TAR Lombardia, (BS), Sez. II, n. 145, del 5 febbraio 2013
Ambiente in genere.Illegittimità dell’ordinanza comunale per cessazione dell’attività di lavorazione del ferro per cementi armati
L’adozione di provvedimenti repressivi delle industrie insalubri in base all’art. 216 del RD 1265/1934 presuppone l’accertamento in concreto di un’effettiva situazione di pericolo per la salute pubblica. L'installazione nell'abitato (o in prossimità di questo) di una industria insalubre non è di per sé vietato in assoluto, dal momento che lo stesso art. 216 del T.U.L.S. n. 1265 del 1934, lo consente in determinate circostanze ed in particolari condizioni, se accompagnato dall'introduzione di particolari metodi produttivi o cautele in grado di escludere qualsiasi rischio di compromissione della salute del vicinato. Dunque, la valutazione dell'attività produttiva sotto il profilo sanitario non può essere compiuta aprioristicamente vietando in modo generalizzato determinati insediamenti produttivi nel centro abitato o ad una prestabilita distanza dallo stesso, in quanto tale valutazione deve essere compiuta sul caso specifico da parte dell'autorità sanitaria, che deve accertare la presenza delle condizioni indispensabili affinché essa si svolga senza pregiudizio per la salute pubblica. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00145/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01250/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1250 del 2004, proposto da:
B.M. - Fer Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandro Pagano, Donatella Costantini e Fabiola Imbardelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Brescia, Via Gramsci n. 30;
contro
Comune di Iseo, rappresentato e difeso dall’avv.to Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, Via Diaz n. 13/c;
per l'annullamento
DEL PROVVEDIMENTO DELL’UFFICIO POLIZIA AMMINISTRATIVA IN DATA 18/5/2004 N. 409, CON IL QUALE È STATA ORDINATA LA CESSAZIONE DELL’ATTIVITÀ PRODUTTIVA (LAVORAZIONE DI FERRO PER CEMENTI ARMATI), OLTRE AGLI ATTI PRESUPPOSTI E CONSEQUENZIALI.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Iseo;
Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2013 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Riferisce la Società ricorrente di esercitare sin dal 1990 l’attività di lavorazione del ferro per cementi armati sul fondo di proprietà del Sig. Bonfadini Graziano. Il provvedimento impugnato ha disposto la cessazione dell’attività produttiva, svolta in Via Di Bernardo 85, frazione Clusane di Iseo. Tale decisione si basa sulla mancanza del nulla osta ex art. 3.1.9 del regolamento tipo di igiene, sulla classificazione della lavorazione del ferro come industria insalubre di prima classe (punto C6 dell’allegato al D.M. Sanità del 5 settembre 1994), e sull’assenza di elementi attestanti la compatibilità igienico-sanitaria, ambientale ed urbanistico-edilizia.
Con l’introdotto gravame, ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione, la ricorrente impugna l’atto sfavorevole, esponendo i seguenti motivi di diritto:
a) Incompetenza dell’organo emanante, poiché l’atto doveva essere adottato dal Sindaco ai sensi dell’art. 50 comma 3 del D. Lgs. 267/2000 e degli artt. 216 e 217 del R.D. 1265/34;
b) Erronea applicazione degli artt. 216 e 217 del R.D. 1265/1934 e dell’art. 3 della L. 241/90, eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria ed erronea rappresentazione dei fatti, in quanto il Comune ha omesso di compiere il dovuto preventivo accertamento sull’esistenza di concreti pregiudizi per la salute pubblica, ed ha unicamente valorizzato dati formali (assenza nulla osta, classificazione nell’elenco delle industrie insalubri);
c) Violazione degli artt. 216 e 217 del R.D. 1265/1934 e degli artt. 2.7.1 e ss. del regolamento di igiene dato che, anche se il Comune avesse effettivamente ravvisato inconvenienti igienico-sanitari, avrebbe dovuto limitarsi a prescrivere l’adozione delle misure più idonee, e solo in un secondo tempo ordinare la sospensione dell’attività;
d) Violazione degli artt. 7 e ss della L. 241/90 per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione, chiedendo la reiezione del gravame. In particolare ha dedotto in punto di fatto che:
- l’area che ospita l’attività è collocata in zona E1 (agricola produttiva), destinata esclusivamente all’esercizio dell’agricoltura, e contigua ad una zona R1 di riqualificazione urbanistica con caratteristiche ambientali di notevole importanza;
- il Sig. Graziano Bonfadini, rappresentante legale dell’Azienda, ha già subìto atti sanzionatori per interventi edilizi abusivi;
- nell’area in oggetto le richieste di opere edilizie hanno sempre riguardato lo svolgimento di attività agricola;
- durante il sopralluogo del 7/5/2003 veniva accertata la presenza di notevole quantità di ferro per cementi armati, di personale e macchinari per la lavorazione, mentre il capannone era in fase di realizzazione e non ancora ultimato;
- nel sopralluogo del 27/4/2004 è stata verificata l’ultimazione del capannone (una platea di calcestruzzo di 530 mq. con piattaforma con pesa), e si è realizzato un mutamento di destinazione d’uso neppure condonabile;
- l’atto adottato era a contenuto vincolato.
Con ordinanza n. 1310, adottata dalla Sezione in data 23/7/2004, è stata motivatamente accolta la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.
Con decreto presidenziale n. 158/2012 è stata dichiarata la perenzione del ricorso, mentre a seguito di opposizione con decreto n. 680 in data 6/7/2012 è stata revocata la perenzione e disposta la reiscrizione della causa a ruolo con fissazione dell’udienza di discussione alla data odierna.
Nella memoria finale l’amministrazione ha dato conto dell’avvenuta reiezione, in data 8/5/2008, dell’istanza di condono, e della proposizione di un ricorso giurisdizionale contro tale decisione sfavorevole (r.g. 743/2008).
Alla pubblica udienza del 30/1/2013 il ricorso veniva chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il thema decidendum del presente ricorso verte sulla legittimità dell’ordinanza comunale del 18/5/2004, recante l’intimazione a cessare l’attività produttiva di lavorazione del ferro per cementi armati.
0. Non può essere accolta la domanda di sospensione del giudizio, avanzata da parte ricorrente sul presupposto dell’avvenuta presentazione dell’istanza di condono ex art. 32 commi 25 e 28 del D.L. 30/9/2003 conv. in L. 24/11/2003 n. 326, che rinviano all’art. 44 della L. 47/85. Infatti l’amministrazione risulta aver già provveduto (sfavorevolmente) sull’istanza, mentre la pendenza del ricorso giurisdizionale contribuisce a radicare in capo a B.M. Fer Srl l’interesse alla definizione della presente causa.
1. E’ infondata la prima censura, afferente all’incompetenza dell’organo emanante, poiché l’atto avrebbe dovuto essere adottato dal Sindaco ai sensi dell’art. 50 comma 3 del D. Lgs. 267/2000 e degli artt. 216 e 217 del R.D. 1265/34.
1.1 Il Collegio ritiene, infatti, a tale proposito, di poter condividere quanto sostenuto dall’amministrazione resistente in ordine al fatto che il provvedimento sarebbe stato legittimamente adottato dall’organo burocratico, non qualificandosi come ordinanza contingibile ed urgente bensì come atto dovuto in base al mancato riscontro dei requisiti di legge per l’esercizio dell’attività produttiva (principalmente per l’assenza del prescritto nulla osta).
1.2 Del resto l’art. 107 del D. Lgs. 267/2000 demanda ai dirigenti l’attività gestionale, e non può non rammentarsi che l’art. 4 comma 3 del D. Lgs. 165/2001 stabilisce in via generale (per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni) che le attribuzioni conferite ai dirigenti possono essere derogate “soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”, mentre l’art. 70 comma 6 puntualizza che “a decorrere dal 23 aprile 1998 le disposizioni che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all’art. 4 comma 2 del presente decreto si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti”. Tali norme di chiusura introducono una clausola "interpretativa" generale che ha portata ed efficacia innovativa delle previgenti disposizioni – legislative, statutarie e regolamentari – assicurando l'obbligatoria devoluzione alla sfera di competenza dirigenziale di tutti gli atti che non attengono all'ambito dell'indirizzo politico (cfr. sentenza Sezione 27/6/2005 n. 690).
1.3 In buona sostanza rientrano nella competenza dei funzionari gli atti che per un verso non implicano l'esercizio di funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo ma di gestione ordinaria e per altro verso non rientrano nelle deroghe di cui all'art. 50 e 54 dello stesso D.Lgs. 267/2000 (cfr. per un’applicazione in materia di regolazione della circolazione stradale, sentenza Sezione 19/6/2012 n. 1087).
2. Con le censure di carattere sostanziale la ricorrente deduce l’erronea applicazione degli artt. 216 e 217 del R.D. 1265/1934 e dell’art. 3 della L. 241/90, l’eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria ed erronea rappresentazione dei fatti, in quanto il Comune ha omesso di compiere il dovuto preventivo accertamento sull’esistenza di concreti pregiudizi per la salute pubblica, ed ha unicamente valorizzato dati formali (assenza nulla osta, classificazione nell’elenco delle industrie insalubri). Precisa che l’autorità competente deve sempre accertare caso per caso se l’attività produttiva sottoposta al suo controllo sia effettivamente pericolosa per la salute pubblica (cita al riguardo T.A.R. Brescia – sentenze n. 1095/2003, 415/2001, 670/2000), e nella specie difetta il presupposto legale del concreto danno o pericolo per la salute e non è stato riscontrato alcun reale fattore di rischio legato all’attività produttiva. Sottolinea che il fondo insiste in una zona classificata come agricola dal P.R.G. di Iseo, ma è completamente circondato da aree industriali (mentre le abitazioni più vicine distano 100/200 metri), ed il proprietario si è attivato per eliminare l’abuso formulando istanza di condono edilizio. In ogni caso, ai sensi degli artt. 216 e 217 del R.D. 1265/1934 e degli artt. 2.7.1 e ss. del regolamento di igiene, anche se il Comune avesse effettivamente ravvisato inconvenienti igienico-sanitari, avrebbe dovuto limitarsi a prescrivere l’adozione delle misure più idonee, e solo in un secondo tempo ordinare la sospensione dell’attività.
La prospettazione è fondata nei limiti di seguito esposti.
2.1 Come rilevato nell’ordinanza cautelare, l’adozione di provvedimenti repressivi delle industrie insalubri in base all’art. 216 del RD 1265/1934 presuppone l’accertamento in concreto di un’effettiva situazione di pericolo per la salute pubblica. Anche di recente la Sezione ha sottolineato (cfr. sentenza 27/5/2010 n. 2152) che <<secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'installazione nell'abitato (o in prossimità di questo) di una industria insalubre non è di per sé vietato in assoluto, dal momento che lo stesso art. 216 del T.U.L.S. n. 1265 del 1934, lo consente in determinate circostanze ed in particolari condizioni, se accompagnato dall'introduzione di particolari metodi produttivi o cautele in grado di escludere qualsiasi rischio di compromissione della salute del vicinato (C.G.A., 28.11.1996, n.450; Cons. Stato, Sez.IV, 31.7.2000, n. 4214; TAR Lombardia, Brescia, 27.4.2000, n. 366; TAR Emilia Romagna, Parma, 9.2.2001, n.60; TAR Marche, 23.11.2001 n. 1201; TAR Lombardia, Brescia, 16.7.2003, n. 1095)” … “la valutazione dell'attività produttiva sotto il profilo sanitario non può essere compiuta aprioristicamente vietando in modo generalizzato determinati insediamenti produttivi nel centro abitato o ad una prestabilita distanza dallo stesso, in quanto tale valutazione deve essere compiuta sul caso specifico da parte dell'autorità sanitaria, che deve accertare la presenza delle condizioni indispensabili affinché essa si svolga senza pregiudizio per la salute pubblica (Cfr. anche T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, 29.9.1990, n. 4)”>>.
2.2 Nella fattispecie parte ricorrente ha dato conto (seppur sinteticamente – doc. 4) dell’assenza di vapori, fumi, liquami, materie nocive, gas o altre inalazioni insalubri che possono risultare pericolosi per la salute degli abitanti e dei lavoratori. Inoltre ha prodotto una rilevazione fonometrica. Tali elementi, e le correlate valutazioni tecniche, devono costituire oggetto di approfondimento da parte dell’Ente locale, chiamato a vagliare le deduzioni di parte, esposte dal titolare dell’interesse a svolgere l’attività produttiva.
2.3 Non riveste secondaria importanza il carattere abusivo dell’attività, sottolineato dalla difesa dell’amministrazione. Tuttavia detto fatto ostativo non emerge dall’atto impugnato e neppure nel verbale della polizia locale del 7/5/2003, ove non sono chiaramente evidenziati i profili di incompatibilità urbanistica. Pertanto si ritiene di mantenere l’indicazione racchiusa nell’ordinanza cautelare, per cui il Comune dovrà acquisire “puntuali valutazioni tecniche sulla pericolosità della lavorazione e sulla compatibilità con il contesto ambientale” e poi “potrà confermare, revocare o integrare con prescrizioni il provvedimento impugnato”. Peraltro, sotto il profilo urbanistico, già l’amministrazione si è pronunciata negativamente sull’istanza di condono, gravata con autonomo giudizio.
3. In conclusione il ricorso è fondato e deve essere accolto nel senso precisato, restando assorbito l’ulteriore profilo formale dedotto. L’amministrazione è tenuta a pronunciarsi nuovamente sulla vicenda alla luce delle statuizioni sopra enunciate.
La parziale soccombenza reciproca giustifica la compensazione integrale delle spese di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere
Stefano Tenca, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)