Delitti ambientali, sanzioni, pericolo,giudici, periti

di Alberto PIEROBON

Tra le novità normative (soprattutto nel sempre aperto cantiere del diritto ambientale2) che fanno capolino (o che fanno la…. “capriola”, visto che poi si tratta di iniziative che “girano” da anni) anche quest’anno non manca, tra altro, la rivisitazione (ma non la riscrittura) della materia del danno ambientale e delle bonifiche (queste ultime, da sempre, erroneamente considerate “a valle” dei rifiuti, non come disciplina a sé stante o collocata nell’ambito del danno ambientale3) e così pure gli aspetti sanzionatori, ovvero della introduzione di nuovi delitti con la rivisitazione della disciplina penale.

Mi pare (anche qui) opportuno attardarsi sulle preliminari questioni di metodo e sulla disciplina generale che fa da sfondo e che (più o meno) sembra venire “orecchiata” in queste iniziative legislative (allo stato – come si accennerà - in gestazione nei gangli parlamentari o governativi, ma non mancando discussioni – se non polemiche – tra gli operatori e nella dottrina).

Anzitutto, al di là dei noti principi europei in materia ambientale, qui prepotentemente sembra “tuonare” - in forme cangianti - il (grevissimo) principio di offensività, che vuolsi riferire:

- alla lesione effettiva dei beni tutelati, e sia;

- per il pericolo (presunto, giammai “senza offesa”) per i beni giuridici considerati primari, quali (appunto) sono la salute collettiva e l’ambiente.

I cosiddetti “reati di pericolo”, come sappiamo, utilizzano la modalità tecnica della tutela in via anticipata, ciò anche per rimediare alle difficoltà che (per essi reati) si pongono soprattutto in sede probatoria (processuale e non), etc.

Inoltre, il cosiddetto “diritto penale complementare” (dove abbondano i rinvii alla normativa tecnica, ma anche – direttamente – a: limiti, soglie, tabelle, formule, rinvio alle autorizzazioni e loro prescrizioni, etc.) sembra diventare (anche, se non soprattutto, per la materia ambientale) una inevitabile scelta (e tendenza) della politica criminale italiana.

Va aggiunto che la tendenza della suddetta politica nazionale sembra essere quella di convertire le fattispecie di pericolo in fattispecie di danno.

 

Di tutto questo si trova conferma anche nelle proposte di legge delega sui delitti ambientali (che sono state presentate sin dal 2007): si veda, ora, l’Atto Camera 342, proposta di legge C. 342 dell’On. Realacci ed altri, titolata "Introduzione del titolo VI-bis del libro II del codice penale, in materia di delitti contro l'ambiente", che è stata presentata il 19 marzo 2013 (T.U. con C.957, C.1814).

 

Queste proposte di legge, sostanzialmente, vorrebbero introdurre un nuovo titolo al codice penale (si parlava, già nel 2007, del titolo VI-bis) contemplando i reati di inquinamento ambientale, di danno ambientale, di disastro ambientale, di alterazione del patrimonio naturale, della flora e della fauna, etc.4

 

I reati di pericolo sono problematicamente caratterizzati, com’è noto:

 

  • da una causalità complessa, e;

  • da un tempo lungo.

 

Si pensi, infatti, alle situazioni di inquinamento, alle presenza di sostanze tossiche, etc...

 

A fronte di tali problematiche, il nostro ordinamento già si è trovato ed ha dato soluzione. Per esempio, sintomatiche sono (in questo senso), le casistiche leggibili in materia di sicurezza sul lavoro, le quali previsioni sono tutelate (appunto):

 

  • sia da contravvenzioni extra codicem;

  • sia da figure codicistiche penali (quali l’art.437, cpv e gli artt.589-590).

 

Sorgono, anche qui, utili domande:

 

  • cos’è e come va considerato (e disciplinato) il pericolo?

  • (soprattutto) come ciò avviene avendo riguardo alla materia ambientale?

  • come viene presunta l’esistenza di un pericolo? Va ricordato che pei reati di pericolo presunto l'esposizione a pericolo del bene giuridico protetto è insita nella realizzazione della sola….. condotta.

  • se e come vengano utilizzate (come criterio) le regole di cautela?

  • più precisamente, come viene valutato il pericolo?

  • Il giudizio di cui trattasi avviene ex ante o ex post?

  • etc. etc.

 

Va tenuto ben presente che nella responsabilità penale da pericolo si ha una valutazione giuridica che è soprattutto “valoriale”, non solo logico-empirica.

Un esempio - ancora sintomatico di questa diversa valutazione – è offerto dalla cosiddetta colpa da “condotta medica”.

Questa condotta è stata vieppiù valutata nel senso dello innalzamento dei rischi e delle responsabilità. Quantomeno ciò sembra essere avvenuto negli ultimi lustri. Il che viene confermato dalla numerosa giurisprudenza esistente al riguardo.

Il giudizio di pericolo si compie mediante la prognosi di un accadimento futuro. Ossia si tratta di una valutazione ex ante, tenendo conto delle circostanze di fatto realmente configurate e mediante il ricorso, anche, alle regole di esperienza.

Ma, se vogliamo soffermarci su questioni più generali (e che più ci conducono, a mio avviso, all’essenza delle tematiche qui brevemente esaminate) giova notare che per la nostra tradizione occidentale spiegare un fatto significa formare le ragioni per cui quel fatto è, ed esiste.

E pure ciò significa, identificare la “produzione” del fatto (la sua causa, ovvero le leggi naturali secondo la scienza moderna) pervenendo così ad una verità che non è necessariamente quella del diritto (men che meno questa verità corrisponde a quella giudiziale, dove le regole dell’accertamento e le prove diventano – come sappiamo - fondamentali, al di là della parte sostanziale del diritto).

Perché – è altresì noto – il diritto penale molto deve al modello nomologico-deduttivo5.

Infatti, nel diritto penale il fatto è configurato dalla norma con una relazione di causa – effetto.

Ma, rimane il problema -riscontrabile, come si è accennato, soprattutto nel campo ambientale - della causalità complessa (causa, concausa, etc.) e del tempo (ricordiamolo ancora: per il danno ambientale, per inquinamenti, etc., etc.).

Qui davvero sintomatiche (e sempre attuali), sono le problematiche epidemiologiche (da ultimo si vedano quelle, nel tempo, prodotte sulle vicende compendiate nella icastica titolazione de “La terra dei fuochi”6).

L’epidemiologia segue, infatti, modelli causali generali, non deterministici, e con un probabilismo che (di per sé) è quantitativo, non qualitativo.

Un siffatto approccio non è peraltro nuovo, trovando applicazione per la materia dell’economia, per la fisica subatomica7, e così via.

Talchè si ricade, ancora (e, giuro, questa non è una mia perversione) in un…. relativismo!

E, per molte ipotesi di casistiche ambientali, avendo riguardo ai loro “rimedi” od alle questioni cosiddette “di giustizia” (per esempio, si veda la delicatissima questione che va sotto il nome dei “disastri tecnologici”), forse il diritto penale - come avviene prepotentemente nel sistema statunitense8 - dovrebbe lasciare sempre più fette del proprio spazio al diritto civile e/o al diritto amministrativo?

Insomma, ci si pone la questione se la politica criminale nazionale debba (o meno) procedere per (come si è detto) la decriminalizzazione, al contempo valorizzando i rimedi civilistici e/o delle sanzioni amministrative (su queste ultime si rinvia alla nota diatriba sull’illecito amministrativo).

Qui, mi pare, molto dipenda dai modelli che si rifanno non solo a criteri di prova, ma altresì richiamandosi alla deterrenza, alla sanzione, al risarcimento in genere (ma procedendo più…. in alto, secondo diversi concetti di giustizia).

E, non per ripetermi9, ma la valorialità (la interpretazione valoriale, la valutazione valoriale, l’approccio valoriale) vieppiù negletta in questi tempi di nichilismo (à la mode10), diventa soprattutto una questione di qualità.

 

Paradigmatico è poi il “principio di precauzione” che esibisce (e rende palese, quasi come una confessione) la questione dell’incertezza scientifica.

 

Il principio, in presenza di una situazione di incertezza e di rischio, richiama la politica alla propria responsabilità, ovvero alla necessità di dare comunque una “riposta”.

 

La risposta non può essere (appunto) che “politica” (non tecnica, non burocratica), poiché si tratta (alla fin fine) di proteggere la collettività.

 

Ed ecco, qui, ricomparire l’autonomia del diritto rispetto alla scienza! Ecco, ancora, i rapporti tra i diversi saperi e tra i vari approcci utilizzabili.

 

Infatti, il principio di precauzione non può che operare se non “prima” (cioè ex ante), comunque fuori da una sequenzialità logica preconfigurata, rectius, fuori da una relazione causale (la quale relazione, ricordiamolo, è un giudizio, non è un evento!), fuori dal nesso causale, cioè fuori (e non potrebbe non essere altrimenti) dalle connesse problematiche (del plausibile, del probabile, del procedimento probatorio e di esclusione11, delle ipotesi selettive- alla Popper -, etc.12) alle quali si è dianzi accennato.

Queste ultime considerazioni che diventano consapevolezza, mi porta (se vogliamo andare al succo di tanti discorsi) a riconoscere (e ripetere) che il diritto non è tanto una scienza, quanto…. un’arte!

E pure emerge, in questa brevissima disamina, la necessità acchè vi sia un legame tra la volontà politica (estrinsecata in norme) e i vincoli di razionalità richiamati da diverse conoscenze, da diversi saperi (a maggior ragione, in questo campo, non solo dal sapere giuridico) donde il rinvio (appunto) ad un esasperato (ma, quasi sempre inevitabile) tecnicismo (che cerca, non sempre, di dialogare tra le diverse ibridazioni dei saperi).

Che dire poi sul fatto (anche questo trascuratissimo) che le conoscenze e gli approdi (anche della scienza) non sono altro che il portato del consenso di una comunità scientifica, quantomeno rispetto alla prova e alla sua valutazione dal punto di vista scientifico?

Anche qui non siamo forse entro un “altro” modello culturale, di qui (ancora una volta) un riaffiorare del solito …..relativismo!

Donde il porsi di ulteriori domande:

 

Un giudice che, nell’ambito di un processo non è certo uno scienziato, che fa e che può fare?

 

Allora, chi è il giudice e come può muoversi in un siffatto contesto?

 

Il giudice dispone di libertà di convincimento e di giudizio o che?

 

Il giudice, come spesso viene ripetuto, rimane il peritus peritorum , anche “contro” quanto gli viene opposto, per esempio dai consulenti tecnici di parte?

 

Chi sono, allora, e che ruolo svolgono i consulenti e i periti?

 

Non è forse contraddittorio che i periti e i consulenti ricostruiscano gli anelli causali (anche quelli intermedi o quelli non configurati dalla norma penale) delle produzione dell’evento lesivo, etc.?

 

Non si tratta, forse, queste ultime, di spiegazioni parziali, se non “partigiane”?

 

Allora, che valore assume, nell’ambito del processo e per il giudice, la prova peritale?13

 

Pare condivisibile l’opinione secondo la quale il giudice, laddove non violi il diritto di difesa (ex art. 111 Cost.;cfr. altresì l’art. 533, primo comma, del codice di procedura penale), può ritenere di utilizzare le valutazioni di altri, oppure di ricorrere ad altre perizie da lui disposte.

 

In altri termini: il giudice penale deve sicuramente adottare nell’ambito del suo lavoro, dei criteri di razionalità e di controllabilità logica, e, in ciò diventa fondamentale la regola dello “oltre ogni ragionevole dubbio” di cui all’art. 533 del c.p.p., il cui primo comma così recita: “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”.

 

La sentenza, come altrettanto bene sappiamo, impone una sorta di oggettivazione dell’argomentazione svolta dal giudice (sul ragionevole dubbio o meno) con una motivazione logica e rispettando il principio di non contraddizione14.

 

Insomma, nel processo (come in altri ambiti) tutto sembra giocarsi nell’unitarietà della conoscenza che deve esservi e che deve “circolare” tra il processo e il diritto sostanziale, evitando (per quanto possibile) la supplenza giudiziaria, ciò sia in tema di prova, che di interpretazione15.

 

Invero, la diversità e la varietà tra le varie situazioni e casistiche portano all’inevitabilità, nel diritto16, della discrezionalità interpretativa (dei giudici, ma pure nell’ambito dell’amministrazione pubblica dei funzionari, etc.) che però dall’epoca post-medioevale (anzi, dall’avvento dello Stato moderno17) viene limitata moltiplicando le leggi o cesellando principi sempre più “codificati” e sempre meno rimessi all’esperienza e alla cultura giuridica18.

 

Ma la casistica della realtà si ribella, tant’è che, come è stato ben osservato, già nella visione di Montaigne “tra le leggi e le azioni umane c’è assoluta asimmetria, dal momento che le prime sono fisse e immutabili, le seconde, invece, in continua trasformazione”19, Pascal prosegue (in modo però diverso) nell’analisi, per lui “Tre gradi più a nord sono sufficienti per rovesciare tutta la giurisprudenza, un meridiano decide della verità…Si finge di credere (…) che la giustizia risieda non già nei costumi, ma nelle leggi naturali, che sarebbero comuni a tutti i paesi. Senonchè la casualità che ha prodotto le istituzioni, insieme con il capriccio degli uomini, hanno fatto sì che non se ne sia ancora trovata una sola, di legge, che possa dirsi davvero universale. Al contrario, non c’è crimine (..) che non abbia trovato posto tra le azioni virtuose (…). Del resto, non è lo Stato a giustificare l’assassinio? Non è lo Stato a trasformare in azione meritoria quello che altrimenti sarebbe un delitto? E lo Stato è per lo più un individuo con i suoi interessi…”20.

1 Trattasi di estratti da un nostro scritto, in progress, titolato “Legge di stabilità 2014, Milleprogoghe…..” ,Gazzetta enti locali on line della Maggioli. Iniziamo qui con la quarte parte pubblicata il 3 febbraio 2014, in prosieguo si indicheranno le altre parti qui inserite in estratto. Si vedano, in un tentativo di (sempre incompiuta) completezza, altri nostri articoli correlati al presente.

2 sulla disciplina SISTRI si vedano gli articoli pubblicati nei siti www.pierobon.eu; www.lexambiente.it; e la decima parte di questo scritto (che sarà pubblicata in questa rivista il 17 marzo 2014), etc..

3 Il che è sintomatico di un certo intendere e concettualizzare le bonifiche e il danno, oltre ad una visione normativa causale (soggetto-azione-evento) sulla quale si veda in prosieguo.

4 Sui quali reati, in particolare quello di disastro ambientale, si veda il nostro prossimo contributo in questa rivista Gazzetta enti locali.

5 Abbiamo già visto in precedenza. Ma giova qui segnalare come “per Federico Stella questa è (anche) la struttura della spiegazione causale più adatta al diritto penale e che meglio si lega con il modello nomologico-deduttivo” così G. DE SANTIS, op.cit., pag.43 il quale nelle note della medesima pagina precisa che per Stella “la spiegazione causale nel diritto avrebbe un carattere meccanico. Il compianto autore ricorda come questa sia, del resto, una concezione acquisita dalla giurisprudenza nord americana (..). Inoltre la versione corpuscolariana ben si presta all’impiego giuridico, perché, in effetti, è la concezione propria del linguaggio comune rispetto alle decisioni della vita quotidiana. Insomma semplifica le relazioni causali e oggettivizza al massimo la spiegazione (..). In ogni modo Federico Stella giudica compatibili i due modelli (spiegazione nomologica deduttiva e della causalità meccanicistica di stampo newtoniano). Sembra, anzi, che Stella consideri l’idea meccanicistia della causalità (fondata sull’idea corpuscolariana della collisione e delle catene causali) come un modo complementare-alternativo alla ricerca della causalità penalmente rilevante attraverso il modello nomologico-deduttivo”.

6 Si rinvia al nostro contributo apparso in questa rivista a dicembre 2013 e pure allo scritto “E’ vero, ma non ci credo!” di imminente pubblicazione, sempre in questa rivista.

7Si vedano, nel tempo, le complesse scoperte e teorie scientifiche e loro riflessi nella nostra “relatività” e nei metodi cosiddetti “scientifici” nel volume di J.D.BARROW, op.cit..

8 Un ragionamento su questi meccanismi è leggibile in U.MATTEI, Regole sicure. Analisi economico-giuridica comparata per il notariato, Milano, 2006.

9 Mi si consenta rinviare all’articolo: Quale ‘’ragionevolezza’’ delle sanzioni penali? (il trasporto di rifiuti pericolosi senza formulario), pubblicato in “Gazzetta enti locali on line”, in due parti, rispettivamente il 27 agosto e il 3 settembre 2012 e allo scritto (di questa estate, ma) ancora in corso di pubblicazione sempre in questa rivista, titolato “Contro il ‘fondamentalismo giuridico’ e per una ‘ragionevolezza’ delle sanzioni (altrimenti il nichilismo giuridico)”.

10 Per una recente critica si veda V. POSSENTI, Nichilismo giuridico. L’ultima parola, Roma, 2012.

11 La procedura eliminatoria sarebbe conforme alla celebre massima di Sherlock HOLMES: “escluso l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità (…) nel caso in cui l’ipotesi sopravvissuta fosse ancora oggetto di ragionevole dubbio, essa è soggetta ad essere confermata induttivamente da altri elementi di informazione che ne costituiscono la controprova, superata la quale l’ipotesi si consoliderà guadagnando per sé la qualifica di ‘vera’”,si veda G. DE SANTIS, op. cit., pag. 89 che, in nota 190, ricorda quanto riporta il PIZZI, in “Abdzione e serendipità nella scienza e nel diritto”, Cass. Pen., 2005, pag.234 ss.

In questa procedura si affiancano le conoscenze scientifiche, non vengono imposte, ma nemmeno esse vengono sostituite.

12 Si consideri altresì la nozione di causalità emergente dalla fondamentale sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, 11 settembre 2002, n.30328 (Franzese) che conduce al “modello della ‘procedura abduttiva’ di spiegazione, che segna un distacco sia da quello nomologico-deduttivo che da quello statistico induttivo. L’abduzione è comunemente definita come l’inferenza che conduce alla miglior spiegazione possibile (abductive inferernce to the best explanation) partendo da un’osservazione empirica della realtà e attraverso la formulazione di un’ipotesi per spiegare il fenomeno osservato. La conclusione del ragionamento abduttivo non pretende di qualificarsi in termini assoluti di ‘verità’, ma, più modestamente, come la migliore delle spiegazioni possibili. Rispetto alla deduzione e all’induzione, inoltre, solo il ragionamento abduttivo sarebbe suscettibile di accrescere concretamente il nostro sapere” così G. DE SANTIS, op. cit., pagg. 86-87.

13 interessanti sono le notazioni di F.R. DINACCI, Il ragionevole dubbio tra l’obbligo di motivazione ed il controllo di una giustificazione razionale, in (a cura di R. PULCELLA – G. DE SANTIS), op.cit., pag. 268, nota 65. L’A. ricordato che per una robusta giurisprudenza la prova è rimessa al potere discrezionale del giudice e non è riconducibile al concetto di prova decisiva (talchè il relativo diniego non è sanzionabile ex art.606, lett. “d” .p.p. e, in quanto giudizio di fatto se assistito da una adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità, anche ai sensi dell’art. 606 lett.”e” c.p.p., afferma che tale interpretazione sarebbe in contrasto con specifiche disposizioni di legge: art. 468, comma 4 del c.p.p.; art. 224, comma 1 del c.p.p.; oltre che dalle fonti sovraordinate (art. 111 Cost. ove “Il costituente è andato oltre le normative convenzionali e deve immediatamente rimarcarsi come l’espressione ‘ogni altra prova’ si caratterizzi per la sua onnicomprensività che non consente di escludere, sulla base di un’attività legislativa della giurisprudenza, la prova peritale”).

14 si veda G. DE SANTIS, op. cit., pag. 81.

15 Salvo le ipotesi di, come dire… manifesta irragionevolezza o di patente ingiustizia da riportarsi, ad esempio, alle previsioni e tutele costituzionali: sia ancora permesso rinviare, da ultimo, al mio “Contro il ‘fondamentalismo giuridico’ e per una ‘ragionevolezza’ delle sanzioni (altrimenti il nichilismo giuridico)”.

16 “il diritto è un sapere incarnato, ha una sua inabdicabile carnalità, una sua impurità, con affermazione polemica contro chi ancora oggi fa sfoggio di purezze. Che il diritto sia vita, e che lo storico del diritto sia il primo chiamato a ricostruire questa vita, lo pone però di fronte a grossi problemi: perché la vita è una totalità di valori, di interessi, di bisogni insuscettibile di essere dominata e tale da rendere pressoché impossibile il suo lavoro ricostruttivo” così P. GROSSI, nell’intervento “L’Europa del diritto: le radici, l’evoluzione” di presentazione al suo volume: L’Europa del diritto, Roma-Bari, 2007.

17 Ibidem: “nella modernità, ecco il soggetto forte, il soggetto politico dotato di una psicologia totalizzante, lo Stato, il quale tenta di fare del diritto un cemento dei suoi poteri, tenta di monopolizzarlo. Dal pluralismo politico medievale, che si adagiava sulla società e sui fatti, ci siamo incamminati, dal Trecento in poi, verso un sempre più rigido monismo

giuridico, ed è un monismo che diventa ovviamente legalismo, mentre – a sua volta – il legalismo, vincolato a dei comandi immobilizzati in testi insensibili al divenire storico, non può che diventare formalismo. E’ da ciò che deriva il culto tutto moderno della astrattezza, e, se volete, anche della purezza del diritto. Questa purezza che è un costo grosso per l’intero ordine giuridico e che è uno di quei miti della modernità che ancora oggi noi giuristi ci portiamo dentro. Il paesaggio giuridico medievale è incredibilmente diverso rispetto a quello moderno: è complesso, complicatissimo; cose, comunità e individui, certo, ma sempre considerati e risolti come tessere di un grande mosaico, all’interno del mondo cosmico e del mondo sociale. A fronte di questa complessità si staglia sempre più netta la semplicità del paesaggio giuridico moderno, un paesaggio giuridico fatto esclusivamente da individui: un individuo, anzi, un macro-individuo, lo Stato, che la provvedutissima riflessione gius-pubblicistica del secolo diciannovesimo eleverà a persona; e poi l’individuo fisico, il soggetto singolo. Naturalmente (…) un soggetto singolo pensato soprattutto nel suo rapporto con il mondo delle cose, ma non come il vecchio soggetto medievale all’interno dell’ ordine delle cose che era chiamato a rispettare e anche a subire, ma piuttosto come proprietario, come dominatore di questo oggetto reale che è sotto i suoi piedi”.

18 Si rinvia ai numerosi volumi di P. GROSSI.

19 S.GIVONE, Storia del nulla, Roma-Bari, 2011, pag.69.

20 Ivi, pagg. 78-79., il quale così continua “Non solo. Pascal segue Montaigne anche in quella che per Montaigne resta l’ultima mossa da compiere. Ed è il riconoscimento dell’intranscendibilità del convenzionalismo giuridico. Diritto e verità, secondo Pascal, sono assolutamente eterogenei. Se fosse possibile fondare il diritto sulla natura e sulle sue leggi non dovremmo, come invece dobbiamo pena la disgregazione della società civile, prendere per regola i costumi del nostro paese”.