‑Q, anche se corrisponde alle norme tecniche UNI 9903‑1, non possiede le stesse proprietà e caratteristiche dei combustibili primari. Come ammette la stessa Repubblica italiana, esso può sostituire solo in parte il carbone e il coke di petrolio. Peraltro, le misure di controllo e di precauzione relative al trasporto e alla ricezione del CDR‑Q negli impianti di combustione, nonché le modalità della sua combustione previste dal decreto ministeriale 2 maggio 2006, dimostrano che il CDR‑Q e la sua combustione presentano rischi e pericoli specifici per la salute umana e l’ambiente, che costituiscono una delle caratteristiche dei residui di consumo e non dei combustibili fossili.
63 Inoltre, la giurisprudenza della Corte relativa alla distinzione tra lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, invocata dalla Repubblica italiana, non è idonea a sostenere l’argomentazione di detto Stato membro. Secondo tale giurisprudenza, benché la caratteristica essenziale di un’operazione di recupero consista nel fatto che il suo obiettivo principale è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile (v. sentenze 27 febbraio 2002, causa C‑6/00, ASA, Racc. pag. I‑1961, punto 69, e 13 febbraio 2003, causa C‑228/00, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑1439, punti 41, 45‑46, nonché ordinanza 27 febbraio 2003, cause riunite da C‑307/00 a C‑311/00, Oliehandel Koeweit e a., Racc. pag. I‑1821, punto 97), il recupero avviene soltanto nel momento stesso in cui la sostanza de qua svolge effettivamente una funzione utile, segnatamente all’atto della produzione di energia attraverso la combustione o il deposito in una miniera in disuso.
64 Ne consegue che il CDR‑Q non costituisce il risultato di un recupero completo, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di tale operazione, bensì soltanto il risultato di una fase ad esso precedente.
65 Occorre aggiungere che la presunta «certezza dell’utilizzo effettivo» del CDR‑Q, addotta dalle autorità italiane, non rappresenta un criterio rilevante al fine di escludere definitivamente l’azione, l’intenzione, o l’obbligo del detentore del CDR‑Q di disfarsene. Il riutilizzo certo di un bene o di un materiale è soltanto una delle tre condizioni necessarie per qualificare detto bene o materiale come sottoprodotto, come risulta dal punto 48 della presente sentenza e dalla giurisprudenza ivi citata. Orbene, la Corte ha sottolineato che detta giurisprudenza non è valida per quanto riguarda i residui di consumo, i quali non possono essere considerati «sottoprodotti» (sentenza Niselli, cit., punto 48).
66 Risulta dalle suesposte considerazioni che le disposizioni controverse relative al CDR‑Q comportano altresì la sottrazione alla normativa nazionale sui rifiuti di residui che corrispondono alla definizione di rifiuto di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, ma non ricadono fra le eccezioni previste al suo art. 2, n. 1.
67 Infine, non può essere accolto l’argomento della Repubblica italiana esposto al punto 58 della presente sentenza. La Commissione ha dimostrato in modo circostanziato, senza essere contraddetta sul punto, che il decreto ministeriale 2 maggio 2006 non garantisce un livello di tutela della salute umana e dell’ambiente equivalente a quello derivante dalla normativa comunitaria sui rifiuti. Ad esempio, relativamente allo stoccaggio del CDR‑Q negli impianti di produzione di energia elettrica, tale decreto adotta una nozione più limitata di tutela dell’ambiente perché impone misure precauzionali volte ad evitare soltanto la contaminazione dell’aria, dell’acqua e del suolo, quando invece l’art. 4, n. 1, della direttiva 75/442 mira a salvaguardare anche la fauna, la flora, il paesaggio e i siti di particolare interesse e vieta di causare inconvenienti da rumori od odori. Pertanto le disposizioni invocate dalla Repubblica italiana non risultano idonee a garantire la completa conformità della normativa nazionale agli scopi della direttiva 75/442.
68 Il ricorso della Commissione è quindi fondato sul punto.
69 Di conseguenza, si deve constatare che la Repubblica italiana, avendo adottato e mantenendo in vigore disposizioni quali l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge n. 308/2004 e l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo n. 152/2006, per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il CDR‑Q sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva 75/442, è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva.
Sulle spese
70 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana, avendo adottato e mantenuto in vigore disposizioni quali:
l’art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, e
l’art. 1, comma 29, lett. b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale,
per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati all’impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR‑Q) sono sottratti a priori all’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 1, lett. a), della medesima direttiva.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme