Cass. sez. 3, 02.04.2001, C.c. 23.02.01, Pres. U.Papadia, Rel. A. Postiglione, P.G. A. Albano (concl. parz. Diff.), ric. Motto.
Ambiente (tutela dell’) – Accordi di programma –
Nozione e funzioni - Efficacia derogatoria dell’accordo rispetto al regime
autorizzatorio previsto dalle altre discipline ambientali – Sussistenza –
Limiti
Gli accordi di programma tra
l’industria e le amministrazioni pubbliche per il conseguimento di obiettivi
ambientali, in generale costituiti
dal risanamento di determinate aree industriali dismesse, consentono, sul piano
amministrativo ed a livello procedimentale, una semplificazione ed un efficace
coordinamento tra soggetti pubblici e privati, nel senso di favorire un
atteggiamento attivo dell’industria che vi partecipa, un suo coinvolgimento
nel trovare soluzioni efficaci e più rapide con conseguente riduzione dei
costi, a fronte di un esonero dall’obbligo di richiedere le singole
autorizzazioni settoriali, tipiche dell’ordinaria disciplina ambientale in
tema di inquinamento atmosferico, delle acque, da rifiuti.
L’accordo
di programma si caratterizza per una efficacia giuridica “derogatoria”
espressa - alle condizioni
stabilite - rispetto non solo alla
normativa urbanistica, ma anche ad altre normative ambientali (v. artt. 17,
comma 7, e 25 L. 22/97, e per le acque, la legge 152/99, art. 28, comma 10).
Tali deroghe devono limitarsi
ai profili organizzatori e procedimentali e non interferire con i profili
sostanziali dell’inquinamento, oltre i valori- limite di legge previsti per le
emissioni ed immissioni nell’ambiente.
Ambiente
(tutela dell’) – Accordi di programma – Regime sanzionatorio -Inosservanza
dei limiti di accettabilità stabiliti dalle normative ambientali settoriali –
Operatività delle sanzioni penali - Sussistenza – Omessa adozione della
procedura di VIA – Previsioni di tutela penale - Insussistenza
Pur in presenza di un accordo di programma, in caso di inosservanza dei valori – limite stabiliti dalle normative ambientali settoriali per le emissioni ed immissioni nell’ecosistema consegue l’applicabilità delle sanzioni stabilite dalla legge.
L’accordo di programma non può
sostituire altri strumenti giuridici come la valutazione d’impatto ambientale,
seppur la mancata adozione di questa procedura non risulta assistita da
sanzioni penali.
La tematica relativa agli accordi di programma si colloca nel più ampio dibattito inerente alla programmazione negoziata dell’esercizio della potestà amministrativa che si contrappone all’altra categoria strutturale che riguarda la forma imperativa di programmazione, espressione quest’ultima di una concezione più risalente nel tempo in cui l’azione amministrativa è esercitata unilateralmente ed imperativamente nei confronti del privato (che ne subisce le conseguenze) e viene intesa come imposizione dall’alto e finalizzata a sottoporre a regolamentazione autoritativa il sistema di produzione, circolazione giuridica ed uso dei beni (a rilevanza ambientale) sottraendo entrambi nella misura più spinta possibile alla logica ed alle regole del mercato[2].
Limitando l’oggetto della presente indagine alle discipline generali e più recenti degli accordi, è opportuno subito evidenziare che secondo la dottrina prevalente si distinguono, sulla base delle fonti, da un lato gli accordi tra privati e P.A. di cui all’art. 11 L. n. 241/1990 e dall’altro gli accordi tra amministrazioni pubbliche di cui all’art. 15 L. citata ed all’art. 27 L. n. 142/1990 (ora art. 34 D. Lgs. n. 267/2000).
L’istituto degli accordi tra privati e P.A., conclusi “in ogni caso nel perseguimento di un pubblico interesse” (v. art. 11 L. n. 241/1990), delinea una tendenza evolutiva dell’agire dei pubblici poteri ispirato a recuperare flessibilità nella definizione degli obiettivi pubblici e privati, mediante il quale l’amministrazione procedente acquisisce in via preventiva il consenso dei privati destinatari del provvedimento e raggiunge, nell’ambito di una leale cooperazione tra le parti, un assetto di interessi concordato che costituirà il contenuto dell’atto finale, o in casi tassativamente delimitati dal legislatore, sostituirà il provvedimento stesso (v. art. 11, comma 1, ult. alinea. L. n. 241/1990).
Il modulo convenzionale degli accordi tra amministrazioni pubbliche risponde alle esigenze di riduzione della complessità dell’agire dell’amministrazione moderna improntata ad un modello decisionale ed organizzativo policentrico e costituisce un’espressione avanzata del principio di coordinamento, ossia lo svolgimento in via congiunta e collaborativa da parte di più enti pubblici di un’attività, finalizzata ad uno scopo unitario comune, al perseguimento del quale vengono accordate le singole competenze[3].
La differenza principale tra gli istituti delineati dall’art. 15 L. n. 241/1990 e dall’art. 34 D. Lgs. n. 267/2000 risiede nel metodo di azione amministrativa in quanto mentre il procedimento finalizzato all’accordo di programma di cui all’art. 34 stabilisce l’indizione di una conferenza di servizi istruttoria che costituisce il metodo operativo preordinato all’adozione di un atto, quello di cui all’art. 15 consente alla P.A. di concludere l’accordo anche a prescindere dalla conferenza di servizi che diventa solo eventuale.
L’art. 34 reca disposizioni particolarmente
dettagliate individuando, a differenza dell’art. 15, lo specifico oggetto
dell’accordo (“la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di
programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione,
l’azione integrata e coordinata”[4]
di più amministrazioni pubbliche), i soggetti pubblici che possono avvalersi di
detta procedura, termini e modalità del procedimento e (ciò che più interessa
in questa sede) gli effetti giuridici dell’accordo.
Proprio in considerazione delle caratteristiche delle
due normative il rapporto tra l’art. 15 e l’art. 34 è stato classificato in
termini di specialità e non di incompatibilità: mentre l’art. 15, in quanto
norma di carattere generale “aperta ad un qualsiasi contenuto” rappresenta
il genus di tutti gli accordi tra
amministrazioni, “l’art. 34 del D. Lgs. 267 delinea una species”[5].
Rinviando ad altri contributi per quanto riguarda l’approfondimento del complesso e magmatico regime giuridico degli accordi, la loro controversa natura giuridica e la tutela dei soggetti destinatari dell’accordo[6], ciò che in questa sede preme evidenziare al fine di meglio analizzare i contenuti della sentenza in commento riguarda proprio l’efficacia dell’atto e la sua incidenza nei confronti delle altre procedure di assenso previste dalle normative ecologiche satelliti, di competenza delle singole amministrazioni ed afferenti le opere ed interventi oggetto dell’accordo, e da realizzare.
I commi 4 e 5, dell’art. 34, citato prevedono che “4. L’accordo, consistente nel consenso unanime del presidente della regione, del presidente della provincia, dei sindaci e delle altre amministrazioni interessate, è approvato con atto formale del presidente della regione o del presidente della provincia o del sindaco ed è pubblicato nel bollettino ufficiale della regione. L’accordo, qualora adottato con decreto del presidente della regione, produce gli effetti della intesa di cui all’art. 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, determinando le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le concessioni edilizie, sempre che vi sia l’assenso del comune interessato.
5. Ove l’accordo comporti variazione degli strumenti urbanistici, l’adesione del sindaco allo stesso deve essere ratificata dal consiglio comunale entro trenta giorni a pena di decadenza”.
Come è agevole dedurre dal primo periodo del comma 4, le determinazioni adottate attraverso l’accordo devono essere trasfuse nella veste formale di un atto della P.A. che ha assunto l’iniziativa.
L’elemento tipizzante l’accordo è proprio quello di fornire uno strumento flessibile e semplificato per la realizzazione di opere pubbliche che interessano più ambiti territoriali comunali e, al fine di realizzarle, è spesso indispensabile modificare gli strumenti urbanistici in vigore. Onde accelerare tali procedure il legislatore ha previsto che qualora l’accordo sia adottato con decreto del Presidente della regione, produce gli stessi effetti dell’intesa di cui all’art. 81 D.P.R. n. 616/77, e quindi determina le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici in vigore, sostituendo le concessioni edilizie, sempre che vi sia l’assenso del Sindaco del comune interessato e sempre salva la ratifica del Consiglio comunale.
Va sottolineato che
il giudice amministrativo in più occasioni ha ribadito l’invalidità
dell’accordo se adottato nell’inosservanza delle regole che presiedono la
competenza, ovvero la partecipazione o il consenso delle amministrazione
interessate; è stato osservato che “
L'accordo di programma consente l'acquisizione, in un unico contesto
procedurale, delle manifestazioni
di volontà, di conoscenza di giudizio, promananti
dai soggetti
il cui intervento coordinato
sia richiesto in vista del
fine specifico da raggiungere, ma non comporta alcuna alterazione delle
competenze attribuite
dalla legge agli organi deputati ad esprimere la volontà
delle singole
amministrazioni in relazione
all'oggetto degli atti posti
in essere,
i quali soli sono, quindi
legittimati, in via diretta o tramite
il soggetto che li
rappresenti, ad esprimere quel consenso unanime
richiesto dall'art.
27 comma quarto, legge 8 giugno 1990 n. 142. Nell'ipotesi
in cui
spetti al
sindaco di promuovere la
procedura di accordo di programma comportante
una variazione del p.r.g.
vigente, non viene in rilievo l'esigenza
di una ratifica del consiglio comunale ai sensi dell'art.
27 comma
quinto, legge 8 giugno 1990
n. 142, dal momento che tale ipotesi si
differenzia da quella in cui
il sindaco aderisca ad un accordo promosso
dal presidente
della regione che comporti variazione degli strumenti urbanistici,
alla quale fa riferimento l'espressa previsione dell'art. 27 comma
quinto, legge n. 142 del
1990; la mancata previsione legislativa poggia sul
presupposto che
il sindaco, nella prima ipotesi, può procedere solo sulla
base di
indirizzi specifici dell'organo collegiale, anche se, poi, in mancanza
di tali indirizzi,
l'approvazione dell'atto di accordo deve essere
verificata dal
Consiglio comunale,
in relazione alla
circostanza che il progetto
approvato comporti una variazione della destinazione impressa alla
zona dal p.r.g.”[7].
Sempre relativamente ai criteri mediante i quali deve
individuarsi la competenza delle amministrazioni a farsi promotrici e ad
approvare l’accordo, è stato
precisato che “ L'accordo di programma,
disciplinato dall'art. 27, legge 8 giugno 1990 n.
142 e preordinato alla rapida conclusione di procedimenti il cui
ordinario svolgimento
richiederebbe l'espletamento di più subprocedimenti, non può
essere limitato alle ipotesi
in cui sia prodromico alla realizzazione di opere
pubbliche, escludendo quelle
di iniziativa privata alle quali sia comune
l'interesse pubblico perseguito, poiche' l'obiettivo di semplificazione che si e' prefisso il legislatore non va riguardato in
relazione all'oggetto del
procedimento, bensì con
riferimento al momento prodromico di
formazione della
volontà dell'amministrazione. La competenza a farsi promotore e ad
approvare l'accordo di
programma di cui all'art. 27, legge 8 giugno
1990 n. 142 va verificata
con riferimento all'effettivo atteggiarsi sotto
il profilo
sostanziale dell'oggetto
dell'intervento (nella specie, l'approvazione
di un piano di lottizzazione
e degli allegati progetti edilizi, finalizzati
alla realizzazione di un'opera multifunzionale, costituita da un centro ingrosso, un centro stoccaggio e da un'area di
scambio delle merci,
non può
considerarsi il
momento centrale
dell'accordo di programma,
con la conseguenza di
radicare la competenza in capo al sindaco per
prevalenza dell'interesse
urbanistico, bensì solo una fase meramente
strumentale alla
realizzazione dell'opera,
che, invece,
è l'oggetto
sostanziale della procedura
e rientra tra gli obiettivi di razionalizzazione
del traffico delle merci e della ubicazione dei magazzini, dei depositi,
dei centri commerciali
all'ingrosso, il cui perseguimento è di competenza
della regione Lazio, ai
sensi della l.r. Lazio 19 dicembre 1985 n. 102). In
base all'art.
27, legge
8 giugno 1990 n. 142 l'accordo di programma deve
essere realizzato
previa verifica
della sua fattibilità,
attraverso la convocazione
di una conferenza tra i
rappresentati di tutte le amministrazioni interessate,
la cui individuazione va
fatta caso per caso, indipendentemente dalle
indicazioni fornite dal soggetto promotore; peraltro, non
tutti i
soggetti che vi partecipano
acquistano la qualità di amministrazioni interessate,
atteso che, nella fase di verifica di fattibilità, può richiedersi l'intervento
chiarificatore o collaborativo di una molteplicità
di soggetti
pubblici o privati, il cui apporto non acquista rilevanza
formale ai
fini del
perfezionamento del consenso, pur contribuendo alla più consapevole
formazione di quest'ultimo, nè la loro pretermissione è
suscettibile di viziare il
procedimento”[8].
Il Consiglio di Stato ha affrontato nello specifico la questione relativa alla possibilità che l’accordo di programma deroghi agli ordinari criteri di competenza fissati dal legislatore per l’approvazione di una variante al piano territoriale paesistico risolvendo il problema in senso negativo circa la sussistenza di tale possibilità, affermando che “La generalizzazione dell'utilizzo dello strumento dell'accordo di programma tra diverse amministrazioni, al fine del coordinamento dei diversi pubblici interessi di cui le medesime sono portatrici, appare in linea con la più generale tendenza del legislatore a favorire l'esercizio consensuale della potestà amministrativa.
L'art. 27, comma 5, della legge n. 142/90 introduce
una disciplina specifica per il caso di variazione degli strumenti urbanistici,
senza peraltro limitare a tale ambito l'utilizzo dello strumento dell'accordo.
Non esula dunque dall'ambito oggettivo di operatività di un accordo di
programma, individuato dal legislatore in modo ampio e generico, la
realizzazione di opere ed interventi che comportino la modifica di un piano
territoriale paesistico.
Il piano paesistico è finalizzato alla protezione
delle bellezze naturali e più precisamente alla fase di pianificazione della
tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo
paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori
paesitico-ambientali con strumenti idonei ad assicurare il superamento
dell'episodicità, inevitabilmente connessa a semplici ed isolati interventi
autorizzatori.
L'effetto
giuridico di un accordo di programma è quello di obbligare le parti stipulanti
ad ottemperare agli impegni assunti con l'accordo, nel rispetto, e non in
deroga, delle competenze che caratterizzano ciascuna amministrazione. Laddove la
competenza sia attribuita ad un organo collegiale, la partecipazione all'accordo
di diverso organo dello stesso ente non può sostituire decisioni riservate al
primo, a meno che lo stesso non si sia espresso in via preventiva o salvo
espressa disposizione legislativa in tal senso. In caso contrario, detta
partecipazione comporta l'impegno da parte dell'organo non competente a
sottoporre la questione all'organo cui la competenza è attribuita”[9].
Per quanto riguarda la possibilità di partecipazione di soggetti privati all’accordo disciplinato dall’art. 34 D. Lgs. n. 267/2000, la dottrina non è concorde ma la tesi favorevole, avallata dalla giurisprudenza, “ritiene che non possa essere esclusa la partecipazione visto il carattere collaborativo dell’apporto. Resta fermo che la formazione dell’accordo rimane in mano alle pubbliche amministrazioni, la cui sola volontà rileva ai fini della conclusione della pattuizione”[10].
Le decisioni del
giudice amministrativo sull’accordo di programma relativo alle acciaierie di
Cornigliano.
In sede amministrativa sono stati impugnati sia
l'Accordo di Programma, stipulato e sottoscritto nel novembre del 1999, dalla
Regione Liguria, dal Comune e dalla Provincia di Genova, dai Ministeri
dell'Industria, dell'Ambiente, dei Trasporti e del Lavoro, dall'Autorità
Portuale di Genova, dalla società Areoporto di Genova, dalla soc. ILVA, dalla
Associazione Industriali di Genova e dalle rappresentanze sindacali provinciali
e regionali CGIL, CISL, UIL e CISAL, avente ad oggetto la riqualificazione
urbanistica ed ambientale nonchè la riconversione economico-produttiva delle
aree ricadenti nell'ambito delle ex acciaierie di GE-Cornigliano, che il Decreto
del Presidente della Giunta Regionale n. 52 del 29.3.2000 che ha reso esecutivo
detto accordo.
Per incidens,
il fulcro delle sentenze in esame riguarda
profili che non interessano direttamente la problematica affrontata con la
presente trattazione anche se va segnalato che i giudici di Palazzo Spada[11]
si sono orientati in senso contrario rispetto ai giudici di primo grado che
avevano rilevato l’illegittimità dell’accordo di programma in quanto
violava l’art. 4, commi 8, 9 e 10, L. n. 426/1998.
Per chiarezza appare opportuno richiamare il testo dell’art. 4, commi 8, 9 e 10, L. citata, che prevede: “8. Per l'attuazione del piano di risanamento ambientale dell'area industriale e portuale di Genova, di cui all'intesa tra Ministero dell'ambiente e regione Liguria del 31 luglio 1996, nell'ambito degli interventi di cui all'articolo 1, comma 1, è riservato l'importo di lire 6 miliardi annue per dieci anni, a decorrere dall'anno 1998, anche per la realizzazione di aree a verde e servizi per la cittadinanza.
9. Per favorire lo sviluppo di attività produttive
compatibili con la normativa di tutela ambientale e diverse dal ciclo produttivo
siderurgico della laminazione a caldo, l'Autorità portuale di Genova è
incaricata di realizzare programmi di razionalizzazione e valorizzazione delle
aree che rientrano nella sua disponibilità a seguito della cessazione del
rapporto di concessione derivante dalla chiusura delle lavorazioni siderurgiche
a caldo.
10. Al fine di sviluppare gli interventi necessari di
cui ai commi 8 e 9 è stipulato un accordo di programma tra il Ministero
dell'industria, del commercio e dell'artigianato, il Ministero dell'ambiente, il
Ministero dei trasporti e della navigazione, il Ministero del lavoro e della
previdenza sociale, la regione Liguria, la provincia e il comune di Genova,
l'Autorità portuale di Genova e l'ILVA Spa. L'accordo di programma deve
prevedere il piano di bonifica e risanamento dell'area dismessa a seguito della
chiusura delle lavorazioni siderurgiche a caldo nonchè, entro tempi certi e
definiti, il piano industriale per il consolidamento delle lavorazioni a freddo.
L'accordo di programma e i successivi strumenti attuativi devono altresí
prevedere la tutela dei livelli occupazionali e il reimpiego della manodopera
occupata al 14 luglio 1998”.
Di peculiare rilievo risultano i seguenti passaggi
stigmatizzati dal Tribunale amministrativo nella motivazione.
Relativamente all’individuazione del momento in cui
l’accordo produce i suoi effetti nei confronti dei terzi nonché per quanto
riguarda la natura dell’accordo e le disposizioni
applicabili al caso di specie, è stato precisato che solo il D.P.G.R. n.
52/2000 costituisce “l'atto conclusivo dello speciale modulo procedimentale
dello "accordo di programma", sicchè, quantunque alla sottoscrizione
dell'accordo consegua il sorgere di rapporti di reciproca obbligatorietà fra i
soggetti sottoscrittori, soltanto con il decreto di approvazione
dell'amministrazione competente - secondo i criteri di individuazione di cui
all'art. 27, commi 4 e 7, della legge 142/90 l'accordo produce effetti giuridici
in capo ai terzi e sui loro interessi.
6. Infondata si rivela anche la successiva eccezione sollevata dalla difesa della Soc. ILVA, secondo cui, configurandosi l'accordo di programma nella fattispecie come schema a carattere prevalentemente contrattuale, il ricorso sarebbe improcedibile per difetto assoluto di giurisdizione di questo Giudice.
In realtà, ancorchè tra i sottoscrittori dell'accordo di programma in esame sia compreso anche un soggetto privato e ancorchè alcune clausole e condizioni - soprattutto quelle che comportano obblighi per la detta Società- rivestano natura contrattuale, la cui definizione, peraltro, dovrà necessariamente essere attuata con la stipula di successivi piani di dettaglio, non v'è dubbio che il legislatore, con espresso richiamo all'accordo di programma (cfr. art. 4, comma 10, della legge n.426/98) abbia inteso ricorrere ad un modulo ad evidenza pubblica, concertativo delle volontà delle pubbliche amministrazioni interessate ed approvato con l'atto conclusivo del Presidente della Giunta Regionale.
Del resto, dall'accordo, come si evince dal testo
depositato in giudizio, scaturiscono, non solo obblighi in senso stretto, ma
anche vincoli che coinvolgono potestà amministrative, ad esempio, in campo
urbanistico, con la predisposizione di varianti agli strumenti territoriali ed
urbanistici secondo le procedure previste dall'art.58 della legge regionale n.
36/97, nel campo delle concessioni demaniali marittime statali e di competenza
dell'Autorità portuale, mediante una nuova distribuzione delle relative aree,
nel campo della tutela ambientale, con l'adeguamento degli strumenti di
competenza regionale, provinciale e comunale, nel campo della sicurezza della
navigazione aerea, mediante una nuova redistribuzione delle aree aeroportuali,
nel campo delle opere viarie stradali, etc.
I vincoli sopra descritti inducono, perciò, a
ritenere che la valenza pubblicistica dell'Accordo in esame, espressa anche
attraverso il dichiarato contenuto di indirizzo e coordinamento degli obbiettivi
pubblici perseguiti, superi di gran lunga la rilevanza delle clausole
squisitamente convenzionali che pure nello stesso sono presenti, sicchè ad
avviso del Collegio spetta a questa Giudice pronunciarsi sulle questioni agitate
in ricorso.
Del resto, è la stessa legge (cfr. l'art. 11, u.c.,
L. 241/1990) che ha attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie in materia di formazione, conclusione ed
esecuzione degli accordi stipulati, non solo tra amministrazioni pubbliche, ma
anche tra queste e i soggetti privati che intervengono nel relativo procedimento
amministrativo”[12].
Effetti giuridici degli accordi volontari nel diritto comunitario e nell’ordinamento interno.
Quello
che appare indispensabile porre in luce è che la
legge da cui trae fondamento l’accordo di programma in discussione, come
agevolmente si desume dal dato letterale e semantico della stessa, non
stabilisce in ordine allo stesso alcun effetto giuridico differenziato rispetto
alle disposizioni sopra evocate dal giudice amministrativo, e più sopra
illustrate, né la stessa prevede
specifiche deroghe (o effetti
sostitutivi) al regime autorizzatorio stabilito
dalle normative ambientali esistenti.
Il problema affrontato dalla sentenza della Cassazione e, forse non esaurientemente evidenziato, è proprio questo: la delimitazione dell’ambito operativo degli accordi (e cioè delle manifestazioni di volontà e consenso delle amministrazioni e delle altre parti interessate, con tutti gli effetti che ne conseguono) e della loro incidenza giuridica nei confronti delle altre disposizioni di legge in vigore sia sul piano amministrativo sia, e si può dire soprattutto atteso che trattasi di precetti penalmente sanzionati, su quello penale partendo, ovviamente, sempre dal dato legislativo dal quale traggono origine per raffrontarlo in termini di compatibilità con tutte le disposizioni omologhe che possono trovare applicazione nell’osservanza del principio della gerarchia delle fonti e, in definitiva, di quello di legalità.
Quest’ultima osservazione appare ancor più
saliente ove si consideri che gli accordi volontari seppur provvisti di base
giuridica (la L. n. 426/1998 nello specifico)
non sono – com’è noto -
ricompresi tra gli atti normativi lato
sensu intesi e, quindi, la loro stessa legittimità potrà dirsi
positivamente verificata, in ossequio ai principi generali dell’ordinamento,
solo nel momento in cui l’accordo oltre che conforme alla legge istitutiva è
pure compatibile con le altre disposizioni giuridiche che disciplinano
l’oggetto dello stesso.
Nell’ambito
del diritto comunitario non si rinvengono norme specifiche dedicate agli accordi
volontari ma di essi si è occupata, in
primis, la Commissione della Comunità europea che li definisce come
“accordi tra le industrie e le pubbliche autorità, aventi come scopo il
raggiungimento di obiettivi ambientali. Essi possono essere giuridicamente
vincolanti per le parti, ma possono anche avere la forma di impegni unilaterali
da parte delle industrie, riconosciuti dalle pubbliche autorità”[13].
Rinviando ad altri approfondimenti per quanto riguarda la loro genesi,
funzione e classificazione[14],
la Commissione con la Comunicazione anzi citata elenca precisi parametri
delimitativi del potere di trasposizione delle direttive comunitarie mediante
gli accordi e cioè:
1)
il requisito della certezza giuridica richiede che, ove si faccia ricorso
agli accordi volontari, questi devono essere accompagnati dal recepimento
formale della direttiva,
2)
la direttiva dovrà stabilire quali disposizioni sono suscettibili di
essere trasposte dagli accordi, che, in ogni caso, dovranno avere forma
giuridicamente vincolante;
3)
l’accordo dovrà
rispettare le regole vigenti per la normativa di recepimento: cioè esso sarà
concluso entro i limiti di tempo stabiliti dalla direttiva e dovrà essere
notificato alla Commissione;
4)
gli Stati dovranno assicurarne l’effettivo rispetto. Nel caso in cui ciò
non avvenga, è indispensabile l’adozione di misure legislative.
Successivamente la Commissione ritorna
sull’argomento accentuando la prospettiva di favore che investe gli accordi
come strumenti semplificati e più celeri di attuazione delle direttive,
precisando che:
1)
se utilizzati come mezzo per attuare determinate disposizioni delle
direttive comunitarie, gli accordi ambientali possono in alcune circostanze
completare la legislazione o sostituirsi a norme legislative più dettagliate;
2)
le direttive fanno obbligo a ciascuno Stato membro di conseguire i
risultati previsti e pertanto gli Stati membri che ricorrano ad accordi per
attuare una direttiva devono essere in grado in ogni momento di garantire i
risultati da essa fissati;
3)
al fine di assicurare il pieno rispetto delle direttive comunitarie, gli
accordi ambientali che attuano determinate disposizioni di direttive dovrebbero
rispondere a requisiti di trasparenza, attendibilità ed affidabilità;
4)
le direttive devono elencare specificamente le disposizioni che possono
essere attuate mediante un accordo ambientale;
5)
tali direttive devono stabilire requisiti vincolanti per gli accordi che
attuano le disposizioni indicate;
6)
gli Stati membri dovrebbero assicurare che gli accordi ambientali siano
conformi al trattato e, in particolare, alle norme sul mercato interno e sulla
competitività, nonché alla direttiva 83/189/CEE del Consiglio, del 28 marzo
1983, che prevede una procedura di informazione nel settore delle norme e delle
regolamentazioni tecniche (3), modificata da ultimo dalla direttiva 96/139/CE
(4) della Commissione[15].
Seppur quest’ultimo orientamento denota una maggior
elasticità nell’approccio alla tematica degli accordi, come appare evidente
dall’esame del punto sub 6) non può sottacersi che l’obbligo per gli Stati
membri di assicurare la conformità
al Trattato degli accordi ambientali implica necessariamente l’osservanza del
principio di legalità di cui è manifestazione l’assetto della gerarchia
delle fonti delineato nelle Carte fondamentali dei Paesi europei.
La Corte di Giustizia europea anche di recente ha
ribadito che la trasposizione di una direttiva nel diritto nazionale non implica
necessariamente la riproduzione formale e letterale delle disposizioni in una
norma espressa e specifica e può essere sufficiente il contesto giuridico
generale, sempreché questo garantisca effettivamente la piena applicazione
della direttiva in modo sufficientemente chiaro e preciso (v., in particolare,
sentenza 15 marzo 1990, C-339/87, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-851,
punto 6)[16].
Relativamente
agli accordi volontari, in un caso riguardante la trasposizione della direttiva
85/339/CEE del Consiglio del 27.06.1985 concernente gli imballaggi per liquidi
alimentari, la Corte ha condannato la Repubblica francese per non aver
elaborato, nei termini prescritti, i programmi previsti dalla menzionata
direttiva rilevando l’inidoneità degli accordi volontari, pur adottati in
materia dalla Francia, a costituire valido strumento di recepimento delle
disposizioni sovranazionali. L’art. 3, par. 1, della direttiva 85/339/CEE[17]
prevede che per conseguire le finalità prescritte dall’art. 1, dir. cit.,
“gli Stati membri elaborano programmi per ridurre il peso e/o il volume degli
imballaggi per liquidi alimentari, contenuti nei rifiuti da eliminare
definitivamente”. L’art. 4, par. 1, stabilisce che “Nell’ambito dei
programmi di cui all’art. 3 e nel rispetto delle disposizioni del trattato
relative alla libera circolazione delle merci, gli Stati membri adottano,
mediante provvedimenti legislativi o amministrativi oppure accordi volontari,
misure dirette in particolare” a per es. promuovere l’informazione dei
consumatori sui vantaggi degli imballaggi nuovamente riempibili, del riciclaggio
degli imballaggi nonché altre misure idonee a raggiungere gli scopi
prestabiliti.
La
Corte ha precisato che i sei accordi volontari, presentati dalla Francia a
supporto della tesi difensiva, debbono qualificarsi come “misure” di cui
all’art. 4, della direttiva, cioè degli atti di attuazione dei programmi, ma
non dei <
Al
di là del merito della sentenza, è indispensabile evidenziare che l’iter
logico seguito nelle argomentazioni sviluppate dal giudice sovranazionale si
incentra sempre sul dato normativo o, per meglio dire, sulle possibilità
consentite dalla direttiva agli Stati membri di dare attuazione alla stessa
mediante strumenti diversi da quello dei <
Conclusioni.
Come già sottolineato dalla pronuncia del giudice di legittimità in esame, in ordine agli accordi ambientali, oltre alle disposizioni di cui alla L. n. 241/90 ed all’art. 34 D. Lgs. n. 267/2000, sopra illustrate, possono certamente rivestire rilievo l’art. 17, comma 7, D. Lgs. n. 22/97 e l’art. 28, comma 10, D. Lgs. n. 152/99.
Ne
consegue che “il piano di bonifica e risanamento dell'area dismessa a seguito
della chiusura delle lavorazioni siderurgiche a caldo”, di cui all’art. 4,
comma 10, L. n. 426/1998, pare assoggettato alla disciplina di cui all’art.
17, citato, e, quindi, la relativa autorizzazione alla realizzazione degli
interventi di bonifica “costituisce variante urbanistica, comporta
dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza e di indifferibilità dei lavori,
e sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti,
le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente per la realizzazione e
l’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie all’attuazione
del progetto di bonifica”.
E’
indispensabile sottolineare che quest’ultima disposizione assegna
espressamente all’autorizzazione citata, con formula onnicomprensiva,
efficacia sostitutiva nei confronti degli atti di assenso previsti
dalla legislazione vigente e, quindi, non solo rispetto a quelli individuati
dalla normativa urbanistica (come ad es. nel caso dell’art. 34, D. Lgs. n.
267/00) ma, in maniera molto più estesa, a tutti quelli stabiliti dalle
disposizioni ambientali settoriali; detti effetti giuridici sono, peraltro,
validi ed efficaci limitatamente agli impianti (e attrezzature)
funzionali alla realizzazione delle opere di risanamento e non
<
Tale opzione ermeneutica è ulteriormente confortata
dall’analoga previsione regolamentare (v. art. 10, comma 9, D.M. n. 471/1999)
che peraltro precisa in modo inequivocabile che “Ai fini soli della realizzazione e dell'esercizio degli impianti e delle
attrezzature necessarie all'attuazione del progetto definitivo, e per il tempo
strettamente necessario all’attuazione medesima, l'autorizzazione di cui al
comma 9 sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i
concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla
legislazione vigente. L’autorizzazione costituisce, altresì, variante
urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza ed
indifferibilità dei lavori qualora la realizzazione e l’esercizio dei
suddetti impianti ed attrezzature rivesta carattere di pubblica utilità”.
Per
quanto riguarda gli accordi e contratti di programma stabiliti dalla legge sulle
acque (v. art. 28, comma 10, D. Lgs. n. 152/99), finalizzati al risparmio
idrico, al riutilizzo delle acque di scarico etc., nonché quelli di cui
all’art. 25, D. Lgs. n. 22/1997, diretti ad attuare i principi ed obiettivi
stabiliti dallo stesso decreto, gli stessi non sono dotati di alcuna efficacia
sostitutiva (o derogatoria che dir si voglia) rispetto alle discipline
ambientali di settore, come si desume dalla lettura delle disposizioni in esame
che non prevedono statuizioni omologhe a quella prevista dall’art. 17, comma
7, D. Lgs. n. 22/97, salva comunque
l’operatività (qualora le parti decidano di avvalersi di questa procedura)
dell’art. 34, comma 4, D. Lgs. n. 267/2000, riferito alla materia urbanistica,
nei termini già illustrati.
Dall’analisi
delle regole anzi descritte pare potersi dedurre
che quando il Legislatore ha voluto attribuire una speciale efficacia
giuridica (sostitutiva o derogatoria rispetto a talune o a tutte le leggi
vigenti) agli accordi e contratti
di programma lo ha fatto espressamente e, a
contrariis, ne deriva che nei casi in cui tali previsioni risultano carenti
a tali atti troveranno applicazioni tutte le previsioni normative che possono
assumere rilievo rispetto all’oggetto.
Le
contestazioni mosse dall’accusa nel caso affrontato dalla Suprema Corte
riguardano nella maggior parte violazioni alla normativa di tutela dell’aria
riferite agli impianti nuovi realizzati dalla società, normativa che non
risulta essere stata inserita tra le disposizioni normative che regolano gli
accordi o i loro oggetti, né a quest’ultimi è stata attribuita efficacia
derogatoria o assorbente rispetto al regime
autorizzatorio previsto dalla disciplina settoriale citata.
Per incidens, non è dato
conoscere con compiutezza a chi scrive termini
e modalità dell’accordo stipulato ed in relazione al quale si è posto in
discussione l’intervento della magistratura genovese, tuttavia dalla
circostanza che la persona sottoposta ad indagini avesse richiesto (ma non
ancora ottenuto) l’autorizzazione ex art. 15, lett. a), D. Lgs. n. 203/88,
pare che l’accordo nell’interpretazione delle parti non sia stato
considerato assorbente di detta autorizzazione, né poteva esserlo per le
considerazioni anzi espresse.
Per
quanto riguarda l’omessa procedura afferente la VIA che per la complessità
della tematica richiederebbe una disamina separata, ci si limita a segnalare
l’intervento del Ministero dell’Ambiente[19] che, dopo aver richiamato
il dato testuale dell’art. 1 del D.P.C.M. 03.09.1999[20],
afferma: “In proposito sono ben noti i termini normativi e i profili
giurisprudenziali che determinano la necessità di immediata e inderogabile
attuazione delle disposizioni della direttiva 85/337/CEE sulla valutazione di
impatto ambientale. Conclusioni del tutto analoghe circa l’obbligo di diretta
e immediata applicabilità della norma comunitaria valgono anche per la
direttiva 97/11/CE che ha introdotto modifiche alla previgente direttiva sulla
valutazione di impatto ambientale. Infatti, mentre l’obbligo di recepimento
della direttiva 85/337/CEE era divenuto effettivo a partire dal 3 luglio 1988,
per la direttiva 97/11/CE il termine di scadenza per il recepimento era posto al
14 marzo 1999 e pertanto le disposizioni che discendono dal combinato disposto
di tali direttive devono essere immediatamente attuate. Atteso, dunque, che la
direttiva 97/11/CE risulta, allo stato attuale, di immediata inderogabile
esecutività, si deve considerare che il D.P.C.M. 3 settembre 1999 costituisce,
appunto per ciò che concerne alcuni interventi dell’allegato I e molti di
quelli dell’allegato II alla direttiva medesima, l’atto di recepimento e di
trasposizione normativa operato in Italia in qualità di Stato membro
dell’unione Europea, la cui definizione è stata formalmente operata di intesa
con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome. Non è pertanto giuridicamente ipotizzabile che le regioni,
nel dare completa e immediata attuazione alla direttiva, possano discostarsi da
un atto di tale natura, che è stato fatto proprio con lo strumento
dell’intesa delle stesse amministrazioni regionali, anche perché ciò
costituirebbe un agire contra factum
proprium determinando evidenti fattispecie di illegittimità
dei provvedimenti eventualmente emanati in difformità dalle previsioni
dello stesso D.P.C.M…….”.
[1] Articolo pubblicato in Ambiente-Consulenza, 2002, n. 1, p. 89.
[2] V. P. Dell’Anno, Manuale di diritto ambientale, 2000, Padova, III ed. p. 150 e segg.
[3] V. F. Caringella, Corso di diritto amminsitrativo, 2001, Milano, p. 1739.
[4] Secondo la giurisprudenza amministrativa gli accordi possono essere utilizzati non solo per la realizzazione di opere pubbliche, ma anche per la definizione di opere ad iniziativa privata, purché d’interesse pubblico (cfr. TAR Lazio, sez. I, sent. n. 62, 20.01.1995, Codacons c. Comune di Roma, CED Pd. 9502143).
[5] V. F. Caringella, op. cit. p. 1742.
[6] V. L. Olivieri, Commento al testo unico sull’ordinamento degli enti locali, (a cura) di F. Botta, Rimini, 2000, p. 202 e segg.; F. Caringella, op. cit..
[7] Cfr. TAR Lazio, sez. I, sent. n. 62, 20.01.1995, Ass. Difesa Ambiente c. Comune di Roma, CED Pd. 9502115, in Foro amm., 1995, 1060; nello stesso senso è stato osservato che “Ai sensi dell'art. 27 Legge 8 giugno 1990 n. 142, è riservata al Sindaco la sottoscrizione di accordi di programma per la definizione e l'attuazione di opere, qualora esse interessino più soggetti pubblici (nella specie, il Comune e l'Ente Fiera); pertanto, il Sindaco deve ritenersi legittimato non solo al rilascio delle concessioni edilizie conformi agli strumenti urbanistici approvati, ma anche alla stipulazione di accordi che comportino l'attuazione dei Articolo precedente: Ambiente in genere. Reato e responsabilità persone giuridche (archivio 1998 - 20 Articolo successivo: Ambiente in genere. Carta fondamentale UE 8archivio 1998 - 2002)