Sul divieto di conferimento in discarica di rifiuti:  princìpi e regole (tra iniziative della P.G.)
di Alberto PIEROBON

pubblicato su osservatorioagromafie.it.Si ringraziano Autore ed Editore

1. - Il pre-testo da un conferimento di rifiuti recuperabili ad una discarica. - 2. Allargare e cambiare la prospettiva di lettura. - 3. Prime tessere di un puzzle giuridico da ricercare. - 4. Continuando a disaminare: la disciplina discariche. - 5. Altri divieti, allargando il campo di indagine: rete impiantistica e servizi tra principio di autosufficienza e altro. - 6. Criteri ordinatori nella gestione dei rifiuti: i ponderati scostamenti dal principio gerarchico. - 7. Fattività e infattività dello smaltimento di rifiuti recuperabili. - 8. Per un diritto (penale) ragionevole.

1. - Il pre-testo da un conferimento di rifiuti recuperabili ad una discarica. Una recente sentenza del Consiglio di Stato 1 nell’esaminare il caso di un avvio in discarica di rifiuti non smaltibili, disposto da una ordinanza comunale, occasiona la riflessione sulla negletta tematica del divieto di smaltimento dei rifiuti, in rapporto ai princìpi ambientali, europei come nazionali, e alla disciplina rifiuti di cui alla parte IV del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (o TUA), riaffrontando certune questioni – sulle quali non mancano contestazioni da parte della Polizia Giudiziaria – quali, ad esempio, il conferimento ad un impianto di smaltimento (nel caso una discarica) di un rifiuto (più o meno) recuperabile.

La prefata sentenza esamina, infatti, il caso di una società produttrice di «aggregati riciclati» (End of Waste) e di terre e rocce da scavo (considerati «sottoprodotti») che sin dal 2007 depositava, in una area all’uopo affittata, tali materiali per una quantità che aveva raggiunto circa 200 mila metri cubi.

Il Comune ove insisteva l’area, contestava questa situazione-comportamento per il periodo 2017-2018, nell’ammontare di 11.800 metri cubi, cosicché il sindaco emanava (exart. 192 del TUA) una ordinanza di rimozione dei predetti rifiuti, per farli avviare – con onere dei responsabili e, in solido, dei proprietari dell’area – allo smaltimento in una discarica cosiccome individuata.

Fin qui potremmo discettare sulla qualifica di rifiuti, sui soggetti responsabili, ed altro.

È però interessante la censura mossa dalla P.G. alla autoritativa decisione del Comune di avviare allo smaltimento questi rifiuti che avrebbero potuto essere invece recuperati.

La ricostruzione giudiziale sembra essere avvenuta su aspetti formali, senza entrare nel “vivo” della questione del recupero/smaltimento dei materiali/rifiuti, eccetera, ossia limitandosi a una ricostruzione astratta e perlopiù sillogistica, della gerarchia di gestione dei rifiuti.

Ciò nonostante siano state richiamate più “tessere” del sistema normativo che qui assume rilevanza, quali sono: l’art. 4, par. 1 della direttiva 2008/98/CE; gli artt. 177, 178, 179, 182, 183, 188 e 192 del TUA; l’art. 6 del d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 e l’art. 90 del TUPL.

Di qui l’occasione per svolgere, ma in una più ampia e diversa prospettiva, una complessiva analisi di questa tematica.

2. - Allargare e cambiare la prospettiva di lettura. Preliminarmente, in via generale, è utile evidenziare che «nell’approcciare la tematica dei rifiuti vi sono alcuni passi che l’esegeta deve necessariamente seguire: dopo aver in primo luogo chiarito se la “sostanza” di cui ci si occupa rientra nella parte IV del Testo Unico e aver verificato che essa sia ancora un rifiuto (e non un EOW o un sottoprodotto), l’analisi si deve necessariamente spostare sul titolo autorizzativo, dovendosi accertare (lasciando per un momento da parte l’ipotesi in cui l’attività sia svolta in totale assenza di titolo abilitativo) in primo luogo di quale autorizzazione sia in possesso, quindi se l’attività sia (in tutto o in parte) difforme ai contenuti dell’autorizzazione, e infine se l’autorizzazione stessa non presenti profili di illegittimità tali da riverberare i suoi effetti sulla condotta del gestore»2.

In prima battuta, condividendo l’approccio suindicato, anche per queste casistiche bisogna analizzare le prescrizioni autorizzative emanate dall’Autorità competente sull’impianto interessato dal conferimento dei rifiuti, per poi accertare le eventuali inosservanze o violazioni.

Occorre, infatti, dapprima effettuare una valutazione complessiva sulla rete degli impianti esistenti e funzionanti, ovvero verificare oltre agli aspetti autorizzativi, anche quelli strategici-pianificatori di gestione dei flussi dei rifiuti prodotti nell’ambito bacinale di riferimento o nell’Ambito territoriale ottimale (ATO)3.

Laddove siano accertate violazioni alle prescrizioni autorizzative, si potranno applicare (a seconda delle varie situazioni) l’art. 256, comma 4 del TUA (quale reato formale) o l’art. 318 bis di cui alla parte VI bis rubricata «Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale» (artt. 318 bis -318 octies) del TUA, introdotta con l’art. 1, comma 9 della l. 22 maggio 2015, n. 68 (avente finalità deflattive e non premiali)4.

Ripetendo il pensiero di altri, sembra ovvio che per evitare il c.d. «annacquamento del principio di offensività» 5 occorra verificare, caso per caso, se ricorra e con che intensità, il carattere offensivo dei comportamenti tenuti rispetto al bene finale tutelato.

Ed è una prospettiva questa che ineludibilmente conduce ad allargare il campo di indagine e la riflessione, fuori dai sillogismi eretti (sovente in tanti atti amministrativi, ma che echeggiano anche in tante discussioni di amministratori pubblici6) nella lettura di certuni sistemi normativi.

3. -Prime tessere di unpuzzle giuridico da ricercare. Preliminarmente, oltre a quanto dianzi tratteggiato (autorizzazioni e rete impiantistica come pianificata) non bisogna soltanto limitarsi a richiamare le distinte definizioni giuridiche poste dall’art. 183, comma 1 del TUA, bensì va capito esattamente cosa si debba intendere per «riutilizzo» [lett. r)]; «recupero» [lett. t)]; «riciclaggio» [lett. u)] anche con riferimento allo «smaltimento» [lett. z)].

Come sappiamo, le definizioni per funzionalità operativa sono p.c.d. dei “sistemi chiusi”, tendenzialmente univoci, che rispondono alle proprie regole di costruzione, non comunicando pienamente i loro, come dire…, “oggetti”.

Comunque, per gli specifici flussi dei rifiuti che vengono conferiti in un impianto di smaltimento, le surrichiamate definizioni vanno relazionate, ovvero portate ad una ragionevole lettura sistematica e di senso, in una interpretazione di insieme, altresì valutando la fattispecie concreta anche nei suoi effetti; verificando se l’attività posta in essere, anche se relativa a un reato di pericolo presunto, rechi effettivamente un danno, o un pericolo concreto di danno all’ambiente.

Necessita poi esaminare la specifica disciplina delle discariche.

Com’è noto, il d.lgs. 3 settembre 2020, n. 121 recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31 relativa alle discariche di rifiuti» (che sostituisce l’art. 1 del d. lgs. 13 gennaio 2003, n. 36), all’art. 1 («finalità») afferma (si noti il gradualismo) la progressiva riduzione del collocamento in discarica dei rifiuti, in particolare di quelli idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, al fine di sostenere la transizione verso una economia circolare, adempiendo ai requisiti di cui all’art. 179 («Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti») 7 del TUA – ma vedasi anche gli artt. 177-178 del medesimo TUA – e all’art. 182 8 sempre del TUA, etc.

Per i target di riduzione si veda l’art. 5 («Obiettivi di riduzione del conferimento dei rifiuti in discarica») del cit. d.lgs. n. 36 del 2003, che nel comma 4 bis fa divieto di smaltire (dal 2030) in discarica tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, in particolare i rifiuti urbani (RU), salvo si produca il «miglior risultato ambientale» ex art. 179 del TUA. Questo «miglior risultato ambientale» si richiama a dei criteri che saranno elencati (pur non esaustivamente) in un decreto del Ministero dell’ambiente ex art. 16 bis del d.lgs. n. 36 del 2003.

Le Regioni al fine di garantire il raggiungimento di tale obiettivo conformano la propria pianificazione da predisporsi ex art. 199 del TUA, modificando le autorizzazioni relative allo smaltimento in discarica dei rifiuti non più ammessi, ovvero per garantire entro il termine massimo del 31 dicembre 2029, la modificazione in parte qua dei medesimi provvedimenti.

Occorre quindi capire (caso per caso) se, e come, l’Autorità competente abbia (o non) disposto su tutti questi profili pianificatori e autorizzativi.

Ma, in ogni caso, questi divieti (dello smaltimento dei rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo) si applicano solamente, in un’auspicabile gradualità, dal 2030.

Ancora, il cit. comma 4 ter dell’art. 5 del d.lgs. n. 36 del 2003, impone di ridurre entro il 2035, al 10 per cento del totale in peso dei RU prodotti ovvero ad una percentuale inferiore, la quantità di rifiuti urbani (RU) conferiti in discarica (cit. operazione «D1»).

Anche qui, dovranno essere aggiornati i Piani regionali di gestione dei RU di cui all’art. 199 TUA.

Infine, occorre attenzionare sul fatto che la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 5511 del 2024, esamina un caso riguardante i soli rifiuti speciali, non i RU.

4. -Continuando a disaminare: la disciplina discariche.Sempre sulla disciplina delle discariche di cui al d.lgs. n. 36 del 2003, si veda il cronologicamente precedente (essendo l’art. 5, comma 4 bisstato introdotto, con il cit. d.lgs. n.121 del 2020) art. 6 («Rifiuti non ammessi in discarica»), che conferma il divieto del conferimento in discarica (ovvero dello smaltimento) dei rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo (comma 1), come pure dei rifiuti liquidi, dei rifiuti pericolosi classificati HP1, HP2, HP3, HP4, HP8, HP9; dei rifiuti contaminati da PCB, diossine e furani, cfc e Hcfc nonché dei pneumatici interi qualora inferiori a 1400 mm. eccezion fatta per quelli da bici. Al comma terzo rimane il divieto di diluire o miscelare i rifiuti al solo fine di renderli conformi ai criteri di ammissibilità ex art.7.

Invece, l’art. 7 («Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica») ribadisce la necessità del pretrattamento dei rifiuti da allocare in discarica e definisce i casi di deroga, ovvero: a) per i rifiuti inerti il cui trattamento non sia tecnicamente fattibile; b) per i rifiuti il cui trattamento non contribuisce al raggiungimento delle finalità di cui all’art. 1, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l’ambiente. Un argomento che meriterebbe una più approfondita analisi.

Ricordiamo quindi che le Regioni (e le Provincie autonome) devono avviare il riesame delle autorizzazioni esistenti, al fine di impedire a far data dal 1° gennaio 2030 il ritiro dei rifiuti oggetto di queste nuove limitazioni. Ciò riguarda solo le discariche che abbiano una fase operativa che vada oltre tale data. Ed è solo con l’adeguamento dell’anzidetta normativa tecnica (art. 16 bis) che si possono modificare con decreto del Ministero ambiente di concerto con Ministro sviluppo economico e Ministro salute gli allegati da 3 a 8, assicurando comunque che il mancato trattamento non pregiudichi il raggiungimento degli obiettivi.

Per il comma 2 del cit. art. 7, fermo restando quanto già osservato, «i criteri tecnici per la valutazione dell’efficacia del pretrattamento non si applicano alle sottocategorie di discarica». Il comma 3 ribadisce che i rifiuti sono ammessi in discarica esclusivamente se conformi ai criteri di ammissibilità della corrispondente categoria di discarica. E, per il comma 4, si deve accertare l’ammissibilità dei rifiuti nelle discariche col campionamento e le determinazioni analitiche per la caratterizzazione di base, nonché la verifica di conformità, con oneri a carico del detentore dei rifiuti o del gestore della discarica. Le verifiche vanno svolte da persone ed istituzioni indipendenti e qualificate, tramite laboratori accreditati.

L’art. 7 bis («caratterizzazione di base») indica le finalità e la frequenza della caratterizzazione di base ai fini dell’ammissibilità in discarica e ripropone tutte le disposizioni dell’art. 2 del d.m. 27 settembre 2010 e della decisione europea 2003/33/CE. Specifiche modalità operative sono poi descritte nell’all. 5. Tralascio altri (numerosi) aspetti squisitamente tecnici che però assumono indubbia rilevanza anche in parte qua9.

Ricapitolando, al momento vigono divieti specifici per lo smaltimento in discarica di taluni flussi tipologici di rifiuti: ad esempio sono ivi vietati (come vedremo) lo smaltimento di imballaggi e dei contenitori recuperati (mentre «sono ammessi solo i c.d. sovvalli»), la cui violazione comporta una ammenda da 5.200 a 40.000 euro ex art. 261 («imballaggi»), comma 3 del TUA che si rifà all’art. 226 («divieti») del medesimo TUA, il cui primo comma stabilisce «È vietato lo smaltimento in discarica degli imballaggi e dei contenitori recuperati, ad eccezioni degli scarti derivanti dalle operazioni di selezione, riciclo e recupero dei rifiuti di imballaggio».

5. -Altri divieti, allargando il campo di indagine: rete impiantistica e servizi tra principio di autosufficienza e altro.Più generalmente, è stata giustamente evidenziata l’esistenza di flussi di «rifiuti a recupero necessario. Si tratta di particolari categorie di rifiuti per i quali il legislatore impone ai produttori di provvedere al loro riciclaggio o recupero, apprestando speciali misure organizzative (consorzi, centri specializzati di raccolta) finalizzate a promuovere il conferimento selettivo, il trattamento ed il riciclo dei rifiuti, nonché l’obbligo per i produttori e i distributori di provvedere alla raccolta dei rifiuti conferiti separatamente dagli utilizzatori finali. Il primo esempio di diritto positivo è rappresentato dagli imballaggi e dai rifiuti da imballaggio (artt. 217 e ss.) (...) mentre è dettato uno specifico divieto di smaltimento in discarica (art. 226, comma 1). Un secondo gruppo eterogeneo di rifiuti da sottoporre a misure di recupero comprende gli autoveicoli fuori uso da rottamare (d.lgs. n. 209/2003), i pneumatici fuori uso (art. 228), il combustibile da rifiuto (art. 229), gli oli e grassi animali esausti, gli oli minerali o sintetici esausti, i materiali in polietilene, i clorofluorocarburi. Un terzo gruppo, di più recente creazione, le cui norme risultano di natura speciale riguarda i RAEE, i RIPA, nonché le batterie al piombo ed i rifiuti piombosi (…). Per tutte queste tipologie di rifiuti è stabilito il divieto dello smaltimento in discarica o dell’incenerimento»10.

Ed occorre, come detto, riandare alla «rete degli impianti» (ossia alla pianificazione regionale e “a cascata”, alla programmazione dei vari soggetti coinvolti, alla strategia, ecc.) per la quale rete, già la direttiva 2008/98/CE all’art. 16, comma 2, prevedeva fosse concepita in modo da consentire alla Comunità, nel suo insieme, di raggiungere l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti e il recupero dei rifiuti non differenziati provenienti dalla raccolta domestica.

Sono i singoli Stati che devono mirare individualmente al conseguimento di tale obiettivo, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti.

E, per il comma 3, dell’art. 16, si deve permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, mentre il comma 4 chiarisce che «I princìpi di prossimità e autosufficienza non significano che ciascuno Stato debba possedere l’intera gamma di impianti di recupero finale nel suo interno».

Ecco quindi che non vige un divieto automatico e assoluto di conferire allo smaltimento i rifiuti che sono, per così dire, “potenzialmente” 11 recuperabili.

Semmai ciò potrà valere (come prevede la normativa europea, recepita col cit. d.lgs. n. 121 del 202012) a partire dal 2030; nel frattempo occorrerà procedere, rispettando quanto dispone la disciplina settoriale sulle discariche di rifiuti che viene richiamata, come pure dall’art. 182 TUA al comma 5 «Le attività di smaltimento in discarica dei rifiuti sono disciplinate secondo le disposizioni del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, di attuazione della direttiva 1999/311/CE».

Non rientra nell’economia del presente scritto, approfondire i pur interpenetrati aspetti della gestione dei rifiuti che deve svolgersi in conformità a taluni princìpi generali (di «precauzione», di «prevenzione», di «sostenibilità», di «proporzionalità», di «responsabilizzazione» e di «cooperazione» di tutti i soggetti coinvolti nel rispetto del «principio della concorrenza») cui deve aggiungersi anche il «principio di prossimità» (collegato appunto a quello della «autosufficienza»)13.

Epperò si deve evidenziare come nell’attuazione del «principio di autosufficienza» va considerato che «occorre permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti» [così l’art. 182 bis, comma 1, lett. b), del TUA].

In questo contesto normativo, appare del tutto condivisibile la statuizione del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5025 del 1° luglio 202114, secondo cui «Il c.d. criterio di prossimità vale anche per la gestione dei rifiuti speciali e non solo per quelli urbani». Ciò per ribadire che la prossimità anche dello smaltimento si applica ai rifiuti speciali (non ai RU, salvo eccezioni), oltre al principio di specializzazione, laddove ricorra. Il tutto sempre nel rispetto del principio della concorrenza, allorquando si tratti di flussi pubblici di rifiuti o gestiti da soggetti latamente pubblici.

6. -Criteri ordinatori nella gestione dei rifiuti: i ponderati scostamenti dal principio gerarchico.Come già osservato, i «criteri di priorità nella gestione dei rifiuti» di cui al cit. art. 179 del TUA stabiliscono come avvenga la gestione – nel rispetto della c.d. gerarchia – che privilegia la prevenzione e che contempla (dopo altre attività ivi indicate) lo smaltimento quale ultima opzione, ovvero in via residuale.

Difatti: «Tenendo conto (...) delle priorità indicate dall’articolo 179, appare di tutta evidenza che la gestione dei rifiuti viene disciplinata in modo tale da privilegiare il recupero ed il riciclaggio, limitando il più possibile lo smaltimento»15.

Giova ribadire che il comma 2 del medesimo art. 179 recita che «La gerarchia stabilisce, in generale, un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale. Nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, devono essere adottate le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono, nel rispetto degli articoli 177, commi 1 e 4, e 178, il miglior risultato complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica».

Qui si rinvengono alcuni elementi utili – assieme a quelli dianzi accennati – al fine di svolgere una prima e concreta riflessione sulla tematica in esame.

Ciò anche perché bisogna tenere presente come da questo «ordine di priorità» dell’art. 179 possa derogarsi solamente (come visto) in casi particolari e/o in via eccezionale.

Infatti, ricordiamo ancora il comma 3 del più volte cit. art. 179, il quale espressamente prevede che: tanto debba essere «previsto nella pianificazione nazionale e regionale e consentito dall’autorità che rilascia l’autorizzazione ai sensi del Titolo III bisdella parte II o del Titolo I, capo IV, della parte IV del TUA, nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse».

Rimane utile l’osservazione – p.c.d. “ansintotica” – per la quale «Tale scostamento, del tutto eccezionale, non può essere deciso arbitrariamente dal produttore dei rifiuti, ma costituire l’esito di un procedimento di valutazione da parte degli enti di controllo, che debbono verificare che sia comunque assicurato il rispetto dei princìpi di precauzione, prevenzione e sostenibilità»16.

Mentre, una altra lettura sembra essere più concreta, anche negli effetti, degli artt. 177 e 182 del TUA nell’ottica di favorire il recupero rispetto allo smaltimento (fase assolutamente residuale) per la quale «si dovrebbe ricorrere (allo smaltimento NdR) se e soltanto se il recupero dei rifiuti fosse troppo oneroso, oltre che tecnicamente anche economicamente: il giudizio concernente siffatta onerosità discende, poi, da una verifica effettuata in tal senso dall’autorità competente, la quale, in buona sostanza, è chiamata a valutare la fattibilità del predetto recupero sulla base della disponibilità – anche da un punto di vista economico – delle tecniche di recupero applicabili, purché l’accesso a tali tecniche avvenga a “condizioni ragionevoli”. L’analisi dell’autorità competente, quindi, può dirsi che debba essere condotta tenendo in considerazione quella che è la forza economica del comparto industriale di riferimento»17.

Altri ancora sembrano forse riferirsi ad una visione p.d.c. “macroeconomica”, pur rapportandosi alle dinamiche “micro” del mercato del settore, allorquando affermano che «Il ricorso allo smaltimento, residuale nel complesso del sistema, è garantito da un procedimento articolato, diretto ad accertare l’esistenza dei presupposti per il suo utilizzo. La norma in esame (art. 182 NdR) prevede un triplice ordine di garanzie. In primo luogo, impone una preventiva valutazione tecnica ed economica sull’impossibilità del ricorso alle operazioni di recupero, valutazione che consiste fondamentalmente in una considerazione dei costi e benefici che emergono dall’attività stessa. Sebbene la valutazione sia rimessa all’autorità pubblica, emerge come il criterio di determinazione di efficienza nelle scelte sia fondamentalmente un criterio di mercato, ossia quello della non convenienza al recupero (...) può ancora sostenersi che, nella predisposizione da parte del soggetto pubblico competente della rete integrata di impianti, debbano essere considerate primariamente le questioni sulla sostenibilità economica dell’attività e quindi vadano previamente considerate tutte le offerte da parte degli operatori interessati al recupero delle materie prime secondarie. Altri due profili attengono alla richiesta di una preliminare azione di riduzione, in massa e in volume, dei rifiuti da smaltire, sempre nell’ottica della residualità della fase, ed infine, all’utilizzo di una rete integrata ed adeguata di impianti, che consentano di realizzare gli obiettivi di territorializzazione dello smaltimento e della minimizzazione dell’effetto nocivo su ambiente e sanità pubblica»18.

Ecco quindi che viene ripetuto (se ce ne fosse bisogno) che non si può, in modo automatico, assoluto e senza aver doviziosamente approfondito il caso concreto con la relativa disciplina assieme alle attività poste in essere dalle Autorità competenti19, imporre (o leggere come si dovesse applicare) sin da ora (cioè prima del 2030), il totale (talvolta indiscriminato) divieto di smaltimento in discarica di rifiuti per la sola ipotesi della loro idoneità al recupero.

7. -Fattività e infattività dello smaltimento di rifiuti recuperabili.Insomma, l’art. 182 («Smaltimento dei rifiuti»), al comma 1, prevede l’effettuazione dello smaltimento in condizioni di sicurezza, dando atto che essa attività costituisce la fase residuale della gestione, e ciò deve avvenire comunque «previa verifica da parte dell’autorità competente sull’impossibilità tecnica ed economica ad effettuare operazioni di recupero di cui all’art. 181. A tal fine, la predetta verifica concerne la disponibilità di tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purché vi si possa accedere a condizioni ragionevoli».

Ecco perché risulterebbe difficilmente praticabile da parte dell’Autorità competente l’effettuazione di riscontri (che presuppongono in capo ai propri uffici l’espletamento delle predette verifiche e attività) su ogni possibile, singola, richiesta, ovvero nello scenario di una Pubblica Amministrazione che rischia di venire compulsata – se non travolta – da una siffatta attività p.c.d. “particolaristica”.

Piuttosto è ragionevole, e risponde ai buoni canoni della Pubblica Amministrazione, trovare una soluzione più operativa e acconcia nella sede pianificatoria e autorizzativa, dove è meglio possibile indirizzare e orientare le scelte effettuate dalle Autorità competenti, per i rifiuti da avviarsi preferibilmente al recupero o, per l’appunto, in certune situazioni (intrinseche e/o estrinseche) allo smaltimento20.

Oggigiorno, ognun se ne avvede, nella gestione dei rifiuti si deve privilegiare il recupero e limitare lo smaltimento, epperò con ciò non rendendo impossibile – sussistendone le condizioni e giustificazioni – il conferimento dei rifiuti in impianti che ne autorizzano lo smaltimento, salvo i divieti del TUA e quelli della normativa (anche tecnica) specifica.

8. -Per un diritto (penale) ragionevole.Conclusivamente mi piace richiamare un maestro padovano di diritto penale, Giuseppe Bettiol, per il quale solo una «interpretazione letterale teleologicamente orientata, è ancora la più sicura e la più rispondente a quelle esigenze di sostanza che una democrazia penale deve essere pure sempre in grado di tutelare o di esprimere. La sicurezza giuridica deve essere ancorata ad un dato di sostanza entro ben chiari limiti formali»21.

Nel rischio di una prevalente lettura interpretativa ancorata al semplice dato letterale e/o strettamente formalistico che sia, considerato l’affastellamento normativo e provvedimentale in parte qua, forse occorre una lettura “pratica” nel senso bettoliano del termine, recuperando (ed applicando) il criterio (e le lenti) della «ragionevolezza», fuori dalla mera letteralità, cioè (pur nella loro dipendenza «dai giudizi di valore dell’interprete»22) una interpretazione secondo logica, buon senso e nell’intenzione del legislatore.

Occorre cambiare «gli atteggiamenti dei giuristi (ovvero NdR) badare agli usi delle norme e non alla vaghezza e/o genericità dei significati»23.

Va propugnata l’idea per la quale l’autorizzazione (mi si consenta l’esempio, quale un aspetto singolare di “microeconomia”) può anche svolgere (e rientrare in) una funzione di programmazione (che possiamo parodiare col termine, seppur qui improprio ma icastico, di “macroeconomia”): con riguardo alle autorizzazioni delle attività di smaltimento quest’ultime assolvono anche a questa funzione “macro”, in quanto sono chiamate ad attuare, tra altro, il Piano regionale di gestione dei rifiuti (art. 199 TUA) e a realizzare (come dianzi notato) «una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento» tale da consentire il conseguimento dell’obiettivo dell’autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti e (si noti) dello «smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica».

Tutti questi aspetti, entro una ragionevolezza nella lettura del complessivo sistema normativo (fuori dalla «geometria legale»), possono meglio spiegare (e far superare), assieme alle considerazioni sin qui brevemente svolte, la p.c.d. “trappola del sillogismo” del principio di gerarchia nella gestione dei rifiuti. Un tema che non può rinsecchirsi, appunto, nella sola lettura formale o di apparente raccordo di norme di primo livello, ma che va scavato concretamente anche col rischio del “particulare”.

1 Cons. Stato, Sez. IV 20 giugno 2024, n. 5511, in www.osservatorioagromafie.it.

2 A. Galanti, I delitti contro l’ambiente. Analisi normativa e prassi giurisprudenziale , Pisa, 2021, 188.

3 Insomma, di un sistema integrato di gestione dei rifiuti urbani, tale da assicurare il superamento della frammentazione delle medesime gestioni. Ciò non significa necessariamente affidare l’intera gestione del servizio (come invece avviene per il servizio idrico integrato) ad un unico gestore, l’importante è che la gestione sia unitaria e dotata di una rete completa di impianti, tra intermedi e finali. Va segnalato che l’abrogato art. 201 (Disciplina del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani) del TUA al comma 5, lett. b) prevedeva, per ciascun ATO, l’esistenza di almeno un impianto tecnologico complesso. Si veda, su questo “spazio” lasciato dalla cit. abrogazione, la disciplina sui servizi pubblici a rilevanza economica, come riordinata col d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201. Inoltre, occorrerebbe soffermarsi sulla recente giurisprudenza riguardante l’affidamento da parte dei soggetti titolari (ad es. dei Comuni) di taluni segmenti o attività del servizio di gestione dei rifiuti urbani, che “spingono” per la loro p.c.d. “scomposizione”, al fine di assicurare la tutela della concorrenza e/o fors’anche per evitare accordi, se non forme abusive o collusive, non soltanto tra i diversi soggetti operanti nel mercato. Per cui, seguendo questo orientamento, un Comune in una gara di appalto del servizio di raccolta e trasporto di rifiuti non potrebbe affidare all’appaltatore anche il trattamento impiantistico dei flussi dei RU raccolti, per le cui successive attività dovranno invece esperirsi apposite gare. La questione è invero più complessa, e può trovare più soluzioni diversamente congeniando i contenuti dell’affidamento. Peraltro l’ARERA nei suoi tanti “interventi” assume un ruolo condizionante anche in parte qua . Per un primo ragionamento di insieme sia concesso rinviare a A. Pierobon Servizi pubblici locali preterintenzionali e tariffe (ma non solo) , in Riv. giur. amb. Diritto.it, 2024, 2 e A. Pierobon - G.M. Caruso, L’organizzazione del servizio pubblico locale dei rifiuti urbani, in Azienditalia , 2024, 11.

4 Recentemente si veda A. Scialò - F. Costantino, Le prescrizioni ambientali ex artt. 318 bis e ss. del d.lgs. n. 152/2006: tra certezze giurisprudenziali e divergenze applicative degli organi di vigilanza , in Dir. giur. agr. al. amb., 2024, 6.

5 Cfr. C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2011, 136 per cui «l’interprete può e deve opporre un’interpretazione selettiva, attenta al significato delle violazioni delle singole prescrizioni o condizioni, verificando volta per volta il loro carattere offensivo rispetto al bene finale tutelato». Dello stesso Autore vedasi, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68 , Torino, 2015.

6 Più volte mi è capitato di assistere ad erronee (talvolta capziose) interpretazioni del principio di autosufficienza bacinale o dell’ATO congiuntamente al principio di prossimità, di fronte alle crisi nella gestione dei rifiuti urbani come pure nell’ambito di riforme legislative o in sede di approvazione di Piani regionali, tenuti da consiglieri regionali, se non addirittura parlamentari (finanche avvocati e/o rivestenti posizioni di vertice in varie Amministrazioni o Aziende pubbliche) che da anni seguono le tematiche ambientali, segnatamente dei rifiuti.

7 Nella gerarchia della gestione dei rifiuti di cui al primo comma ove si elenca il seguente «ordine di priorità»: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo (ad es. energia); e) smaltimento. Per il comma 3 dell’art. 179 TUA da tale «ordine di priorità» ci si potrà discostare «in via eccezionale» giustificando certune condizioni obiettive.

8 Ove, tra altro, si rimette all’Autorità competente (come vedremo meglio oltre) di valutare una serie di elementi (di ordine tecnico, economico e di ragionevolezza) onde stabilire la destinazione finale del rifiuto, nell’alternativa tra il recupero e lo smaltimento.

9 Sia concesso rinviare a A. Pierobon - R. Quaresmini, Economia Circolare e discariche di rifiuti. Prima lettura del d.lgs. 3 settembre 2020, n. 121: il bene del male? , in L’Ufficio Tecnico, 2021, 3.

10 P. Dell’anno, Disciplina della gestione dei rifiuti, in P. Dell’anno - E. Picozza (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente , vol. II, Discipline ambientali di settore, Padova, 2013, 190-191. Sempre l’A. sui criteri della «priorità» da seguire osserva che «già ispiravano la normativa precedente, ma che non avevano raggiunto il rango di princìpi ordinatori, ricevendo deroghe ed attenuazioni di vario genere (... ora... NdR) derogabile soltanto in via eccezionale per “singoli flussi di rifiuti” e da giustificare secondo specifici parametri di giudizi indicati nel decreto (art. 179, comma 3)».

11 Su questa potenzialità o, meglio, “idoneità” concretamente declinabile in vari modi, si dovrebbe aprire una più complessa e più ampia discussione, soprattutto in linea tecnico-amministrativa, più che giuridica.

12 Ho osservato che il già mentovato comma 4 bis dell’art. 5 del d.lgs. n. 36 del 2003 è stato introdotto proprio dal d.lgs. n.121 del 2020 per cui è successivo all’art. 182 del TUA.

13 Anche sulla rivisitazione dei princìpi della prossimità (malamente interpretati e applicati, se non abusati), della autosufficienza (un antico ideale di perfezione, sconfessato dalla perdurante emergenzialità), delle specializzazioni e altri ancora, rivisti oltre il dato giuridico e utilizzando altre mappe cognitive che portano a diversi risultati, si rinvia (per il momento) a A. Pierobon, Governo e gestione dei rifiuti urbani: approcci, metodi, percorsi e soluzioni , Milano, 2002.

14 In www.osservatorioagromafie.it.

15 L. Ramacci, Rifiuti: la gestione e le sanzioni, Piacenza, 2014, 38

16 A. Galanti, op. cit., 175.

17 M. Busà - P. Costantino, La disciplina dei rifiuti. Prontuario tecnico-giuridico , Rimini, 2012, 251.

18 D. Sabatino, Art.182 smaltimento dei rifiuti, in R. Greco (a cura di), Codice dell’ambiente, Lecce, 2011, 719.

19 Soprattutto pianificatorie, oltre quelle prescrittive-autorizzative.

20 Circa quindici anni or sono, un consorzio nazionale mi incaricò di seguire (con oneri a carico della compagnia assicuratrice) il ritiro per il trattamento di rifiuti (più o meno) plastici contenuti in vari containers che, nel corso di una spedizione transfrontaliera di rifiuti, erano stati “bloccati” in un porto sloveno. Si tentò di ipotizzare il loro trattamento (previo trasporto) presso diversi impianti di recupero. Alla fine (in accordo con l’Autorità competente) risultò più conveniente e sostenibile - sia da un punto di vista economico, che ambientale (logistico connesso con movimentazione e mezzi da apprestarsi considerati nei loro impatti), come pure organizzativo - conferirli allo smaltimento in una discarica friulana. Questo per dire che al di là di certe scelte apparentemente virtuose talvolta occorre evitare l’applicazione meccanica delle regole, bensì esercitare una discrezionalità valutativa su più elementi, comunque nell’interesse pubblico.

21 G. Bettiol, Istituzioni di diritto e procedura penale, Padova, 1980 (III edizione). Cfr. altresì: R. Bettiol - B. Pellegrino, Giuseppe Bettiol. Una vita tra diritto e politica , Padova, 2009; S. Riondato, Un diritto penale detto “ragionevole’’. Raccontando Giuseppe Bettiol , Padova, 2005 e, molto sommessamente, A. Pierobon, Quale la “ragionevolezza” delle sanzioni penali? (Per il trasporto dei rifiuti pericolosi senza formulario) , in www.gazzettaentilocali.it , agosto 2012.

22 R. Guastini, Prima lezione sull’interpretazione, Modena, 2019, 34-35 ove «la congettura intorno alla ratio legis , può essere impiegata soprattutto per rigettare l’interpretazione letterale. Però (...) i giudizi di ragionevolezza sono giudizi di giustizia mascherati».

23 C. Luzzati, La teoria del diritto attraverso lo specchio, Modena, 2017, 40.