Cass. Sez. III n. 46549 del 18 dicembre 2024 (CC 3 ott 2024)
Pres. Ramacci Est. Liberati Ric. Tim
Rifiuti.Reato di omessa bonifica dei siti inquinati 

Il reato di omessa bonifica dei siti inquinati ha natura permanente e il relativo termine decorre dal momento dell'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dell'area e non dal precedente sequestro del sito inquinante, che non giova a far cessare la condotta antigiuridica 

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 19 dicembre 2023 il Tribunale di Trento, qualificato il fatto contestato come reato presupposto dell’illecito amministrativo contestato alla TIM S.r.l. ai sensi dell’art. 257, primo comma, d.lgs. 152/2006, ha rigettato la richiesta di riesame presentata nell’interesse di tale società nei confronti del decreto di sequestro probatorio del 28 novembre 2023 del Pubblico ministero del Tribunale di Trento, relativo alle aree “ex Sloi” ed “ex Carbochimica” poste in territorio del Comune di Trento e costituenti il sito di interesse nazionale (S.I.N.) di Trento Nord, di proprietà della MIT S.r.l., della IMT S.r.l. e della TIM S.r.l., raggruppate nel Consorzio di Bonifica e Sviluppo Trento Nord S.c. a r.l.
Il procedimento nel quale era stato disposto tale il sequestro riguarda Paolo Tosolini, Stefano Tosolini, Sergio Delle Nogare, Adriano Delle Nogare e Michele Albertini, nelle loro vesti di amministratori e legali rappresentanti delle società componenti il consorzio, per il reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis, primo comma, cod. pen., commesso in Trento in data antecedente al 2023 e con effetti permanenti, e nell’ambito di questo alle suddette società MIT S.r.l., IMT S.r.l. e TIM S.r.l., è stato contestato l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-undecies, secondo comma, lett. c), d.lgs. 231/2001.

2. Avverso tale ordinanza la S.r.l. TIM ha proposto ricorso per cassazione, mediante gli Avvocati Guido Camera e Giuliano Valer, che lo hanno affidato a cinque motivi.
2.1. In primo luogo, hanno denunciato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 242, 245 e 257, primo comma, d.lgs. 152/2006, per non essere stato considerato che il Consorzio (rectius gli amministratori delle società che vi partecipano) non è responsabile dell’inquinamento e quindi non sussistono a suo carico gli indizi per poter disporre la misura ablativa censurata.
Hanno evidenziato che nella stessa ordinanza impugnata era stato escluso che il Consorzio e le società attualmente proprietarie dell’area contaminata fossero responsabili dell’inquinamento del sito, risalente a oltre 40 anni prima, come riconosciuto anche dallo stesso Pubblico ministero nel decreto di sequestro e anche nella informativa della polizia giudiziaria sulla base della quale era stato adottato tale provvedimento, con la conseguente erroneità della affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, in ordine all’inadempimento degli obblighi previsti dall’art. 242 d.lgs. 152/2006, che gravano solo sul responsabile dell’inquinamento. Non potrebbe, dunque, configurarsi a carico degli indagati il reato di cui all’art. 257, primo comma, d.lgs. 152/2006, costituente il presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente ricorrente, giacché tale disposizione riguarda il soggetto responsabile della contaminazione (si richiamano le sentenze n. 2686 del 2020 e n. 18503 del 2011), con la conseguente insussistenza dei presupposti per poter disporre il sequestro a carico della società ricorrente.
2.2. In secondo luogo, hanno denunciato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 125 e 253 cod. proc. pen., a causa della mancata indicazione delle ragioni per le quali, a seguito della riqualificazione della condotta ai sensi dell’art. 257 d.lgs. 152/2006, ossia nel reato di omessa comunicazione di imminente minaccia di danno ambientale, l’intera area sottoposta a sequestro debba considerarsi cosa pertinente al reato di omessa comunicazione ritenuto configurabile dal Tribunale.
La motivazione in ordine al rapporto di pertinenzialità tra il reato ritenuto configurabile e anche in ordine alle esigenze probatorie sarebbe del tutto assente, trattandosi di reato di pericolo di natura documentale, posto che la condotta incriminata era stata individuata dal Tribunale nella mancata comunicazione dei rilevamenti della contaminazione, nella mancata definizione di un metodo analitico alternativo e nel mancato svolgimento di attività di indagine, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere resa una specifica motivazione sulla finalità probatoria perseguita mediante l’apposizione del vincolo in questione (si richiama Sez. Un. Botticelli), anche tenendo conto della riqualificazione della condotta.
2.3. Con il terzo motivo hanno lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 253 e 275 cod. proc. pen., con riferimento alla valutazione di proporzione della misura ablativa, nonostante la ripetitibilità degli atti investigativi e la disponibilità della ricorrente alla piena collaborazione negli accertamenti.
Hanno censurato l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata secondo cui lo stato dei luoghi sarebbe soggetto a modificazioni, con la conseguente necessità di sottoporli a sequestro a fini di prova, avendo lo stesso Pubblico ministero riconosciuto la storicità della contaminazione del sito, la rinnovabilità degli accertamenti e l’assenza di un rischio di degradazione repentina dell’area da esaminare, con la conseguente mancata indicazione delle finalità probatorie sottese al mantenimento del sequestro e l’apparenza della motivazione sul punto.
Hanno eccepito anche l’inammissibilità della indicazione, a seguito della riqualificazione della condotta, di una finalità probatoria diversa rispetto a quella indicata dal Pubblico ministero nel decreto di sequestro, che aveva fatto riferimento alla “genuinità della prova”, mentre il Tribunale ha evidenziato la necessità di assicurare la “intangibilità al fine di compiere accertamenti, misurazioni e rilievi da parte della polizia giudiziaria”.
2.4. Con il quarto motivo hanno lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 242 e 245 d.lgs. 152/2006, a causa dell’omessa considerazione del fatto che tali disposizioni non rimettono in capo al proprietario estraneo alla contaminazione anche gli obblighi di bonifica, essendo questi tenuto solo agli adempimenti di carattere emergenziale, in relazione al pericolo di contaminazione o di diffusione della contaminazione o di aggravamento della situazione di contaminazione (in presenza di “contaminazioni storiche”).
Hanno sottolineato che nel caso in esame le analisi erano tutte in miglioramento e non vi era alcun aggravamento o pericolo di minaccia imminente, cosicché il proprietario non era obbligato a svolgere analisi al di fuori dell’accordo di programma.
2.5. Infine, con il quinto motivo, hanno denunciato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 157 cod. pen., 257, primo comma, d.lgs. 152/2006, 275 e 324 cod. proc. pen., a causa del mancato rilievo della estinzione per prescrizione del reato come riqualificato dal Tribunale, in quanto le attività di cui era stata ascritta l’omissione alla ricorrente, anche se non responsabile dell’inquinamento, consistevano nella omessa comunicazione dei risultati dell’analisi del rischio, nella mancata definizione di un metodo analitico alternativo a quello proposto dalle autorità e nella mancata comunicazione dei risultati di una attività di indagine volta ad accertare la diffusione della contaminazione.
Il reato di cui all’art. 257, primo comma, d.lgs. 152/2006 citato si consuma, infatti, nel momento in cui decorrono i termini previsti dall’art. 242 del medesimo d.lgs. 152/2006 per comunicare la potenziale minaccia alle istituzioni interessante, e poiché gli indici sintomatici di una potenziale minaccia di contaminazione erano conoscibili almeno dai primi anni 2000, quando il Consorzio aveva avviato la trattativa tesa a ottenere un accordo con le autorità competenti per la bonifica dell’area, il reato ritenuto configurabile si sarebbe consumato trascorse 24 ore dal rilevamento della potenziale minaccia, ossia alla scadenza del termine stabilito per il proprietario non responsabile per adempiere agli obblighi previsti dall’art. 242 d.lgs. 152/2006. Nella ordinanza, peraltro, era stato dato atto che successivamente all’inadempimento del Consorzio l’ARPA, con nota del 15 novembre 2019, ne aveva dato atto, con la conseguenza che l’inadempimento in questione doveva essere ritenuto anteriore a detta data e che quindi il termine quadriennale di prescrizione, non essendovi stati atti interruttivi, doveva ritenersi decorso il 15 novembre 2023.
Essendo decorso tale termine massimo non vi era alcun interesse alla prosecuzione delle indagini preliminari e, quindi, anche a disporre un sequestro a fine di prova, essendo il procedimento necessariamente destinato a concludersi con una richiesta di archiviazione del Pubblico ministero, e ciò avrebbe dovuto essere rilevato dal Tribunale anche d’ufficio.

3. Con memoria del 17 settembre 2024 la ricorrente ha replicato alle richieste scritte depositate dal Procuratore Generale, che ha sollecitato il rigetto del ricorso, sottolineando la mancata considerazione, in tali conclusioni, del terzo e del quarto motivo di ricorso; la imputabilità dell’inquinamento dell’area al precedente gestore dell’area e non alla ricorrente né ai suoi amministratori; la costante riduzione dell’inquinamento dell’area, come desumibile dai dati ricavabili dai piezometri a monte e a valle del sito, con la conseguente insussistenza di responsabilità della società ricorrente, anche solo per l’aggravamento dell’inquinamento, posto che la diffusione della contaminazione da piombo trietile e piombo dietile è di tipo storico (essendo stata analiticamente certificata su vasta scala nella falda acquifera sin dal 2000), si era progressivamente costantemente ridotta e non vi erano elementi da cui desumere un pericolo imminente di aggravamento; la ricorrente aveva acquistato la proprietà dell’area successivamente alla verificazione dell’inquinamento e aveva stipulato un accordo di programma per il recupero urbanistico e ambientale del sito.
Ha, pertanto, ribadito, l’illegittimità e la sproporzione del sequestro dell’area, ostativo alla esecuzione delle attività di accertamento che la ricorrente è compiuta a compiere, nonché l’estraneità della ricorrente medesima all’inquinamento dell’area, evidenziando che successivamente alla dismissione delle attività, avvenuta nel 1978 per la ex Sloi e all’inizio degli anni ‘80 per l’ex Carbochimica, sulle aree di proprietà della ricorrente non era stata esercitata alcuna attività, non era avvenuta alcuna modificazione dei luoghi e non si era verificato alcun evento che possa giustificare ipotesi di alterazione della situazione o dello stato dei luoghi.
Ha ribadito anche l’insussistenza di pericolo di modificazione dello stato dei luoghi, riconosciuto anche dal pubblico ministero di Trento, con la conseguente contraddittorietà di quanto, invece, ritenuto in proposito dal Tribunale di Trento e sostenuto dal Procuratore Generale nelle sue richieste, sottolineando anche la disponibilità della ricorrente, più volte manifestata, a consentire ispezioni, rilievi e campionamenti nell’area.
Ha nuovamente eccepito l’estinzione per prescrizione del reato presupposto della responsabilità amministrativa della ricorrente, individuato dallo stesso Tribunale di Trento in quello di cui all’art. 257, primo comma, ultima parte, d.lgs. n. 152 del 2006, avente natura istantanea con effetti eventualmente permanenti, essendo stata accertata la realizzazione di tale contravvenzione anteriormente al 15 novembre 2019 e non essendovi stati atti interruttivi (si richiama, sul punto della natura del reato di cui all’art. 257, primo comma, ultima parte, d.lgs. n. 152 del 2006, Sez. 3, n. 48487 del 13.11.2013, Fantuzzi, non massimata), con la conseguente applicabilità del termine quadriennale di prescrizione, decorso il 15 novembre 2023. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato. 

2. Preliminarmente va precisato che il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali può essere esaminato solo in relazione al vizio di violazione di legge non essendo consentita, in tale materia, la deduzione del vizio di motivazione, per espresso dettato dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Nondimeno, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come nella violazione di legge siano ricompresi anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice, con conseguente violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.  (cfr., ex multis, Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 e, da ultimo, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv.254893; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656). 
Sempre in premessa è necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623). 
Va, inoltre, ricordato il consolidato e univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di sequestro probatorio secondo cui “l'oggetto e le finalità del sequestro limitano l'analisi del fumus in quanto la valutazione della legittimità del sequestro non deve essere effettuata nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell'accusa, quanto, piuttosto, con riferimento all'idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all'indagato della disponibilità della res o l'acquisizione della stessa nella disponibilità dell'autorità giudiziaria” (così Sez. 3, n. 15177 del 24/3/2011, P.M. in proc. Rocchino, Rv. 250300 - 01; v. anche, nel medesimo senso, Sez. 3, n. 15254 del 10/3/2015, Previtero, Rv. 263053 – 01, e Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, Bulgarella, Rv. 267007 – 01, e Sez. 3, n. 3465 del 03/10/2019, dep. 2020, Pirlo, Rv. 278542 – 01).

3. Tanto premesso, in termini generali, osserva il Collegio come il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata la violazione degli artt. 242, 245 e 257, primo comma, d.lgs. 152/2006, per non essere stato considerato che il Consorzio, e, con esso, la società ricorrente, non è responsabile dell’inquinamento e quindi non sussistono a suo carico gli indizi per poter disporre la misura ablativa censurata, non potendo essere configurato a suo carico il reato di cui all’art. 257, primo comma, d.lgs. n. 152 del 2006, è infondato.
Il richiamo da parte della ricorrente al principio secondo cui il reato di mancata comunicazione agli enti preposti, prevista in caso di imminente minaccia di danno ambientale ai sensi degli artt. 242 e 257 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, di cui all’art. 257, primo comma, del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, è ascrivibile solamente al responsabile dell'evento potenzialmente inquinante e non anche a colui che, essendo proprietario del terreno, non lo abbia cagionato (cfr. in tal senso, ex plurimis, da ultimo, Sez. 3, n. 2686 del 20/11/2019, dep. 2020, Guarino, Rv. 278249 – 01; v. anche Sez. 3, n. 18503 del 16/03/2011, Burani, Rv. 250143 - 01), non è pertinente rispetto al sequestro probatorio oggetto della richiesta di riesame disattesa con l’ordinanza impugnata, in quanto, il sequestro a fini di prova delle cose necessarie al fine dell’accertamento dei reati può essere disposto anche nei confronti di terzi estranei al reato, che sono comunque tenuti a soggiacere a tale misura ablatoria, la cui disposizione prescinde dall’esistenza di indizi di responsabilità nei confronti del proprietario della cosa da sottoporre a sequestro, in quanto questi, sia pure per il tempo e nella misura strettamente necessari all’accertamento dei fatti, non può opporsi alla apposizione del vincolo sui suoi beni, quando la loro apprensione sia necessaria a fini di prova.
La giurisprudenza di legittimità ha, in proposito, già chiarito che ai fini della legittimità del sequestro probatorio non è necessario che il titolare del bene sottoposto a vincolo reale coincida con l'autore del reato per il quale si procede (Sez. 3, n. 21960 del 22/03/2017, Bonfiglio, Rv. 270508 – 01), in quanto il sequestro probatorio, quale mezzo di ricerca e assicurazione della prova, prescinde dalla necessità che titolare del bene e autore del reato coincidano, essendo sufficiente la relazione tra la cosa e il reato e la sua necessità a fine di prova, non occorrendo, invece, come sostenuto dalla ricorrente, una relazione tra la cosa e l’indagato o autore del fatto.
Ne consegue l’infondatezza dei rilievi sollevati dalla ricorrente con il primo motivo, a proposito della sua estraneità al reato di cui il Tribunale di Trento ha ravvisato la gravità indiziaria e in relazione al quale è stato disposto il sequestro a fine di prova dell’area di proprietà (anche) della ricorrente medesima, posto che il procedimento nell’ambito del quale la misura cautelare a fine di prova è stata disposta riguarda il delitto di cui all’art. 452-bis cod. pen. (contestato a Paolo Tosolini, Stefano Tosolini, Sergio Delle Nogare, Adriano Delle Nogare e Michele Albertini), riqualificato dal Tribunale in quello di cui all’art. 257, primo comma, d.lgs. n. 152 del 2006, e anche l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-undecies d.lgs. n. 231 del 2001, realizzati proprio in relazione alle aree “ex Sloi” ed “ex Carbochimica” assoggettate a sequestro, di cui è stata illustrata con motivazione adeguata la gravità indiziaria, in tal modo dando conto in modo sufficiente della relazione tra quanto sequestrato e il reato ipotizzato, ossia del presupposto, oltre alla finalità probatoria, del sequestro, non occorrendo anche, come evidenziato, la coincidenza tra titolare del bene da sequestrare a fini di prova e autore del reato.

4. Il secondo motivo, con cui è stata lamentata la violazione degli artt. 125 e 253 cod. proc. pen., a causa della mancata indicazione delle ragioni per le quali, a seguito della riqualificazione della condotta ai sensi dell’art. 257 d.lgs. 152/2006, l’intera area sottoposta a sequestro debba considerarsi cosa pertinente al reato di omessa comunicazione di imminente minaccia di danno ambientale ritenuto configurabile, è inammissibile, essendo volto a censurare l’adeguatezza e la logicità della motivazione su tale punto, posto che la stessa non è mancante né apparente e, dunque, come ricordato, non è sindacabile nel giudizio di legittimità relativo a misure cautelari reali sul piano della sufficienza, idoneità, logicità e non contraddittorietà.
Il Tribunale di Trento, nel disattendere l’analogo motivo di gravame, sostanzialmente ribadito con il ricorso per cassazione, dopo aver riassunto la vicenda e lo svolgimento delle indagini, dando atto della grave contaminazione ambientale dell’area (attualmente di proprietà delle tre società consorziate, tra cui quella ricorrente), nella quale sorgevano gli stabilimenti “Carbochimica” e “Sloi”, costituente il Sito di interesse nazionale denominato “Trento Nord”, incluso nell’elenco dei siti di bonifica, sottolineando che le indagini tecniche avevano evidenziato il superamento nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque di falda dei limiti stabiliti per il piombo tetraetile e il mercurio e la presenza di idrocarburi, ha dato atto sia della mancata attuazione delle misure di prevenzione di cui agli artt. 242 e 245 d.lgs. n. 152 del 2006; sia della mancata esecuzione delle attività di indagine volte ad accertare la diffusione della contaminazione, attività necessarie in ragione della, pacifica, situazione di imminente minaccia di danno ambientale, conseguente alla grave contaminazione dell’area, e, quindi, all’assolvimento degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 257 d.lgs. 152 del 2006, di cui ha, quindi, dato atto dell’inadempimento.
Il Tribunale, inoltre, ha anche evidenziato l’assunzione dell’obbligo da parte dei soggetti consorziati, quindi anche della ricorrente (e, per essa, dei suoi amministratori), di procedere alla bonifica dell’area, in forza di accordi di programma intervenuti tra la Provincia, il Comune di Trento e, appunto, i soggetti proprietari delle aree, e, dunque, della sussistenza non solo del reato di omessa comunicazione ma anche di quello di omessa bonifica, e tale rilievo non è stato considerato nel ricorso, nel quale, come evidenziato, si è solamente sottolineata l’estraneità della ricorrente alla originaria contaminazione dell’area, senza considerare l’assunzione di tali obblighi di bonifica.
Tanto premesso in ordine alla gravità indiziaria, anche a carico degli amministratori della società ricorrente, il Tribunale ha, poi, concordato con il pubblico ministero circa la necessità del sequestro di tutta l’area a fini di prova, ritenendo non sufficiente per accertare i fatti e le responsabilità che ne conseguono, ossia l’andamento della contaminazione dell’area, un accertamento solo documentale, ritenendo necessarie verifiche e indagini tecniche sui livelli di contaminazione di tutto il sito, che richiedono, tra l’altro, il mantenimento dell’integrità dell’area e, dunque, la sua sottoposizione a sequestro, anche alla luce della sostanziale inottemperanza del Consorzio di cui fa parte la ricorrente agli accordi con gli enti territoriali e all’ordinanza n. 207 del 2020 del Ministero dell’Ambiente (con la quale era stato ordinato al Consorzio e alle società che vi partecipano di fornire entro 120 giorni gli elementi e gli approfondimenti necessari per definire l’insorgenza, l’entità e le caratteristiche della situazione riconducibile a una minaccia di danno ambientale).
Si tratta di motivazione certamente non apparente, ma, anzi, idonea a illustrare le ragioni per le quali sono stati ravvisati gli indizi del reato presupposto e della connessa e dipendente responsabilità amministrativa dell’ente e anche della necessità di sottoporre a sequestro a fini di prova l’intera area, che risulta tutta contaminata, motivazione che la ricorrente ha censurato sul piano della adeguatezza e della logicità della motivazione, contestando le affermazioni del Tribunale sia in ordine alla configurabilità del reato di cui all’art. 257 d.lgs. n. 152 del 2006, sia a proposito delle esigenze di prova, dunque, come ricordato, in modo non consentito in questa sede di legittimità.

5. Considerazioni sovrapponibili possono essere svolte a proposito del terzo motivo, mediante il quale è stata lamentata la violazione degli artt. 253 e 275 cod. proc. pen., con riferimento alla valutazione di proporzione della misura ablativa, nonostante la ripetitibilità degli atti investigativi e la disponibilità della ricorrente alla piena collaborazione negli accertamenti, giacché, come già osservato al par. 4, il Tribunale, oltre che della gravità indiziaria, quanto meno al livello richiesto per poter disporre il sequestro a fine di prova, ha dato atto in modo sufficiente (comunque non certamente con motivazione meramente apparente) sia della necessità di mantenere il vincolo su tutta l’area per poter eseguire sulla stessa i necessari rilievi e campionamenti, essendo diffuso per tutta la sua estensione l’inquinamento; sia della mancanza di collaborazione della società ricorrente nella esecuzione di tali attività, stante la già ricordata inottemperanza ai già ricordati accordi con gli enti territoriali e all’ordinanza n. 207 del 2020 del Ministero dell’Ambiente.
Si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea a giustificare l’apposizione e il mantenimento del vincolo a fine di prova e la sua estensione a tutta l’area contaminata, proprio in ragione della diffusione della contaminazione a tutta l’area e alla sua estensione al suolo, al sottosuolo e alle falde acquifere, che la società ricorrente ha censurato proponendo una diversa valutazione dei fatti, in particolare della estensione e della diffusione della contaminazione e del tipo di indagini tecniche da compiere per accertarli, aspetti che, però, sono stati considerati dal Tribunale con motivazione non apparente, non sindacabile nel giudizio di legittimità, tantomeno, secondo le regole generali, sul piano dell’apprezzamento e della valutazione degli elementi di prova e della ricostruzione dei fatti.

6. Il quarto motivo, mediante il quale è stata lamentata la violazione degli artt. 242 e 245 d.lgs. 152/2006, a causa dell’omessa considerazione del fatto che tali disposizioni non rimettono in capo al proprietario estraneo alla contaminazione anche gli obblighi di bonifica, per essere tale soggetto tenuto solo agli adempimenti di carattere emergenziale, in relazione al pericolo di contaminazione o di diffusione della contaminazione o di aggravamento della situazione di contaminazione (in presenza di “contaminazioni storiche”), è infondato per le ragioni già esposte al par. 3, in quanto l’eventuale insussistenza del reato per il quale si procede nei confronti della ricorrente non impedisce, comunque, in presenza di indizi della realizzazione di detto reato (adeguatamente e chiaramente illustrati dal Tribunale), di disporre il sequestro dell’area contaminata a fini di prova.
Il Tribunale, inoltre, come già esposto al par. 4, ha chiaramente indicato gli elementi di gravità indiziaria a carico degli amministratori della società ricorrente per il reato di cui all’art. 257 d.lgs. n. 152 del 2006, sia per la mancata esecuzione delle attività di indagine volte ad accertare la diffusione della contaminazione, attività necessarie in ragione della, pacifica, situazione di imminente minaccia di danno ambientale, e, quindi, strumentali all’assolvimento degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 257 d.lgs. 152 del 2006, di cui ha, quindi, dato atto dell’inadempimento; sia in conseguenza dell’assunzione dell’obbligo da parte dei soggetti consorziati, quindi anche della ricorrente, di procedere alla bonifica dell’area, in forza di accordi di programma intervenuti tra la Provincia, il Comune di Trento e, appunto, i soggetti proprietari delle aree contaminate, e, dunque, della sussistenza non solo del reato di omessa comunicazione ma anche di quello di omessa bonifica.
Ne consegue, pertanto, l’infondatezza dei rilievi sollevati dalla ricorrente con il quarto motivo, alla luce della adeguata illustrazione degli aspetti di gravità indiziaria idonei a giustificare la conferma della misura cautelare a fini di prova.

7. Il quinto motivo, relativo al mancato rilievo della estinzione per prescrizione del reato come riqualificato dal Tribunale, è manifestamente infondato.
Come già osservato il Tribunale ha ravvisato indizi univoci della realizzazione sia del reato di omessa bonifica sia di quello di omessa comunicazione, di cui all’art. 257, primo comma, d.lgs. n. 152 del 2006.
Il reato di omessa bonifica dei siti inquinati ha natura permanente e il relativo termine decorre dal momento dell'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dell'area, che nel caso in esame non risulta siano stati realizzati, e non dal precedente sequestro del sito inquinante, che non giova a far cessare la condotta antigiuridica (v. Sez. 3, n. 11498 del 15/12/2010, dep. 2011, Ciabattoni, Rv. 249743 – 01; v. anche Sez. 1, n. 29855 del 13/06/2006, Pezzotti, Rv. 235255 – 01), con la conseguente evidente infondatezza della affermazione della ricorrente secondo cui tale termine dovrebbe decorrere a far tempo dall’accertamento dell’inadempimento del Consorzio agli obblighi dallo stesso assunti.
Inoltre anche il reato presupposto di omessa comunicazione, che presuppone l’adozione delle misure di prevenzione e lo svolgimento delle attività di indagine e di osservazione necessarie per l’assolvimento dell’obbligo di comunicazione agli enti preposti della imminente minaccia di danno ambientale, non si esaurisce in una condotta antigiuridica istantanea di matrice omissiva, ma persiste nel tempo, fin quando permangano la minaccia di danno e l’omissione, rimanendo dovuta la comunicazione, e non coincide con l’epoca in cui vennero impartite al Consorzio le prescrizioni o venne constatata l’indisponibilità del Consorzio medesimo all’esecuzione dei prescritti e necessari monitoraggi sulla propria area, con la conseguente correttezza del mancato rilievo della estinzione per prescrizione del reato presupposto.

8. Il ricorso deve, dunque, essere rigettato, a cagione della infondatezza del primo e del quarto motivo e della inammissibilità di quelli residui (ossia il secondo, il terzo e il quinto motivo).
Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 3/10/2024