Causa Giacomelli contro Italia (ricorso n. 59909/00)
Fattispecie riguardante rumore persistente ed emissioni nocive generati da impianto di stoccaggio e trattamento di “rifiuti speciali” classificati come pericolosi e non pericolosi, situato a trenta metri da privata abitazione (riferimento: articolo 8 della Convenzione).
Traduzione dalla versione francese della sentenza a cura di Antonella Mascia, giurista presso la Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo
Versione originale (in lingua francese) qui
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
TERZA SEZIONE
(ricorso n.
59909/00)
Nella causa Giacomelli contro Italia
La
Corte europea dei Diritti dell’Uomo (terza sezione), riunita
in camera composta
dai signori:
B.M.Zupančič,
presidente,
C.Bîrsan,
V.
Zagrebelsky,
E.
Myjer,
David
Thór Björgvinsson,
signore
I.
Ziemele,
I.
Berro-Lefevre, giudici,
e dal signor V. Berger,
cancelliere di sezione,
Dopo
avere deliberato in camera di consiglio il 12 ottobre 2006, rende la
sentenza
di cui sotto, adottata in pari data
PROCEDURA
1.
All’origine della causa si trova il ricorso (n. 59909/00)
promosso nei
confronti della Repubblica italiana e presentato alla Commissione
europea dei
Diritti dell’Uomo (“la Commissione”) il
22 luglio 1998 ai sensi dell’articolo
25 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e
delle Libertà
fondamentali (“la Convenzione”) da una cittadina di
questo Stato, la signora
Piera Giacomelli.
2.
La ricorrente è rappresentata dal signor M. Toma, avvocato a
Brescia. Il
governo italiano (“il Governo”) è
rappresentato dal suo agente, signor I.M.
Braguglia e dal suo vice co-agente, signor F. Crisafulli.
3.
La ricorrente si lamentava in particolare della violazione del suo
diritto al
rispetto del suo domicilio e della sua vita privata garantiti
dall’articolo 8
della Convenzione.
4.
Il ricorso è stato trasmesso alla Corte il 1°
novembre 1998, data d’entrata in
vigore del Protocollo n. 11 alla Convenzione (articolo 5 § 2
del Protocollo n.
11).
5.
Il ricorso è stato attribuito alla prima sezione della Corte
(articolo 52 § 2
del Regolamento). In seno a questa, la camera incaricata di esaminare
il
ricorso (articolo 27 § 1 del regolamento) è stata
costituita conformemente
all’articolo 26 § 1 del regolamento.
6.
Il 1° novembre 2004, la Corte ha modificato la composizione
delle sue sezioni
(articolo 25 § 1 del regolamento). Il presente ricorso
è stato attribuito alla
quarta sezione diversamente costituita (articolo 52 § 1).
7.
Con decisione del 15 marzo 2005, la Corte (quarta sezione) ha
dichiarato il
ricorso ricevibile e ha deciso di unire al merito l’eccezione
preliminare del
Governo riguardante il carattere prematuro del ricorso.
8.
Sia la ricorrente che il Governo hanno depositato osservazioni scritte
sul
merito della causa (articolo 59 § 1 del regolamento).
9.
In seguito, la causa è stata assegnata alla terza sezione
della Corte.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO
10.
La ricorrente è nata nel 1935 e risiede a Brescia.
11.
La ricorrente abita dal 1950 in una casa situata nei dintorni di
Brescia, a 30 metri
da un impianto di stoccaggio e trattamento di “rifiuti
speciali” classificati
come pericolosi e non pericolosi. La società per azioni
Ecoservizi cominciò lo
sfruttamento dell’impianto nel 1982.
A.
L’attività di Ecoservizi e il
successivo contenzioso.
1.
L’autorizzazione alla
“inertizzazione” dei rifiuti industriali
12.
Con delibera del 4 aprile 1989, la regione Lombardia
autorizzò la Ecoservizi a
sfruttare l’impianto per un periodo di cinque anni. Tra le
diverse forme di
trattamento dei rifiuti, Ecoservizi ottenne per la prima volta
l’autorizzazione
di effettuare l’inertizzazione di rifiuti pericolosi, un
procedimento
consistente nel trattamento dei rifiuti industriali speciali attraverso
l’utilizzo di prodotti chimici.
13.
Il 30 ottobre 1991, la regione autorizzò Ecoservizi ad
aumentare la quantità
annuale dei rifiuti da trattare fino ad un volume totale di 192.000
metri cubi.
In particolare, la quantità autorizzata per i rifiuti
tossici destinati alla
inertizzazione passò da 30.000 a 75.000 metri cubi.
14. Il 5 agosto 1993, la
Regione accettò delle
modifiche riguardanti migliorie tecnologiche dell’impianto,
senza peraltro
aumentare la quantità dei rifiuti da trattare.
15.
Con delibera della regione Lombardia del 11 aprile 1994,
l’autorizzazione allo
sfruttamento fu rinnovata per un periodo di cinque anni, a patto che
Ecoservizi
firmasse un protocollo d’intesa con le circoscrizioni locali
al fine di
limitare l’impatto ambientale dell’impianto; questa
condizione fu assolta il 18
novembre 1994.
16.
Il 13 dicembre 1994, la regione prese atto della sottoscrizione del
protocollo
d’intesa e fissò definitivamente il termine per
l’autorizzazione allo
sfruttamento al 30 aprile 1999.
2. La prima procedura
giudiziaria
17.
Con tre ricorsi introdotti nel 1994 e nel 1995, la ricorrente
impugnò davanti
al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia le delibere
adottate il
5 agosto 1993, 11 aprile 1994 e il 13 dicembre 1994 dalla Regione.
La
stessa contestava il rinnovo dell’autorizzazione di
sfruttamento accordata a
Ecoservizi e, lamentando la violazione della legge n. 441 del 1987,
sosteneva
che le modifiche autorizzate dalla Regione implicavano un aumento
dell’attività
per la quale sarebbe stata necessaria una nuova procedura di
autorizzazione,
che avrebbe avuto ad oggetto, tra l’altro, una valutazione di
impatto
ambientale dell’impianto.
Ecoservizi
si costituì nella procedura come parte intervenente.
18.
Con ordinanza del 18 novembre 1994, il Tribunale accolse
l’istanza di
sospensiva presentata dalla ricorrente avverso la delibera di rinnovo -
principalmente perché il protocollo d’intesa non
era ancora stato firmato –
sospendendo l’efficacia della delibera impugnata. Ecoservizi
propose appello.
19.
il 7 aprile 1995, il Consiglio di Stato annullò
l’ordinanza di sospensiva del
tribunale amministrativo; constatò che la definizione del
protocollo d’intesa
(paragrafo 15 qui sopra) aveva evitato il rischio di pregiudizio
irreparabile
su cui si basava l’ordinanza di sospensiva.
20. Con sentenza del 13 aprile
1996, il Tribunale
amministrativo della Lombardia respinse, dopo averli riuniti, i due
ricorsi
della ricorrente. Il Tribunale prese in considerazione che tutte le
doglianze
dell’interessata si fondavano sulla pretesa
necessità di una nuova procedura
d’autorizzazione per lo sfruttamento da parte della Regione.
Dunque, il Tribunale
affermò che le dimensioni dell’impianto oltre che
la capacità della sua
attività erano state fissate dalle delibere del 1989 e 1991
della Regione, mai
impugnate dalla ricorrente. Per contro, le modifiche autorizzate dalle
delibere
contestate, ossia quelle del 5 agosto 1993, 11 aprile 1994 e 13
dicembre 1994
non prevedevano un aumento della capacità
dell’attività dell’impianto
né un
cambiamento della qualità dei rifiuti trattati.
Conseguentemente, non era
necessaria una nuova procedura di autorizzazione da parte della Regione.
21.
La ricorrente propose appello. Con sentenza del 6 novembre 1998, il
Consiglio
di Stato confermò le conclusioni del Tribunale respingendo
l’appello. In tale
occasione precisò peraltro che un impianto doveva
considerarsi come “nuovo” e
dunque con necessità di autorizzazione per lo sfruttamento
quando una delle
diverse fasi di trattamento o la tipologia dei rifiuti da trattare
fossero
stati modificati.
3. la seconda procedura
giudiziaria
22.
Con delibera del 29 aprile 1999, la Regione Lombardia,
rinnovò per cinque anni
l’autorizzazione allo sfruttamento concessa a Ecoservizi. La
delibera avrebbe
potuto essere annullata alla luce dei risultati della procedura di
valutazione
di impatto ambientale (procedura “V.I.A.”) che
Ecoservizi aveva nel frattempo
iniziato (paragrafi 37-52 qui sotto).
23.
Il 12 luglio 1999, la ricorrente fece ricorso al Tribunale
amministrativo
regionale della Lombardia al fine di ottenere l’annullamento
della delibera
regionale del 29 aprile 1999. L’impresa e la Regione
Lombardia si costituirono
nella procedura.
24.
Il 20 settembre 1999, la ricorrente impugnò davanti al
Tribunale amministrativo
una delibera del 12 aprile 1999, con la quale la Regione aveva
autorizzato
Ecoservizi a realizzare una modifica dell’impianto di
trattamento degli olii
usati.
25.
Inoltre, con delibera del 15 ottobre 1999, la Regione prese atto che
Ecoservzi
rinunciava all’autorizzazione ottenuta il 12 aprile 1999
confermando il rinnovo
dell’autorizzazione di sfruttamento. La ricorrente propose
ricorso contro
quest’ultima delibera.
26.
Con ordinanza del 18 febbraio 2000, il Tribunale amministrativo accolse
l’istanza di sospensiva proposta dalla ricorrente. Tale
decisione venne
adottata in quanto la procedura di V.I.A. era ancora pendente. In
seguito, l’11
aprile 2000, il Consiglio di Stato accolse l’appello di
Ecoservizi, con cui si
affermava che gli ultimi controlli effettuati sull’impianto
provavano il
“rispetto dei limiti fissati dalle norme in vigore”
e annullò l’ordinanza di
sospensiva emessa dal tribunale amministrativo.
27.
Con sentenza del 29 aprile 2003, depositata in cancelleria il 9 giugno
2003, il
Tribunale amministrativo della Lombardia accolse il ricorso della
ricorrente
nel merito e annullò le tre delibere impugnate (paragrafi
23, 24 e 25).
Il
Tribunale affermò innanzitutto che le modifiche
dell’impianto autorizzate dalla
Regione il 12 aprile 1999, al fine di permettere il trattamento degli
olii
usati, dovevano essere motivate. Conseguentemente, conformemente agli
articoli
27 e 28 del decreto n° 22 del 1997 (paragrafo 62 e 63 qui
sotto), la Regione
avrebbe dovuto sospendere l’attività di Ecoservizi
e ordinare gli accertamenti
necessari prima di concedere all’impresa un rinnovo
dell’autorizzazione ad
esercitare la sua attività. Pertanto, il Tribunale
dichiarò illegittima la
delibera del 29 aprile 1999 dalla Regione Lombardia.
Riguardo
al fatto che l’impresa avesse rinunciato in seguito a tali
modifiche, il Tribunale
dichiarò che era necessario in ogni caso un esame
approfondito da parte della
Regione sull’attività e sullo stato
dell’impianto, in ragione delle diverse
denunce riguardanti l’attività di Ecoservizi,
provenienti sia da privati che da
autorità pubbliche, che ponevano seri dubbi quanto alla
compatibilità
ambientale di quest’ultima.
Il
Tribunale fece riferimento a due decreti di valutazione
d’impatto ambientale
emessi dal Ministero dell’Ambiente e, affermando che la
Regione aveva omesso di
indagare, ordinò che l’attività di
Ecoservizi venisse sospesa in attesa della
definizione della procedura di V.I.A.
28.
Ecoservizi propose appello avanti il Consiglio di Stato. Il 1°
luglio 2003,
quest’ultimo accolse l’istanza di sospensiva
dell’esecuzione della sentenza del
29 aprile 2003 presentata dall’impresa e ne sospese
gli effetti.
29.
Con sentenza del 25 maggio 2004, depositata in cancelleria in data 31
agosto
2004, il Consiglio di Stato respinse l’appello di Ecoservizi.
Confermando la
sentenza del tribunale amministrativo, concluse che il rinnovo
dell’autorizzazione dell’attività del 29
aprile 1999, accordato dalla Regione
senza alcuna verifica di impatto ambientale, era irregolare e doveva
essere
annullata.
4. La terza procedura
giudiziaria
30.
Nel frattempo, con delibera del 23 aprile 2004, la Regione Lombardia
rinnovava
l’autorizzazione di sfruttamento dell’impianto per
un periodo di cinque anni.
Il rinnovo riguardava il trattamento dei rifiuti speciali, pericolosi e
non pericolosi.
I rifiuti industriali destinati all’inertizzazione rimanevano
esclusi
dall’autorizzazione in attesa della definizione della
procedura di V.I.A.
pendente davanti al ministro dell’Ambiente.
31.
La riunione di concertazione tra le autorità locali
(conferenza di servizi),
preliminare all’autorizzazione, si tenne il 31 marzo 2004. In
tale occasione la
Regione, la Provincia e il Comune interessati
espressero avviso favorevole al rinnovo
dell’autorizzazione, facendo
riferimento al rapporto dell’Agenzia regionale per la
protezione ambientale
(l’ARPA), emesso il 28 febbraio 2004.
In
tale rapporto, gli esperti dell’ARPA indicarono le misure da
prendere per
evitare ogni rischio di incidente e di disfunzione
dell’impianto; vi si
dovevano aggiungere tutte le prescrizioni fissate dalla Regione nella
delibera
del 7 novembre 2003 (paragrafo 49 qui sotto).
32.
La ricorrente impugnò tale delibera avanti il Tribunale
amministrativo della
Lombardia chiedendone la sospensiva.
33.
Il 30 aprile 2004, la Regione, dopo aver avuto conoscenza del decreto
di V.I.A.
del 28 aprile 2004 favorevole al trattamento da parte di Ecoservizi di
ogni
tipo di rifiuto, integrò la sua ultima delibera di rinnovo
con una
autorizzazione provvisoria di inertizzazione dei rifiuti industriali
valevole
sino al 22 giugno 2004, in attesa che terminasse la procedura di
autorizzazione
definitiva.
34.
Con delibera del 28 giugno 2004, la Regione prorogò
l’autorizzazione sino al 31
dicembre 2004 per permettere a Ecoservizi la presentazione del progetto
di
modifica dell’impianto per l’adeguamento alle
prescrizioni del decreto di
V.I.A.
35.
Con ordinanza del 23 luglio 2004, il Tribunale amministrativo della
Lombardia
respingeva l’istanza di sospensiva della ricorrente,
affermando che la delibera
del 23 aprile 2004 era stata adottata in conformità
all’avviso favorevole delle
autorità locali, tenendo conto di tutte le circostanze che
potevano mettere in
pericolo le proprietà poste in prossimità
dell’impianto. Il Tribunale rilevò
inoltre che la delibera impugnata
prevedeva diverse prescrizioni volte
all’eliminazione delle immissioni
subite dalla ricorrente.
36.
La procedura di merito è ancora pendente davanti al
Tribunale amministrativo
regionale della Lombardia.
B. Le procedure di
valutazione d’impatto
ambientale condotte dal Ministero dell’Ambiente
37. Con delibera del 13
dicembre 1996, la
Regione Lombardia intimò a Ecoservizi di iniziare una
procedura di V.I.A.
riguardante l’attività di inertizzazione
dell’impianto.
L’11
maggio 1998, l’impresa presentò istanza al
Ministero dell’Ambiente ai sensi
dell’articolo 6 della legge n° 349 del 1986.
Parteciparono
alla procedura il Comune di Brescia e la ricorrente, nonché
i Comuni di
Borgosatollo e Castenedolo, due paesi situati a qualche centinaia di
metri
dall’impianto.
38.
Il 24 maggio 2000, il Ministero dell’Ambiente
adottò il decreto di V.I.A.
Il
Ministero costatò che l’impianto era stato
costruito su un terreno destinato ad
uso agricolo, in prossimità di un torrente, il Garza, e di
una cava di sabbia
la cui attività aveva progressivamente deteriorato il suolo.
In particolare, in
ragione del grado di permeabilità del terreno, vi era grave
rischio che i
residui chimici tossici derivanti dall’attività di
inertizzazione dell’impianto
contaminassero la falda freatica, sorgente di acqua potabile destinata
al
consumo domestico per gli abitanti dei paesi limitrofi.
Il
Ministero considerò che l’attività
dell’impianto era incompatibile con le norme
ambientali. Tuttavia, sarebbe stata possibile la continuazione
dell’attività di
Ecoservizi sino all’espirazione dell’ultimo termine
concesso dalla Regione,
ossia il 29 aprile 2004, a condizione che l’impresa
rispettasse alcune
prescrizioni.
39.
Ecoservizi impugnò tale decreto davanti al tribunale
amministrativo del Lazio
richiedendone la sospensiva.
40.
Con ordinanza del 31 agosto 2000, il Tribunale amministrativo sospese
gli
effetti del decreto e ordinò al Ministero di procedere ad un
nuovo studio di
impatto ambientale. Il Ministero dell’Ambiente propose
appello. L’8 maggio
2001, il Consiglio di Stato dichiarò l’appello
inammissibile.
41.
Nel frattempo, il 30 aprile 2001, il Ministero adottò un
nuovo decreto di
V.I.A. che confermava che l’attività
dell’impianto era incompatibile con le
norme ambientali.
41.
Ecoservizi propose ricorso avanti il Tribunale amministrativo del Lazio
avverso
l’ultimo decreto del Ministero dell’Ambiente.
43.
L’11 luglio 2001, il Tribunale amministrativo accolse il
ricorso di Ecoservizi
e ordinò al Ministero di procedere ad un nuovo studio di
impatto ambientale.
44.
Con ordinanza dell’11 dicembre 2001, il Consiglio di Stato
rigettò l’appello proposto
dal Ministero dell’ambiente contro l’ultima
ordinanza del Tribunale
amministrativo del Lazio.
45.
Con delibera del 4 novembre 2002, la Regione Lombardia
indicò a Ecoservizi le
modalità di sfruttamento dell’impianto fissate dai
decreti del Ministero
dell’Ambiente.
46.
Nel frattempo, il 4 ottobre 2002, nel quadro della nuova procedura di
V.I.A.
ordinata dal Tribunale amministrativo, Ecoservizi presentò
un progetto di
modifiche all’impianto.
Tale
progetto prevedeva in particolare l’impermeabilizzazione del
suolo, la
costruzione di dispositivi volti all’insonorizzazione
dell’impianto,
l’elevazione della recinzione dell’impianto per
evitare qualsiasi rischio di
inondazione e il perfezionamento del sistema di controllo delle
emissioni
pericolose.
47.
Il 17 ottobre 2003, l’ Azienda Sanitaria Locale (ASL)
presentò alla Regione
Lombardia parere riguardante la compatibilità ambientale
dell’attività di
Ecoservizi. Affermò che, secondo i risultati delle analisi
tecniche condotte
tra il 2002 e 2003 attestanti in particolare la presenza di
concentrazioni
anormale di carbone e di altre sostanze organiche
nell’atmosfera, la
continuazione dell’attività
dell’impianto poteva comportare dei problemi di
igiene per le persone che abitavano in prossimità.
L’ASL aggiunse che non era
stato dimostrato che le precauzioni previste da Ecoservizi erano
sufficienti
per la salvaguardia della salute pubblica.
48.
Il 7 novembre 2003, la Regione Lombardia espresse parere favorevole
alla continuazione
dell’attività dell’impianto, a
condizione che l’impresa adottasse un certo
numero di prescrizioni.
49.
In particolare, l’impresa doveva:
“ definire un Protocollo
d’intesa
con le autorità locali per la sorveglianza dei rifiuti da
trattare, con lo
scopo di ridurre le probabilità di disfunzioni
dell’impianto (…),
assicurare il tamponamento degli
impianti destinati alla inertizzazione (…),
procedere alla chiusura dei
cassoni a cielo aperto presenti nel processo chimico e biologico e alla
costruzione di un dispositivo di aspirazione delle emissioni e di
depurazione
(…),
costruire una struttura mobile e
insonorizzata per coprire il trituratore (…),
modificare il sistema di scolo
interno al fine di separare le acque meteoriche da quelle prodotte
dall’installazione,
porre in essere un sistema di
controllo di qualità e di quantità
dell’acqua prodotta dall’impianto immessa
nel Garza (…) olre che nello scarico pubblico,
concepire e porre in essere un
piano di impermeabilizzazione del pavimento dell’impianto
(…),
assicurare una sorveglianza del
sito al fine di valutare con precisione l’eventuale presenza
di sostanze
inquinanti nel sottosuolo, la struttura idrogeologica del territorio
oltre che
al livello di periocolo per la falda freatica situata in
prossimità e destinata
al consumo (…),
(…) portare il perimetro
dell’impianto ad un’altezza minima di centoventitre
metri sopra il livello del
mare (…)”
La
Regione decise inoltre quanto segue:
“ (…) la
vicinanza delle abitazioni
esige che l’attività dell’impianto sia
controllata in permanenza per quanto
riguarda le polveri liberate nell’atmosfera, le COV (composti
organici
volatili) e le immissioni sonore. Pertanto, si deve porre tra
l’impianto e le
abitazioni una centralina che permetta di misurare le emissioni di
polveri e il
rumore generati dall’impianto. Quanto alla
quantità di COV, il dispositivo di
sorveglianza dovrà essere posizionato in
prossimità dell’impianto in accordo
con le autorità competenti;
l’impresa
dovrà inoltre
effettuare dei controlli periodici per le emissioni dei
rumori.”
La
Regione decise che l’esecuzione di tali misure dovevano
essere verificate al
momento del rinnovo dell’autorizzazione dello sfruttamento
dell’impianto, in
scadenza per il 30 aprile 2004.
50.
Il 28 aprile 2004, la procedura di valutazione ordinata dal Tribunale
amministrativo venne completata e il Ministero dell’Ambiente
adottò un nuovo
decreto di V.I.A.
Il
Ministero osservò innanzitutto che Ecoservizi assicurava il
trattamento del 27%
dei rifiuti del nord Italia e del 23% dei rifiuti a livello nazionale.
Considerò inoltre che le prescrizioni fissate dalla Regione
dovevano permettere
un miglioramento considerevole delle condizioni di funzionamento e
controllo
dell’impianto ed espresse un parere positivo quanto alla
continuazione
dell’attività di Ecoservizi, a condizione che la
stessa rispettasse tali
prescrizioni.
51.
La ricorrente impugnò il decreto di V.I.A. avanti il
Tribunale amministrativo
del Lazio con contestuale richiesta di sospensiva.
52.
Con ordinanza del 24 luglio 2004, il Tribunale amministrativo respinse
la
domanda, per il fatto che la ricorrente non aveva sottoscritto il
ricorso al
Ministero dell’Ambiente.
C. Le denunce
riguardanti l’attività
di Ecoservizi e i controlli effettuai dalle autorità
competenti
53.
In seguito a numerose denunce presentate dalla ricorrente e da altre
persone
residenti nei pressi dell’impianto, l’ufficio di
igiene pubblica e ambientale
della ASL di Brescia, oltre che l’ARPA, predisposero diverse
relazioni
riguardanti l’attività di Ecoservizi.
54.
In particolare, il 21 settembre 1993, gli esperti della ASL
effettuarono un
controllo sulle emissioni dell’impianto e poterono constatare
un superamento
dei limiti previsti dalla legge per certi elementi, come nickel,
piombo, azoto
e solfati. La relazione redatta dalla ASL indica che le
autorità giudiziarie
furono informate dei risultati delle analisi.
55.
L’8 marzo 1995, gli esperti della ASL effettuarono una visita
presso
l’impianto. Costatarono la presenza di polvere bianca che si
era depositata
all’interno e all’esterno
dell’installazione dopo un incidente avvenuto durante
le operazioni di riempimento di un silos di calce idratata.
Nella
stessa occasione, gli esperti notarono che diversi contenitori
destinati ai
rifiuti tossici presenti all’interno della recinzione
dell’impianto non erano
stati neutralizzati dopo l’uso. Con una nota del 27 aprile
2005, l’ASL ingiunse
all’impresa di spostare i contenitori al fine di evitare ogni
rischio di
contaminazione del terreno, dovuto in particolare all’assenza
di
impermeabilizzazione del suolo. Risulta dalla relazione che
l’ASL presentò una
denuncia presso le autorità giudiziarie
competenti.
56.
Con relazione del 31 luglio 1997, la sezione dei carabinieri
specializzata in
questioni di salute (NAS), informò la Provincia di Brescia
che era stata
depositata una denuncia contro il rappresentante legale di Ecoservizi
per
l’inesecuzione degli obblighi fissati nelle autorizzazioni di
sfruttamento
dell’impianto.
57.
Tra il 1999 e il 2003, il Comune di Brescia sollecitò
diverse volte
l’intervento della Regione Lombardia al fine di ottenere la
delocalizzazione
dell’impianto in un luogo più sicuro e adatto ai
crescenti bisogni produttivi
dell’impianto.
58.
Il 28 dicembre 2002, il Comune di Brescia, al fine di allontanare la
ricorrente
dalle emissioni sonore prodotte dall’impianto,
trasferì provvisoriamente e
gratuitamente la famiglia Giacomelli in attesa della definizione del
contenzioso giudiziario con Ecoservizi.
59.
Il 15 maggio 2002, l’ARPA redigeva una relazione tecnica
riguardante Ecoservizi
in occasione di un intervento d’urgenza sollecitato dalla
ricorrente e i suoi
vicini. Gli esperti rilevarono la presenza nell’atmosfera di
un tasso elevato
di ammoniaca, rilevatore di una disfunzione nel processo di
inertizzazione.
Conclusero che l’impresa aveva omesso di attivare i
dispositivi necessari al
fine di verificare la compatibilità dei rifiuti da
inertizzare con le caratteristiche
dell’impianto. Quest’ultimo presentava peraltro
delle deficienze strutturali
che potevano dar luogo a eventuali disfunzioni generatrici di emissioni
di
vapori e di gas.
II IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
60.
L’articolo 6 della legge n° 349 del 1986
sull’ambiente, adottato conformemente
alla direttiva europea 85/337/CEE, dispone che i progetti suscettibili
di
produrre importanti modificazioni ambientali
“sono comunicati, prima
della
loro approvazione, al Ministro dell'ambiente, al Ministro per i beni
culturali
e ambientali e alla regione territorialmente interessata, ai fini della
valutazione dell'impatto sull'ambiente. La comunicazione contiene
l'indicazione
della localizzazione dell'intervento, la specificazione dei rifiuti
liquidi e
solidi, delle emissioni ed immissioni inquinanti nell'atmosfera e delle
emissioni sonore prodotte dall'opera, la descrizione dei dispositivi di
eliminazione o recupero dei danni all'ambiente ed i piani di
prevenzione dei
danni all'ambiente e di monitoraggio ambientale. L'annuncio
dell'avvenuta
comunicazione deve essere pubblicato, a cura del committente, sul
quotidiano
più diffuso nella regione territorialmente interessata,
nonché su un quotidiano
a diffusione nazionale.
Il Ministro dell'ambiente,
sentita la regione interessata, di concerto con il Ministro per i beni
culturali
e ambientali, si pronuncia sulla compatibilità ambientale
nei successivi
novanta giorni.
Qualora il Ministro dell'ambiente
ravvisi comportamenti contrastanti con il parere sulla
compatibilità
ambientale, o comunque tali da compromettere fondamentali esigenze di
equilibrio ecologico e ambientale, ordina la sospensione dei lavori e
rimette
la questione al Consiglio dei ministri.”
61.
L’articolo 1 del decreto del presidente del consiglio dei
ministri n° 377 del
1988 indica i tipi di progetti che devono
essere sottomessi alla procedura di valutazione prevista
dalla legge n°
349 del 1986. La lettera f) di tale articolo fa riferimento ad
“installazioni
comportanti il trattamento di rifiuti tossici e nocivi con
(…) processo
chimico”.
62.
La legge n° 441 del 1987, modificata dal decreto legislativo
n° 22 del 1997,
contiene delle disposizioni in materia di trattamento di rifiuti e di
protezione ambientale.
L’articolo
27 di tale decreto regolamenta il sistema di autorizzazioni di
sfruttamento
degli impianti di trattamento dei rifiuti. La Regione procede
all’esame
preliminare dei progetti di nuove installazioni di trattamento e
stoccaggio di
rifiuti urbani, speciali, tossici e nocivi attraverso le conferenze di
servizi.
Se
il progetto di installazione esaminato dalla Regione deve essere
oggetto di uno
studio preliminare di valutazione di impatto ambientale ai sensi della
legge n°
349 del 1986, la procedura di autorizzazione è sospesa in
attesa della
decisione del Ministero dell’Ambiente.
63.
Al termine dell’esame del progetto, la Regione autorizza
l’attività
dell’impianto con delibera amministrativa che impone al
soggetto fruitore le
condizioni e le prescrizioni necessarie alla salvaguardia
dell’ambiente.
L’autorizzazione ha validità di cinque anni ed
è rinnovabile.
Quando
risulta dai controlli sull’attività
dell’impianto che le condizioni fissate
dall’amministrazione non sono rispettate,
l’attività dell’installazione
è
sospesa per un periodo di dodici mesi al massimo. In seguito, se
l’attività
dell’impianto non è stata messa in
conformità con le prescrizioni
dell’autorizzazione, quest’ultima viene revocata
(articolo 28 del decreto n° 22
del 1997).
64.
L’articolo 21 della legge n° 1034 del 1971 prevede
che chiunque ha fondato
motivo di credere che il suo diritto rischi di subire un pericolo
imminente ed
irreparabile derivante dall’esecuzione di un atto
amministrativo impugnato o da
un comportamento inerte dell’amministrazione può
chiedere al Tribunale
amministrativo l’emanazione di misure cautelari volte ad
assicurare, secondo le
circostanze, gli effetti della decisione sul ricorso.
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO
65.
Il Governo sostiene che il ricorso è prematuro, dato che
l’ultima procedura
promossa dalla ricorrente è ad oggi ancora pendente davanti
al Tribunale
amministrativo. Affermando che il ricorso davanti alle giurisdizioni
amministrative è efficace e accessibile, il Governo ritiene
che la ricorrente
debba attendere l’esito di tale procedura.
66.
La ricorrente contesta il ragionamento del Governo. Sostiene che a
partire dal
1994, ha chiesto diverse volte al giudice amministrativo di far cessare
l’attività dell’impresa. Peraltro,
nonostante l’accoglimento delle sue
richieste cautelari e la valutazione negativa riguardante
l’impatto ambientale
dell’impresa, non è stato mai posto termine alla
sua attività.
67.
La Corte ricorda che nella decisione di ricevibilità della
presente causa, resa
il 15 marzo 2005, ha giudicato che l’eccezione sollevata dal
Governo relativa
alla carattere prematuro del ricorso doveva essere riunito
all’esame nel merito
della causa. Avuto riguardo all’assenza di obiezioni
sollevate dalla ricorrente
in proposito, non si può che confermare tale conclusione.
II. SULLA VIOLAZIONE DI CUI ALL’ARTICOLO
8 DELLA CONVENZIONE
68.
La ricorrente si lamenta che il rumore persistente e le emissioni
nocive
generati dall’impianto, situato solamente a trenta metri
dalla sua abitazione,
costituiscono un grave danno per il territorio oltre che un rischio
permanente
per la sua salute e il suo domicilio, contrariamente a quanto disposto
dall’articolo 8 della Convenzione, che dispone:
« 1
Ogni persona ha
diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio
domicilio e della propria corrispondenza.
2 Non
può esservi ingerenza di
una autorità pubblica nell’esercizio di tale
diritto a meno che tale ingerenza
sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una
società
democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla
pubblica sicurezza, al
benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla
prevenzione dei
reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione
dei
diritti e delle libertà altrui. »
A. Tesi delle parti
1. La ricorrente
69. La
ricorrente
afferma che l’impianto di Ecoservizi si è molto
ingrandito dalla sua creazione avvenuta
nel 1982, sino ad arrivare ad una distanza di 30 metri appena dalla
casa ove
abitava diversi anni prima dell’inizio
dell’attività dell’impianto fino a
raggiungere una capacità produttiva annuale di circa 200.000
metri cubi di
rifiuti nocivi.
70. In
particolare dal 1991,
l’attività dell’impianto è
caratterizzata sempre più da un’emissione continua
di rumori ed odori, che impediscono alla ricorrente di riposarsi e di
vivere in
modo dignitoso, e rappresenta un pericolo costante per la salute e il
benessere
di tutte le persone residenti in prossimità. La ricorrente
sostiene che una
tale situazione è assolutamente incompatibile con il
rispetto del suo diritto
alla vita privata, al domicilio e alla salute e afferma che le misure
prese
dall’impresa non sono sufficienti per eliminare i disturbi
prodotti
dall’impianto e il rischio che la sua attività
rappresenta.
71. La
ricorrente sostiene
inoltre che la procedura di valutazione dell’impatto
ambientale, che avrebbe dovuto
secondo la legge costituire un requisito indispensabile allo
sfruttamento
dell’impianto, è stata intrapresa dopo diversi
anni di attività di Ecoservizi.
In più, l’impresa e l’amministrazione
non hanno mai rispettato le delibere
secondo cui l’attività dell’impianto era
incompatibile con le norme ambientali
e non hanno preso in considerazione le prescrizioni del ministero
dell’Ambiente. Non si può concludere che in queste
condizioni il trattamento
dei rifiuti tossici e nocivi possa avere
un’utilità pubblica.
2. Il Governo
1. Il Governo non contesta che ci sia stata
un’ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto del suo
domicilio e della
sua vita privata. Afferma tuttavia che tale ingerenza era giustificata
ai sensi
del secondo paragrafo dell’articolo 8 della Convenzione.
Il Governo
afferma che le
decisioni amministrative che hanno autorizzato
l’attività di Ecoservizi sono
state prese conformemente alla legge e allo scopo di salvaguardare la
salute
pubblica e il benessere economico della regione. In effetti,
l’impresa assicura
il trattamento della quasi totalità dei rifiuti industriali
della regione,
permettendo anche lo sviluppo dell’attività
industriale regionale e la
protezione della salute pubblica della comunità.
73. Secondo
il Governo, il
presente caso si distingue dalla causa Guerra
et autres c. Italie (sentenza del 19 febbraio 1998, Recueil
des arrêts
et décisions 1998-I, p. 227, § 57) per
due ragioni. In primo luogo,
l’attività di Ecoservizi rispetta il diritto
fondamentale alla salute pubblica
e, in secondo luogo, la pericolosità
dell’installazione non è provata nel caso
di specie, mentre nella causa Guerra et
autres, non era contestato che le emissioni
dell’impianto chimico comportassero
dei rischi per gli abitanti della città di Manfredonia. Il
Governo sottolinea
inoltre la differenza tra il presente caso e la causa López
Ostra c. Espagne (sentenza del 9 dicembre 1994,
série A no
303‑C), nella quale l’attività della stazione di
depurazione non era
indispensabile alla comunità locale. Insistendo
sull’utilità pubblica
dell’attività di Ecoservizi, ricorda che si deve
tenere in considerazione il
giusto equilibrio ad aver cura degli interessi concorrenti
dell’individuo e
quelli della società nel suo insieme, e che esiste una
giurisprudenza chiara
della Corte in favore di un ampio margine di apprezzamento degli Stati
in
materia ambientale.
74. Il
Governo attira
inoltre l’attenzione della Corte sulle ultime decisioni delle
autorità interne.
Bisogna
tener presente in
primo luogo che il 23 luglio 2004 il Tribunale amministrativo della
Lombardia,
dopo aver preso in considerazione tutti gli elementi pertinenti della
causa, ha
respinto la domanda presentata dalla ricorrente tendente ad ottenere la
sospensiva dell’esecuzione dell’ultima
autorizzazione dell’attività di
Ecoservizi. Ricorda poi che l’ultima procedura di V.I.A.
è terminata, il 28
aprile 2004, con parere favorevole del ministero
dell’Ambiente.
Questo prova
che le autorità
competenti hanno valutato l’attività
dell’impianto nel suo complesso e,
imponendo all’impresa tutta una serie di prescrizioni,
l’hanno giudicata
compatibile con le norme in materia ambientale e non pericolosa per la
salute
umana.
75. Il
Governo sostiene
inoltre che Ecoservizi, molto conosciuta dal pubblico a causa, tra
l’altro,
delle procedure giudiziarie e delle denunce della signora Giacomelli,
è stata
oggetto di frequenti controlli da parte delle autorità
competenti, e ciò
esclude ogni pericolo per la salute della ricorrente.
Quest’ultima, al solo scopo
di far cessare l’attività dell’impianto
o per ottenerne un suo trasferimento,
si limita ad addurre la violazione del suo diritto alla salute, senza
tuttavia
prendere in considerazione gli sforzi compiuti dalle
autorità competenti per
migliorare la situazione e senza spiegare né provare gli
effetti nocivi sulla
sua salute.
B. Valutazione della Corte
76.
L’articolo 8 della
Convenzione protegge il diritto dell’individuo al rispetto
della sua vita
privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. Il
domicilio
è normalmente il luogo, lo spazio fisicamente determinato
ove si sviluppa la
vita privata e familiare. L’individuo ha diritto al rispetto
del suo domicilio,
concepito non solamente come il diritto al semplice spazio fisico ma
anche come
quello al godimento, in tutta tranquillità, di tale spazio.
Le minacce al
diritto al rispetto del domicilio non riguardano solamente i
pregiudizi
materiali o corporali, quali l’intromissione nel domicilio di
una persona non
autorizzata, ma anche i pregiudizi immateriali e incorporei, come i
rumori, le
emissioni, gli odori e altre ingerenze. Se i la minaccia è
grave, questa può
privare una persona del suo diritto perché le impediscono di
godere del suo
domicilio (Hatton et autres c.
Royaume-Uni, [GC], no 36022/97,
§ 96, CEDH 2003-VIII).
77. Cosi la
Corte ha
dichiarato applicabile l’articolo 8 nella causa Powell
et Rayner c.
Royaume-Uni (sentenza del 21 febbraio 1990, série
A no 172, p.
18, § 40), poiché “il rumore
degli aerei dell’aeroporto di Hathrow aveva
diminuito la qualità della vita privata e i piaceri della
casa di ciascun
ricorrente”. Nella causa López Ostra c.
Espagne (precitata,
pp. 54-55, § 51) riguardante
l’inquinamento da rumori e odori di un
impianto di depurazione, la Corte ha stimato che “i
pregiudizi gravi all’ambiente
possono ledere il benessere di una persona e privarla del godimento del
suo
domicilio in maniera da nuocere alla sua vita privata e familiare,
senza
peraltro mettere in grave pericolo la salute
dell’interessato”. Nella causa Guerra
et autres c. Italie (precitata,
p.
227, § 57), la Corte ha osservato che
“l’incidenza diretta delle emissioni [di
sostanze] nocive sul diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita
privata
e familiare permetteva di concludere per
l’applicabilità dell’articolo
8”.
Infine, nella causa Surugiu
c. Roumanie (no 48995/99, 20
aprile 2004) relativa a
diversi impedimenti, tra cui l’ingresso di terze persone
nella corte della casa
del ricorrente e lo scarico da parte di queste di diverse carrette di
letame
davanti alla porta e sotto la finestra della casa, la Corte ha stimato
che
questi pregiudizi costituivano un’ingerenza ripetuta
nell’esercizio da parte
del ricorrente del suo diritto al rispetto del suo domicilio e ha
concluso per
l’applicabilità dell’articolo 8 della
Convenzione.
78.
L’articolo 8 può
applicarsi nelle cause ambientali, sia che l’inquinamento sia
direttamente
provocato dallo Stato o che la responsabilità di
quest’ultimo derivi
dall’assenza di una regolamentazione adeguata
dell’attività del settore
privato. Che si affronti la causa sotto l’aspetto di
un’obbligazione positiva a
carico dello Stato consistente nell’adottare delle misure
ragionevoli e
adeguate per proteggere i diritti che i ricorrenti attingono dal
paragrafo 1
dell’articolo 8, o sotto quello di un’ingerenza di
un’autorità pubblica giustificata
ai sensi del paragrafo 2, i principi applicabili sono assai vicini. In
entrambi
i casi, bisogna prendere in considerazione il giusto equilibrio del
bilanciamento tra gli interessi concorrenti dell’individuo e
della società nel
suo complesso; ugualmente nelle due ipotesi lo Stato gode di un certo
margine
di apprezzamento per determinare le disposizioni da prendere alfine di
assicurare il rispetto della Convenzione. Inoltre, anche per le
obbligazioni
positive risultanti dal paragrafo 1, gli obiettivi enumerati al
paragrafo 2
possono giocare un certo ruolo nella ricerca dell’equilibrio
voluto (Powell et Rayner e López Ostra, precitate, p. 18,
§ 41, e pp. 54-55, § 51, rispettivamente).
79. La Corte
stima che, in
una causa come questa, dove si prendono in considerazione le decisioni
dello
Stato che hanno un’incidenza su questioni ambientali,
l’esame a cui ci si può
affidare presenta due aspetti. In primo luogo, si deve valutare il
contenuto
materiale della decisione del governo al fine di assicurare che questa
sia
compatibile con l’articolo 8. In secondo luogo, si deve
rivolgere la propria
attenzione sul processo decisionale, al fine di verificare se gli
interessi
dell’individuo siano stati debitamente presi in
considerazione (Taşkın
et autres c. Turquie,
no
46117/99, § 115, CEDH 2004-X).
Quanto
all’aspetto
materiale, la Corte ha dichiarato diverse volte che nelle cause legate
all’ambiente lo Stato doveva godere di un margine
d’apprezzamento esteso (Hatton
et autres, precitato, § 100, Buckley
c. Royaume-Uni, sentenza del
25 settembre 1996, Recueil 1996-IV,
pp. 1291-1293,
§§ 74-77, e Taşkın et autres, précité, § 116).
Spetta
alle autorità nazionali di valutare in primo luogo la
“necessità” di
un’ingerenza. In effetti, esse sono in principio meglio
collocate rispetto ad
una giurisdizione internazionale per valutare le esigenze legate al
trattamento
dei rifiuti industriali in un contesto locale specifico e per decidere
delle
politiche ambientali e delle misure individuali più adeguate
nel rispetto dei
bisogni della collettività locale.
81.
Per giustificare il rilascio dell’autorizzazione a Ecoservizi
allo sfruttamento
dell’impianto e successivamente il rinnovo delle delibere di
autorizzazione, il
Governo invoca gli interessi economici della Regione e del Paese nel
suo
insieme e la necessità di salvaguardare la salute pubblica
dei cittadini.
82.
Tuttavia, la Corte deve vegliare a che gli interessi della
comunità siano
bilanciati con il diritto dell’individuo al rispetto del suo
domicilio e della
sua vita privata. Secondo la sua giurisprudenza costante, la Corte
ricorda che,
anche se l’articolo 8 non contiene alcuna condizione
procedurale esplicita,
bisogna che il processo decisionale sfociante su delle misure di
ingerenza sia
equo e rispetti doverosamente gli interessi dell’individuo
protetti
dall’articolo 8 ( vedasi, mutatis
mutandis,
McMichael c.
Royaume-Uni, sentenza del 24 febbraio
1995, série A no
307-B, p. 55, § 87).
Si deve
quindi esaminare
l’insieme degli elementi procedurali, in particolare il tipo
di politica o di decisioni
in gioco, la misura secondo cui i punti di vista degli individui sono
stati
presi in considerazione in tutto il processo decisionale, e le garanzie
procedurali disponibili (Hatton
et autres, precitata,
§ 104). Risulta
peraltro che le decisioni possono essere prese dalle
autorità solamente alla
presenza di dati esaustivi e verificabili relativamente a tutti gli
aspetti
della questione da esaminare.
83. Quando
uno Stato si
occupa di questioni complesse di politica ambientale ed economica, il
processo
decisionale deve innanzitutto comportare la realizzazione di indagini e
studi
appropriati, in maniera da prevenire e valutare anticipatamente gli
effetti
delle attività che possano portare pregiudizio
all’ambiente e ai diritti degli
individui e permettere anche l’instaurazione di un giusto
equilibrio tra i
diversi interessi concorrenti in gioco (Hatton
et autres, precitata, § 128).
L’importanza
dell’accesso al
pubblico a questi studi oltre che alle informazioni che permettano di
valutare
il pericolo cui esso è esposto non è posto in
dubbio (vedasi, mutatis mutandis, Guerra et autres precitata, p. 223, § 60, e McGinley et Egan c. Royaume-Uni,
sentenza
del 9 giugno1998, Recueil 1998-III,
p. 1362, § 97). Infine, gli individui coinvolti devono poter
anche presentare
un ricorso contro ogni decisione, atto od omissione davanti ai
tribunali, se ritengono
che i loro interessi o le loro osservazioni non siano state prese
sufficientemente in considerazione nel processo decisionale (vedasi, mutatis mutandis, Hatton
et autres, precitata, § 128, e Taşkın et autres,
precitata, §§ 118-119).
84.
Per determinare l’ampiezza del margine
d’apprezzamento lasciato allo Stato
convenuto, la Corte deve dunque esaminare se gli interessi della
ricorrente
sono stati presi debitamente in considerazione e se
l’interessata ha potuto
contare su garanzie processuali sufficienti.
85.
La Regione Lombardia autorizzò Ecoservizi a sfruttare
l’impianto in questione
per la prima volta nel 1982. L’installazione era inizialmente
votata allo
stoccaggio e al trattamento dei rifiuti pericolosi e non pericolosi.
Nel 1989,
l’impresa fu autorizzata a procedere al trattamento dei
rifiuti nocivi e
tossici per “inertizzazione”, un processo
implicante l’impiego di sostanze
chimiche comportanti dei rischi importanti per l’ambiente e
la salute umana. In
seguito, nel 1991, l’impianto fu autorizzato ad aumentare la
quantità di
rifiuti da trattare e, conseguentemente, l’installazione fu
adattata alle nuove
esigenze di produzione, fino a raggiungere le dimensioni attuali.
86.
La Corte constata di primo acchito che né la delibera di
autorizzare Ecoservizi
a sfruttare l’impianto né quella di accordare
all’impresa il diritto di
trattare dei rifiuti industriali per inertizzazione non sono state
precedute da
uno studio o da un’indagine appropriate, condotte
conformemente alle
disposizioni di legge applicabili alla materia.
87.
La Corte osserva che l’articolo 6 della legge n° 349
del 1986 dispone che il
ministero dell’Ambiente debba procedere ad uno studio
preliminare d’impatto
ambientale (V.I.A.) per ogni impianto in cui
l’attività sia suscettibile di
causare una degradazione dell’ambiente, tra le quali si
annoverano quelle che
riguardano il trattamento dei rifiuti nocivi e tossici implicanti
l’impiego di
prodotti chimici (paragrafi 60 e 61 qui sopra).
88.
E’ or dunque giocoforza rilevare che Ecoservizi fu invitata a
procedere a un
tale studio solamente nel 1996, ossia sette anni dopo
l’inizio dell’attività di
inertizzazione dei rifiuti industriali.
89.
La Corte rileva per di più che durante la procedura di
V.I.A., che si è
conclusa con parere definitivo solamente il 28 aprile 2004 (paragrafo
50 qui
sopra), il Ministero dell’Ambiente ha affermato per due
volte, con decreti del
24 maggio 2000 e 30 aprile 2001 (paragrafi 38 e 41 qui sopra), che
l’attività dell’impianto
era incompatibile con le norme ambientali in ragione della posizione
geografica
inadatta, e che esisteva il pericolo concreto per la salute delle
persone
residenti in prossimità.
90.
Quanto alla possibilità per l’interessata di avere
accesso alle autorità
giudiziarie e di esporre le proprie considerazioni, la Corte osserva
che tra il
1994 e il 2004 la ricorrente presentò al Tribunale
Amministrativo Regionale
cinque ricorsi volti ad ottenere l’annullamento delle
delibere della Regione di
autorizzazione dell’attività
dell’impresa, che hanno dato luogo a tre procedure
giudiziarie di cui ultima è ancora pendente. Conformemente
alla legge interna,
ebbe ugualmente la possibilità di domandare
l’interruzione dell’attività
dell’impianto chiedendo la sospensiva
dell’esecuzione delle delibere impugnate.
91.
La prima delle procedure promosse dalla ricorrente si concluse nel 1998
con un
rigetto da parte della giurisdizione amministrativa, in particolare per
il
motivo che l’interessata aveva omesso di impugnare le
delibere con cui la
Regione aveva autorizzato un aumento del volume
dell’attività di Ecoservizi
(paragrafo 20 qui sopra).
92.
In compenso, nella seconda procedura giudiziaria, il Tribunale
amministrativo
regionale della Lombardia e il Consiglio di Stato, rispettivamente con
le
sentenze del 29 aprile 2003 e 25 maggio 2004, concluse che
l’attività
dell’impianto non aveva fondamento legale e che bisognava
conseguentemente
sospenderla con effetto immediato (paragrafi 27 e 29 qui sopra).
Secondo
la legislazione in vigore, l’attività
dell’impianto doveva essere sospesa per
permettere all’impresa di conformarsi alle norme di
protezione ambientale e
ottenere anche un parere favorevole da parte del ministero
dell’Ambiente.
Tuttavia,
l’amministrazione non ordinò in nessun momento la
chiusura dell’installazione.
93.
La Corte considera che l’amministrazione ha omesso di
conformarsi alla
legislazione interna in materia ambientale e ha rifiutato in seguito,
nella
seconda procedura giudiziaria, di eseguire le sentenze che
riconoscevano
l’irregolarità dell’attività
oggetto del giudizio, cosi annientando le garanzie
procedurali di cui la ricorrente aveva potuto beneficiare
precedentemente,
disconoscendo così il principio della preminenza del diritto
( vedasi, mutatis
mutandis, Immobiliare Saffi c.
Italie [GC], no
22774/93, § 63, CEDH 1999‑V).
94.
Stima che il meccanismo processuale previsto dal diritto interno per
garantire
la protezione dei diritti individuali, in particolare
l’obbligazione di
effettuare uno studio di impatto ambientale in via preliminare per
tutti i
progetti potenzialmente nocivi per l’ambiente e la
possibilità per ogni
cittadino coinvolto di partecipare alla procedura di autorizzazione e
di adire
le autorità giudiziarie per far valere le proprie
osservazioni e ottenere, se
del caso, la sospensione dell’attività pericolosa,
si è rivelata nel caso di
specie privo di effetto utile per un periodo molto lungo.
95.
D’altra parte, la Corte non può aderire alla tesi
del Governo secondo cui il
decreto del ministero dell’Ambiente del 28 aprile 2004, di
autorizzazione alla
continuazione dell’attività
dell’impianto, e la sentenza del Tribunale
amministrativo della Lombardia del 23 luglio 2004 di rigetto
dell’ultima
richiesta di sospensiva della ricorrente dimostrerebbero la mancanza di
pericolosità dell’attività
dell’installazione oggetto del giudizio e
proverebbero gli sforzi compiuti dalle autorità interne per
cercare il giusto
equilibrio tra gli interessi della collettività e quelli
della ricorrente.
96.
Per la Corte, anche a supporre che dopo il decreto di V.I.A del 28
aprile 2004 siano
state adottate le misure e le prescrizioni ivi indicate e che siano
state prese
le misure necessarie per proteggere i diritti della ricorrente, questo
non
cancella il fatto che per diversi anni la ricorrente abbia subito un
pregiudizio grave al suo diritto al rispetto del suo domicilio in
ragione
dell’attività pericolosa dell’impianto,
edificata a trenta metri dalla sua
abitazione.
97.
Per quanto sopra esposto, la Corte ritiene che, nonostante il margine
di
apprezzamento riconosciuto allo Stato convenuto, questi non ha saputo
ricercare
un giusto equilibrio tra gli interessi della collettività di
disporre di un
impianto di trattamento dei rifiuti industriali tossici e il godimento
effettivo
per la ricorrente del diritto al rispetto del suo domicilio e della sua
vita
privata e familiare.
98.
Conseguentemente, la Corte rigetta l’eccezione preliminare
del Governo e
conclude per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE
DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
2. Ai termini
dell’articolo 41 della
Convenzione,
« Se
la Corte dichiara che vi è stata
violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto
interno dell’Alta
Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le
conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso,
un’equa
soddisfazione alla parte lesa ».
A. Danni
100. La ricorrente chiede la somma di 1.500.000 (EUR)
per danni materiali e
sollecita un importo equivalente per danni morali.
Afferma
ugualmente di essere
pronta a rinunciare ad una parte delle somme richieste se
sarà immediatamente
messo termine all’attività di Ecoservizi o se
l’impianto sarà delocalizzato in
un altro sito.
101. Il
Governo considera
questi importi esorbitanti e ritiene che la constatazione di violazione
rappresenti un’equa riparazione sufficiente.
102. Per
quanto riguarda le
misure specifiche richieste dalla ricorrente, la Corte ricorda che le
sue
sentenze hanno un carattere essenzialmente declaratorio e che in
generale
appartiene in primo luogo allo Stato in causa, sotto il controllo del
Comitato
dei Ministri, di scegliere i mezzi da mettere in opera nel suo
ordinamento
giuridico interno per adempiere alla sua obbligazione secondo
l’articolo 46
della Convenzione (vedasi, tra le altre, Öcalan
c. Turquie [GC], no
46221/99, § 210, CEDH 2005-IV).
103. Per
quanto riguarda il
pregiudizio materiale, la Corte osserva che la ricorrente ha omesso di
provare
la propria richiesta e non ha indicato il nesso di causalità
tra la violazione
constatata e il danno materiale che avrebbe subito.
104. La
Corte giudica
tuttavia che la violazione della Convenzione ha causato alla ricorrente
un
certo e considerevole danno morale. L’interessata ha
risentito dell’angoscia e
dell’ansietà vedendo la situazione perdurare per
anni. Inoltre, ha dovuto
promuovere diverse procedure giudiziarie contro le delibere illegittime
di
autorizzazione dell’attività
dell’impianto. Un tale pregiudizio non si presta
ad un calcolo esatto. Statuendo in equità, la Corte
riconosce alla ricorrente
la somma di 12.000 EUR.
B. Competenze
e
spese
105. La
ricorrente chiede il
rimborso delle competenze e spese sostenute davanti alle
autorità nazionali e
davanti alla Corte. Nelle sue note spese, quantifica le prime in 19.365
EUR e
le seconde in 3.598 EUR.
106. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
107. Secondo
la giurisprudenza costante della Corte, il riconoscimento delle
competenze e
spese richieste dal ricorrente non possono avvenire che nella misura in
cui venga
accertata la loro natura reale, la loro necessità e il
carattere ragionevole dei
loro tassi (vedasi, tra molte altre Belziuk
c. Pologne, sentenza del
25 marzo 1998, Recueil
1998-II, p. 573, § 49,
e Sardinas Albo
c. Italie, no 56271/00,
§ 110, 17 febbraio 2005).
108. La
Corte ritiene che le
competenze sostenute davanti alle giurisdizioni interne sono state in
parte
sostenute dalla parte ricorrente per rimediare alla violazione
constatata e
debbano essere rimborsate (vedasi, a contrario, la sentenza Serre c. France,
no
29718/96, § 29, 29 settembre 1999). Si conviene di
riconoscere, decidendo in
equità, 5.000 EUR a tale titolo. Peraltro, la Corte ritiene
ragionevole di
accordare la somma richiesta per la procedura davanti ad essa.
Conseguentemente, la Corte decide di accordare alla ricorrente la somma
di
8.597 EUR.
C. Interessi
di
mora
1093. La Corte giudica appropriato
basare i
tassi di interesse moratori sui tassi di interesse delle agevolazioni
sul
prestito marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti
percentuali.
PER QUESTI
MOTIVI LA CORTE,
ALL’UNANIMITA’
1. unisce
al merito
l’eccezione preliminare del Governo e la rigetta
dopo l’esame nel merito ;
2. Dichiara che c’è stata violazione
dell’articolo 8 della
Convenzione ;
3. Dichiara
a) che
lo Stato convenuto deve corrispondere alla ricorrente, entro tre mesi
dal
giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva
conformemente all’articolo
44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme :
i. 12.000 EUR (dodicimila euro) per danni
morali ;
ii. 8.598 EUR (ottomilacinquecentonovantotto euro) per
competenze e spese ;
iii. oltre ogni importo che può essere
richiesto a titolo di imposto su tali
somme ;
b) che
a partire
da detto termine sino al versamento, tali importi saranno maggiorati di
un
interesse semplice pari ad un tasso uguale a quello delle agevolazioni
sul
prestito marginale della Banca centrale europea applicabile in questo
periodo,
aumentato di tre punti percentuali;
4.
Rigetta la richiesta di equa riparazione per il
sovrappiù.
Redatto
in francese, poi
comunicato per iscritto il 2 novembre 2006 in applicazione
dell’articolo 77 §§
2 e 3 del regolamento.
Vincent
Berger
Boštjan
M. Zupančič
Cancelliere
Presidente
[1] Traduzione dalla versione
francese della sentenza Giacomelli contro Italia, a cura di Antonella
Mascia,
giurista presso la Corte europea dei diritti dell’Uomo di
Strasburgo