Cass. Sez. III n. 3943 del 28 gennaio 2015 (Ud 17 dic 2014)
Pres. Fiale Est. Ramacci Ric. Aloisio
Rifiuti. Posidonia e meduse spiaggiate

L'art. 39, comma 11 d.lgs. 205\2010, il quale stabilisce che, fatta salva la disciplina in materia di protezione dell'ambiente marino e le disposizioni in tema di sottoprodotto, laddove sussistano univoci elementi che facciano ritenere la loro presenza sulla battigia direttamente dipendente da mareggiate o altre cause comunque naturali, è consentito l'interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate, purché ciò avvenga senza trasporto né trattamento richiede, per la sua concreta applicazione, la prova positiva della sussistenza di tutti i presupposti individuati dalla legge.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 22/11/2013 ha riformato la decisione emessa in data 11/10/2012, a seguito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi, confermando l'affermazione di penale responsabilità di A.V. imputato, unitamente a Z. C. e S.S., che la Corte territoriale ha assolto per non aver commesso il fatto, del reato di cui all'art. 110 cod. pen. e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, perchè, nella sua qualità di amministratore della "MEDITUR TURISTICA s.r.l.", realizzava una discarica non autorizzata di alghe marine ed altri rifiuti di varia natura su un'area di circa 45 mc. (in (OMISSIS)).

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che, nella fattispecie, diversamente da quanto erroneamente ritenuto dai giudici dell'appello, sarebbe stato applicabile il D.Lgs. n. 205 del 2010, art. 39, comma 11, che consente l'interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate.

Avendo rinvenuto sull'arenile, perchè portati dalle mareggiate, alghe ed altri rifiuti, se ne sarebbe reso necessario il momentaneo trasporto in altro sito limitrofo al fine di procedere alla separazione di quanto avrebbe potuto essere interrato.

Aggiunge che, nella sentenza impugnata, sarebbe stata altrettanto erroneamente esclusa l'applicabilità della disciplina del deposito temporaneo, non considerando, peraltro, che i rifiuti erano stati rinvenuti all'interno di un complesso turistico, ove non avrebbero potuto essere lasciati, perchè si sarebbe creata una situazione di degrado che non avrebbe consentito la ricezione degli ospiti.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al fatto che la sua responsabilità sarebbe stata affermata in ragione della posizione di amministratore della società, non considerando che, al momento dell'accertamento, egli non era sul posto nè vi si era recato nei giorni immediatamente precedenti, mentre era presente, invece, il direttore del complesso turistico, cui andava conseguentemente attribuita la condotta contestata, considerando anche che costui, in ragione della qualifica rivestita, avrebbe avuto anche il ruolo dell'institore.

Aggiunge che, in merito a tale specifica doglianza, la Corte territoriale non avrebbe fornito risposta alcuna.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Va osservato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che il D.Lgs. n. 205 del 2010, art. 39, comma 11 stabilisce che, fatta salva la disciplina in materia di protezione dell'ambiente marino e le disposizioni in tema di sottoprodotto, laddove sussistano univoci elementi che facciano ritenere la loro presenza sulla battigia direttamente dipendente da mareggiate o altre cause comunque naturali, è consentito l'interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate, purchè ciò avvenga senza trasporto nè trattamento.

Quanto al deposito temporaneo, invece, secondo il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. bb) per esso si intende il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti o, per gli imprenditori agricoli di cui all'art. 2135 cod. civ., presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci, a determinate condizioni dettagliatamente specificate.

Le condizioni cui la legge sottopone il deposito temporaneo sono le seguenti: a) il raggruppamento dei rifiuti deve avvenire nel luogo di produzione dei rifiuti medesimi; b) il deposito temporaneo non può riguardare rifiuti prodotti da terzi; c) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004 e successive modificazioni devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; d) sono previsti limiti quantitativi e temporali entro i quali i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento; e) il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonchè, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute; f) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura dei rifiuti pericolosi.

2. Ciò posto, deve in primo luogo rilevarsi che entrambe le disposizioni richiamate prevedono deroghe all'ordinaria disciplina dei rifiuti, cosicchè, come questa Corte ha avuto ripetutamente modo di affermare, grava su chi ne invoca l'applicazione l'onere di dimostrare il verificarsi delle condizioni fissate dalla legge per l'operatività della deroga (v. ad es. Sez. 3, n. 6107 del 17/1/2014, Minghini Rv. 258860 in tema di impianti mobili adibiti alla sola attività di riduzione volumetrica e separazione delle frazioni estranee; Sez. 3, n. 17453 del 17/4/2012, Buse, Rv. 252385; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, non massimata; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504 in tema di sottoprodotti; Sez. 3, n. 15680 del 3/3/2010, Abbatino, non massimata; Sez. 3, n. 21587 del 17/3/2004, Marucci, non massimata; Sez. 3, n. 30647del 15/06/2004, Dell'Angelo, non massimata, in tema di deposito temporaneo e, con riferimento alle terre e rocce da scavo, Sez. 3, n. 35138 del 18/6/2009, Bastone Rv. 244784; Sez. 3, n. 37280 del 12/6/2008, Picchioni, Rv. 241087; Sez. 3, n. 9794 del 29/11/2006 (dep. 2007), Montigiani, non massimata sul punto).

Nella fattispecie, nessun elemento concreto risulta addotto in tal senso del ricorrente, il quale si è limitato a considerazioni meramente congetturali circa il destino dei rifiuti.

3. Vale peraltro la pena di ricordare che, in entrambe le ipotesi esaminate deve essere dimostrata la sussistenza di tutte le condizioni di legge, perchè il venire meno anche di una sola di esse comporta l'applicazione della disciplina generale sui rifiuti e, sebbene tale rilevante aspetto sia stato reiteratamente posto in evidenza per ciò che concerne il deposito temporaneo, è opportuno ribadire il concetto anche per ciò che riguarda il disposto del D.Lgs. n. 205 del 2010, art. 39, comma 11 dal quale emerge, inequivocabilmente, che: la disposizione riguarda soltanto la posidonia e le meduse spiaggiate, con esclusione, quindi, di ogni altro materiale o sostanza; la loro presenza sulla battigia deve dipendere direttamente da mareggiate o altre cause comunque naturali, non potendosi, quindi, contemplare altra origine e, in particolare, l'azione dell'uomo; l'unica attività consentita è l'interramento;

tale attività deve essere effettuata "in sito" e, cioè, nello stesso luogo ove posidonia e meduse spiaggiate sono state rinvenute, senza alcuna possibilità di trasporto o trattamento.

Pare evidente che il riferimento al trasporto deve considerarsi come riguardante la tipica attività di gestione indicata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. n), così come quello al trattamento va considerato in relazione alla definizione di cui alla lett. s) medesimo art., cosicchè devono ragionevolmente ritenersi ammissibili quelle operazioni meramente preparatorie dell'interramento in sito.

4. Va conseguentemente affermato il principio secondo il quale l'applicabilità della disciplina derogatoria di cui al D.Lgs. n. 205 del 2010, art. 39, comma 11 è subordinata alla prova positiva della sussistenza di tutti i presupposti individuati dalla legge.

5. Date tali premesse, deve rilevarsi che, nel caso in esame, non soltanto non è stata fornita alcuna prova in ordine alla esistenza dei presupposti di applicabilità del deposito temporaneo e del D.Lgs. n. 205 del 2010, art. 39, comma 11, ma risulta ampiamente dimostrata la loro plateale insussistenza.

I giudici del merito hanno infatti rilevato, sulla base del verbale di sequestro e della documentazione fotografica presente in atti, che su un terreno di proprietà della società della quale il ricorrente è legale rappresentante venivano rinvenuti rifiuti non pericolosi consistenti in "alghe marine e rifiuti provenienti da scarti di edilizia per circa 45/50 mc, miscelati tra loro e spianati sul terreno in assenza di autorizzazione".

Orbene, pur volendo considerare che il riferimento alle "alghe" contenuto in sentenza ed in ricorso sia frutto di un erronea qualificazione della posidonia, che pur essendo una pianta e non un'alga, come tale viene frequentemente definita, è evidente il difetto delle condizioni di applicabilità del D.Lgs. n. 205 del 2010, art. 39, comma 11, considerato, come correttamente osservato dai giudici del gravame, che le "alghe" erano state trasportate in altro sito, ancorchè prossimo al luogo del rinvenimento, ma comunque diverso ed erano state miscelate con rifiuti provenienti da demolizioni edili.

La circostanza che i rifiuti fossero stati "spianati" sul terreno rende del tutto insostenibile la tesi prospettata dal ricorrente, il quale sostiene che anche i rifiuti da demolizione sarebbero stati trasportati sulla battigia da mareggiate e che vi sarebbe stata l'intenzione di separare ciò che poteva essere interrato (le "alghe") dal restante materiale.

6. Parimenti corretta appare l'ulteriore osservazione della Corte territoriale in ordine alla inapplicabilità della disciplina del deposito temporaneo in ragione della distinzione fisica tra la battigia ed il luogo di deposito, cui si aggiungono, stante quanto accertato nel giudizio di merito, la mancata effettuazione del deposito per categorie omogenee e, sopratutto, l'avvenuto spianamento dell'area di deposito, evidentemente sintomatico di un definitivo stoccaggio.

Le pertinenti osservazioni dei giudici dell'appello rendevano peraltro superflua ogni ulteriore considerazione della tesi difensiva, da ritenersi implicitamente disattesa stante la sua evidente incompatibilità con le circostanze e le emergenze processuali ritenute determinanti per la formazione del loro convincimento.

7. E' appena il caso di osservare, inoltre, che quanto accertato in fatto impedisce anche di prendere in considerazione l'eventuale applicabilità, al caso in esame, del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. n) come modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, laddove si specifica che "non costituiscono attività di gestione dei rifiuti le operazioni di prelievo, raggruppamento, cernita e deposito preliminari alla raccolta di materiali o sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica effettuate, nel tempo tecnico strettamente necessario, presso il medesimo sito nel quale detti eventi li hanno depositati".

La Corte del merito ha dunque correttamente qualificato il fatto come realizzazione di discarica non autorizzata.

8. A tale proposito si ritiene opportuno ribadire quanto già affermato in una precedente decisione (Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013, Caminotto, Rv. 257996) circa la nozione di discarica abusiva.

Veniva ricordato, in quell'occasione, che una definizione giuridica della discarica è rinvenibile nel D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 2, comma 1, lett. g), ove si afferma che per discarica deve intendersi un1 area "adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonchè qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno".

La richiamata disposizione specifica, inoltre, che "sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno", consentendo così, grazie all'indicazione del dato temporale, di distinguere la discarica da altre attività di gestione (anche se lo stesso, come si è ritenuto nel caso di protrazione del deposito dei rifiuti per un periodo superiore all'anno in Sez. 3, n. 9849 del 29/1/2009, Gonano, Rv. 243116, non individua un elemento costitutivo della fattispecie).

La giurisprudenza di questa Corte, inoltre, si è ripetutamente impegnata nella individuazione del concetto di discarica con riferimento al reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3 sottolineandone, ad esempio, la differenza con la nozione di "smaltimento" e rilevando che trattasi di due attività diversamente disciplinate, perchè, pur avendo in comune talune operazioni (quali il conferimento dei materiali e la loro deposito), si differenziano radicalmente: nello smaltimento i rifiuti vengono interamente sfruttati a scopo di profitto con specifiche modalità (cernita, trasformazione, utilizzo e riciclo previo recupero), nella discarica, invece, i beni non ricevono alcun trattamento ulteriore e vengono abbandonati a tempo indeterminato, mediante deposito ed ammasso.

Si ha quindi discarica abusiva "tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato" (v. ad es. Sez. 3, n. 27296 del 12/5/2004, Micheletti, Rv. 229062).

9. Anche la differenza con il mero abbandono di rifiuti è stata individuata evidenziando la natura occasionale e discontinua di tale attività rispetto a quella, abituale o organizzata, di discarica (Sez. 3, n. 25463 del 15/4/2004, Bono, Rv. 228689).

La discarica abusiva dovrebbe presentare, tendenzialmente, una o più tra le seguenti caratteristiche, la presenza delle quali costituisce valido elemento per ritenere configurata la condotta vietata:

accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata; eterogeneità dell'ammasso dei materiali; definitività del loro abbandono; degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione.

Si è ulteriormente precisato che il reato di discarica abusiva è configurabile anche in caso di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell'area su cui insistono, anche se collocata all'interno dello stabilimento produttivo (Sez. 3, n. 41351 del 18/9/2008, Fulgori, Rv. 241533; Sez. 3, n. 2485 del 9/10/2007(dep. 2008), Marchi, non massimata sul punto).

10. Date tali premesse, deve rilevarsi che, con accertamento in fatto del tutto logico e coerente, i giudici dell'appello hanno evidenziato che la destinazione dell'area a discarica era dimostrata dalla documentazione fotografica, risultando del tutto evidente che la miscelazione dei rifiuti tra loro e lo spianamento dell'area ove gli stessi insistevano evidenziavano in maniera inequivocabile l'intenzione di una definitiva collocazione sul posto.

Il motivo di ricorso esaminato si palesa, conseguentemente, manifestamente infondato.

11. A conclusioni non dissimili deve pervenirsi per ciò che concerne il secondo motivo di ricorso.

Va ricordato, a tale proposito ed in linea generale, come questa Corte abbia già avuto modo di precisare che l'amministratore di diritto di una società risponde del reato di gestione non autorizzata di rifiuti anche nel caso in cui la gestione societaria sia, di fatto, svolta da terzi, gravando su costui, quale legale rappresentante, i doveri positivi di vigilanza e di controllo sulla corretta gestione (Sez. 3, n. 25047 del 25/5/2011, Piga, Rv. 250677).

E' peraltro evidente che, in un tale contesto, l'attività viene svolta nell'interesse della società ed è riconducibile all'attività svolta dalla società medesima, attività che deve essere oggetto di controllo da parte del legale rappresentante.

12. Nella fattispecie in esame non viene posto in discussione dal ricorrente l'assetto societario e la ripartizione dei poteri rappresentativi, limitandosi questi a rilevare, del tutto genericamente, che del fatto sarebbe in realtà responsabile il direttore dello stabilimento il quale avrebbe rivestito anche il ruolo di institore.

Si tratta, però, di mere asserzioni che non trovano alcun riscontro concreto e non intaccano minimamente le argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale, la quale ha analizzato la posizione di tutti gli imputati, giungendo poi a ritenere unico responsabile, tra costoro, l'odierno ricorrente.

Le considerazioni sviluppate in ricorso si pongono peraltro in contrasto con quanto evidenziato nell'atto di appello sintetizzato nella sentenza impugnata, laddove si è affermata la "(...) erroneità nella condanna di tutti e tre gli imputati in qualità di soci di una società a responsabilità limitata di capitali, laddove a rispondere della condotta illecita è esclusivamente l'amministratore e non indistintamente tutti i soci (...)".

13. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2015