Cass. Sez. III n. 43829 del 26 novembre 2007 (Ud. 16 ott. 2007)
Pres. De Maio Est. Marini Ric. Idri.
Alimenti. Reato di cui all\'art. 5 legge n. 283 del 1962 - Commerciante all\'ingrosso - Responsabilità - Configurabilità - Presupposti.

In tema di commercializzazione di prodotti alimentari ortofrutticoli sfusi, ai fini della configurabilità del reato previsto dall\'art. 5 della legge 30 aprile 1962 n. 283, pur dovendosi ritenere che l\'attività del grossista si caratterizzi per un volume di affari e per tempi di smaltimento tali da non consentire sistematici e capillari controlli, tuttavia la responsabilità dello stesso può essere esclusa solo ove, quantomeno periodicamente, siano stati eseguiti controlli a campione su ciascuna delle categorie di prodotti acquistati per la rivendita o sia stata richiesta al produttore la prova di tali indagini.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 16/10/2007
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - SENTENZA
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 2411
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MARINI Luigi - est. Consigliere - N. 04782/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
IDRI Vittorio, nato a Vignola il 16 Gennaio 1959;
Avverso la sentenza emessa a seguito di rito abbreviato in data 9 Novembre 2005 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, che lo ha condannato alla pena di Euro 2.000,00 di ammenda per il reato previsto dalla L. n. 286 del 1962, art. 5, lett. h). Fatto accertato il 20 Settembre 2004;
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere Dott. Luigi Marini;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del Cons. Dott. DI POPOLO Angelo, che ha concluso per l\'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
RILEVA IN FATTO
Il Sig. IDRI è stato giudicato con rito abbreviato in relazione alla contesta violazione della L. n. 286 del 1962, art. 5, lett. h), per avere, quale rivenditore presso il mercato di Vignola, venduto mele contenenti residui di prodotti tossici per l\'uomo in misura superiore a quella tollerata dalla normativa vigente. In particolare, le mele, provenienti da azienda il cui titolare è stato oggetto di separato procedimento, risultavano presentare 0,40 mg/kg di bromopropilato, a fronte di un limite di legge pari a 0,050 mg/kg.
Sulla richiesta del Pubblico Ministero di mandare assolto l\'imputato perché "il fatto non è più previsto come reato", il Giudice ha ritenuto sussistere la penale responsabilità dell\'imputato e lo ha condannato alla pena di Euro 2.000,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza il Sig. IDRI propone ricorso per Cassazione fondato sui seguenti motivi.
Con primo motivo lamenta violazione dell\'art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all\'art. 2 c.p., comma 3, per errata applicazione della legge penale. Sostiene il ricorrente che la decisione impugnata risulta viziata dal momento che la normativa secondaria, che integra il precetto penale, ha reso il fatto contestato non più rilevante sul piano penale: con D.M. 27 agosto 2004, recettivo della disciplina fissata con la Direttiva 2004/59/CE, il limite relativo alla presenza di residui di bromopropilato negli alimenti è stato innalzato da 0,05 a 0,20 mg/kg, limite superiore a quello riscontrato negli alimenti oggetto del capo di imputazione, con conseguente applicazione della disposizione prevista dall\'art. 2 c.p., comma 3. Con secondo motivo lamenta violazione dell\'art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza dell\'art. 40 c.p., comma 2, e della L. n. 283 del 1962, art. 19, per avere erroneamente posto a carico del ricorrente obblighi non compatibili con l\'attività svolta.
Con terzo motivo lamenta violazione dell\'art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza dell\'art. 49 c.p., comma 2. Sostiene il ricorrente che la disposizione in esame non può essere qualificata come fattispecie di pericolo presunto e che non sussiste alcuna prova della concreta offensività della condotta addebitata, offensività che va anzi esclusa alla luce del limite, di ben 40 volte superiore, fissato con il D.M. dell\'ottobre 2004.
Con atto del 24 Settembre 2007 la difesa del ricorrente ha depositato la sentenza con cui il Tribunale di Modena ha mandato assolto il Sig. Luigi Ciò, inizialmente imputato nel medesimo procedimento con il ricorrente, accogliendo la tesi difensiva esposta nei ricordati motivi di ricorso.
OSSERVA IN DIRITTO
1. Con riferimento al primo dei motivi di ricorso, deve rilevarsi che non può essere accolta la prospettazione secondo cui non si verserebbe in ipotesi di jus superveniens in quanto la disposizione che deve essere applicata al caso in esame sarebbe (pag. 7 del ricorso) la Direttiva 2004/59/CE, entrata in vigore il 16 maggio 2004; tale prospettiva contrasta con quanto lo stesso ricorrente afferma, in modo del tutto corretto, nella pagina precedente allorché riconosce che la Direttiva in parola "non è immediatamente applicabile nell\'ambito della legislazione nazionale". In effetti, le direttive in materia rappresentano un riferimento obbligato per il legislatore nazionale, ma quest\'ultimo non viene privato della possibilità di valutare i termini ed i tempi di attuazione dell\'indicazione proveniente dalle istituzioni comunitarie, così che va escluso che le direttive richiamate dal ricorrente siano suscettibili di immediata applicazione da parte delle autorità giurisdizionali nazionali. Il fatto che la Direttiva in esame contenga indicazioni di dettaglio non può attribuire ad essa una efficacia diretta che il regime delle fonti preclude. 2. Così chiarito che il dato normativo potenzialmente applicabile al caso in esame non è la disciplina comunitaria richiamata dal ricorrente, ma la normativa nazionale che ne opera il recepimento, e cioè il D.M. 27 agosto 2004 (entrato in vigore il 15 dicembre 2004), la Corte ritiene che i nuovi e più elevati limiti introdotti da tale decreto non possano trovare applicazione alle condotte poste in essere in epoca anteriore.
Come ripetutamente affermato dal Giudice di legittimità, infatti, il principio di retroattività della norma più favorevole non opera allorché si sia in presenza di norme penali in bianco - ed in tale categoria rientra certamente la disposizione oggetto del presente procedimento (L. n. 286 del 1962, art. 5) - che fissano i confini fondamentali della fattispecie incriminatrice e rinviano a disposizioni provenienti da fonti diverse (quali la normativa internazionale o la normativa secondaria nazionale di natura tecnica) al fine di adeguare gli obblighi di legge all\'evoluzione del contesto cui la legge stessa intende riferirsi.
3. In via generale la Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio secondo cui "l\'istituto della successione delle leggi penali (art. 2 cod. pen.) riguarda la successione nel tempo delle norme incriminatrici" tra le quali non rientrano "le vicende successorie di norme extrapenali che non integrano la fattispecie incriminatrice ne\' quelle di atti o fatti amministrativi che, pur influendo sulla punibilità o meno di determinate condotte, non implicano una modifica della disposizione sanzionatoria penale, che resta, pertanto immutata e quindi in vigore. Ne consegue che la successione di norme extrapenali determina esclusivamente una variazione del contenuto del precetto con decorrenza dalla emanazione del successivo provvedimento e che, in tale ipotesi, non viene meno il disvalore penale del fatto anteriormente commesso" (si veda Terza Sezione Penale, sentenza n. 5457 del 19 marzo - 29 aprile 1999, PM in proc. Arlati, rv. 213456, in tema di successione di legge regionale in materia venataria; Terza Sezione Penale, sentenza n. 18193 del 12 marzo - 14 maggio 2002, Pata, rv. 221943, in tema di normativa ministeriale sui centri trasfusionali in relazione al reato previsto dalla L. 4 marzo 1990, n. 107, art. 17).
4. Venendo alla specifica materia della tutela relativa ai prodotti alimentari, la Corte ha più volte affermato, come si vedrà, il medesimo principio. Non mancano, tuttavia, decisioni in senso contrario, come le due sentenze ricordate dal ricorrente, una in tema di limiti venatori (contrastante con la sentenza in proc. Arlati sopra ricordata) ed una in tema di alimenti (Sezione Terza Penale, n. 10203 del 19 giugno - 29 settembre 1998, Vincenzi, rv. 211838). Quest\'ultima, andando consapevolmente di contrario avviso rispetto ad altre decisioni della Corte (quali la sentenza n. 1651 del 1998, Zani), ha affermato che la normativa amministrativa integrerebbe il precetto penale e sarebbe, quindi, soggetta all\'applicazione del principio fissato dall\'art. 2 c.p.. Va, tuttavia osservato, che la sentenza Vincenzi opera con riferimento ad una modifica radicale del precetto, operata attraverso la sostituzione del divieto assoluto di impiego del prodotto chimico con la fissazione di una soglia di tolleranza, e, inoltre, muove dall\'assunto che la autorizzazione dell\'impiego del prodotto si fondi su "una più perfezionata tecnica di verifica".
In ogni caso, indipendentemente dalle peculiarità del caso esaminato dalla sentenza Vincenzi, la prospettiva in essa accolta rappresenta una posizione minoritaria e la giurisprudenza più recente ha ribadito i principi in precedenza illustrati. Con riferimento all\'ipotesi di commercio di sostanze alimentari nocive (art. 444 c.p.), la sentenza n. 19107 del 2006 della Sezione Prima Penale (sentenza del 16 - 30 maggio 2006, Tortora, rv. 234217) richiamando specifici precedenti ha espresso il seguente principio:
"... l\'art. 444 c.p., è una norma penale bianco che viene rivestita di contenuti in base a norme extrapenali integratrici del precetto penale, costituite da disposizioni emanate anche da autorità amministrative o sopranazionali, e che nel caso di specie prevedono il divieto di commercializzazione di carne di bovino adulto, in base ad accertamenti scientifici che nei vari momenti storici indicano come pericolose per la salute determinate condizioni di età dell\'animale, legate a fatti contingenti. Ne consegue che si tratta di norme aventi carattere eccezionale ed efficacia temporanea, per cui la punibilità della condotta non dipende dal momento in cui viene emessa la decisione ma dal momento in cui avviene l\'accertamento, non potendo ad esse applicarsi l\'art. 2 c.p., comma 2, e cioè la retroattività della legge più favorevole. (Per fattispecie analoghe Sez. 3^, 22 febbraio 2000 n. 3905, rv. 215952;
Sez. 3^, 23 aprile 1986 n. 5231, rv. 173042)".
5. Si tratta di principio che questo Collegio condivide anche considerando che, nel settore che qui ci occupa, il modificarsi dei limiti di tolleranza della presenza di prodotti potenzialmente nocivi negli alimenti non risponde solo all\'evoluzione dei parametri di valutazione del rischio (come ritenuto dalla sentenza Vincenzi), ma da una pluralità di fattori fra cui va compresa l\'evoluzione dei medesimi prodotti, con la conseguenza che l\'innalzamento o l\'abbassamento dei livelli di tolleranza può rispondere non solo alla migliore qualità degli accertamenti, ma anche al mutare nel tempo degli stesso parametri di rischio per l\'uomo con riferimento al medesimo prodotto.
6. Quanto al secondo dei motivi di ricorso, egregiamente argomentato e con correttezza di prospettazioni, la Corte ritiene che il ricorrente affronti problematiche di relazione tra il principio affermato dalla legge e la situazione di fatto che meritano di essere attentamente valutate.
Già la giurisprudenza citata dal ricorrente contiene il riferimento ai due contrastanti termini del problema: il divieto, da un lato, di trattare e commerciare prodotti non conformi alle caratteristiche legali; la concreta esigibilità, dall\'altro, dell\'ottemperanza al dettato normativo. Sostiene, dunque, il ricorrente che la quantità dei prodotti alimentari trattati e commercializzati ogni giorno ed i tempi di permanenza degli stessi nella sua disponibilità rendono impossibile un controllo che vada oltre le loro caratteristiche esterne, a tal proposito richiamando il riconoscimento che la stessa Corte (viene citata la sentenza della Sezione Sesta Penale, 18 marzo 1986, Zavagli) ha dato a questa realtà nel momento in cui per i commercianti all\'ingrosso ha escluso il sussistere di una responsabilità penale con riferimento ai prodotti "che non rivelino esteriormente alcun vizio e per i quali l\'analisi o qualsiasi appropriato controllo si risolverebbe, per l\'estrema deperibilità del prodotto, nell\'incommestibilità di esso e in pratica nell\'impossibilità di immetterlo al consumo".
7. L\'interpretazione in tal modo prospettata finirebbe per escludere in radice l\'esistenza di qualsiasi effettivo obbligo di controllo e di ogni cautela in capo al commerciante all\'ingrosso di prodotti ortofrutticoli, rendendo le esigenze del commercio del tutto prevalenti rispetto al bene tutelato dalla norma penale, e cioè la qualità degli alimenti come manifestazione del fondamentale diritto alla salute.
Una simile impostazione contrasta con l\'evoluzione giurisprudenziale che nel tempo ha dato una interpretazione della legge particolarmente attenta alla tutela concreata del bene salute, come dimostrano le numerose decisioni che chiedono anche al commerciante all\'ingrosso una particolare attenzione, che potremmo definire proporzionata alle sue possibilità economiche ed al volume della merce trattata. Si rinvia a tale proposito alle sentenze della Terza Sezione Penale n. 10571 del 22 maggio - 24 ottobre 1995, PM in proc. Deprimas, rv. 202703 e n. 4487 del 4 marzo - 15 aprile 1998, PM in proc. Costa, rv. 210700, che, annullando le decisioni assolutorie delle corti di merito, hanno riaffermato l\'esistenza di obblighi di controllo in capo ai grossisti. In particolare, la seconda decisione afferma che il grossista non può limitare i controlli ai soli vizi di rilevabilità immediata, avendo l\'obbligo di compiere gli opportuni e più impegnativi accertamenti che si rendono necessari a tutela del bene salute.
Tale ultima decisione supera la posizione espressa dalla medesima Sezione della Corte con la decisione Marconi e altro del 16 febbraio - 20 marzo 1996 (sentenza n. 2833, rv. 204864), secondo la quale il grossista poteva rispondere del reato in esame solo in presenza di una delle seguenti condizioni: conoscenza del vizio dell\'alimento;
rilevabilità del vizio al semplice esame esterno; esistenza di dubbi sul fornitore.
8. Ritiene, in conclusione, questa Corte, che l\'attività dei grossisti si caratterizzi per un volume di affari e per tempi di smaltimento dei prodotti alimentari che, in presenza di merci deperibili, effettivamente non consentono sistematici e capillari controlli. Tuttavia, proprio la presenza di un elevato volume d\'affari e le caratteristiche del commercio svolto consentono al grossista la programmazione di forme di verifica della qualità della merce trattata che non possono essere richieste al commerciante al dettaglio. In questo senso va richiamato il principio di diritto fissato dalla Terza Sezione Penale con la sentenza n. 37835 del 19 settembre - 22 ottobre 2001, Loggia e altri (rv. 220347), e cioè che la responsabilità del grossista "può essere esclusa solo ove, quantomeno periodicamente, siano stati eseguiti controlli a campione su ciascuna delle categorie di prodotti acquisiti per la rivendita o sia stata richiesta al produttore la prova di tali indagini". Ed infatti, una volta stabilito che secondo la legge vigente tutti i protagonisti della catena di produzione e commercializzazione dei prodotti alimentari sono destinatari degli obblighi posti a tutela della qualità dei prodotti e della salute dei cittadini, nessuno dei protagonisti può invocare esigenze di natura commerciale come esimente rispetto a tali obblighi, dovendosi individuare per ciascuno di loro le condotte di cautela ragionevolmente esigibili nell\'ambito di un bilanciamento dei diversi interessi che il sistema normativo italiano chiaramente stabilisce avendo come priorità la tutela del diritto fondamentale alla salute.
9. Quanto all\'ultimo motivo di ricorso, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che il superamento dei limiti di tolleranza integri la fattispecie di reato senza che abbia alcun rilievo, ai fini della sussistenza dell\'illecito, l\'indagini sulla offesa in concreto del bene tutelato (si veda per tutte la recente decisione della Sezione Prima Penale n. 3532 del 17 - 30 gennaio 2007, Valastro, rv. 235904).
Al rigetto del ricorso segue, ai sensi dell\'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2007