TAR Lombardia (MI) Sez. II n. 572 del 30 marzo 2020
Urbanistica.Disciplina in materia di sicurezza delle costruzioni e normativa urbanistica.
La disciplina in materia di sicurezza delle costruzioni non è perfettamente sovrapponibile alla regolamentazione afferente all’ambito urbanistico ed edilizio, perseguendo le richiamate discipline obiettivi differenti: la prima è finalizzata a garantire la corretta e regolare costruzione dei manufatti, in modo da garantire l’incolumità delle persone che li utilizzano o vengono in rapporto con gli stessi (si pensi agli abitanti di un immobile, a coloro che lo frequentano o a chi viene a trovarsi, anche casualmente, nei pressi dello stesso); la normativa urbanistica ed edilizia, pur non disinteressandosi del tutto anche della sicurezza delle costruzioni, ha quale principale obiettivo quello di garantire un ordinato assetto del territorio e la realizzazione di manufatti edilizi in grado di garantirne la massima usufruibilità e confortevolezza (ad esempio, stabilendo uno spazio minimo per l’abitabilità di un immobile o per la diversa funzione cui è destinato). Ciò è dimostrato dalla non necessaria corrispondenza della regolarità urbanistica ed edilizia di un immobile rispetto alla idoneità costruttiva dello stesso; peraltro può accadere che un immobile, pur essendo da un punto di vista edilizio perfettamente conforme sia alla pregressa che alla nuova destinazione impressa allo stesso, non risulti idoneo con riferimento all’uso cui è successivamente destinato (si pensi ad uno spazio commerciale espositivo che viene poi destinato a superficie di vendita) (segnalazione Ing. M. Federici)
Pubblicato il 30/03/2020
N. 00572/2020 REG.PROV.COLL.
N. 01035/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1035 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
- Strippoli S.a.s. di Gattas Bahaa Amin Morgan & C., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Antonio Belvedere, Matteo Peverati e Maurizio Malomo ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli stessi in Milano, Piazza Eleonora Duse n. 3;
contro
- il Comune di Milano, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Antonello Mandarano, Paola Cozzi, Alessandra Montagnani Amendolea, Maria Lodovica Bognetti, Elena Maria Ferradini e Anna Maria Pavin ed elettivamente domiciliato in Milano, Via della Guastalla n. 6, presso la sede dell’Avvocatura comunale;
nei confronti
- Maria Piera Maccagni e Condominio di Via Palmanova n. 131-133, in persona dell’Amministratore pro-tempore, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Maria Sala e Giuseppe Monaco ed elettivamente domiciliati presso lo studio della prima in Milano, Via Hoepli n. 3;
per l’annullamento
quanto al ricorso introduttivo:
- dell’atto del Comune di Milano, P.G. 0116345/2019, del 13 marzo 2019, mediante il quale è stata ordinata la demolizione delle opere realizzate in forza di s.c.i.a. del 18 maggio 2018, P.G. 219691/2018, e successiva s.c.i.a. del 5 dicembre 2018, P.G. 518371/2018, nonché la rimessione in pristino della situazione preesistente;
- di ogni altro atto presupposto e/o connesso;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
- dell’atto del Comune di Milano, P.G. 0310828/2019, del 12 luglio 2019, con cui sono stati annullati d’ufficio i titoli edilizi presentati dalla ricorrente (s.c.i.a. 2018 e seconda s.c.i.a.), “relativamente alle opere realizzate al piano copertura” ed è stato precisato il contenuto dell’ordinanza di demolizione emessa il 13 marzo 2019, specificando che le opere interessate risultano esclusivamente quelle realizzate al piano copertura, come descritte nello stesso provvedimento.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto il decreto n. 598/2019 con cui è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo e fissata la camera di consiglio per la trattazione collegiale dell’istanza cautelare;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano e di Maria Piera Maccagni e del Condominio di Via Palmanova n. 131-133;
Vista l’ordinanza n. 703/2019 con cui è stata accolta in parte la domanda di sospensione cautelare formulata con il ricorso introduttivo e fissata l’udienza pubblica per la trattazione del merito della controversia;
Vista l’ordinanza n. 1528/2019 con cui è stata respinta la domanda di sospensione cautelare formulata con il ricorso per motivi aggiunti e confermata la fissazione dell’udienza pubblica per la trattazione del merito della controversia;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato relatore il consigliere Antonio De Vita;
Uditi, all’udienza pubblica del 21 gennaio 2020, i difensori delle parti, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso introduttivo, notificato in data 13 maggio 2019 e depositato il 17 maggio successivo, la ricorrente ha impugnato l’atto del Comune di Milano, P.G. 0116345/2019, del 13 marzo 2019, mediante il quale è stata ordinata la demolizione delle opere realizzate in forza di s.c.i.a. del 18 maggio 2018, P.G. 219691/2018, e successiva s.c.i.a. del 5 dicembre 2018, P.G. 518371/2018, nonché la rimessione in pristino della situazione preesistente.
La ricorrente è proprietaria di un’unità immobiliare – distinta al catasto al foglio 204, mappale 77, subalterno 701 – a destinazione commerciale in cui viene svolta l’attività di ristorante (denominato “Strippoli”), situata in Via Madre Anna Eugenia Picco nel Comune di Milano. Tale unità immobiliare, costituita da un corpo ad un piano fuori terra ed uno seminterrato, fa parte di un complesso condominiale composto anche da due fabbricati di sette piani fuori terra ed uno seminterrato, da altri due fabbricati retrostanti, rispettivamente di nove e di sette piani fuori terra, oltre ad un piano seminterrato per entrambi, e da due cortili. Con una c.i.l.a. datata 16 marzo 2018, la ricorrente ha comunicato agli Uffici comunali l’esecuzione di opere di manutenzione straordinaria, demolizione e costruzione per la creazione di un locale bar, ristorante e pizzeria al piano terreno e seminterrato delle predette unità di sua proprietà; tuttavia, in data 18 maggio 2018, la predetta c.i.l.a. è stata sostituita da una s.c.i.a., avente ad oggetto un intervento di manutenzione straordinaria (pesante), di cui all’art. 3, comma 1, lett. b, del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nella demolizione e costruzione di alcuni tavolati dell’unità immobiliare, nella formazione di una scala di collegamento con il lastrico solare e nell’installazione, su quest’ultimo, di una tettoia e due canne fumarie. Con nota del 6 luglio 2018, lo Sportello unico dell’edilizia del Comune ha formulato una richiesta istruttoria, che la ricorrente ha successivamente riscontrato; con nota del 20 settembre 2018, il Comune ha chiesto ulteriori integrazioni progettuali e, in data 15 ottobre 2018, ha effettuato, tramite i propri tecnici, un sopralluogo, da cui è emerso che gli interventi realizzati risultavano difformi rispetto alla s.c.i.a. del 18 maggio 2018. In conseguenza di ciò, essendo l’intervento ancora in corso, la società ricorrente ha presentato una seconda s.c.i.a., datata 22 novembre 2018, al fine di sanare le predette difformità e concludere i lavori iniziati. Tuttavia, il Comune, in data 23 novembre 2018, all’esito del sopralluogo, ha segnalato alla parte istante che l’intervento edilizio si sarebbe dovuto configurare, ai fini strutturali, come sopraelevazione, con la connessa necessità della certificazione relativa ai cementi armati ex art. 90 del D.P.R. n. 380 del 2001, e ha preannunciato l’avvio del procedimento volto all’annullamento del titolo edilizio, per la necessità di verificare i presupposti di cui al citato art. 90, trattandosi di materia strutturale interessante la pubblica incolumità, e quelli dell’art. 86.3 del Regolamento Edilizio (distanze tra costruzioni), trattandosi di norma di carattere igienico-sanitario.
Con nota del 14 dicembre 2018, la parte ricorrente ha replicato alle contestazioni dell’Ufficio ed ha ribadito la conformità dell’intervento effettuato sia alla normativa tecnica sulle costruzioni sia alle prescrizioni in materia di distanze inderogabili fra pareti finestrate; il 17 dicembre 2018 è stato accertato l’avvenuto completamento dell’intervento in seguito a sopralluogo della Polizia Locale. Dopo ulteriori interlocuzioni tra le parti, in data 13 marzo 2019 il Comune ha disposto la demolizione delle opere realizzate in forza della s.c.i.a. del 18 maggio 2018, unitamente al correlato obbligo di riportare l’immobile allo stato originario.
Assumendo l’illegittimità del predetto provvedimento sanzionatorio, la ricorrente ne ha chiesto l’annullamento, in primo luogo, per violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, per eccesso di potere per difetto di motivazione, indeterminatezza e perplessità e per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.
Ulteriormente sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell’art. 90 del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione e falsa applicazione del Capitolo 8.4.3 del Decreto 17 gennaio 2018 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, avente ad oggetto “Aggiornamento delle ‘norme tecniche per le costruzioni’” (anche “NTC 2018”) e l’eccesso di potere sotto il profilo della erroneità dei presupposti, del travisamento dei fatti e della contraddittorietà.
Inoltre, sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del Decreto del Ministero dei Lavori pubblici n. 1444 del 1968, la violazione e falsa applicazione dell’art. 86, comma 3, del Regolamento edilizio del Comune di Milano e l’eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità e perplessità della motivazione.
Sono stati altresì eccepiti la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 4, e dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 e l’eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione e della carenza dei presupposti.
Ancora sono stati eccepiti la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 e l’eccesso di potere per ingiustizia manifesta.
Infine, sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell’art. 22, dell’art. 31 e dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione del principio di proporzionalità e l’eccesso di potere per indeterminatezza della motivazione.
Con il decreto n. 598/2019 è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo ed è stata fissata la camera di consiglio per la trattazione collegiale dell’istanza cautelare.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Milano e Maria Piera Maccagni e il Condominio di Via Palmanova n. 131-133, che hanno chiesto il rigetto del ricorso.
Con l’ordinanza n. 703/2019 è stata accolta in parte la domanda di sospensione cautelare formulata con il ricorso introduttivo ed è stata fissata l’udienza pubblica per la trattazione del merito della controversia.
2. Con ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 11 ottobre 2019 e depositato il 29 ottobre successivo, la ricorrente ha altresì impugnato l’atto del Comune di Milano, P.G. 0310828/2019, del 12 luglio 2019, con cui sono stati annullati d’ufficio i titoli edilizi presentati dalla ricorrente (s.c.i.a. 2018 e seconda s.c.i.a.), “relativamente alle opere realizzate al piano copertura” ed è stato precisato il contenuto dell’ordinanza di demolizione emessa il 13 marzo 2019, specificando che le opere interessate risultavano esclusivamente quelle realizzate al piano copertura, come descritte nello stesso provvedimento.
A sostegno del ricorso per motivi aggiunti sono stati dedotti, in primo luogo, la violazione del giudicato cautelare formatosi sull’ordinanza del 12 giugno 2019, n. 703, ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 e la violazione dell’art. 55 cod. proc. amm.
Ulteriormente sono stati dedotti la violazione degli artt. 3 e 21-nonies della legge n. 241 del 1990 e l’eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza dei presupposti e contraddittorietà.
Ancora sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell’art. 90 del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione e falsa applicazione del Capitolo 8.4.3 del Decreto 17 gennaio 2018 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, avente ad oggetto “Aggiornamento delle ‘norme tecniche per le costruzioni’” (anche “NTC 2018”) e l’eccesso di potere sotto il profilo della erroneità dei presupposti, del travisamento dei fatti e della contraddittorietà.
Infine sono stati eccepiti la violazione del giudicato cautelare formatosi sull’ordinanza del 12 giugno 2019, n. 703, ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, l’eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria, della carenza dei presupposti, del difetto di motivazione e della contraddittorietà e la violazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990.
Con l’ordinanza n. 1528/2019 è stata respinta la domanda di sospensione cautelare formulata con il ricorso per motivi aggiunti ed è stata confermata la fissazione dell’udienza pubblica per la trattazione del merito della controversia.
In prossimità dell’udienza di merito, i difensori delle parti hanno depositato memorie e documentazione a sostegno delle rispettive posizioni; in particolare, la difesa del Comune di Milano ha ribadito la natura non autoritativa dell’atto impugnato con i motivi aggiunti.
Alla pubblica udienza del 21 gennaio 2020, su conforme richiesta dei difensori delle parti, la controversia è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, va chiarito che il provvedimento comunale del 12 luglio 2019, impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, oltre ad avere parzialmente annullato i titoli edilizi formatisi in seguito alle ss.cc.ii.aa. presentate dalla ricorrente, rappresenta anche una rettifica del precedente ordine di demolizione e rimessione in pristino, impugnato con il ricorso introduttivo e modificato in una parte del suo contenuto da tale ultimo provvedimento; da ciò discende la natura lesiva del suddetto atto e quindi la necessità di scrutinarlo unitamente all’atto originario ad esso presupposto, nella parte in cui quest’ultimo è ancora valido ed efficace.
2. Passando all’esame del merito dei ricorsi, gli stessi sono complessivamente infondati.
3. Appare opportuno iniziare lo scrutinio partendo dall’esame della prima e, parzialmente, anche della quarta doglianza del ricorso per motivi aggiunti (rubricate, rispettivamente, al n. 7 e al n. 10), attraverso le quali si deduce la nullità del provvedimento comunale del 12 luglio 2019 per violazione del decisum cautelare, poiché l’eventuale fondatezza delle stesse determinerebbe delle conseguenze anche sull’effettivo contenuto dell’atto impugnato con il ricorso introduttivo, che riacquisterebbe la sua connotazione originaria.
3.1. Le doglianze sono infondate.
In primo luogo, va evidenziato che l’eventuale provvedimento assunto in contrasto con il contenuto dell’ordinanza cautelare è affetto da inefficacia e non invece da nullità, avendo l’ordinanza cautelare effetti interinali e non definitivi, e quindi applicandosi a tale fattispecie il disposto di cui all’art. 114, comma 4, lett. c, del cod. proc. amm. a mente del quale, “nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, [il giudice] determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano” (cfr., in giurisprudenza, Consiglio di Stato, III, 28 giugno 2019, n. 4461).
Procedendo, poi, ad esaminare il contenuto dell’atto impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, va rilevata l’assenza di contrasto dello stesso con quanto stabilito nell’ordinanza cautelare n. 703/2019. Con l’ordinanza de qua sono stati sospesi in parte gli effetti dell’ordine di riduzione in pristino, ammettendosi la possibilità per la ricorrente di utilizzare il piano terreno dell’immobile per continuare l’esercizio dell’attività di ristorazione, mentre si è inibito l’utilizzo del terrazzo in ragione delle prevalenti esigenze di sicurezza e incolumità delle persone, pur conservando, nelle more della decisione del merito del giudizio, le strutture ivi realizzate; il provvedimento comunale del 12 luglio 2019 ha disposto, da una parte, il parziale annullamento in autotutela dei titoli formatisi a seguito delle ss.cc.ii.aa. presentate dalla ricorrente e per tale aspetto non vi è alcuna interferenza con l’ordinanza n. 703/2019, avente ad oggetto un ordine di demolizione, e dall’altra ha rettificato il contenuto del predetto ordine ripristinatorio, limitandone l’effetto ai manufatti realizzati al piano copertura e richiedendo la presentazione di una istanza di sanatoria per alcune difformità rilevate ai piani interrato e terreno; in questa parte il provvedimento comunale non rappresenta una violazione del disposto dell’ordinanza giudiziale n. 703/2019, poiché non ha imposto l’esecuzione del provvedimento sospeso dal Tribunale, ma si è limitato a modificarne il perimetro applicativo, peraltro riducendone la portata. Del resto, la pronuncia cautelare non ha preso posizione in ordine alla fondatezza della pretesa azionata, ma, come chiarito in precedenza, si è concentrata esclusivamente sulla sussistenza di un danno grave e irreparabile, sospendendo, con alcuni accorgimenti, gli effetti del provvedimento impugnato. Dunque, nessuna violazione del dictum cautelare risulta essere stata posta in essere con il provvedimento del 12 luglio 2019.
3.2. Ciò determina il rigetto delle sopraesposte doglianze, tutte contenute nel ricorso per motivi aggiunti.
4. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo, da trattare unitamente al terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti (rubricato al n. 9) di identico contenuto, si assume l’illegittimità dei provvedimenti comunali nella parte in cui, sull’erroneo presupposto dell’avvenuta realizzazione di una sopraelevazione, hanno ritenuto applicabile all’intervento edilizio effettuato dalla ricorrente l’art. 90 del D.P.R. n. 380 del 2001, che impone il previo rilascio della certificazione di idoneità statica da parte del competente Ufficio tecnico.
4.1. Le doglianze sono infondate.
Il tecnico della parte ricorrente, nella relazione descrittiva di accompagnamento alla s.c.i.a. del 18 maggio 2018, ha evidenziato che l’intervento edilizio avviato risultava finalizzato, tra l’altro, alla realizzazione di una nuova scala per l’accesso alla copertura ad uso terrazzo, sulla quale si sarebbe costruita una tettoia in struttura metallica con una copertura in lamiera grecata da utilizzare per ricevimenti e dessert nella stagione primavera/estate (all. 2 del Comune).
A giudizio della ricorrente la realizzazione di una tettoia aperta su tre/quattro lati non darebbe luogo alla creazione di una superficie abitabile e quindi escluderebbe la presenza di una sopraelevazione, che sarebbe l’unico intervento per il quale andrebbe richiesto il preventivo rilascio della certificazione di idoneità statica da parte del competente ufficio tecnico, ai sensi dell’art. 90 del D.P.R. n. 380 del 2001. Difatti il Capitolo 8.4.3 delle N.T.C. (Norme tecniche per le costruzioni) 2018, tra le opere strutturali da assoggettare obbligatoriamente agli “interventi di adeguamento”, esclude le variazioni dell’altezza dell’edificio dovute alla realizzazione di cordoli sommitali o a modifiche della copertura, che non comportino incrementi di superficie abitabile, non ritenendole delle sopraelevazioni in senso proprio [lett. a) del Capitolo 8.4.3: all. 17 al ricorso].
Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto nei ricorsi, la richiamata disposizione specifica che l’adeguamento è comunque richiesto se ricorrono una o più delle condizioni di cui agli altri precedenti punti b), c), d) ed e), compresa quella che riguarda “le variazioni di destinazione d’uso che comportino incrementi dei carichi globali verticali in fondazione superiori al 10%” (di cui alla lettera c). Nella fattispecie oggetto di scrutinio, l’Ufficio Cementi Armati ha, in più occasioni, evidenziato che la nuova destinazione impressa alla copertura trasformata in terrazza determina un aumento dei carichi in grado di produrre un impatto diretto sulla struttura da un punto di vista della sicurezza sismica (cfr. all. 11 bis, 16 e 21 del Comune). In aggiunta, il Capitolo 8.3 delle N.T.C. impone una verifica di sicurezza quando ricorre “il cambio di destinazione d’uso della costruzione o di parti di essa, con variazione significativa dei carichi variabili e/o passaggio ad una classe d’uso superiore”: il tecnico di parte ha dichiarato il passaggio dalla classe d’uso II alla classe III, ma non ha prodotto alcuna relazione sul punto (cfr. all. 14 del Comune).
Quanto all’asserita mancata creazione di superficie abitabile, che secondo la ricorrente sarebbe presupposto necessario per configurare una sopraelevazione, deve chiarirsi che la disciplina in materia di sicurezza delle costruzioni non è perfettamente sovrapponibile alla regolamentazione afferente all’ambito urbanistico ed edilizio, perseguendo le richiamate discipline obiettivi differenti: la prima è finalizzata a garantire la corretta e regolare costruzione dei manufatti, in modo da garantire l’incolumità delle persone che li utilizzano o vengono in rapporto con gli stessi (si pensi agli abitanti di un immobile, a coloro che lo frequentano o a chi viene a trovarsi, anche casualmente, nei pressi dello stesso); la normativa urbanistica ed edilizia, pur non disinteressandosi del tutto anche della sicurezza delle costruzioni, ha quale principale obiettivo quello di garantire un ordinato assetto del territorio e la realizzazione di manufatti edilizi in grado di garantirne la massima usufruibilità e confortevolezza (ad esempio, stabilendo uno spazio minimo per l’abitabilità di un immobile o per la diversa funzione cui è destinato). Ciò è dimostrato dalla non necessaria corrispondenza della regolarità urbanistica ed edilizia di un immobile rispetto alla idoneità costruttiva dello stesso; peraltro può accadere che un immobile, pur essendo da un punto di vista edilizio perfettamente conforme sia alla pregressa che alla nuova destinazione impressa allo stesso, non risulti idoneo con riferimento all’uso cui è successivamente destinato (si pensi ad uno spazio commerciale espositivo che viene poi destinato a superficie di vendita). Anche la giurisprudenza ha messo in rilievo che la “disciplina nazionale in materia urbanistica non può essere estesa alla diversa disciplina edilizia antisismica e delle costruzioni in conglomerato cementizio armato, attenendo tali materie alla sicurezza statica degli edifici, come tale rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, comma secondo, Cost.” (Cass. pen., III, 27 dicembre 2018, n. 58316).
Da quanto evidenziato in precedenza emerge quindi che la trasformazione di una copertura di un immobile da spazio non accessibile, se non per attività di manutenzione, a terrazza destinata ad ospitare, seppure in via non continuativa, delle persone rappresenta una variazione rilevante che necessariamente richiede un intervento di adeguamento, previo rilascio della certificazione di idoneità statica da parte del competente ufficio tecnico.
4.2. Ciò determina il rigetto delle scrutinate doglianze.
5. Con il terzo motivo del ricorso introduttivo si assume l’illegittimità del provvedimento di demolizione, nella parte in cui assume, in ragione della realizzazione del vano scale, il mancato rispetto delle distanze dal fabbricato contiguo, come stabilito dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, cui fa rinvio l’art. 86.3 del Regolamento edilizio.
5.1. La doglianza è infondata.
Non è contestato dalle parti che la violazione delle distanze si riferisce alla realizzazione di un vano scala e che lo stesso è stato posizionato a circa sei metri dal fabbricato principale del Condominio di Via Palmanova n. 131.
A giudizio della ricorrente, il vano scala non costituirebbe un “nuovo edificio”, essendo semplicemente un vano tecnico avente lo scopo di coprire le scale di collegamento e non essendo dotato di finestre.
La prospettazione attorea non può essere condivisa, in primo luogo, perché l’art. 86.3 del Regolamento Edilizio del Comune di Milano dispone che la distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti deve essere rispettata in caso di “interventi di nuova costruzione e in tutti i casi in cui si modifichi l’ingombro fisico dei fabbricati” (all. 20 del Comune).
Inoltre, la giurisprudenza è concorde nel sostenere che, pur avendo il vano scala natura di volume tecnico, lo stesso non possa essere ritenuto irrilevante ai fini dell’applicazione della normativa dettata per le distanze dai confini: “rientrano nel concetto civilistico di costruzioni, le parti dell’edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. aggettanti) che, se pur non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato” (Consiglio di Stato, IV, 17 maggio 2012, n. 2847). Difatti, se lo stesso ha natura permanente ed è connotato da stabilità, come nel caso oggetto della presente controversia, si pone in contrasto con le finalità perseguite dalla normativa contenuta nel D.M. n. 1444 del 1968, aventi lo scopo di assicurare le necessarie condizioni di salubrità dei fabbricati sotto il profilo igienico-sanitario, mediante l’eliminazione di intercapedini nocive tra gli stessi. Pertanto, in ragione del contenuto pubblicistico della richiamata disciplina e “del carattere inderogabile della stessa, deve ritenersi non tollerabile la presenza di una parte sia pure di modesta entità di un opus edilizio che va ad insistere in maniera permanente su uno spazio territoriale che deve essere libero da qualsiasi ingombro” (Consiglio di Stato, IV, 4 marzo 2014, n. 1000).
Di conseguenza, il vano scala posto a distanza inferiore ai dieci metri dall’edificio antistante non è legittimo, non assumendo alcun rilievo la circostanza che uno dei due manufatti sia privo di finestre (cfr. Cass. civ., II, ord. 4 giugno 2019, n. 15178).
5.2. Ciò determina il rigetto della suesposta censura.
6. Con la prima, la quarta e la quinta doglianza del ricorso introduttivo, da trattare congiuntamente alla seconda e, parzialmente, alla quarta censura (rubricate al n. 8 e n. 10) del ricorso per motivi aggiunti, poiché strettamente connesse, si assume il difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati e la violazione dei principi che presiedono all’esercizio del potere di autotutela del Comune, che avrebbe leso anche l’affidamento della ricorrente.
6.1. Le doglianze sono infondate.
Sebbene l’ordinanza comunale del 13 marzo 2019, impugnata con il ricorso introduttivo, non abbia puntualmente perimetrato il proprio spettro di efficacia, con l’atto del 12 luglio 2019, impugnato con i motivi aggiunti, è stato adeguatamente chiarito l’ambito di applicazione del provvedimento ripristinatorio ed è stato specificato l’effetto dell’attività sanzionatoria posta in essere dagli Uffici comunali.
Quanto all’ambito di operatività dell’intervento sanzionatorio comunale si è specificato che le opere assoggettate a demolizione sono esclusivamente quelle realizzate al piano copertura; mentre l’annullamento (in autotutela) dei titoli edilizi si riferisce agli interventi – avviati attraverso le varie ss.cc.ii.aa. presentate dalla ricorrente – realizzati al piano copertura (manufatto a copertura della scala e tettoia).
Pertanto, risultano pienamente legittime e certamente comprensibili le imposizioni impartite alla ricorrente dal Comune.
Sul rispetto dei presupposti per dar luogo ad un intervento di (parziale) autotutela – rectius, di un intervento in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, come stabilito dal precedente art. 19, comma 4 – va premessa la riscontrata violazione della normativa in tema di sicurezza dei fabbricati e delle distanze tra costruzioni, come emerso nello scrutinio dei precedenti motivi di ricorso (punti 4.1 e 5.1 del diritto).
Il Comune, infatti, ha adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza delle ragioni di interesse pubblico all’annullamento dei titoli edilizi, non fondato sul mero rispristino della legalità violata, proprio con la necessità di tutelare la pubblica incolumità (art. 90 del D.P.R. n. 380 del 2001) e in ragione del rispetto di norme di carattere igienico-sanitario (art. 86.3 del Regolamento edilizio).
Infine, anche la tempistica dell’intervento comunale appare rispettosa dei dettami normativi, considerato che già a partire dal 6 luglio 2018 (all. 5 del Comune) erano state segnalate delle incongruenze nei titoli presentati (si veda altresì la segnalazione del Condominio controinteressato del 7 settembre 2018: all. 6 dei controinteressati), cui la stessa ricorrente ha cercato di porre rimedio, almeno per alcune parti, presentando dei titoli in sanatoria (s.c.i.a. datata 22 novembre 2018: all. 12 del Comune). Ne deriva che la motivazione posta a supporto degli atti impugnati – e in particolare dell’atto di autotutela – appare satisfattiva dell’obbligo imposto all’Amministrazione, vista la sussistenza di un interesse pubblico legato sia al rispetto delle distanze tra le costruzioni, sia alla tutela della pubblica incolumità; a ciò vanno aggiunte, in contrapposizione all’interesse della ricorrente, la necessità di tutelare la posizione dei controinteressati che subiscono la violazione del limite delle distanze e la non eccessività del lasso temporale trascorso tra la presentazione della s.c.i.a. originaria e l’intervento sanzionatorio comunale (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8).
6.2. Sulla base di tali elementi fattuali è stata adottata anche l’ordinanza di (parziale) ripristino; quest’ultima in quanto atto di carattere del tutto vincolato, ponendosi quale conseguenza immediata e diretta discendente dalla verifica dell’abusività degli interventi, non richiede una particolare motivazione né con riguardo all’interesse pubblico alla stessa sotteso e all’ipotetico interesse del privato alla permanenza in loco dell’opera edilizia, né con riguardo alla puntuale indicazione delle norme violate, allorquando dalla descrizione delle stesse emerga la natura e la consistenza dell’abuso (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 21 gennaio 2019, n. 112; 6 agosto 2018, n. 1946; 2 maggio 2018, n. 1190).
Difatti, nelle ipotesi di interventi edilizi abusivi, il carattere sanzionatorio e doveroso del provvedimento esclude la pertinenza del richiamo alla motivazione dell’interesse pubblico e «la selezione e ponderazione dei sottesi interessi risulta compiuta – per così dire – ‘a monte’ dallo stesso legislatore (il quale ha sancito in via indefettibile l’onere di demolizione al comma 2 dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001), in tal modo esentando l’amministrazione dall’onere di svolgere – in modo esplicito o implicito – una siffatta ponderazione di interessi in sede di adozione dei propri provvedimenti» (Consiglio di Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9).
Con riguardo invece al legittimo affidamento della ricorrente in ordine alla conformità del proprio comportamento, legato anche al trascorrere del tempo (non eccessivo, per quanto si è evidenziato in precedenza), va evidenziato che «l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato alla constatata abusività, il quale non richiede né alcuna specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico; né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati; e né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto» (Consiglio di Stato, IV, 16 aprile 2012, n. 2185; altresì, Consiglio di Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18 settembre 2018, n. 2098; 3 maggio 2018, n. 1198).
6.3. Anche le predette doglianze vanno perciò respinte.
7. Con il sesto motivo del ricorso introduttivo e la restante parte del quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti (rubricato al n. 10), da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, si assume l’illegittimità dell’ordine di demolizione, in quanto rivolto a sanzionare un intervento di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. n. 380 del 2001, che potrebbe essere assoggettato soltanto ad una sanzione pecuniaria e giammai ad una di natura ripristinatoria; inoltre, l’ordine di presentare un idoneo titolo per sanare le opere poste al piano terra e interrato del manufatto non sarebbe affatto chiaro e comprensibile.
7.1. Le doglianze sono infondate.
Premesso che l’ordinanza di demolizione è stata, oltre che rettificata nella sua portata, anche “legittimata” con l’annullamento (parziale) dei titoli edilizi attraverso l’atto comunale del 12 luglio 2019, l’intervento posto in essere sul piano di copertura non può essere qualificato alla stregua di un’attività di manutenzione straordinaria, ma lo stesso rientra nell’ambito della ristrutturazione edilizia, trattandosi della modifica della destinazione d’uso del predetto piano e del mancato rispetto delle norme poste a presidio della sicurezza della struttura, con tutte le conseguenze di carattere sanzionatorio che ne discendono.
Difatti, secondo una consolidata giurisprudenza, la trasformazione di un tetto di copertura in terrazzo calpestabile modifica gli elementi tipologici dell’organismo preesistente, non rientrando nella categoria della manutenzione straordinaria o del restauro e risanamento conservativo, bensì in quella della ristrutturazione edilizia, subordinata al rilascio del permesso di costruire, tenuto conto che in tal modo si realizza un aumento del carico urbanistico nonché, almeno in parte, una modifica del prospetto dell’edificio (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, II, 19 febbraio 2019, n. 298; 3 gennaio 2018, n. 24).
Quanto alla parte del provvedimento del 12 luglio 2019 che ingiunge alla ricorrente di presentare idonea documentazione a sanatoria, va chiarito che in presenza di un annullamento parziale di un titolo edilizio è certamente possibile, anzi appare opportuno, che si inviti il privato a regolarizzare quella parte di interventi funzionalmente autonomi che, pur essendo non conformi, si prestano ad essere ricondotti a legittimità, nel rispetto del principio di proporzionalità dell’attività amministrativa.
Sulla asserita non perspicuità della richiesta comunale, si deve ritenere sufficiente l’indicazione delle parti da adeguare (servizio igienico al piano interrato e quote esterne ed interne), tenuto conto che oltre ai rilievi già contenuti negli atti istruttori, i tecnici di parte potranno interloquire con gli Uffici comunali al fine di comprendere esattamente i dettagli delle integrazioni richieste.
7.2. Ne discende il rigetto anche delle suesposte doglianze.
8. In conclusione, all’infondatezza delle censure proposte sia attraverso il ricorso introduttivo che per mezzo del ricorso per motivi aggiunti, segue il rigetto dei predetti gravami.
9. Le spese di giudizio, avuto riguardo alle peculiarità della controversia e al complessivo andamento della stessa, possono essere compensate tra tutte le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti, indicati in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del 21 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Italo Caso, Presidente
Alberto Di Mario, Consigliere
Antonio De Vita, Consigliere, Estensore