 TAR Lombardia (BS) Sez.I n. 4883 del 20 dicembre 2010
TAR Lombardia (BS) Sez.I n. 4883 del 20 dicembre 2010
Acque. Acque di falda emunte
L’assimilabilità a rifiuto delle acque di falda emunte nelle operazioni di messa in sicurezza non è normativamente corretta.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04883/2010 REG.SEN.
 N. 01300/2009 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
 
 sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
 
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 1300 del 2009, integrato da motivi  aggiunti, proposto da:
 ENIPOWER MANTOVA Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Antonella Capria,  Innocenzo Gorlani, Teodora Marocco, con domicilio eletto presso lo studio  dell’avv. Innocenzo Gorlani in Brescia, via Romanino, 16;
 contro
 MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, MINISTERO DEL  LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI E DELLA SALUTE, MINISTERO DELLO SVILUPPO  ECONOMICO, ISPRA, ISS, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale  Stato, domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6;
 
 REGIONE LOMBARDIA, rappresentata e difesa dagli avv. Antonella Forloni, Piera  Pujatti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Donatella Mento in  Brescia, via Cipro, 30;
 
 PROVINCIA DI MANTOVA, rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Noschese,  Eloisa Persegati Ruggerini, Lucia Salemi, con domicilio eletto presso lo studio  dell’avv. Francesco Noschese in Brescia, via Cadorna, 7;
 
 COMUNE DI MANTOVA, rappresentato e difeso dagli avv. Chiara Bergamaschi, Sara  Magotti, con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Carlo  Zima, 3;
 
 COMUNE DI VIRGILIO, COMUNE DI SAN GIORGIO DI MANTOVA, PARCO DEL MINCIO, non  costituiti in giudizio;
 
 nei confronti di
 
 ARPA LOMBARDIA, SOGESID SPA, ASL 307 DELLA PROVINCIA DI MANTOVA, non costituiti  in giudizio;
 
 per l'annullamento
 
 del decreto prot. 8495/QDV/DI/B in data 30/9/20098, di approvazione definitiva  di tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della Conferenza dei Servizi  decisoria del 31/7/2009, relativa al sito di bonifica di interesse nazionale.
 
 
 Visti il ricorso, i motivi aggiunti e tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2010 il dott. Carmine  Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 Il presente ricorso ha ad oggetto l’impugnazione di alcuni degli atti della  procedura amministrativa di messa in sicurezza di emergenza delle aree inquinate  facenti parte del sito di interesse nazionale dei Laghi di Mantova, un’area  posta nella pianura alluvionale del fiume Mincio, a sud est dell’abitato della  città di Mantova.
 
 Il ricorso in esame è promosso, in particolare, da Enipower Mantova s.p.a., che  è una società del gruppo ENI cui è stato conferito nel 2006 (dalla dante causa  Enipower s.p.a., facente parte del medesimo gruppo industriale) il ramo  d’azienda incaricato di gestire una centrale termoelettrica sita nel perimetro  dell’area inquinata dei Laghi di Mantova.
 
 Lo stabilimento della Enipower Mantova è interessato dalla contaminazione dei  suoli e della falda principale, contaminazione derivante da idrocarburi e  benzene, che la società ricorrente contesta provenire dal proprio stabilimento.
 
 
 Con il ricorso principale odierno la società ricorrente impugna il provvedimento  del 30. 9. 2009 con cui il direttore generale del Ministero dell’ambiente ha  disposto di approvare tutte le prescrizioni stabilite dal verbale di conferenza  di servizi del 31. 7. 2009 relativo alla bonifica dei laghi di Mantova e del  polo chimico (con gli atti allegati e presupposti).
 
 Con il primo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente impugna anche la nota del  17. 12. 2009 con cui il Ministero, in risposta a missiva inviata dalla stessa  ricorrente, conferma le statuizioni contenute nel provvedimento impugnato con il  ricorso principale.
 
 Con il secondo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente impugna infine anche la  nota del 18. 12. 2010 con cui il Ministero chiede alle aziende di ottemperare  alle prescrizioni contenute nel verbale della conferenza di servizi impugnata  con il ricorso principale.
 
 
 Si costituivano in giudizio tramite l’Avvocatura dello Stato il Ministero  dell’Ambiente, il Ministero del Lavoro, il Ministero dello Sviluppo economico,  l’Agenzia di protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, l’Istituto  centrale ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, l’Istituto  superiore della sanità, che chiedevano i ricorsi fossero dichiarati  inammissibili o comunque infondati nel merito.
 
 Si costituivano in giudizio, inoltre, la Regione Lombardia, la Provincia di  Mantova, il Comune di Mantova, che prendevano ciascuno le conclusioni descritte  di seguito.
 
 Nessuno si costituiva per le altre parti che la ricorrente ha ritenuto di  convenire in giudizio.
 
 
 I motivi che sostengono il ricorso principale sono i seguenti:
 
 1. il provvedimento sarebbe illegittimo perché si limita ad approvare il verbale  della Conferenza di servizi senza alcuna specifica motivazione;
 
 2. il provvedimento sarebbe illegittimo perchè Enipower Mantova non è la  responsabile dell’inquinamento, e quindi non le possono essere imposte in radice  misure di messa in sicurezza di emergenza;
 
 3. il provvedimento sarebbe illegittimo perchè non ci sono i presupposti di  inquinamento repentino ed in atto per una messa in sicurezza;
 
 4. il provvedimento sarebbe illegittimo perché sarebbe illogico chiedere ad una  azienda di provvedere ad impedire la diffusione di contaminazione che è  transitata al proprio stabilimento dai terreni vicini;
 
 5. il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui impone l’obbligo del  contenimento fisico per la ragione preclusiva che l’intervento non costituisce  messa in sicurezza di emergenza, ma bonifica, e per difetto di istruttoria sulla  necessità in concreto di tale misura;
 
 6. il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui chiede che anche  minimi interventi di movimentazione terreni debbano essere autorizzati, in  quanto l’art. 242 d.lgs. 152/06 non prevede affatto che le attività di messa in  sicurezza d’emergenza debbano essere autorizzate, d’altronde il Ministero  dell’Ambiente non sarebbe titolare di competenze edilizie;
 
 7. il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui impone di trattare le  acque di falda emunte come rifiuti in contrasto con la disposizione dell’art.  243 d.lgs. 152/06;
 
 8. il parere dell’I.S.S., allegato al verbale di Conferenza di servizi, relativo  ai valori di concentrazione nelle acque sotterranee della sostanza MtBE sarebbe  fondato su presupposti tecnici erronei;
 
 9. l’Accordo di programma 31. 5. 2007, richiamato nella Conferenza di servizi,  sarebbe illegittimo in quanto non si chiarisce il rapporto tra esso e il  procedimento amministrativo in essere;
 
 10. l’Accordo di programma 31. 5. 2007, richiamato nella Conferenza di servizi,  sarebbe illegittimo in quanto sostitutivo di una procedura di bonifica che  invece è la procedura prevista dal codice dell’ambiente;
 
 11. l’Accordo di programma 31. 5. 2007, richiamato nella Conferenza di servizi,  sarebbe illegittimo anche perché affida alla Sogesid s.p.a., ente strumentale  del Ministero, la progettazione ed esecuzione di interventi di messa in  sicurezza di emergenza senza ricorrere all’evidenza pubblica.
 
 
 Nel primo ricorso per motivi aggiunti si censura la nota del 17. 12. 2009 con  cui il Ministero conferma le prescrizioni. I motivi riprendono in parte quelli  del ricorso principale.
 
 
 Nel secondo ricorso per motivi aggiunti si censura la nota del 18. 5. 2010 con  cui il Ministero, confermando quanto prescritto dalla Conferenza di servizi del  31. 7. 2009, chiede alle aziende presenti nel polo chimico di ottemperare alle  prescrizioni e di trasmettere un elaborato tecnico con la descrizione degli  interventi di messa in sicurezza di emergenza avviati o in corso di avvio.
 
 
 Nel ricorso principale era formulata altresì istanza cautelare di sospensione  del provvedimento impugnato, che veniva rinuncia all’udienza a ciò appositamente  fissata.
 
 Nel primo ricorso per motivi aggiunti era formulata altresì istanza cautelare di  sospensione del provvedimento impugnato, che veniva rinuncia all’udienza a ciò  appositamente fissata.
 
 
 Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 24. 11. 2010, all’esito  della quale veniva trattenuto in decisione.
 DIRITTO
 I. Nel redigere questa sentenza si sceglie di utilizzare la tecnica della  citazione del precedente conforme ex art. 74 c.p.a. in tutit i casi in cui si  tratterà di dare una risposta a tutte le questioni che sono state già decise  nelle precedenti sentenze emesse da questo Tribunale nel contenzioso che oppone  da anni la Enipower Mantova al Ministero dell’Ambiente.
 
 L’utilizzo della tecnica della citazione del precedente conforme, oltre che  essere legittimata dall’art. 74 c.p.a., è anche opportuna nel caso di specie  perché favorisce la leggibilità della sentenza, atteso che la perfetta  comprensione giurisdizionale della vicenda della complessa ed indispensabile  procedura amministrativa di bonifica dei laghi di Mantova potrebbe essere - a  giudizio del Tribunale - ostacolata dalla lunghezza dei provvedimenti del  Ministero che vengono impugnati (non facilmente decifrabili e pieni di  ripetizioni di statuizioni identiche) da cui deriva a catena la lunghezza e  difficoltà di lettura dei ricorsi, e la lunghezza e difficoltà di lettura delle  sentenze.
 
 Ciò posto, si passa ad esaminare i singoli motivi di ricorso.
 
 
 II. Nel primo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento dirigenziale  sarebbe illegittimo perché si limita ad approvare il verbale della Conferenza di  servizi senza alcuna specifica motivazione.
 
 La questione è stata già respinta nella sentenza di questo Tribunale 9. 10.  2009, n. 1736, punto III, nonché nella sentenza di questo Tribunale 12. 2. 2010,  n. 735, punto XVI.
 
 Si rimanda pertanto a quanto affermato dal Tribunale nei precedenti conformi  appena citati, e si respinge nuovamente il motivo.
 
 
 III. Nel secondo motivo di ricorso si deduce che Enipower Mantova non è la  responsabile dell’inquinamento, e quindi non le possono essere imposte misure di  messa in sicurezza di emergenza, nel terzo si afferma che non ci sarebbero  neanche i presupposti per una messa in sicurezza; e nel quarto si aggiunge che è  illogico chiedere ad una azienda di provvedere ad impedire la diffusione di  contaminazione altrui.
 
 Questi tre motivi devono essere affrontati congiuntamente perché sono tre  passaggi dello stesso ragionamento che mira ad ottenere una pronuncia che  sottragga la ricorrente da ogni obbligo di messa in sicurezza.
 
 Se però si va ad esaminare i punti del provvedimento impugnato che riguardano  espressamente la posizione della ricorrente (sono le pagine 57 e seguenti), si  nota in realtà come la posizione di Enipower Mantova sia trattata nella  Conferenza di servizi in modo piuttosto sfumato proprio perché il Ministero  recepisce quasi integralmente il progetto di bonifica presentato spontaneamente  dall’azienda (a pagina 59 c’è scritto sul progetto dell’azienda che “si ritiene  lo stesso approvabile”). E’ vero che a questo progetto vengono apposte delle  prescrizioni, ma le prescrizioni attengono tutte alla caratterizzazione del  sito. Nella pronuncia di questo Tribunale (in diversa composizione) 12. 2. 2010,  n. 735 è stato evidenziato che quando “le misure imposte, altrimenti  qualificabili in modo diverso, si devono concretizzare (…) in attività di  indagine, di raccolta e studio di dati e di prelievo di campioni e in varie  analisi e rilevazioni tecniche con annesse attività amministrative semplici di  mera certificazione” o nella “diversa imposta necessità preventiva di redigere  un piano di caratterizzazione in attinenza ai siti di percorrenza lineare delle  condotte di gas e delle condotte elettriche” “appaiono più che ragionevoli e non  invasive; le stesse inoltre non sono né di carattere sanzionatorio, né di  carattere ripristinatorio”.
 
 Il Tribunale ha anche aggiunto nel seguito di quella stessa sentenza che esse  “dunque ben possono insistere anche in pacifica assenza di quella responsabilità  causale così come dedotto da Sol. Del resto le dette medesime prescrizioni (…)  possono essere, se concretizzate, anche più che utili per Sol stessa; appunto  perché sono proprio ed anche attività meramente prodromiche ad ogni altra misura  sia di sicurezza che di bonifica per suoli anche di interesse esclusivo di Sol  stessa”.
 
 La stessa cosa va detta per le prescrizioni con cui si impone all’azienda di  impedire la contaminazione del Fiume Mincio e dei laghi di Mantova, posto che si  tratta comunque di attività finalizzate ad ottenere il rilascio della  certificazione di avvenuta bonifica (sul punto vi è un richiamo a pagina 61 del  provvedimento impugnato).
 
 Ne consegue che le relative censure devono essere respinte.
 
 
 IV. Nel quinto motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe  illegittimo nella parte in cui impone l’obbligo del contenimento fisico, per la  ragione preclusiva che l’intervento non costituisce messa in sicurezza di  emergenza, ma bonifica; ed inoltre perché la misura sarebbe chiesta sempre per  tutti i tipi di inquinamento, indipendentemente da una verifica istruttoria  sulla necessità della stessa.
 
 E’ fondata questa seconda parte del motivo di ricorso.
 
 La prima parte non è fondata perché di per sé in presenza di una fonte di  inquinamento in atto il sconfinamento fisico dell’area inquinata mediante  palancolatura non è incompatibile con i limiti della messa in sicurezza di  emergenza proprio perché serve non per bonificare l’area (attività che sarà  svolta in un secondo momento), ma per contenere l’ulteriore propagazione  dell’inquinamento confinandolo nei suoli che sono già inquinati.
 
 E’ vero, però, - e qui si torna alla seconda parte del motivo di ricorso - che  nel caso in esame, valutati tutti gli elementi in gioco e le criticità  dell’area, il barrieramento fisico non è stato preceduto da adeguata  istruttoria.
 
 Si richiama sul punto il precedente conforme di questo Tribunale n. 1736/09,  punto VIII, nonché la sentenza del Consiglio di Stato n. 6455/09, punto 3.2.,  con la precisazione però che sia la pronuncia del Tribunale che quella del  Consiglio di Stato concludono entrambe nel senso non dell’inammissibilità in  astratto della misura come messa in sicurezza di emergenza, ma soltanto della  insufficienza di dati a sostegno della stessa (il Consiglio di Stato impone  anche un onere al Ministero di spiegare perché il barrieramento idraulico che  stanno conducendo le aziende è insufficiente).
 
 Le conclusioni già prese dagli organi giurisdizionali vengono qui ribadite per  le stesse motivazioni indicate nei precedenti citati, e sembrano essere  corroborate anche dalle deduzioni della parte pubblica che evidenzia che la  versione attuale dello studio Sogesid - o comunque l’ultima versione esposta  dalle parti agli atti di causa - modifica parzialmente la prospettiva adottata  in precedenza dall’amministrazione, prevedendo il barrieramento fisico soltanto  da un lato, e non intorno a tutto il perimetro dell’area contaminata.
 
 La circostanza che anche la società incaricata dallo Stato di individuare la  migliore soluzione tecnologica per il contenimento dell’inquinamento abbia  scartato la ipotesi del barrieramento fisico integrale è ulteriore indica della  arbitrarietà della decisione a suo tempo presa nel provvedimento impugnato e  censurata nel motivo di ricorso in esame. e che quindi essa non esclude una  rivalutazione all’esito della caratterizzazione finale dell’area.
 
 Il motivo è pertanto accolto, impregiudicata ogni valutazione in un (eventuale)  futuro ricorso sulla correttezza della nuova (meno invasiva) soluzione proposta  dalla Sogesid.
 
 
 V. Nel sesto motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe  illegittimo nella parte in cui chiede che anche semplici interventi di  movimentazione terreni debbano essere autorizzati, in quanto l’art. 242 d.lgs.  152/06 non prevede affatto che le attività di messa in sicurezza d’emergenza  debbano essere autorizzate, anche perché il Ministero dell’Ambiente non ha  competenze edilizie.
 
 In realtà, un potere del Ministero dell’Ambiente di sottoporre ad autorizzazione  le opere ed i movimenti terra che avvengono nel perimetro dell’area inquinata è  previsto nella norma dell’art. 252 t.u. ambiente relativa ai siti inquinati di  interesse nazionale (quale quello che ci occupa).
 
 I co. 6, 7 e 8 della stessa norma (in cui si dispone che “6. L'autorizzazione  del progetto e dei relativi interventi sostituisce a tutti gli effetti le  autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e  gli assensi previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi, tra l'altro,  quelli relativi alla realizzazione e all'esercizio degli impianti e delle  attrezzature necessarie alla loro attuazione. L'autorizzazione costituisce,  altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità,  urgenza ed indifferibilità dei lavori. 7. Se il progetto prevede la  realizzazione di opere sottoposte a procedura di valutazione di impatto  ambientale, l'approvazione del progetto di bonifica comprende anche tale  valutazione. 8. In attesa del perfezionamento del provvedimento di  autorizzazione di cui ai commi precedenti, completata l'istruttoria tecnica, il  Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare  in via provvisoria, su richiesta dell'interessato, ove ricorrano motivi  d'urgenza e fatta salva l'acquisizione della pronuncia positiva del giudizio di  compatibilità ambientale, ove prevista, l'avvio dei lavori per la realizzazione  dei relativi interventi di bonifica, secondo il progetto valutato positivamente,  con eventuali prescrizioni, dalla conferenza di servizi convocata dal Ministro  dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. L'autorizzazione  provvisoria produce gli effetti di cui all'articolo 242, comma 7) delineano un  sistema in cui sono concentrati in capo al Ministero dell’ambiente i poteri  autorizzatori per qualsiasi tipo di attività che modifichi gli impianti, le  attrezzature e le aree oggetto di bonifica. In tali poteri autorizzatori rientra  anche la possibilità utilizzata dal Ministero dell’Ambiente nel caso in esame di  sottoporre a preventiva autorizzazione anche i movimenti di terra.
 
 Senza dimenticare che il potere che è stato esercitato dal Ministero  dell’Ambiente nel caso in esame deriva anche dal potere di vigilanza e controllo  che spetta in via generale ad ogni autorità amministrativa cui la norma  attributiva del potere conferisca poteri di amministrazione attiva per  verificare l’adempimento delle prescrizioni dettate nell’esercizio dei poteri di  amministrazione attiva. Non va, infatti, dimenticato che la decisione  dell’amministrazione è stata originata da una segnalazione ricevuta dalla  Direzione per la qualità della vita che ha rilevato come proprio la Polimeri  Europa avesse presentato 22 comunicazioni di lavori indifferibili ed urgenti  all’interno dello stabilimento che avevano fatto dire alla predetta Direzione  che la Polimeri “stesse operando in pieno contrasto con la vigente normativa in  materia di bonifiche in quanto i predetti interventi non erano riconducibili ad  opere di sicurezza, di collegamento a reti pubbliche, né finalizzati al  miglioramento della sicurezza degli impianti, degli operatori e delle condizioni  ambientali e di lavoro” (si fa notare che in altro ricorso contro lo stesso  provvedimento trattato nella stessa udienza, altra azienda si lamenta proprio  che è stato il comportamento di Polimeri Europa a portare il Ministero a  sanzionare tutte le aziende indifferentemente).
 
 Ne consegue che il potere, riconosciuto dalla norma, è stato esercitato  correttamente dal Ministero e che il relativo motivo di ricorso deve essere  respinto.
 
 
 VI. Nel settimo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe  illegittimo nella parte in cui sottopone la gestione delle acque di falda emunte  alla disciplina dei rifiuti.
 
 La prescrizione in parola è effettivamente contenuta in via generale nella prima  parte del provvedimento impugnato (punti 1 e 2 dell’ordine del giorno) che si  riferiscono a quasi tutte le aziende, anche se non è ripetuta specificamente  nella parte del provvedimento che riguarda specificamente Enipower Mantova.
 
 In ogni caso, come è stato affermato da questo Tribunale di fronte ad altra  censura proposta da altra azienda contro il medesimo provvedimento, leggendo il  provvedimento impugnato (lettura che, come si è già detto prima, non è semplice  giusta la tecnica di redazione che è stata scelta dall’autorità amministrativa  che non agevola la comprensione dei passaggi motivazionali) si deduce che il  Ministero ha fondato la propria tesi circa l’assimilabilità a rifiuto liquido  delle acque di falda estratte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza  dalla circostanza che l’assimilabilità a scarico sarebbe prevista soltanto per  le acque estratte in occasione delle operazioni di bonifica, ma non di quelle di  messa in sicurezza (pagina 46 del provvedimento impugnato, seconda e terza  riga). Il Ministero ha scelto cioè un argomento di tipo formale e tranciante,  valido per tutti i casi di acque emunte nel corso delle operazioni di messa in  sicurezza.
 
 Questa deduzione non tiene conto, però, della circostanza che alla data in cui è  stato emesso il provvedimento impugnato l’art. 243 d.lgs. 152/06 era stato  novellato dall'articolo 8-quinquies della legge n. 13 del 2009 in cui era stato  introdotto con norma ad hoc anche un inciso (favorevole alla tesi delle aziende)  che prevedeva l’assimilabilità agli scarichi delle acque di falda emunte nel  corso delle procedure di messa in sicurezza. La disposizione in parola è stata  così trasformata nella seguente: “Le acque di falda emunte dalle falde  sotterranee, nell'ambito degli interventi di bonifica o messa in sicurezza di un  sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in  cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di  emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente  decreto. 2. In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 104, ai soli  fini della bonifica dell'acquifero, è ammessa la reimmissione, previo  trattamento, delle acque sotterranee nella stessa unità geologica da cui le  stesse sono state estratte, indicando la tipologia di trattamento, le  caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di  reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero  interessato dal sistema di estrazione/reimmissione. Le acque reimmesse devono  essere state sottoposte ad un trattamento finalizzato alla bonifica  dell'acquifero e non devono contenere altre acque di scarico o altre sostanze  pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle presentì nelle acque  prelevate”.
 
 La novella alla norma appena citata, di per sé, non è decisiva per parificare le  acque di falda emunte agli scarichi, perché, come evidenziato da T.a.r. Sicilia,  Palermo, I, n. 540/09 “la norma in parola introduce un peculiare regime  diversificato per le acque di falda emunte nell'ambito di interventi di bonifica  di siti inquinati, di per sé non idoneo tuttavia a parificarne il regime  giuridico - per quanto attiene alla gestione e autorizzazione dei relativi  impianti di trattamento - a quello proprio delle acque reflue industriali. Una  lettura sistematica della previsione normativa in esame, in combinato disposto  con le altre norme e con le ulteriori disposizioni di cui agli art. 210, 242,  124 e 125, d.lg. 152/06, non può infatti non tenere conto della particolare  natura dell'oggetto dell'attività posta in essere, siccome individuata dal  legislatore nei rifiuti liquidi” (la motivazione è nota alle parti che erano  costituite in giudizio anche in quel caso, relativo al disinquinamento dell’area  industriale di Priolo), ed anche questo Tribunale (sia pure in diversa vicenda  ed altra composizione) ha ritenuto nella ordinanza n. 117/2010 che “le acque  emunte sarebbero oggettivamente assimilabili a rifiuti liquidi non potendo avere  alcuna utilizzazione ed essendo prioritaria l’esigenza di evitare qualunque  forma di diluizione con altri tipi di acque o il rischio di dispersione nello  stabilimento”.
 
 Ma al di là di quelli che possono essere i limiti di lettura del nuovo testo  dell’art. 243 d.lgs. 152/06, per decidere il caso sottoposto all’attenzione del  Tribunale è decisiva la circostanza che il Ministero abbia fondato la propria  motivazione soltanto sulla non applicabilità del regime dell’art. 243 d.lgs.  152/06 alle operazioni di messa in sicurezza, ma solo a quelle di bonifica,  circostanza che impone in radice l’assimilabilità a rifiuto delle acque di falda  emunte nelle operazioni di messa in sicurezza e, come detto, non è  normativamente corretta.
 
 Alla luce di tale norma, pertanto, la tesi su cui è fondato il provvedimento del  Ministero non può essere apprezzata, e la relativa prescrizione, nei limiti  della motivazione, deve essere annullata.
 
 
 VII. Nell’ottavo motivo di ricorso si deduce che negli allegati al verbale della  conferenza di servizi vi sarebbe un parere dell’Istituto superiore di sanità  relativo ai valori di concentrazione nelle acque sotterranee della sostanza MtBE  ma il parere sarebbe fondato su presupposti erronei.
 
 Ci si permette di rilevare che un motivo formulato in tal modo è inammissibile,  non si riesce infatti a comprendere dalla formulazione del motivo se il parere  dell’Istituto superiore di sanità sia stato richiamato nel provvedimento  impugnato ed abbia fondato una qualche statuizione del provvedimento impugnato.
 
 In conformità ai principi generali, per poter ottenere una risposta del  Tribunale, occorre che vi sia un provvedimento che prescrive qualcosa al  soggetto ricorrente e che questi contesti la legittimità di quanto gli viene  imposto (o negato, in caso di interessi pretensivi).
 
 Nel motivo in esame non si indica il passaggio del provvedimento che conterrebbe  (sia pure attraverso richiamo al parere dell’Istituto superiore di sanità)  questa imposizione relativa alla ricerca della sostanza MtBE. Nelle pagine da 57  a 62 del provvedimento impugnato, che sono le pagine dedicate specificamente  alla posizione di Enipower (unica azienda che presenta questo motivo), non è mai  citato neanche una volta un parere dell’Istituto superiore di sanità.  Nell’ipotesi in cui l’obbligo di rispettare questo parere derivi dal richiamo ad  altro provvedimento che a sua volta richiama il parere dell’Istituto superiore  sanità, ci si permette di dire che ciò avrebbe dovuto essere quantomeno  evidenziato in modo che il Tribunale comprenda quale sia la prescrizione da  (eventualmente) annullare, posto che non si può certo annullare un mero parere  dell’Istituto superiore di sanità che per inciso non figura neanche tra i  provvedimenti impugnati.
 
 In definitiva, nei termini in cui è stato formulato il motivo deve essere  dichiarato inammissibile.
 
 
 VIII. Nel nono, decimo, ed undicesimo motivo di ricorso la ricorrente spiega  motivi (con la precisazione “ove occorra”) nei confronti dell’accordo di  programma stipulato tra Ministero ed entri territoriali per concordare le linee  della bonifica ed a cui le aziende restano libere di aderire o meno.
 
 A giudizio della ricorrente, l’Accordo di programma sarebbe illegittimo in  quanto non si chiarisce il rapporto tra esso e il procedimento amministrativo in  essere (nono motivo), sarebbe illegittimo anche in quanto sostitutivo di una  procedura di bonifica che invece è prevista dal codice dell’ambiente (decimo  motivo), ed anche perché affida alla Sogesid s.p.a., ente strumentale del  Ministero, la progettazione ed esecuzione di interventi di messa in sicurezza di  emergenza senza ricorrere all’evidenza pubblica (undicesimo motivo).
 
 Si tratta di motivi di ricorso che sono stati già più volte proposti dalla  ricorrente, e sempre contro lo stesso accordo di programma del 31. 5. 2007.
 
 Il Tribunale ha già dichiarato inammissibili i motivi contro l’accordo di  programma in quanto res inter alios nella sentenza 318/09, nonché di nuovo nella  sentenza 1737/09.
 
 Si respinge pertanto il motivo di ricorso con rinvio al precedente conforme per  le motivazioni per esteso.
 
 
 IX. Nel primo ricorso per motivi aggiunti censura anche la nota del 17. 12. 2009  con cui il Ministero conferma le prescrizioni.
 
 Nel secondo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente censura anche la nota del  18. 5. 2010 con cui il Ministero, confermando quanto prescritto dalla Conferenza  di servizi del 31. 7. 2009, chiede alle aziende presenti nel polo chimico di  ottemperare alle prescrizioni e di trasmettere un elaborato tecnico con la  descrizione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza avviati o in  corso di avvio.
 
 La nota del 17. 12. 2009 (impugnata con primi motivi aggiunti) sono 14 righe  scritte dal Ministero in risposta ad una lettera inviata dalla ricorrente che  aveva comunicato che non avrebbe ottemperato alle prescrizioni della Conferenza  di servizi (impugnata con il ricorso principale), ed a cui il Ministero risponde  che invece essa deve ottemperare. Si tratta a tutta evidenza di un mero atto  confermativo, come tale inidoneo a ledere l’interesse della ricorrente, la cui  impugnazione deve essere giudicata inammissibile.
 
 La nota del 18. 5. 2010 (impugnata con secondi motivi aggiunti) sono 29 righe  scritte dal Ministero dopo aver ricevuto dalla Provincia di Mantova  comunicazione del rinvenimento di composti alifatici alogenati nelle acque  superficiali, circostanza ritenuta preoccupante perché indice chiaro  dell’esistenza di un inquinamento in atto, ed in cui lo stesso Ministero  raccomanda alle aziende di ottemperare all’attivazione degli interventi di messa  in sicurezza prescritti nella Conferenza di servizi. Si tratta a tutta evidenza  anche in questo caso di un mero atto confermativo, come tale inidonea a ledere  l’interesse della ricorrente, la cui impugnazione deve essere giudicata  inammissibile.
 
 Le parti sono state avvertite in udienza ex art. 73, co. 3, c.p.a del possibile  esercizio del potere del Tribunale di rilevare d’ufficio la eccezione, in  conformità alla quale va a questo punto formulato il dispositivo.
 
 
 X. La soccombenza della ricorrente sulla maggior parte delle questioni proposte  le impone l’onere delle spese, quantificato come in dispositivo (la  quantificazione tiene conto della circostanza che l’Avvocatura si è limitata a  prendere posizione soltanto su alcuni dei motivi di ricorso; la Regione  Lombardia si è costituita solo formalmente; Comune e Provincia di Mantova hanno  preso posizione soltanto sui motivi relativi all’accordo di programma).
 P.Q.M.
 definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
 
 ACCOGLIE nei limiti della motivazione i soli motivi sub 5 e 7, e, per l’effetto,  annulla il decreto 30. 9. 2009 nella sola parte in cui dispone a carico della  Enipower Mantova l’obbligo di procedere al barrieramento fisico dell’area  inquinata ed al trattamento come rifiuti delle acque di falda emunte.
 
 DICHIARA INAMMISSIBILE il ricorso quanto ai motivi 8, 9, 10, 11, ed ai primi e  secondi motivi aggiunti.
 
 RESPINGE per tutto il resto.
 
 CONDANNA la ricorrente al pagamento in favore di ciascuna delle controparti  costituite delle spese di lite, che quantifica in euro 1.000 (oltre accessori,  se dovuti).
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2010 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Giuseppe Petruzzelli, Presidente
 Sergio Conti, Consigliere
 Carmine Russo, Referendario, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 20/12/2010
 
                    




