Dossier Legambiente

Eolico: operazione verità

Altro che Carboni e P3, altro che devastazione del paesaggio a fronte di inutili vantaggi energetici. L’eolico è un settore strategico per il futuro dell’Italia, con 25mila posti di lavoro e 4 milioni di famiglie che oggi usano elettricità prodotta dai mulini. Il “buon vento” rappresenta, infatti, una componente fondamentale di una nuova economia che può essere ben integrata nel paesaggio e contribuire a risollevare dalla crisi il nostro Paese. Per Legambiente la questione è semmai un'altra, l’eolico va difeso, con grande energia, dai fenomeni corruttivi e da qualsiasi tentativo d’infiltrazione d’interessi illeciti o, peggio ancora, della criminalità organizzata. In questo dossier Legambiente ha voluto fare chiarezza sulla situazione dell’eolico in Italia e in particolare sulle polemiche che negli ultimi mesi hanno spesso accostato questa fonte energetica a inchieste della magistratura e a fenomeni illeciti.

 

La fotografia dell’Eolico in Italia restituisce un settore sano, fatto in stragrande maggioranza di imprese serie e di progetti che hanno trovato il consenso del territorio perché ben integrati nel paesaggio. I circa 5.200 MW installati in Italia si trovano in 297 Comuni, in pratica parliamo di una porzione di territorio molto limitata (il 3% dei comuni italiani). Eppure nei confronti dell’eolico l’attenzione mediatica è fortissima, ben maggiore di quella che ad esempio si può trovare nei confronti di fenomeni ben più devastanti per il territorio. Come le cave, con 18 mila siti in Italia, tra attivi e abbandonati e una situazione devastante nel Mezzogiorno dove l’attività estrattiva è spesso nelle mani delle mafie, non ci sono piani e spesso leggi, e al territorio non viene versato neanche un centesimo ma si ritrova con degli enormi scavi nelle montagne. O la cementificazione del territorio, e in particolare quella abusiva con oltre 450mila abitazioni illegali costruite negli ultimi 15 anni.

Ma ciononostante è necessario ed è giusto avere una grande attenzione nei confronti del rapporto tra l’eolico e il paesaggio, del rischio di infiltrazione della criminalità in questo settore, proprio per il grande valore che può avere questa fonte nel disegnare un Paese più pulito e moderno. Per questo abbiamo voluto mettere in evidenza sia i numeri della crescita dell’eolico che le inchieste in corso. Legambiente ha censito 7 inchieste rilevanti, condotte dal 2006 a oggi, che riguardano l’eolico. Si tratta di indagini che hanno conosciuto un’accelerazione a partire dal 2009 e che riguardano in particolare cinque regioni: Sardegna, Sicilia, Campania, Puglia e Calabria. Eppure, nonostante la presenza invasiva in queste regioni delle organizzazioni mafiose e gli ovvi interessi di chi cerca ogni occasione utile per ottenere illegalmente facili profitti, l’eolico è di gran lunga il settore economico meno condizionato da fenomeni criminali e d’illegalità in genere. Basta confrontare questi numeri con quelli del traffico illecito di rifiuti oppure con quelli del ciclo illegale del cemento. Nel periodo gennaio 2006-luglio 2010 sono state compiute in Italia 111 operazioni contro i trafficanti di rifiuti con 609 arresti e 360 aziende coinvolte. Vale la pena sottolineare, peraltro, che delle indagini in corso soltanto una si è già conclusa con una sentenza di condanna primo grado (l’operazione Eolo), mentre diverse non sono ancora arrivate alla fase del rinvio a giudizio. E come sottolineiamo ogni volta in tutte le nostre pubblicazioni, per le persone citate in questo dossier vale il principio di innocenza fino a sentenza definitiva. Inoltre i provvedimenti cautelari scaturiti dalle inchieste, sequestri, denunce, arresti, sono quasi sempre stati emessi durante le fasi di progettazione e autorizzazione, bloccando cioè gli impianti ancora sulla carta, prima che si realizzassero le opere e che i parchi cominciassero a produrre energia. Il che significa che grazie all’attività degli investigatori oggi non c’è pressoché traccia di energia eolica “illegale” che viaggi nella rete elettrica.

 

Insomma i numeri sembrano smentire le accuse circolate in questi mesi riguardo alla permeabilità di questo settore rispetto alla criminalità. Le ragioni del resto sono, per alcuni aspetti, strutturali: non è vero che si possa beneficiare di fondi europei o pubblici per la realizzazione degli impianti. Da tempo in Italia gli incentivi vengono concessi solo per l’energia elettrica effettivamente prodotta. Proprio perché gli incentivi sono erogati per i kWh prodotti, se le pale sono in aree dove non c’è vento e rimangono ferme quel costoso investimento è un totale fallimento che nessuno farebbe. E poiché gli impianti eolici si possono realizzare laddove il vento soffia davvero, che non è ovunque, il futuro di questa fonte energetica sta nel concorrere insieme alle altre rinnovabili in un processo di riconversione energetica e non di rappresentare l’alternativa, da sola, al petrolio. Dunque rappresentare l’eolico come un attività in mano alla mafia nel Mezzogiorno, sostenere che gli impianti beneficino di incentivi anche se sono fermi, che si sta rischiando di riempire l’Italia di migliaia di impianti per produrre pochissima energia elettrica significa offrire una rappresentazione falsa. In primo luogo perché non è l’eolico ma la mafia il problema del Mezzogiorno, ed è vittima come tutte le attività imprenditoriali del controllo del territorio da parte della criminalità organizzata. Certamente non si devono nascondere errori e sottacere speculazioni da parte di alcuni imprenditori, l’assenza di regole che ha portato a realizzare in alcune parti dell’Appennino tra Puglia e Campania chilometri di torri differenti per dimensione, colore e forma, che chiudono completamente i crinali e il paesaggio, realizzati da aziende diverse proprio sui confini amministrativi dei Comuni.  Altre semmai sono le criticità, che vengono sottolineate in questo dossier, e che riguardano in primo luogo l’assenza di regole. Solo poche settimane fa sono state finalmente approvate delle regole nazionali che hanno definito le procedure per l’approvazione dei progetti. In questi anni in assenza delle Linee Guida (peraltro previste da un Decreto Legislativo del 2003, il 387) in ogni territorio si è andati in ordine sparso. E proprio in quelle Regioni dove è più forte il controllo della criminalità, anche per l’eolico, come purtroppo avviene per tutte le attività imprenditoriali, si sono evidenziate aree “grigie” nella individuazione e disponibilità dei terreni su cui realizzare i parchi eolici, i rapporti con la pubblica amministrazione per gli aspetti autorizzativi.

 

Questi dunque i fatti, la realtà che riguarda l’eolico. Eppure, a leggere le prime pagine dei giornali o i commenti autorevoli che accompagnano le inchieste della magistratura, sembra quasi che oggi in Italia l’installazione di torri eoliche sia in cima alle attività criminali condotte in danno dell’ambiente. Non è così. Questa distorsione della realtà è il frutto, da un lato, di un meccanismo di comunicazione comprensibile: l’energia eolica, rinnovabile e pulita, fa notizia quando attira affari sporchi (un po’ sulla falsariga del “padrone che morde il cane”). E dietro la rappresentazione di una  “battaglia sull’eolico” ci sono spesso ragioni di interesse o di ricerca di visibilità mediatica evidenti in alcuni dei protagonisti. Ma, dall’altro, si avverte il rischio di una strumentalizzazione che partendo da fatti ed episodi anche gravi, su cui la magistratura e le forze dell’ordine sono impegnate a fare la massima chiarezza, arrivi a mettere sotto accusa, in maniera del tutto immotivata, una fonte di energia che già rappresenta (e ancora meglio potrà farlo in futuro) una delle risposte più efficaci a disposizione del nostro Paese per rendere più moderno e pulito il proprio sistema energetico, nonché rispettare gli obiettivi fissati dall’Unione europea nella lotta ai cambiamenti climatici.

 

Una corretta valutazione dei fenomeni d’illegalità non deve, comunque, indurre ad abbassare la guardia. Anzi, al contrario. Se, come ci auguriamo, l’energia eolica conoscerà in Italia un ulteriore sviluppo, aumenteranno anche i rischi d’infiltrazione mafiosa o di altri interessi illeciti, a cominciare dai fenomeni corruttivi già emersi per la scelta delle localizzazioni. Deve essere rafforzato, quindi, il sistema delle regole e dei controlli, insieme all’attività di prevenzione e repressione da parte delle forze dell’ordine e della magistratura. In questo dossier richiamano l’attenzione, in particolare, su una figura a nostro avviso anomala, che assomiglia molto a quella del broker nel settore dei rifiuti: lo sviluppatore, così viene definito in gergo, ovvero quel soggetto che, spesso senza alcuna competenza specifica ma per le proprie conoscenza del territorio, “cura” i rapporti con il territorio, propone progetti  pur non avendo le risorse necessarie, definisce accordi con le amministrazioni locali e, solo alla fine, cede l’affare alle imprese vere e proprie contando proprio sulle proprie relazioni privilegiate. Nulla di illecito, sia chiaro, ma in territori dove la presenza della criminalità organizzata è forte, e all’interno di un quadro normativo incerto il confine tra legalità e illegalità diventa assai incerto. Un esempio della necessità di avere procedure trasparenti è emerso, in maniera dirompente, nell’ultima clamorosa inchiesta, quella sulla cosiddetta P3, che ha riguardato anche il tentativo di realizzare, in particolare in Sardegna, parchi eolici potendo contare su rapporti privilegiati con personaggi di primo piano nella Giunta e nell’amministrazione pubblica (una delle accuse riguarda la nomina del Presidente dell’Arpa regionale). Il caso della Sardegna è in qualche modo emblematico, gli impianti realizzati negli ultimi anni sono esclusivamente quelli che hanno avuto la possibilità di superare le maglie della moratoria decisa dalla Giunta Soru. Mentre per il futuro la nuova Giunta Cappellacci ha stabilito che sarà consentito solo a una Società di proprietà della Regione, Sardegna Energia, di realizzare direttamente impianti eolici nella Regione, con una decisione che contrasta evidentemente con un settore, quello energetico, che da tempo l’Unione Europea ha stabilito debba essere liberalizzato. Emblematico, scrivevamo, perché in Sardegna come nelle altre Regioni servono regole certe, per consentire una diffusione dell’eolico attenta alla tutela del paesaggio, sia per i nuovi impianti da realizzare considerando anche l’off-shore e le torri di taglia medio piccola oggi competitivi, sia per gli ambiti dove occorre sostituire torri con tecnologie più moderne e mettere ordine nel paesaggio.

Isolare ed espellere gli interessi criminali dal mercato dell’energia eolica deve rappresentare un obiettivo prioritario per chi ha davvero a cuore il futuro di questa fonte rinnovabile e pulita. Per questo Legambiente sostiene la scelta dell’Anev, l’Associazione nazionale dei produttori di energia eolica, che ha sottoscritto il Protocollo di legalità tra Confindustria e Ministero dell’Ambiente. E formula in questo dossier alcune proposte specifiche, tese a rafforzare tutta la filiera dei controlli, sin dalla fase di progettazione degli interventi. L’obiettivo è quello di far nascere un’Alleanza del buon vento, che faccia della trasparenza amministrativa, dell’attenzione alla tutela paesaggistica e ambientale, del rigore nella denuncia di qualsiasi tentativo d’infiltrazione o di condizionamento mafioso e criminale in genere, la sua ragion d’essere. Siamo convinti, infatti, che per difendere la reputazione di una delle migliori fonti rinnovabili che esistono, non solo in Italia ma nel mondo, non ci sia modo migliore che quello della condanna del malaffare e del ripristino della legalità. L’Italia ha bisogno dell’energia eolica e deve impedire che venga inquinata dai ladri di vento.

 

 

 

1. L’eolico è pulito

I numeri della potenza eolica installata in Italia e le prospettive di crescita prefigurano uno scenario particolarmente interessante per il futuro energetico del nostro Paese, basato su un mix virtuoso di fonti rinnovabili in cui il vento occuperà un posto di primo piano.

Il 2009 ha rappresentato un anno di straordinario sviluppo per questo settore con oltre 1.287 MW di nuove installazioni e un incremento del 25% rispetto all’anno precedente. I 5.148 Megawatt di eolico installato nel nostro Paese producono ad oggi energia elettrica pari al fabbisogno di oltre 4 milioni di famiglie (circa 6,7 Twh di energia elettrica prodotta) evitando di immettere in atmosfera circa 4,7 milioni di tonnellate di CO2. Questi numeri sono importanti perché portano con sé significativi benefici in termini ambientali ma anche occupazionali ed economici. Il Piano Nazionale per le Fonti rinnovabili, presentato dal Governo italiano in attuazione delle direttive europee sull’energia e il clima prevede un obiettivo di 16.000 MW installati al 2020. Una stima che appare in linea con i potenziali calcolati dall’ANEV, che prevedevano in 16.200 MW quello minimo e in 24.000 MW il potenziale teorico massimo per l’Italia.

Il raggiungimento di tale obiettivo porterebbe con sé risultati importanti, coprendo non solo il fabbisogno di energia elettrica di circa 12 milioni di famiglie, ma anche migliorando la qualità dell’aria attraverso un risparmio di 23,4 milioni di tonnellate di CO2, 53.326 tonnellate do NOx, oltre 38 mila tonnellate di SO2 e circa 6 mila tonnellate di polveri sottili.

Il contributo che l’eolico può dare al nostro Paese è importante anche dal punto di vista occupazionale. Secondo l’Anev sono 25.000 gli addetti che il settore già oggi occupa (solo nel 2009 gli addetti del comparto eolico sono aumentati di 5.000 unità) e 67.000 che occuperebbe al 2020 se il potenziale nazionale venisse sfruttato appieno. Nuovi posti di lavoro che contribuiscono a ridurre i gravi danni che l’attuale situazione di crisi economico/finanziaria sta comportando, con un effetto positivo che, in quanto anticiclico, risulta ulteriormente positivo e da sostenere.

 

 

Diffusione dell’energia eolica nelle regioni italiane

Regione

Mw di potenza eolica installata

Piemonte

12,61

Valle d’Aosta

0,01

Lombardia

0,12

Trentino Alto Adige

1,27

Veneto

1,42

Friuli Venezia Giulia

0

Liguria

24,50

Emilia Romagna

23,10

Toscana

45,12

Umbria

1,50

Marche

0,02

Lazio

13,23

Abruzzo

218,29

Molise

254,12

Campania

806,13

Puglia

1128,75

Basilicata

214,32

Calabria

451,49

Sicilia

1160,89

Sardegna

755,68

Fonte: elaborazione Legambiente su dati Gse, Anev, Enea

L’energia del vento attualmente viene prodotta in 297 comuni italiani, per una potenza installata pari a 5.148 Mw a copertura del fabbisogno elettrico di oltre 4 milioni di famiglie. Di questi comuni, 192 si possono considerare autosufficienti dal punto di vista elettrico perché producono più energia di quanta ne consumano. Del totale, 198 sono piccoli comuni e hanno 3,5 Gw di potenza installata, mentre 99 sono comuni sopra i 5.000 abitanti con una potenza installata di circa 1,5 Gw.

 

La crescita dei Comuni con impianti eolici

Anno

2006

2007

2008

2009

2010

Numero di Comuni

118

136

157

248

297

Fonte: “Comuni rinnovabili 2010” di Legambiente

 

E se l’Italia avanza senza scossoni, il vecchio continente viaggia decisamente con il vento in poppa. In Europa solo nel corso del 2009 sono stati installati 10.163 Mw, un dato nettamente superiore a quello di tutte le altre fonti energetiche. Secondo la Gwea (Global wind energy association), la potenza eolica mondiale, sempre nel 2009, è aumentata del 31%. I maggiori Paesi europei hanno scelto di mettere l’eolico al centro del loro mix energetico per il raggiungimento degli obiettivi del 2020. Stando ai piani programmatici che hanno presentato a Bruxelles, il vento sarà la fonte rinnovabile con il trend di crescita maggiore, tanto da arrivare a una potenza installata addirittura superiore alla somma di solare e idrolelettrico. A fare la parte del leone è la Germania, che ha previsto di arrivare entro il 2020 a produrre oltre 100 mila Gwh all’anno, partendo dagli attuali 44.780. Gran Bretagna e Spagna contano entrambe di arrivare a 78 mila Gwh/anno, mentre attualmente ne producono 40.978 la prima e 14.150 la seconda. L’Inghilterra si distingue anche per la crescita che vuole imprimere all’eolico off-shore, in alto mare: oggi ha 1,4 Gw di installato e intende arrivare a 13 entro il 2020.

Diffusione dell’energia eolica in Europa

Nazione

Mw installati

Austria

995

Danimarca

3.465

Francia

4.492

Germania

25.777

Grecia

1.087

Italia

5.148

Olanda

2.229

Regno Unito

4.051

Spagna

19.149

Fonte: Elaborazione su dati Ewea

 

 

E lo sviluppo degli ultimi anni dell’eolico conferma la bontà delle intenzioni contenute nei piani energetici: nel 2009 di tutta la potenza elettrica installata in Europa il 39% proviene dall’eolico, il 26% dal gas e il 16% dal fotovoltaico. Mentre le fonti fossili e il nucleare hanno avuto un trend negativo, con un numero maggiore di impianti dismessi rispetto a quelli messi in funzione. Alla fine del 1999 la potenza installata in Europa era solo di 9,6 Gw. In dieci anni è cresciuta di quasi 8 volte e dal 2004 è più che raddoppiata. L'Italia è terza per installato totale (4.8 Gw), dopo Germania (25,7 Gw) e Spagna (19,1 Gw) che insieme detengono il 60% del totale eolico installato in Europa.

Negli ultimi 10 anni il settore è cresciuto con una media annua del 23% e, secondo la Ewea, entro il 2050 l’energia prodotta da impianti eolici potrà arrivare a soddisfare il 50% del fabbisogno elettrico della popolazione europea.

 

 

 

 

 

 

2. Ladri di vento.

Un’accusa e una denuncia precisa: ladri di vento. E’ così che Legambiente ha voluto intitolare questo capitolo dedicato ai fenomeni d’illegalità che, soprattutto nel corso degli ultimi due anni, stanno emergendo nel settore dell’energia eolica. Il business dell’eolico si è sviluppato nel nostro Paese grazie a una virtuosa politica di incentivi pubblici per la produzione di energia pulita a fronte di regole inesistenti. Proprio L’assenza di regole nazionali ha infatti portato a una confusione normativa incredibile nelle Regioni rispetto all’iter di approvazione dei progetti. La Corte Costituzionale era infatti intervenuta dichiarando illegittime tutte le norme regionali intervenute sulla materia, stabilendo che in assenza delle Linee Guida Statali previste dal D.Lgs. 387/2003 nessun intervento era consentito che riguardasse limiti o criteri per la localizzazione dei siti più idonei alla realizzazione degli impianti. Un’opportunità che in questi anni ha fatto gola a molti faccendieri: i ladri di vento, come raccontano le inchieste della magistratura, infatti non sono solo i boss mafiosi. Accanto alla criminalità organizzata, dalle inchieste è emersa infatti la presenza di affaristi, colletti bianchi, imprenditori insospettabili, disposti a truffare e corrompere pur di accaparrarsi una fetta della torta. In questa ragnatela illegale, gli uomini d’onore, in particolare, giocano un ruolo fondamentale: sono quelli che controllano interi pezzi di territorio, che hanno la disponibilità diretta o indiretta dei terreni, che hanno legami con la politica locale, che entrano in rapporto con l’imprenditore di turno, magari che viene da fuori ed è poco avvezzo a certi contesti. Perché non è il risultato finale che interessa, ma il “pizzo” o il guadagno diretto sui siti, sulle autorizzazioni, sul movimento terra, sulla fornitura del calcestruzzo. Insomma la mafia nell’eolico è una questione che con l’energia pulita non ha nulla a che fare.

 

Sono sette le inchieste aperte dalle procure in Italia, a testimoniare come oggi la forte diffusione dell’energia eolica debba fare i conti con le infiltrazioni della criminalità, mafiosa e non, e con fenomeni di corruzione.

 

Inchiesta

Luogo

Data

Persone arrestate

Procura

Eolico-P3

Sardegna

Maggio 2010

3

Roma - Cagliari

Eolico in Calabria

Strongoli, Melissa, Crotone, Girifalco

Maggio 2010

n.d.

Catanzaro- Crotone

Op. Via col Vento

Avellino

Marzo 2009

4

Avellino

Operazione Ventus

Alta Murgia

Marzo 2009

 

Trani

Operazione Eolo

Mazara del Vallo (Tp)

Febbraio 2009

8

Palermo

Operazione Canali

Torre Santa Susanna (Br)

Marzo 2008

n.d.

Lecce

Operazione Naos

Bivongi (Rc)

Febbraio 2008

n.d.

Perugia

Le principali inchieste sulle infiltrazioni criminali nel settore eolico (elaborazione Legambiente).

 

Quella più recente e senza dubbio dai risvolti più clamorosi, ha preso spunto dal business dell’eolico in Sardegna ed è stata ribattezzata dai mass media Eolico-P3. Tutt’ora in corso, ha portato la Procura di Roma ad arrestare tra gli altri Flavio Carboni (già coinvolto nello scandalo P2). Con grande clamore politico e mediatico a finire nelle indagini sono stati anche il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini, accusato di riciclaggio, il presidente della Sardegna Ugo Cappellacci, ascoltato recentemente dai magistrati, alcuni amministratori locali e funzionari regionali. Il filone legato alla c.d. P3, per cui ad alcuni degli indagati viene contestata la violazione della Legge Anselmi sulle associazioni segrete, è quello più rilevante, ma, come già accennato, tutto nasce da un’indagine sulla realizzazione di alcuni parchi eolici in Sardegna e alle pressioni per la nomina del nuovo direttore dell’Agenzia regionale per l’ambiente. Ad aprile, senza clamore, i carabinieri del Nucleo operativo della Capitale hanno perquisito a più riprese gli uffici della Regione, sequestrando numerosi incartamenti. Dai riscontri del lavoro dei magistrati starebbe emergendo l’esistenza di un vero e proprio comitato d’affari, i cui protagonisti sono a vario titolo accusati di associazione a delinquere, riciclaggio e corruzione di funzionari pubblici e politici per realizzare impianti, anche attraverso l’utilizzo dei fondi neri.

In Sicilia, nel febbraio del 2009, l’Operazione Eolo smaschera una holding criminale di imprenditori e amministratori locali con otto arresti nel trapanese. E’ una delle indagini più importanti, che ha visto in azione oltre 100 uomini tra polizia e carabinieri. Esemplare il mix di personaggi coinvolti: a finire con le manette ai polsi un consigliere comunale, un architetto, un dirigente del Comune di Mazara del Vallo, il fratello di un noto mafioso e alcuni imprenditori. La famiglia di Mazara del Vallo non si sarebbe accontentata di occuparsi di movimento terra, ma avrebbe utilizzato gli agganci negli uffici comunali per pilotare le gare e assicurarsi gli appalti per la realizzazione degli impianti. Tutto comincia in un cementificio di Mazara nel 2003, quando in una riunione si decide di nominare l’imprenditore di Salemi Melchiorre Saladino (ritenuto dagli investigatori uomo molto vicino a Matteo Messina Denaro) gestore di un certo affare per conto di una ditta specializzata in pale eoliche. Poco tempo dopo al comune di Mazara del Vallo pervengono due richieste di autorizzazione per realizzare parchi eolici da parte di due ditte concorrenti. Saladino riesce a entrare in possesso di uno dei progetti, consentendo in tal modo all’altra di modificare il proprio per renderlo più competitivo. Ma non basta: è necessario, infatti, garantire l’approvazione del progetto della cosca, per cui bisognava oliare gli ingranaggi: al consigliere comunale impegnato a favorire l’iter vanno la bellezza di 150 mila euro. A marzo del 2010 sono arrivate le 6 condanne comminate dal Gup di Palermo Daniela Troja (due degli arrestati sono stati rinviati a giudizio a novembre 2009, ndr), in tutto 33 anni di carcere. La pena più consistente è stata comminata per associazione mafiosa a Giovan Battista Agate, fratello del capomafia all’ergastolo Mariano Agate, all’architetto del Comune Giuseppe Sucameli e ad Antonino Cuttone. Due anni per corruzione aggravata e favoreggiamento a Cosa nostra, invece, all’imprenditore trentino Luigi Franzinelli, poco meno al suo socio in affari. Tre anni infine al consigliere comunale Vito Martino per avere favorito la Sud Wind di Franzinelli in cambio di tangenti.

Dalla Sicilia alla Puglia. In aprile la Procura di Foggia, in collaborazione con gli agenti della locale Polizia provinciale e con gli uomini del Corpo forestale dello Stato, ha messo sotto sequestro un impianto di 51 aerogeneratori nel territorio di Sant’Agata di Puglia Tra i 14 indagati per abuso d’ufficio, falso ideologico e abusi edilizi, risultano anche il sindaco e il vicesindaco del comune, oltre al responsabile dell’ufficio tecnico. L’indagine, cominciata nell’estate del 2009, avrebbe accertato il rilascio di permessi illegittimi per la realizzazione del parco eolico con vantaggi economici per i titolari dell’impresa e per gli stessi amministratori pubblici.

L’Operazione Ventus, cominciata nel marzo del 2009, riguarda invece la costruzione abusiva di un impianto eolico nel Parco dell’alta Murgia scoperto dagli uomini del Corpo forestale dello Stato di Gravina di Puglia. Cinque le persone indagate dalla Procura di Trani con l’accusa di deturpamento di bellezze naturali e violazione della normativa sulle aree protette. Da poco si è avviato il processo nelle aule del tribunale Canosa di Puglia.

Anche in passato le procure pugliesi avevano indagato su alcune società legate alla Sacra corona unita. Nel 2008 i carabinieri del Comando provinciale di Brindisi e le indagini antimafia della Procura di Lecce scoprono l’interesse del clan Bruno per l’eolico: acquistati alcuni terreni, i boss avevano già in tasca le autorizzazioni necessarie. E’ l’operazione Canali che fa scattare le manette ai polsi di 24 persone indagate per traffico, d’armi e di stupefacenti, contrabbando e controllo sull’attività di alcuni amministratori locali, anche per agevolare il nuovo e remunerativo affare dell’eolico. Il processo che vede alla sbarra 11 affiliati alla famiglia Bruno è cominciato nel giugno del 2010.

Un’altra regione in cui sono in corso indagini importanti è la Calabria, dove sull’eolico illegale stanno investigando attualmente sia la Procura di Catanzaro che quella di Crotone. La prima ha aperto tre distinti fascicoli e l’inchiesta principale, che vede impegnata la Guardia di finanza, riguarda una maxitangente di 2 milioni e 400 mila euro. Avviata dalla Procura di Paola, l’indagine si è concentrata su fatti avvenuti a partire dal 2006 e coinvolge ex amministratori regionali, imprenditori e faccendieri che si sarebbero adoperati per favorire, dietro compenso, alcuni uomini d’affari interessati a investire in parchi eolici. Altre indagini sono in corso su presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nella realizzazione di un impianto a Crotone e sulla violazione delle leggi e delle procedure urbanistiche per un impianto a Girifalco (Cz), dove un cittadino che ha pubblicamente denunciato la falsificazione delle mappe catastali è stato pesantemente minacciato ed è costretto a vivere fuori regione. I magistrati di Crotone sono invece impegnati a fare luce su presunte irregolarità nella realizzazione di parchi a Melissa e a Strongoli, dove risultano indagati i rispettivi capi dell’ufficio tecnico comunale.

Tra le inchieste in corso più delicate figura quella denominata Via col vento, condotta dalla Procura di Avellino, che deve ancora concludersi con le richieste di rinvio a giudizio. Nel novembre del 2009, dopo due anni di indagini, vengono emesse quattro ordinanze di custodia cautelare eseguite dalla Guardia di finanza. L’accusa della Procura è di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, ossia di aver messo a punto un sistema di false certificazioni per ottenere senza titolo i contributi pubblici destinati alla produzione di energia eolica. Dodici società, tra Avellino e la Sicilia, avrebbero dichiarato senza titolo la proprietà dei siti e la disponibilità finanziaria necessaria per accedere ai finanziamenti.

Già tra le pagine di Ecomafia 2008, il rapporto annuale sulla criminalità ambientale, Legambiente raccontava le prime inchieste sulle infiltrazioni mafiose nel settore dell’eolico. Come l’operazione Naos della Dda di Perugia, che nel febbraio del 2008 porta alla luce il ruolo di primo piano delle ‘ndrine calabresi nella realizzazione di alcune opere pubbliche a Bivongi, nel reggino. Nella vallata dello Stilaro, uomini della cosca Morabito-Bruzzaniti-Palamara insieme a una centrale idroelettrica progettavano la realizzazione di alcuni impianti eolici beneficiando degli incentivi pubblici per le energie rinnovabili. Le società costituite ad hoc per portare avanti l’affare avevano sede legale a Perugia. Nel febbraio del 2008, vengono arrestati uomini della ‘ndrangheta, funzionari di banca ed esponenti politici calabresi.

Ancora prima, ci sono le indagini che portano nel 2003 al commissariamento del comune di Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Secondo gli investigatori la locale cosca degli Arena esercitava forti condizionamenti sull’amministrazione, tra l’altro per l’autorizzazione di un parco eolico su un terreno di sua proprietà. Così come quelle che in Sicilia avevano portato nel 2005 allo scioglimento per mafia del Comune di Vicari, nel palermitano, anche per gli interessi di Cosa nostra in un progetto eolico.

 

Sardegna, Campania, Sicilia, Calabria, Puglia, sono dunque queste le regioni interessate dalle maggiori inchieste sull’eolico avviate negli ultimi anni. E non a caso, eccezione fatta per la Sardegna, sono anche le regioni a tradizionale presenza mafiosa, in cui è più facile che il sistema economico subisca gli attacchi delle organizzazioni criminali, dove è maggiore il pericolo di contaminazione con gli affari dei boss. E per combattere questa realtà, le Procure e le Forze dell’ordine si avvalgono anche delle intercettazioni telefoniche e ambientali, che spesso sono lo strumento determinante per scoprire nuove illegalità e aprire nuovi filoni d’indagine.

Ed è proprio un’intercettazione telefonica che nel 2004 rivela i boss delle famiglie della Valle del Belìce che discutono de “li pali di lu ventu” da piantare nei loro terreni tra Santa Ninfa e Gibellina, nella campagna trapanese. Trattandosi di opere ad alta tecnologia che sarebbero state realizzate da alcune imprese del Centro-nord, l’infiltrazione criminale sarebbe avvenuta nella fase di movimentazione terra e nel coinvolgimento della manodopera locale. Le indagini dei carabinieri portano l’anno dopo a numerosi arresti e per la prima volta vengono alla luce gli interessi della mafia siciliana nell’eolico, gli stessi che nel febbraio del 2009 conducono agli arresti dell’operazione Eolo della Dda di Palermo.

 

 

 

 

3. Le proposte di Legambiente

 

Legambiente è convinta che un Paese come l’Italia abbia tutto l’interesse a percorrere la direzione segnata dall’Unione Europea di scegliere la chiave del clima come grande sfida di innovazione.

E l’eolico per l’efficienza che hanno raggiunto le tecnologie e le potenzialità presenti nel territorio italiano può svolgere un ruolo fondamentale all’interno di una prospettiva di crescita di una generazione energetica distribuita fatta di impianti efficienti e tecnologie pulite. Una prospettiva, del resto, ben più credibile, moderna e desiderabile di quella che vorrebbero muovere i paladini del nucleare o del carbone. Perché per un Paese dipendente dalle importazioni di fonti fossili, l’efficienza energetica è un investimento sempre e comunque lungimirante, e per un sistema industriale che ha il suo cuore nelle piccole e medie imprese le fonti rinnovabili possono diventare una grande opportunità di competitività.

 

Per intraprendere questa direzione occorre innanzi tutto un quadro di regole chiaro e trasparente per l’approvazione dei progetti di impianti eolici, che sono oggi la prima condizione di incertezza per gli investimenti in questo settore. Ma è necessario anche intervenire per “espellere” dall’eolico qualsiasi situazione, personaggio o progetto che rischia di lasciare una patina di illegalità nei confronti di un settore così importante per il futuro del Paese e del clima del Pianeta. E poi intervenire per risolvere alcuni problemi che ancora rappresentano un ostacolo rispetto agli obiettivi di sviluppo in Italia nella prospettiva fissata per le rinnovabili al 2020. Il primo problema riguarda la gestione della rete elettrica nazionale, i ritardi negli interventi di ammodernamento da parte di Terna e la situazione, incredibile, che scontano alcuni impianti nell’Appennino e in Sicilia la cui produzione elettrica viene solo parzialmente immessa in rete per l’inadeguatezza della stessa. Ma una seconda questione altrettanto delicata riguarda gli incentivi, dove occorre garantire certezze per gli imprenditori e una gestione trasparente e efficiente che permetta un giusto equilibrio rispetto ai costi per la collettività. Sono questioni che non vanno sottovalutate, che vengono utilizzate sia da parte di chi si batte contro gli impianti nei territori che dai tanti opinionisti che si sono spesi contro l’eolico a livello nazionale. Non è uno scherzo del destino che molti di coloro che in questi anni si sono battuti contro l’eolico, sostenendo che togliesse risorse al solare, oggi siano in prima fila per segnalare quella che per loro è l’altra devastante sciagura per il paesaggio italiano (il fotovoltaico a terra). Sono, per fortuna, posizioni minoritarie come tutti i sondaggi confermano ma vanno tenute in conto. Perché le accuse sulle infiltrazioni mafiose nell’eolico, sugli incentivi milionari di cui beneficiano anche se sono fermi, sul rischio di riempire l’Italia di migliaia di impianti per produrre pochissima energia elettrica, sono sicuramente false ma vanno contrastate con forza e intelligenza. Legambiente ritiene che da questa situazione se ne esca solo alzando il livello del confronto e con la consapevolezza della delicatezza della sfida da parte di tutti. Perché dietro queste posizioni, a spiegare l’incredibile spazio mediatico che spesso trovano, ci sono anche i solidi interessi di chi ha da guadagnare dalle polemiche intorno alle rinnovabili e punta a evidenziarne i limiti. E che oggi guarda con preoccupazione come questo processo stia dando risultati reali e rischia di mandare in crisi la campagna mediatica sui vantaggi dell’atomo o del carbone per le famiglie italiane.

Per garantire uno sviluppo virtuoso dell’energia eolica, Legambiente formula alcune proposte precise:

 

1) Fissare regole efficaci e trasparenti per i progetti eolici e obiettivi di sviluppo in tutte le Regioni. Finalmente con l’approvazione delle Linee Guida per i progetti da fonti rinnovabili, tanto attese, ci sono oggi le condizioni per avere in ogni Regione regole certe. Perché l’obiettivo è di arrivare a calare nelle diverse realtà le indicazioni di tutela (ossia dove i grandi impianti eolici non devono essere realizzati perché in presenza di aree di pregio naturalistico come Sic e Zps, rotte di migrazione di avifauna e fauna, paesaggi unitari e riconosciuti) e indicare dove e con quali attenzioni, studi, valutazioni degli impatti invece realizzarlo nel modo migliore e in tempi certi in tutte le altre aree. Spetta al Governo vigilare perché questo processo vada avanti in tutte le Regioni e intervenire qualora non fossero rispettati gli obiettivi di sviluppo dell’eolico, in coerenza con gli obiettivi europei al 2020, e di tutela ambientale e paesaggistica. E alle Regioni di spingere una direzione per cui i Comuni si coordinino per l’approvazione degli impianti eolici, in modo da avere attenzione all’inserimento nel paesaggio di area vasta e procedure trasparenti che aiutano soprattutto i piccoli Comuni.

2) Vigilare sulla trasparenza dei processi e fissare impegni precisi per la legalità. E’ importante che si lanci un segnale preciso come quello avviato con la firma da parte dell’Anev del Protocollo di legalità tra Confindustria e Ministero dell’Ambiente. E poi vigilare e collaborare con la Magistratura e le forse dell’ordine, nonché fissare precisi impegni e decisioni conseguenti per contrastare con fermezza la presenza di soggetti e attività criminali nel settore dell’eolico, con attività di carattere sia preventivo che sanzionatorio.

3) Dare certezza agli incentivi per le fonti rinnovabili. Legambiente si è sempre spesa per un sistema trasparente come quello tedesco che, per tutte le fonti rinnovabili, prevede il conto energia e dunque la possibilità di monitorare effetti e costi del sistema in modo da poterli ridurre progressivamente da ora al 2020. Bisogna senz’altro intervenire per rendere più efficace e trasparente, anche meno generoso, il sistema dei certificati verdi monitorando con attenzione l’impatto e l’efficacia rispetto alle diverse fonti. Però evitiamo ipocrisie, chi oggi lancia allarmi per il possibile impatto degli incentivi sulle bollette dimentica che tuttora le fonti rinnovabili “costano” meno di tante altre voci in bolletta che nulla hanno a che fare con le fonti energetiche pulite (a partire dai famigerati incentivi CIP6 per gli inquinanti impianti da fonti fossili premiati). Oggi vi sono tutte le condizioni tecnologiche per raggiungere gli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili previsti al 2020 e insieme creare le condizioni per avere a quella data la “grid parity”, ossia la possibilità che gli impianti da rinnovabili non abbiano più bisogno di incentivi perché competitivi rispetto a tutte le altre fonti fossili.