Cass. Sez. III n. 21153 del 16 luglio 2020 (PU 13 feb 2020)
Pres. Lapalorcia Est. Aceto Ric. Souhil
Rifiuti.Veicoli fuori uso e prodotti del loro smantellamento

I veicoli fuori uso e i prodotti del loro smantellamento sono rifiuti ai sensi della voce «16 01» dell’allegato D alla parte quarta del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, richiamato dall’art. 184, comma 5, stesso decreto. Solo le parti di autoveicoli risultanti dalle operazioni di messa in sicurezza di cui al d.lgs. 24 giugno 2003, n. 209, provenienti dai centri di raccolta autorizzati di cui al d.lgs. 209/2003, cit., costituiscono rifiuti trattabili per il recupero in regime semplificato ai sensi del d.m. 05/02/1998, suballegato 1-5. A norma dell’art. 184-ter, comma 1, d.lgs. 152/2006, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfi i criteri e le condizioni in esso previsti. L’art. 184-ter, comma 4, d.lgs. 152/2006, richiama espressamente anche il d.lgs. 209/2003. Ne consegue che solo le parti di autoveicoli recuperate a seguito di messa in sicurezza, da parte di soggetto autorizzato e con il concorso delle condizioni di cui all’art. 184-ter, d.lgs. 152/2006, cit., cessano di essere rifiuti

RITENUTO IN FATTO

    1. Il sig. Souhil Said ricorre per l’annullamento della sentenza del 04/02/2019 della Corte di appello di Milano che, per quanto lo riguarda, ha confermato la condanna alla pena di sei mesi e quindici giorni di arresto e 1.480,00 euro di ammenda inflitta in primo grado per i reati rubricati ai capi B (artt. 110 cod. pen., 256, comma 1, lett. a e b, d.lgs. n. 152 del 2006, commesso in Milano il 29/10/2014), e C (art. 256, comma 2, in relazione al comma 1, lett. b, d.lgs. n. 152 del 2006, commesso in Assago il 21/01/2015).
        1.1. Con il primo motivo, che riguarda il reato di cui al capo B, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 183, d.lgs. n. 152 del 2006, nonché la contraddittorietà della motivazione. Contesta, in particolare, la qualifica di “rifiuti” attribuita dalla Corte di appello ai pezzi di ricambio diretti alla propria officina per essere impiegati nell'attività di carrozziere e meccanico da lui legittimamente esercitata; qualifica attribuita, aggiunge, in assenza di un accertamento peritale. Denuncia, a tal fine, il malgoverno del principio affermato, in materia di veicoli fuori uso, dalla Corte di cassazione con sentenza Sez. 3, n. 11030 del 2015.
        1.2. Con il secondo motivo, che riguarda i fatti di cui al capo C, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 183, comma 1, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, nonché l’illogicità della motivazione posto che, delle acquisizioni dibattimentali, risulta il corretto smaltimento dei rifiuti secondo i codici CER prodotti dalla difesa e il fatto che i rifiuti sono stati suddivisi ed etichettati in un secondo momento. Ribadisce che la condanna è stata pronunciata in assenza di un accertamento peritale in ordine alla tempistica della giacenza dei rifiuti. Aggiunge che la Corte di appello ha riproposto tal quali le argomentazioni del primo giudice senza motivare in modo preciso e puntuale la dedotta mancanza dei requisiti della temporaneità e del controllo, richiesti per stabilire la liceità o meno del deposito.
        1.3. Con il terzo motivo, che riguarda il trattamento sanzionatorio, deduce: a) sotto un primo profilo, la mancanza di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell'articolo 131-bis, codice penale; b) sotto un secondo profilo, la mancanza di motivazione in relazione alla mancata concessione di circostanze attenuanti generiche; c) sotto un terzo profilo, la illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.



CONSIDERATO IN DIRITTO

    2. Il ricorso è inammissibile.

    3. Il ricorrente risponde dei reati ascritti ai capi B e C della rubrica.
        3.1. Con il capo B si contesta la condotta di gestione non autorizzata di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi; in particolare, l’imputato avrebbe smaltito parti di veicoli fuori uso (5 motori ancora sporchi di olio, 4 cruscotti, 2 sterzi, uno pneumatico fuori uso, 5 paraurti, 3 cofani, 2 cambi anch’essi ancora sporchi di olio) ed un contenitore di plastica, della capacità di 25 litri, contaminato da idrocarburi, affidandoli per il trasporto a soggetto non autorizzato, in assenza di idonea documentazione e di certa destinazione al fine del loro recupero e/o smaltimento. Su tali rifiuti gravava in origine un provvedimento di sequestro, disposto in altro procedimento per il reato di gestione non autorizzata di rifiuti, che la contestazione ipotizza come noto al ricorrente.
        3.2. Con il capo C si contesta il deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi (parti meccaniche di veicoli ancora intrise di olio motore) realizzato in area esterna e pertinenziale ai locali della omonima officina di sua proprietà.
        3.3. Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che:
            3.3.1. il 29/10/2014 la Polizia Locale del Comune di Opera aveva proceduto al controllo di un furgone all’interno del quale venivano trasportate parti di veicoli fuori uso (così come descritte dalla rubrica);
            3.3.2. né il furgone, né i suoi occupanti (tra i quali l’odierno ricorrente) erano iscritti all’Albo Nazionale Gestori Rifiuti;
            3.3.3. le cose trasportate provenivano da un insediamento già sottoposto a sequestro per reati ambientali; alcuni motori erano addirittura abbinati a veicoli dei quali era stato denunciato il furto;
            3.3.4. uno degli occupanti il furgone (Abou Khola Youssef) aveva spontaneamente dichiarato che lo stesso Said Souhil aveva depositato i rifiuti anni prima nel deposito dal quale erano stati prelevati quello stesso giorno per essere trasportati presso l’officina di questi ove in effetti il furgone si stava recando;
            3.3.5. lo stesso ricorrente, sentito nel corso delle indagini, aveva ammesso di aver organizzato il trasporto del materiale e dei pezzi di ricambio dal magazzino, ove anni addietro li aveva depositati e dal quale erano stati prelevati; il suo intento era, appunto, quello di utilizzarli come pezzi di ricambio;
            3.3.6. il 27/01/2015 era stato effettuato un controllo presso l’officina del Souhil al cui interno erano stati rivenuti diversi banchi di lavoro con parti di veicoli e bidoni di olio esausto e filtri esausti; all’esterno si trovavano, appoggiati direttamente sul suolo naturale, parti di veicoli derivanti dalle lavorazioni e tubi di gomma, che davano origine a percolazioni di sostanze oleose nel terreno.

    4. Premesso che il ricorrente non contesta i fatti così come risultano dalla motivazione della sentenza impugnata, il primo motivo è generico e manifestamente infondato.
        4.1. Secondo il ricorrente, l’oggetto materiale della condotta descritta al capo B non sarebbe costituito da rifiuti trattandosi di cose destinate al riutilizzo nella propria officina meccanica.
        4.2. La deduzione è generica e manifestamente infondata.
        4.3. E’ generica, perché omette un passaggio preliminare di decisiva importanza: il pregresso abbandono di tali “cose” presso un capannone effettuato anni prima. Soffermarsi, pertanto, solo sull’utilizzo attuale di quelle “cose” equivale ad astrarre la condotta dallo specifico contesto nel quale è stata tenuta.
        4.4. E’ manifestamente infondata perché il ricorrente non contesta, come detto, che oggetto del trasporto fossero parti di veicoli (evidentemente fuori uso), alcune delle quali ancora intrise di olio.
        4.5. Come giustamente ricordato dalla Corte di appello, i veicoli fuori uso e i prodotti del loro smantellamento sono rifiuti ai sensi della voce «16 01» dell’allegato D alla parte quarta del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, richiamato dall’art. 184, comma 5, stesso decreto. Solo le parti di autoveicoli risultanti dalle operazioni di messa in sicurezza di cui al d.lgs. 24 giugno 2003, n. 209, provenienti dai centri di raccolta autorizzati di cui al d.lgs. 209/2003, cit., costituiscono rifiuti trattabili per il recupero in regime semplificato ai sensi del d.m. 05/02/1998, suballegato 1-5. A norma dell’art. 184-ter, comma 1, d.lgs. 152/2006, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfi i criteri e le condizioni in esso previsti. L’art. 184-ter, comma 4, d.lgs. 152/2006, richiama espressamente anche il d.lgs. 209/2003. Ne consegue che solo le parti di autoveicoli recuperate a seguito di messa in sicurezza, da parte di soggetto autorizzato e con il concorso delle condizioni di cui all’art. 184-ter, d.lgs. 152/2006, cit., cessano di essere rifiuti.
        4.6. La deduzione difensiva secondo la quale non si sarebbe trattato di “rifiuti” sol perché destinati all’utilizzo presso l’officina dell’imputato non tiene conto del fatto che, come detto, detti beni costituivano rifiuti prima ancora del loro prelievo. Trattandosi di “rifiuti” non sottoposti ad alcuna operazione di recupero, tali sono rimasti al momento della loro apprensione e trasporto a prescindere dall’uso che il ricorrente intendeva farne.
        4.7. L’ulteriore deduzione difensiva della necessità di una perizia per stabilire la qualità di rifiuto delle cose trasportate, è totalmente priva di pregio. Come correttamente ricordato dalla Corte di appello, la natura di rifiuto pericoloso di un veicolo fuori uso non necessita di particolari accertamenti, quando risulti, anche soltanto per le modalità di raccolta e deposito, che lo stesso non è stato sottoposto ad alcuna operazione finalizzata alla rimozione dei liquidi o delle altre componenti pericolose (Sez. 3, n. 11030 del 05/02/2015, Rv. 263248). Che si trattasse, come detto, di parti di veicoli (fuori uso) non è contestato, né è contestato che fossero ancora intrise di olio; non si comprende, dunque, in che modo la Corte di appello avrebbe fatto cattivo uso del principio affermato dalla Corte di cassazione che si attaglia perfettamente al caso di specie.

    5. A non diversi rilievi si espone il secondo motivo, il quale risulta proposto anche al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
        5.1. Non possono aver ingresso in questa sede le deduzioni difensive, circa i pregressi smaltimenti dei rifiuti, a sostegno della temporaneità del deposito; men che meno che successivamente egli aveva provveduto a suddividere ed etichettare i rifiuti stessi. Quel che rileva è ciò che è stato rilevato al momento dell’accertamento: un ammasso indistinto di rifiuti poggiati direttamente sul suolo naturale con percolazione dei liquidi oleosi.
        5.2. Secondo quanto prescrive l’art. 183, comma 1, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, il “deposito temporaneo” di rifiuti, per essere qualificato tale, deve rispettare alcuni requisiti indispensabili tra i quali l’essere «effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute» (lett. bb, n. 3). Si tratta di requisito in mancanza del quale il deposito non può mai essere definito “temporaneo” (e dunque lecito), pur nella astratta concorrenza delle altre condizioni previste dalla lettera bb) dell’art. 183, cit.
        5.3. Ai fini della qualificazione del deposito come “temporaneo”, i requisiti previsti dall’art. 182, comma 1, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, devono ricorrere tutti contemporaneamente.

    6. Il terzo motivo è manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge.
        6.1. La Corte di appello ha escluso la particolare tenuità del fatto in considerazione: a) della reiterazione della condotta; b) della non tenuità del danno all’ambiente; c) della non occasionalità del comportamento posto in essere dall’imputato nell’ambito di un’attività imprenditoriale.
        6.2. Tale giudizio è coerente con i fatti accertati e con la ‘ratio’ dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, volto a sottrarre alla pretesa punitiva fatti di minima offensività e del tutto occasionali. A tacer d’altro, la riconduzione delle condotte all’attività professionale dell’imputato giustifica da sola l’assenza del requisito della non abitualità.
        6.3. Le circostanze attenuanti generiche sono state negate sul rilievo della mancanza di elementi positivi di valutazione e del precedente penale per il delitto di invasione di edifici. Il ricorrente lamenta la svalutazione del suo atteggiamento collaborativo e la eccessiva importanza attribuita alla precedente condanna.
        6.4. La deduzione difensiva è in contrasto con il consolidato insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, Alba, Rv. 230691; Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi, Rv. 214570). Si tratta di un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
        6.5. Il beneficio della sospensione condizionale della pena è stato negato in considerazione del giudizio prognostico negativo formulato dalla Corte di appello a causa della precedente (ed infruttuosa) concessione del medesimo beneficio e delle modalità non rispettose della normativa ambientale con cui il ricorrente gestiva la sua attività di meccanico.
        6.6. Si tratta di motivazione non manifestamente illogica che non può essere sovvertita dalla negazione dei suoi presupposti fattuali operata dal ricorrente in base alla dedotta piena liceità della propria condotta. Nè rileva quel che la Corte di appello avrebbe potuto diversamente decidere poiché in tal modo si sollecita, di fatto, un giudizio di merito sulla decisione assunta che non compete alla Corte di cassazione.

        7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso (che osta alla rilevazione della prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata) consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 13/02/2020.