La Corte di Giustizia europea condanna il Regno Unito per i processi, in materia ambientale, eccessivamente onerosi
di Claudia BASCIU
Con la recente sentenza del 13 febbraio 2014 (Causa C-530/11) la Corte di Giustizia europea, nel condannare il Regno Unito per la non corretta trasposizione nell’ordinamento nazionale della direttiva 2003/35/CE, evidenzia come nell’ambito della tutela dell’ambiente sia doveroso garantire ai cittadini, sia singolarmente sia riuniti in associazioni, la possibilità di esercitare il proprio diritto ad un ambiente salubre anche in sede di giustizia, con la previsione, da parte degli Stati membri, di procedimenti giurisdizionali “non eccessivamente onerosi”.
Come noto, infatti, la Comunità europea, al fine di contribuire ad attuare gli obblighi derivanti dalla Convenzione di Aarhus (sottoscritta ad Aarhus nel 1998) sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, attraverso la direttiva 2003/35 (artt. 3, punto7, e 4, punto 4) ha inserito un articolo 10 bis nella direttiva 85/337/CE del Consiglio, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, e un articolo 15 bis nella direttiva 96/61/CE del Consiglio, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento, codificata dalla direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
Gli articoli in questione sono sostanzialmente identici e prevedono l’obbligo per gli Stati membri di garantire al “pubblico interessato”, che abbia un interesse sufficiente o faccia valere la violazione di un diritto, una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite dalle direttive stesse. Le disposizioni concludono precisando che una “siffatta procedura è giusta, equa, tempestiva e non eccessivamente onerosa”.
Tutti gli Stati membri, quindi, avrebbero dovuto trasporre il contenuto della direttiva all’interno dei propri ordinamenti nazionali, predisponendo delle disposizioni tali da garantire ai cittadini di accedere agevolmente agli organi giurisdizionali a tutela dell’ambiente, senza essere costretti ad affrontare spese eccessivamente gravose, sia come singoli che come associazioni.
Così non è accaduto nel Regno Unito, tanto da indurre, nel 2011, la Commissione europea a proporre un ricorso alla Corte di Giustizia, per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, nei confronti del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, proprio per il mancato adempimento degli obblighi derivanti agli Stati membri dell’UE dagli artt. 3, punto 7, e 4, punto 4 della direttiva 2003/35/CE, sopra citata. Il punto fondamentale del ricorso in questione, concerne il “requisito del costo non eccessivamente oneroso”, il quale, come chiarito dalla Commissione, riguarda sia le spese processuali sia gli onorari di avvocato del ricorrente, così come le altre spese a cui potrebbe trovarsi esposto (compreso il complesso dei costi originati dagli eventuali gradi di giudizio precedenti) e impone che tali diversi costi siano ragionevolmente prevedibili, oltre che per il loro fondamento, anche per il loro importo.
Dopo un attento esame del diritto nazionale, la Corte di Giustizia, nell’accogliere il ricorso della Commissione, sottolinea come il fondamento dell’inadempimento non sia da ricercare nel sistema giurisprudenziale ampiamente utilizzato nel sistema nazionale del Regno Unito, posto che, come ricordano i giudici della Corte, “la trasposizione di una direttiva non esige necessariamente una riproduzione formale e letterale delle sue disposizioni in una norma di legge o regolamentare espressa e specifica e può trovare realizzazione in una situazione giuridica generale, purché quest’ultima garantisca effettivamente la piena applicazione in maniera sufficientemente chiara e precisa (v. in tal senso, in particolare, sentenze del 23 maggio 1985, Commissione/Germania, 29/84, Racc. pag. 1661, punto 23, e Commissione/Irlanda, cit., punto 54). Tale “piena applicazione” della direttiva comporta, in particolare nel caso in cui la disposizione in questione “sia diretta a creare diritti per i singoli”, che i destinatari della norma siano “posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti e, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali”. (v. in tal senso, in particolare, sentenza del 26 giugno 2003, Commissione/Francia, C‑233/00, Racc. pag. I‑6625, punto 76).
D’altra parte, se in linea generale, afferma la Corte di Giustizia, “non necessariamente la prassi giurisprudenziale ha carattere incerto e non soddisfa i requisiti di chiarezza e precisione richiesti dalla normativa comunitaria”, la stessa Corte è piuttosto netta nel giudicare insufficiente la trasposizione della direttiva 2003/35/CE attuata dal Regno Unito, laddove afferma “a tal riguardo, la mera circostanza che, per verificare se il diritto nazionale soddisfi gli obiettivi di tale direttiva, la Corte sia obbligata a procedere all’esame e alla valutazione della portata, del resto discussa, di differenti decisioni dei giudici nazionali, e dunque di una giurisprudenza complessiva, mentre il diritto dell’Unione conferisce ai singoli diritti precisi che esigerebbero, per essere effettivi, norme univoche, porta a ritenere che la trasposizione affermata dal Regno Unito non sia in ogni caso sufficientemente chiara e precisa”.
Tale sistema, infatti, attribuirebbe al giudice nazionale, nell’applicazione del regime delle spese del giudizio, un potere discrezionale eccessivamente ampio e non “indirizzato” da alcuna disposizione chiara e univoca.
E, sotto tale aspetto, la situazione di incertezza non viene sostanzialmente mutata nemmeno con la facoltà, riconosciuta al ricorrente, di chiedere al giudice il beneficio di un’«ordinanza di tutela in materia di spese», che gli consentirebbe di ottenere, in una fase poco avanzata della procedura, una limitazione dell’importo delle spese eventualmente dovute. Infatti, non essendo tale prerogativa del giudice supportata da una norma giuridica chiara e precisa, che obblighi il giudice nazionale a garantire un costo del procedimento non eccessivamente oneroso per il ricorrente, lascia in ogni caso allo stesso un margine di discrezionalità così ampio da non garantire “la conformità del diritto nazionale al requisito sancito dalla direttiva 2003/35”.
Inoltre, il giudice non sembra essere tenuto a concedere la tutela quando il costo del procedimento è oggettivamente irragionevole. A parere della Corte, quindi, tale regime giurisprudenziale “non consente di garantire al ricorrente una ragionevole prevedibilità per quanto riguarda sia il fondamento sia l’importo del costo del procedimento giurisdizionale da lui proposto, mentre tale prevedibilità sembra ancora più necessaria dal momento che i procedimenti giurisdizionali nel Regno Unito comportano, come riconosciuto da tale Stato membro, onorari di avvocati elevati”.
Non solo. Oltre al generale regime delle spese, occorre considerare ulteriori oneri finanziari derivanti al ricorrente dalla partecipazione al procedimento giurisdizionale, anche in materia ambientale, che potrebbero aggravare pesantemente la sua posizione. È il caso del regime dei controimpegni alle misure provvisorie imposte dal giudice, le quali “consistono principalmente nell’imporre al ricorrente l’impegno a risarcire il danno che potrebbe derivare da una misura provvisoria se il diritto che quest’ultima mirava a tutelare non sia infine riconosciuto fondato. Anche in tale ambito, la Corte di Giustizia, accogliendo l’argomento della Commissione, ritiene che il requisito del costo non eccessivamente oneroso non sia imposto al giudice nazionale con tutta la chiarezza e la precisione richieste, posto che, sottolinea la Corte, “il Regno Unito si limita ad affermare che, in pratica, i controimpegni non sarebbero sempre imposti in controversie in materia di diritto dell’ambiente e che non sarebbero chiesti ai ricorrenti privi di mezzi”. In realtà, anche il sistema dei controimpegni alle misure provvisorie è insufficiente e “idoneo a costituire un ulteriore fattore di incertezza e imprecisione per quanto riguarda il rispetto del requisito del costo non eccessivamente oneroso”.
Conseguentemente, non avendo trasposto correttamente gli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35, nella parte in cui prevedono che il costo dei procedimenti giurisdizionali indicati non debba essere oneroso, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza di tale direttiva.
Claudia Basciu
***
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 13 febbraio 2014.
Commissione europea contro Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
Inadempimento di uno Stato - Partecipazione del pubblico ai processi decisionali e accesso alla giustizia in materia ambientale - Nozione di "costo non eccessivamente oneroso" di un procedimento giurisdizionale.
Causa C-530/11.
Raccolta della Giurisprudenza 2014 pagina 00000
Nella causa C‑530/11,
avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 18 ottobre 2011,
Commissione europea, rappresentata da P. Oliver e L. Armati, in qualità di agenti,
ricorrente,
contro
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato da C. Murrell, successivamente da M. Holt, in qualità di agenti, assistiti da J. Maurici, barrister,
convenuto,
sostenuto da:
Regno di Danimarca, rappresentato da C. H. Vang, in qualità di agente,
Irlanda, rappresentata da E. Creedon e A. Joyce, in qualità di agenti, assistite da E. Barrington e G. Gilmore, barristers,
intervenienti
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, J. L. da Cruz Vilaça, G. Arestis, J.‑C. Bonichot (relatore), e A. Arabadjiev, giudici,
avvocato generale: J. Kokott
cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 luglio 2013,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 settembre 2013,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con il suo ricorso la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, non avendo trasposto integralmente e non avendo applicato correttamente gli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia (GU L 156, pag. 17), è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza di tale direttiva.
Il contesto normativo
La convenzione di Aarhus
2. Il preambolo della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, sottoscritta ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU L 124, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione di Aarhus»), prevede quanto segue:
«(...)
Riconoscendo altresì che ogni persona ha il diritto di vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere e il dovere di tutelare e migliorare l’ambiente, individualmente o collettivamente, nell’interesse delle generazioni presenti e future,
Considerando che, per poter affermare tale diritto e adempiere a tale obbligo, i cittadini devono avere accesso alle informazioni, essere ammessi a partecipare ai processi decisionali e avere accesso alla giustizia in materia ambientale e riconoscendo che, per esercitare i loro diritti, essi possono aver bisogno di assistenza,
(...)
Interessate a che il pubblico (comprese le organizzazioni) abbia accesso a meccanismi giudiziari efficaci, in grado di tutelarne i legittimi interessi e di assicurare il rispetto della legge,
(...)».
3. L’articolo 1 della Convenzione di Aarhus, intitolato «Finalità», prevede quanto segue:
«Per contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere, ciascuna Parte garantisce il diritto di accesso alle informazioni, di partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale in conformità delle disposizioni della presente convenzione».
4. L’articolo 3 di detta Convenzione, intitolato «Disposizioni generali», così dispone al suo paragrafo 8:
«Ciascuna Parte provvede affinché coloro che esercitano i propri diritti in conformità della presente convenzione non siano penalizzati, perseguiti o soggetti in alcun modo a misure vessatorie a causa delle loro azioni. La presente disposizione lascia impregiudicato il potere dei giudici nazionali di esigere il pagamento di un importo ragionevole a titolo di spese processuali».
5. L’articolo 9 della citata Convenzione, intitolato «Accesso alla giustizia», dispone quanto segue:
«1. Nel quadro della propria legislazione nazionale, ciascuna Parte provvede affinché chiunque ritenga che la propria richiesta di informazioni formulata ai sensi dell’articolo 4 sia stata ignorata, immotivatamente respinta in tutto o in parte, non abbia ricevuto una risposta adeguata o comunque non sia stata trattata in modo conforme alle disposizioni di tale articolo, abbia accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale o a un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge.
La Parte che preveda il ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale dispone affinché l’interessato abbia anche accesso a una procedura stabilita dalla legge, rapida e gratuita o poco onerosa, ai fini del riesame della propria richiesta da parte dell’autorità pubblica o da parte di un organo indipendente e imparziale di natura non giurisdizionale.
(...)
2. Nel quadro della propria legislazione nazionale, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico interessato
a) che vantino un interesse sufficiente o, in alternativa,
b) che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di detta Parte esiga tale presupposto,
abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale e/o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni dell’articolo 6 e, nei casi previsti dal diritto nazionale e fatto salvo il paragrafo 3, ad altre pertinenti disposizioni della presente convenzione.
(...)
3. In aggiunta, e ferme restando le procedure di ricorso di cui ai paragrafi 1 e 2, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale.
4. Fatto salvo il paragrafo 1, le procedure di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 devono offrire rimedi adeguati ed effettivi, ivi compresi, eventualmente, provvedimenti ingiuntivi, e devono essere obiettive, eque, rapide e non eccessivamente onerose. (...)
5. Per accrescere l’efficacia delle disposizioni del presente articolo, ciascuna Parte provvede affinché il pubblico venga informato della possibilità di promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale e prende in considerazione l’introduzione di appositi meccanismi di assistenza diretti ad eliminare o ridurre gli ostacoli finanziari o gli altri ostacoli all’accesso alla giustizia».
Il diritto dell’Unione
6. Al fine di contribuire ad attuare gli obblighi derivanti dalla Convenzione di Aarhus, gli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35 hanno inserito, rispettivamente, un articolo 10 bis nella direttiva 85/337/CE del Consiglio, del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175, pag. 40), e un articolo 15 bis nella direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 257, pag. 26), codificata dalla direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 24, pag. 8).
7. Tali articoli 10 bis e 15 bis, identici nella sostanza, sono così formulati:
«Gli Stati membri provvedono, in conformità del proprio ordinamento giuridico nazionale, affinché i membri del pubblico interessato:
a) che vantino un interesse sufficiente o, in alternativa;
b) che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di uno Stato membro esiga tale presupposto,
abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite dalla presente direttiva.
(...)
Gli Stati membri determinano ciò che costituisce interesse sufficiente e violazione di un diritto, compatibilmente con l’obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia. (...)
Le disposizioni del presente articolo non escludono la possibilità di avviare procedure di ricorso preliminare dinanzi all’autorità amministrativa e non incidono sul requisito dell’esaurimento delle procedure di ricorso amministrativo quale presupposto dell’esperimento di procedure di ricorso giurisdizionale (...)
Una siffatta procedura è giusta, equa, tempestiva e non eccessivamente onerosa.
(...)».
La fase precontenziosa
8. La Commissione ha ricevuto una denuncia secondo la quale il Regno Unito non avrebbe rispettato gli obblighi ad esso incombenti in virtù degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35, nella parte in cui tali disposizioni prescrivono che i procedimenti giurisdizionali non devono essere necessariamente onerosi. Il 23 ottobre 2007 la Commissione ha invitato tale Stato membro a presentare le proprie osservazioni in merito.
9. Non soddisfatta delle risposte fornite, il 22 marzo 2010 la Commissione gli ha inviato un parere motivato che dichiarava la violazione di tali obblighi e lo invitava ad adottare i necessari provvedimenti per porvi rimedio entro un termine di due mesi.
10. Non essendo ancora soddisfatta della risposta fornita dal Regno Unito, il 19 luglio 2010 la Commissione ha presentato il presente ricorso.
11. Con ordinanza del 4 maggio 2012 il presidente della Corte ha autorizzato il Regno di Danimarca e l’Irlanda a intervenire a sostegno delle conclusioni del Regno Unito.
Sul ricorso
12. Con i suoi diversi argomenti la Commissione deduce un’unica censura relativa alla mancata trasposizione o, in ogni caso, alla trasposizione inesatta degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35, nella parte in cui questi ultimi prevedono che i procedimenti giurisdizionali indicati non debbano presentare un costo eccessivamente oneroso (in prosieguo: il «requisito del costo non eccessivamente oneroso»).
Argomenti delle parti
13. Nel suo ricorso la Commissione sostiene che la trasposizione di una direttiva non può essere realizzata in via giurisprudenziale (sentenza del 16 luglio 2009, Commissione/Irlanda, C‑427/07, Racc. pag. I‑6277, punti 93 e 94), e che, in ogni caso, la giurisprudenza addotta dal Regno Unito non rispetta il requisito del costo non eccessivamente oneroso.
14. Per quanto riguarda l’eccezione di irricevibilità opposta dal Regno Unito circa gli argomenti della Commissione relativi alla definizione e ai criteri di valutazione di tale requisito, quest’ultima afferma che detta eccezione non può essere accolta, dal momento che tali argomenti sono stati necessariamente esaminati durante la fase precontenziosa, tenuto conto dell’oggetto stesso della censura formulata. Lo stesso dicasi per i suoi argomenti relativi alla presa in considerazione dell’importo elevato degli onorari di avvocato.
15. La Commissione afferma poi che il requisito del costo non eccessivamente oneroso riguarda tanto le spese processuali quanto gli onorari di avvocato del ricorrente, le altre spese a cui potrebbe trovarsi esposto nonché il complesso dei costi originati dagli eventuali gradi di giudizio precedenti, e che esso impone che tali diversi costi siano ragionevolmente prevedibili sia per quanto riguarda il loro fondamento sia per quanto riguarda il loro importo.
16. Per quanto riguarda il regime delle spese e, più in particolare, la possibilità per il giudice nazionale di adottare «ordinanze di tutela in materia di spese» che consentano, in una fase poco avanzata del procedimento, di limitare l’importo delle spese eventualmente dovute, la Commissione ritiene che, in Inghilterra e in Galles, nonostante i criteri di valutazione sanciti nella sentenza della Court of Appeal, R (Corner House Research)/Secretary of State for Trade & Industry, ([2005] 1 W.L.R 2600), la giurisprudenza rimanga contraddittoria e generi incertezza sotto il profilo giuridico.
Inoltre, i giudici concederebbero solo raramente il beneficio di tali misure. Quanto alla sentenza della Court of Appeal, R (Garner) Elmbridge Borough Council and others del 29 luglio 2010 ([2010] Civ 1006), pronunciata tuttavia dopo il termine impartito nel parere motivato menzionato al punto 9 della presente sentenza, la Commissione ritiene che essa costituisca un’evoluzione favorevole ma ancora insufficiente. Infatti, le limitazioni delle spese eventualmente ottenute corrisponderebbero in pratica a importi molto elevati e causerebbero conseguenti contenziosi idonei ad aumentare il costo complessivo della causa.
17. La facoltà per le parti di stipulare un’assicurazione non risolverebbe tutte queste difficoltà. La Commissione afferma altresì che il ricorrente che ha concluso un patto di quota lite, se il suo ricorso è accolto, può comunque essere tenuto a pagare le spese di avvocato, qualora al convenuto venisse concessa una «limitazione reciproca delle spese». Inoltre, un’ordinanza di tutela in materia di spese in ogni caso può essere concessa soltanto per il giudizio in corso.
18. La Commissione sostiene infine che la violazione del requisito del costo non eccessivamente oneroso è resa ancora più grave dal regime delle misure provvisorie, dalla prassi dei giudici di chiedere al ricorrente «controimpegni», che possono tradursi in elevati oneri finanziari. La Commissione considera che, se tali contropartite finanziarie non sono, di per sé, contrarie alla direttiva 2003/35, tuttavia il loro costo deve essere preso in considerazione nell’analisi.
19. Il Regno Unito contesta le affermazioni della Commissione.
20. In via preliminare, esso eccepisce l’irricevibilità degli argomenti della Commissione relativi alla definizione e ai criteri di valutazione della nozione di «costo eccessivamente oneroso», in quanto non sarebbero stati menzionati durante la fase precontenziosa. Lo stesso dicasi altresì per gli argomenti della Commissione relativi agli onorari di avvocato del ricorrente.
21. Il Regno Unito sostiene che la trasposizione di una direttiva può essere realizzata in via giurisprudenziale. Nella citata sentenza Commissione/Irlanda, invocata dalla Commissione, la Corte avrebbe dichiarato l’inadempimento degli obblighi di trasposizione soltanto a causa del fatto che il requisito del costo non eccessivamente oneroso, anch’esso oggetto di tale causa, non era sufficientemente garantito dal solo potere discrezionale del giudice di rinunciare a condannare alle spese la parte soccombente. La situazione sarebbe diversa nel Regno Unito, dal momento che il giudice può adottare misure di tutela, quali le ordinanze di tutela in materia di spese. Detto Stato membro ritiene altresì che si debba prendere in considerazione la peculiarità del proprio sistema giuridico, derivante dal diritto consuetudinario e fondato essenzialmente sulla giurisprudenza e sulla regola del precedente.
22. Per quanto riguarda il regime delle spese, il Regno Unito ricorda che, in Inghilterra e in Galles, le norme di procedura civile impongono al giudice di adottare una decisione idonea a garantire un giudizio «giusto», tenuto conto delle differenti circostanze del caso di specie e della necessità di proteggere le finanze dell’autorità pubblica.
23. Esso aggiunge che, in pratica, la regola secondo cui la parte soccombente è necessariamente tenuta a pagare le spese dell’altra parte sarebbe applicata meno rispetto al passato, segnatamente nelle cause in materia di diritto ambientale, e che la decisione a tal riguardo sarebbe adottata dal giudice alla luce dell’insieme degli elementi della causa. Inoltre, frequentemente, il ricorrente potrebbe beneficiare del gratuito patrocinio in tali cause e, il più delle volte, non sarebbe pertanto condannato alle spese.
24. Il Regno Unito afferma che, molto spesso, le autorità e gli enti pubblici che vincono il processo non chiedono la condanna del ricorrente alle spese. Del resto, l’autorizzazione a presentare ricorso dinanzi ai giudici di rango superiore talvolta sarebbe concessa a un ente pubblico soltanto a condizione che esso sostenga le spese delle due parti.
25. Le sentenze della Court of Appeal avrebbero in ogni caso «codificato» i principi che disciplinano la concessione di un’ordinanza di tutela in materia di spese, il che escluderebbe ogni incertezza del ricorrente a tal riguardo.
26. Infine, il margine di discrezionalità di cui godono i giudici nazionali per esaminare una domanda volta ad ottenere un’ordinanza di tutela in materia di spese sarebbe non solo inevitabile, ma anche auspicabile in quanto esso consente di adattarsi alle circostanze del caso di specie.
27. Il Regno Unito sostiene inoltre che il livello elevato delle spese di avvocato risulta dalla natura del sistema giuridico, di tipo accusatorio, nell’ambito del quale l’oralità ha valore preponderante. In ogni caso, si dovrebbe considerare il fatto che la fornitura di servizi giuridici è un mercato libero e concorrenziale, e che esistono svariati mezzi per limitare il livello di tale costo, come i patti di quota lite, di fatto molto diffusi.
28. Per quanto attiene ai controimpegni alle misure provvisorie, il Regno Unito sostiene che, in una percentuale elevata di controversie ambientali, il fatto stesso di contestare il rilascio di un’autorizzazione sospende, in pratica, l’avvio di lavori o di altre attività fino all’esito della controversia. Il ricorrente potrebbe, inoltre, ottenere il beneficio di misure provvisorie senza controimpegni qualora disponga di un basso reddito. La possibilità di chiedere controimpegni sarebbe in ogni caso conforme al diritto dell’Unione, con riferimento alla sentenza del 21 febbraio 1991, Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest (C‑143/88 e C‑92/89, Racc. pag. I‑415, punto 32), e la loro concessione sarebbe altresì espressione del rispetto dell’articolo 1 del Primo protocollo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950, relativo alla tutela del diritto di proprietà.
29. L’Irlanda rileva che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità nel trasporre una direttiva e insiste sulla necessità di prendere in considerazione le caratteristiche peculiari del sistema di «common law». Tale Stato membro ritiene in tal senso che l’affermazione della Commissione, secondo cui i giudici disporrebbero di un potere «discrezionale» quando statuiscono sulle spese, non prenda sufficientemente in considerazione la regola del precedente, la quale consente di garantire una certa prevedibilità del diritto.
30. Quanto al regime delle spese, l’articolo 9, paragrafo 5, della Convenzione di Aarhus non imporrebbe l’eliminazione di tutti gli oneri finanziari. Inoltre, la possibilità di condannare alle spese la parte soccombente garantirebbe una disciplina necessaria per evitare la proposizione di procedimenti giurisdizionali abusivi.
31. Per quanto attiene ai controimpegni, la questione ad essi relativa non rientrerebbe nell’ambito della direttiva 2003/35, in quanto non si tratterebbe di un costo connesso al procedimento giurisdizionale vero e proprio. Siffatte misure sarebbero state del resto espressamente ammesse dalla Corte, e anche l’Irlanda fa riferimento, a tal riguardo, alla citata sentenza Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest. In mancanza, il giudice nazionale potrebbe negare l’accoglimento di una domanda di misure provvisorie necessarie alla tutela dell’ambiente.
32. Il Regno di Danimarca ritiene che gli Stati membri siano competenti a determinare le forme e i mezzi dell’attuazione del requisito del carattere non eccessivamente oneroso. Inoltre, tale requisito si applicherebbe solo in primo grado, dal momento che la Convenzione di Aarhus non darebbe alcuna indicazione in materia di ricorso o di numero di gradi di giudizio necessari. Peraltro, sarebbero interessati soltanto i costi direttamente connessi alla trattazione della controversia, il che escluderebbe gli onorari del consulente al quale il ricorrente decidesse di rivolgersi. Infine, tale requisito sarebbe estraneo alla questione della prevedibilità del costo del procedimento per il ricorrente sin dalla proposizione della sua azione, ma imporrebbe soltanto che, all’esito della controversia, l’onere finanziario sostenuto non sia eccessivamente gravoso, sulla base di una valutazione complessiva.
Giudizio della Corte
33. Secondo una giurisprudenza costante, la trasposizione di una direttiva non esige necessariamente una riproduzione formale e letterale delle sue disposizioni in una norma di legge o regolamentare espressa e specifica e può trovare realizzazione in una situazione giuridica generale, purché quest’ultima garantisca effettivamente la piena applicazione in maniera sufficientemente chiara e precisa (v. in tal senso, in particolare, sentenze del 23 maggio 1985, Commissione/Germania, 29/84, Racc. pag. 1661, punto 23, e Commissione/Irlanda, cit., punto 54).
34. In particolare, nel caso in cui la disposizione in parola sia diretta a creare diritti per i singoli, la situazione giuridica deve essere sufficientemente precisa e chiara e i destinatari devono essere posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti e, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (v. in tal senso, in particolare, sentenza del 26 giugno 2003, Commissione/Francia, C‑233/00, Racc. pag. I‑6625, punto 76).
35. In tal senso, la Corte ha dichiarato che una prassi giurisprudenziale nell’ambito della quale i giudici hanno semplicemente la facoltà di rinunciare a condannare la parte soccombente alle spese e possono far gravare sulla controparte l’onere delle spese sostenute da quest’ultima, possiede, per sua natura, carattere di incertezza e non può soddisfare i requisiti di chiarezza e precisione necessari per essere considerata un valido adempimento degli obblighi risultanti degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35 (v., in tal senso, sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 94).
36. Ciò non significa, però, che ogni prassi giurisprudenziale abbia carattere incerto e non possa, per natura, soddisfare tali requisiti.
37. Quanto alla questione se la giurisprudenza nazionale invocata dal Regno Unito consenta di ritenere che tale Stato membro si sia conformato al requisito del costo non eccessivamente oneroso previsto dalla direttiva 2003/35, occorre esaminare in successione gli argomenti della Commissione relativi al regime delle spese e a quello delle misure provvisorie.
Il regime delle spese
38. Per quanto attiene al regime delle spese, si deve statuire, in via preliminare, sull’eccezione di irricevibilità sollevata dal Regno Unito.
39. Secondo una giurisprudenza costante, anche se la lettera di diffida inviata dalla Commissione e il parere motivato delimitano la materia del contendere, che quindi non può più essere ampliata, tale esigenza non può arrivare ad imporre in ogni caso una perfetta coincidenza tra l’esposizione degli addebiti nella lettera di diffida, il dispositivo del parere motivato e le conclusioni del ricorso, se l’oggetto della controversia non è stato ampliato o modificato (v. in tal senso, in particolare, sentenza del 6 novembre 2003, Commissione/Spagna, C‑358/01, Racc. pag. I‑13145, punti 27 e 28).
40. La Corte ha altresì dichiarato che, mentre il parere motivato deve contenere un’esposizione coerente e particolareggiata dei motivi che hanno condotto la Commissione alla convinzione che lo Stato interessato è venuto meno a uno degli obblighi che gli incombono ai sensi del Trattato FUE, la lettera di diffida non deve soddisfare requisiti di esaustività così rigidi, dato che, necessariamente, può consistere solo in un primo e succinto riassunto degli addebiti. Nulla impedisce dunque alla Commissione di precisare, nel parere motivato, gli addebiti da essa già esposti in maniera più generale nella lettera di diffida (v. in tal senso, sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 29).
41. Nella fattispecie, si deve necessariamente constatare che la questione del contenuto del requisito del costo non eccessivamente oneroso è stata esaminata durante la fase precontenziosa, tenuto conto dell’oggetto stesso della censura, come esposto già nella lettera di diffida. Lo stesso dicasi, come afferma la Commissione, per la presa in considerazione, in tale contesto, del costo degli onorari di avvocato, che rappresentano peraltro la parte essenziale dell’onere finanziario dei procedimenti giurisdizionali nel Regno Unito.
42. Peraltro e ad abundantiam, riguardo a tali onorari, dal ricorso non risulta che la Commissione sostenga che gli stessi conferiscono, di per sé, un carattere oneroso al procedimento, come afferma il Regno Unito al punto 108 del suo controricorso.
43. Ne consegue che l’eccezione di irricevibilità sollevata da tale Stato membro deve essere respinta in quanto infondata.
44. Quanto alla fondatezza degli argomenti della Commissione, va ricordato che il requisito del costo non eccessivamente oneroso non vieta ai giudici nazionali di pronunciare una condanna alle spese in esito ad un procedimento giurisdizionale, a condizione che l’importo delle stesse sia ragionevole e che le spese sostenute dall’interessato non siano, nel loro complesso, onerose (v., in tal senso, sentenza dell’11 aprile 2013, Edwards e Pallikaropoulos, C‑260/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 25, 26 nonché 28).
45. Qualora un giudice statuisca sulla condanna alle spese di un privato rimasto soccombente, in qualità di ricorrente, in una controversia in materia ambientale o, più in generale, qualora sia tenuto a prendere posizione, in una fase anteriore del procedimento, su un’eventuale limitazione dei costi che possono essere posti a carico della parte rimasta soccombente, egli deve tuttavia assicurarsi del rispetto del requisito del costo non eccessivamente oneroso tenendo conto tanto dell’interesse della persona che desidera difendere i propri diritti quanto dell’interesse generale connesso alla tutela dell’ambiente (v., in tal senso, sentenza Edwards e Pallikaropoulos, cit., punto 35).
46. Quanto ai criteri pertinenti di valutazione, la Corte ha dichiarato che, in mancanza di precisazioni da parte del diritto dell’Unione, spetta agli Stati membri, nell’attuare una direttiva, garantire la piena efficacia di questa e che essi dispongono di un ampio margine discrezionale quanto alla scelta dei mezzi (v. in tal senso, segnatamente, sentenza Edwards e Pallikaropoulos, cit., punto 37 nonché giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che, per quanto attiene ai mezzi atti a conseguire l’obiettivo di garantire una tutela giurisdizionale effettiva senza costi eccessivi nel settore del diritto ambientale, si devono prendere in considerazione tutte le disposizioni del diritto nazionale pertinenti e, in particolare, di un sistema nazionale di assistenza giurisdizionale, nonché di un regime di tutela in materia di spese, come quello applicato nel Regno Unito (v., in tal senso, sentenza Edwards e Pallikaropoulos, cit., punto 38).
47. Di conseguenza, il giudice non può limitare la sua valutazione alla situazione economica dell’interessato, ma deve anche effettuare un’analisi oggettiva dell’importo delle spese, a fortiori in quanto i privati e le associazioni sono naturalmente chiamati a svolgere un ruolo attivo nella tutela dell’ambiente. In tal senso, le spese del procedimento non devono superare le capacità finanziarie dell’interessato né apparire, ad ogni modo, oggettivamente irragionevoli (v., in tal senso, sentenza Edwards e Pallikaropoulos, cit., punto 40).
48. Per quanto riguarda l’analisi della situazione economica dell’interessato, essa può basarsi unicamente su una stima delle capacità finanziarie di un ricorrente «medio», poiché siffatti dati possono avere soltanto un esile collegamento con la situazione dell’interessato (v., in tal senso, sentenza Edwards e Pallikaropoulos, cit., punto 41).
49. Peraltro, il giudice può tener conto della situazione delle parti in causa, delle ragionevoli possibilità di successo del richiedente, dell’importanza della posta in gioco per quest’ultimo e per la tutela dell’ambiente, della complessità del diritto e della procedura applicabile, nonché del carattere eventualmente temerario del ricorso nelle varie sue fasi (v., in tal senso, sentenza Edwards e Pallikaropoulos, cit., punto 42 nonché giurisprudenza ivi citata), ma anche, se del caso, dei costi già sostenuti nei precedenti gradi di giudizio nell’ambito della stessa controversia.
50. La circostanza che l’interessato non sia stato in concreto dissuaso dall’esercitare la sua azione non è sufficiente, di per sé, per considerare che il procedimento non sia eccessivamente oneroso per il medesimo (v., in tal senso, sentenza Edwards e Pallikaropoulos, cit., punto 43).
51. Infine, tale valutazione non può essere diversa a seconda che il giudice nazionale statuisca in esito ad un procedimento di primo grado, ad un appello o ad un’ulteriore impugnazione (v., in tal senso, sentenza Edwards e Pallikaropoulos, cit., punto 45).
52. Come emerge tanto dagli atti trasmessi alla Corte quanto dal dibattimento all’udienza, in Inghilterra e in Galles, il Senior Courts Act 1981 prevede, al suo articolo 51, che il giudice interessato indichi la parte che dovrà sopportare le spese processuali e decida in che misura dovrà sopportarle. Tale competenza si eserciterebbe secondo le modalità previste all’articolo 44.3 del regolamento sulla procedura civile. La decisione sulle spese sarebbe dunque generalmente pronunciata dal giudice interessato al termine del procedimento, ma il ricorrente potrebbe anche chiedere il beneficio di un’«ordinanza di tutela in materia di spese», che gli consentirebbe di ottenere, in una fase poco avanzata della procedura, una limitazione dell’importo delle spese eventualmente dovute.
53. Le modalità di concessione di tale ordinanza sono precisate nella citata sentenza della Court of Appel, R (Corner House Research)/Secretary of State for Trade & Industry, dalla quale risulta che il giudice può pronunciare in qualunque momento del procedimento un’ordinanza di tutela in materia di spese, purché sia persuaso dell’interesse delle questioni sollevate, del fatto che l’interesse generale esige, inoltre, che dette questioni vengano risolte, dell’assenza di interesse privato del ricorrente all’esito del procedimento, del livello delle sue risorse finanziarie e di quelle del convenuto, dell’importo delle spese che potrebbero essere sostenute nonché della questione se il ricorrente persisterà o meno nel suo ricorso qualora una siffatta ordinanza non venga pronunciata. Regole simili troverebbero applicazione anche a Gibilterra, in Scozia e in Irlanda del Nord.
54. Alla luce di quanto precede, si deve anzitutto sottolineare che il margine di discrezionalità di cui dispone il giudice nell’attuare, in un caso particolare, il regime nazionale delle spese non può, di per sé, essere considerato incompatibile con il requisito del costo non eccessivamente oneroso. Inoltre, occorre constatare che la possibilità per il giudice adito di concedere un’ordinanza di tutela in materia di spese garantisce una maggiore prevedibilità del costo del procedimento ed è espressione del rispetto di tale requisito.
55. Tuttavia, non risulta dai differenti fattori addotti dal Regno Unito e discussi, in particolare, in udienza, che il giudice nazionale sia tenuto in forza di una norma giuridica ad assicurare che il costo del procedimento non sia eccessivamente oneroso per il ricorrente, elemento questo che da solo sarebbe idoneo a consentire di considerare che la direttiva 2003/35 è correttamente trasposta.
56. A tal riguardo, la mera circostanza che, per verificare se il diritto nazionale soddisfi gli obiettivi di tale direttiva, la Corte sia obbligata a procedere all’esame e alla valutazione della portata, del resto discussa, di differenti decisioni dei giudici nazionali, e dunque di una giurisprudenza complessiva, mentre il diritto dell’Unione conferisce ai singoli diritti precisi che esigerebbero, per essere effettivi, norme univoche, porta a ritenere che la trasposizione affermata dal Regno Unito non sia in ogni caso sufficientemente chiara e precisa.
57. Infatti, le condizioni stesse in cui il giudice nazionale statuisce sulle domande di tutela in materia di spese non consentono, sotto diversi profili, di garantire la conformità del diritto nazionale al requisito sancito dalla direttiva 2003/35. Anzitutto, la condizione, posta dalla giurisprudenza nazionale, secondo la quale le questioni da chiarire devono presentare un interesse generale non è adeguata e, pur ammettendo che la stessa sia stata rimossa dalla citata sentenza della Court of Appeal, R (Garner) Elmbridge Borough Council and others, come afferma il Regno Unito, tale sentenza, successiva alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, non potrebbe essere presa in considerazione dalla Corte nell’ambito della presente causa. Inoltre, e ad ogni modo, il giudice non sembra essere tenuto a concedere la tutela quando il costo del procedimento è oggettivamente irragionevole. Infine, la tutela non sembra neppure essere accordata nel caso in cui sia in discussione soltanto l’interesse particolare del ricorrente. Tali diversi elementi sono idonei a far ritenere che le norme giurisprudenziali applicate, di fatto, non soddisfino il requisito del costo non eccessivamente oneroso, nel senso attribuito alla sua portata precisata nella citata sentenza Edwards e Pallikaropoulos.
58. Da quanto precede risulta altresì che tale regime giurisprudenziale non consente di garantire al ricorrente una ragionevole prevedibilità per quanto riguarda sia il fondamento sia l’importo del costo del procedimento giurisdizionale da lui proposto, mentre tale prevedibilità sembra ancora più necessaria dal momento che i procedimenti giurisdizionali nel Regno Unito comportano, come riconosciuto da tale Stato membro, onorari di avvocati elevati.
59. Il Regno Unito ammette peraltro esplicitamente al punto 70 del suo controricorso che, fino alla citata sentenza della Court of Appeal, R (Garner) Elmbridge Borough Council and others, i principi che disciplinavano le ordinanze di tutela in materia di spese non erano del tutto conformi al diritto dell’Unione.
60. Quanto all’argomento sollevato dalla Commissione secondo il quale anche il regime di tutela in materia di spese non sarebbe conforme al diritto dell’Unione, in quanto ordinanze di tutela in materia di spese comporterebbero una «limitazione reciproca delle spese» che consentono all’autorità pubblica convenuta, se risulta perdente, di limitare la sua responsabilità finanziaria, il che ridurrebbe indirettamente la tutela concessa da un patto sugli onorari, occorre ricordare che, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, incombe alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Spetta, infatti, all’istituzione fornire alla Corte gli elementi di fatto necessari affinché quest’ultima accerti l’esistenza dell’inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione (v., segnatamente, sentenza del 22 novembre 2012, Commissione/Germania C‑600/10, punto 13 e giurisprudenza ivi citata).
61. Orbene, nel caso di specie, la Commissione si è limitata a constatare nel suo parere motivato che, qualora il giudice nazionale conceda una tale limitazione reciproca delle spese, il ricorrente può essere obbligato a pagare una parte dei suoi onorari di avvocato, ma senza fornire peraltro precisazioni riguardo alle condizioni di applicazione di tale prassi o alle sue conseguenze finanziarie .
62. Occorre pertanto considerare che l’argomento della Commissione non risulta sufficientemente fondato per poter essere esaminato.
63. Con questa riserva, occorre quindi considerare che gli argomenti della Commissione relativi al regime delle spese nel Regno Unito sono, essenzialmente, fondati.
I controimpegni alle misure provvisorie
64. Quanto al regime dei controimpegni alle misure provvisorie imposte dal giudice, che, come risulta dagli atti trasmessi alla Corte, consistono principalmente nell’imporre al ricorrente l’impegno a risarcire il danno che potrebbe derivare da una misura provvisoria se il diritto che quest’ultima mirava a tutelare non sia infine riconosciuto fondato, occorre ricordare che il costo eccessivamente oneroso di un procedimento ai sensi degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35 riguarda l’insieme degli oneri finanziari derivanti dalla partecipazione al procedimento giurisdizionale, di modo che esso deve essere valutato globalmente, tenendo conto di tutte le spese sostenute dall’interessato (v. sentenza Edwards e Pallikaropoulos, cit., punti 27 e 28), fatto salvo l’abuso di diritto.
65. Inoltre, per costante giurisprudenza, il giudice nazionale investito di una controversia disciplinata dal diritto dell’Unione deve essere in grado di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della decisione giurisdizionale che statuirà sull’esistenza dei diritti invocati sulla base del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 15 gennaio 2013, Križan e a., C‑416/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 107 nonché giurisprudenza ivi citata), segnatamente in materia di diritto ambientale (v. sentenza Križan e a., cit., punto 109).
66. Di conseguenza, il requisito del costo non eccessivamente oneroso trova applicazione anche agli oneri finanziari derivanti da misure a cui il giudice nazionale potrebbe subordinare la concessione di misure cautelari nell’ambito delle controversie rientranti nell’ambito degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35.
67. Fatta tale premessa, i requisiti che devono essere soddisfatti perché il giudice nazionale conceda il beneficio di tali misure provvisorie rientrano, in linea di principio, nell’ambito del solo diritto nazionale, nei limiti dei principi di equivalenza e di effettività. Il requisito del costo non eccessivamente oneroso non può essere interpretato nel senso che esso osta a priori all’applicazione di una garanzia finanziaria come quella dei «controimpegni» quando quest’ultima è prevista dal diritto nazionale. Lo stesso dicasi per le conseguenze finanziarie che potrebbero eventualmente derivare, in base a tale diritto, da un ricorso abusivo.
68. Per contro, spetta al giudice che statuisce in proposito il compito di accertarsi che il rischio finanziario che ne deriva per il ricorrente sia parimenti compreso nei differenti costi generati dal procedimento quando detto giudice valuta l’assenza di un costo eccessivamente oneroso del procedimento.
69. Si deve pertanto necessariamente constatare che dagli atti trasmessi alla Corte non risulta che il requisito del costo non eccessivamente oneroso sia imposto al giudice nazionale in tale materia con tutta la chiarezza e la precisione richieste. Infatti, il Regno Unito si limita ad affermare che, in pratica, i controimpegni non sarebbero sempre imposti in controversie in materia di diritto dell’ambiente e che non sarebbero chiesti ai ricorrenti privi di mezzi.
70. Quanto all’argomento del Regno Unito secondo il quale la limitazione dei controimpegni potrebbe condurre alla violazione del diritto di proprietà, la Corte riconosce costantemente che tale diritto non è una prerogativa assoluta, bensì deve essere considerato in rapporto alla sua funzione sociale. Ne consegue che possono essere apportate restrizioni all’esercizio di questo diritto, purché tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile che leda la sostanza stessa del diritto così garantito (v. in tal senso, sentenza Križan e a., cit., punto 113 nonché giurisprudenza ivi citata). La tutela dell’ambiente figura tra tali obiettivi ed è dunque idonea a giustificare una restrizione dell’esercizio del diritto di proprietà (v., altresì, in tal senso sentenza Križan e a., cit., punto 114 e giurisprudenza ivi citata).
71. Di conseguenza, si deve parimenti accogliere l’argomento della Commissione secondo il quale il sistema dei controimpegni alle misure provvisorie è idoneo a costituire un ulteriore fattore di incertezza e imprecisione per quanto riguarda il rispetto del requisito del costo non eccessivamente oneroso.
72. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, si deve dichiarare che, non avendo trasposto correttamente gli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35, nella parte in cui prevedono che il costo dei procedimenti giurisdizionali indicati non debba essere oneroso, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza di tale direttiva.
Sulle spese
73. A norma dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna del Regno Unito, quest’ultimo, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese. Conformemente all’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, l’Irlanda e il Regno di Danimarca sopportano le proprie spese.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:
1) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, non avendo trasposto correttamente gli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia, nella parte in cui tali articoli prevedono che il costo dei procedimenti giurisdizionali indicati non debba essere eccessivamente oneroso, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza di tale direttiva.
2) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è condannato alle spese. Il Regno di Danimarca e l’Irlanda sopporteranno le proprie spese.