Beni paesaggistici e necessità di decreto di vincolo
(Nota critica alla sentenza n. 7019/2024 del Consiglio di Stato riguardante il centro storico di Firenze e comunque i centri storici UNESCO)
di Massimo GRISANTI
Con sentenza n. 7019/2024 pubblicata il 7 agosto 2024 la Sesta Sezione del Consiglio di Stato (Pres. Caputo, Est. Ravasio, Italia Nostra c. Comune di Firenze + 4) nel respingere l’appello dell’associazione ambientalista avverso la sentenza n. 1694/2019 del TAR Toscana ha statuito, dopo aver ricostruito la vicenda sotto il profilo fattuale ed aver dato conto del fatto che il Piano Strutturale, espressione del potere comunale di pianificazione urbanistica, qualifica la zona centrale del capoluogo quale «CENTRO STORICO»:
“… La circostanza che il Centro Storico di Firenze sia inserito negli elenchi dell’UNESCO non implica, come pretende parte appellante, che esso debba intendersi automaticamente assoggettato alla disciplina di tutela dei beni paesaggistici prevista dal dlgs. 42/2004. In particolare, secondo tale normativa i centri storici non sono ricompresi tra i beni, previsti dall’art. 142, vincolati ex lege, ma vengono menzionati dal Legislatore nell’art. 136 comma 1 lett. c) TRA QUEI BENI CHE NECESSITANO DELL’APPOSIZIONE del vincolo paesaggistico da parte dell’Amministrazione, il quale ha valenza ricognitiva dell’interesse pubblico di un centro storico, in ragione del “caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”. Secondo il vigente Codice dei beni culturali, dunque, non si può prescindere da una espressa e formale declaratoria del vincolo, sia per la ragione che l’atto impositivo del vincolo può imporre determinate prescrizioni di tutela ulteriori a quelle previste dallo strumento urbanistico o dai piani paesaggistici, sia per assicurare certezza sullo status dei beni nella circolazione dei beni giuridici.
Vero è che l’inclusione del centro storico della città di Firenze nel patrimonio mondiale dell’UNESCO non può ritenersi priva di significato, ma come correttamente affermato dal TAR, si deve escludere una automatica equipollenza tra tale misura e la dichiarazione di interesse pubblico ai sensi degli artt. 136 e seguenti del D. L.vo 42/2004: la dichiarazione di un bene nel patrimonio mondiale UNESCO può, semmai, integrare una circostanza idonea a giustificare l’avvio del procedimento per la declaratoria di interesse pubblico …”.
La sentenza innova il Codice dei beni culturali per via pretoria, invadendo il potere legislativo, e perciò è assolutamente non condivisibile: per questi motivi.
NON ESISTE nel Codice una disposizione che sia una ove il legislatore abbia scritto che i beni paesaggistici ex art. 136 debbano essere oggetto di dichiarazione ex artt. 138 o 140 affinché ricevino tutela a mezzo della procedura autorizzatoria ex art. 146 e dell’adozione dei provvedimenti di vigilanza ex art. 155.
I beni ex art. 136 ricevono tutela paesaggistica pur in assenza di apposito decreto di vincolo quando sono individuati negli strumenti urbanistici comunali. E lo è stato il centro storico di Firenze.
All’art. 1 del Codice il legislatore ha previsto, quale disposizione di principio, che sia la Repubblica, quindi anche i Comuni, a tutelare il patrimonio culturale secondo le disposizioni del presente codice. E all’art. 146 è prescritto che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, O IN BASE ALLA LEGGE, A TERMINI DEGLI ARTICOLI 136 … non possono distruggerli ecc.
E’ scritto IN BASE ALLA LEGGE, non «in base al Codice» oppure «dal Codice». E dove il legislatore, all’interno del Codice, voleva riferirsi solo alle disposizioni del d.lgs. 42/2004 lo ha detto espressamente; più volte.
Quindi il legislatore ha imposto ai Comuni, obbligo che deriva dall’art. 9 della Costituzione, di concorrere nella tutela del paesaggio mediante l’individuazione ex art. 7 L. 1150/1942 negli strumenti urbanistici – provvedimenti adottati IN BASE ALLA LEGGE – delle zone a carattere paesaggistico predeterminate A TERMINI DELL’ART. 136 del Codice.
Oltre a ciò si consideri che nella formazione degli strumenti urbanistici comunali concorrono le Regioni e le Soprintendenze, in ispecie in caso di adeguamento degli stessi al piano paesaggistico regionale, cosicché gli approvati piani regolatori che individuano i centri e/o i nuclei storici hanno ricevuto l’avallo delle Istituzioni preposte ex art. 155 alla vigilanza sui beni paesaggistici (che poi devono ovviamente tutelare con provvedimenti repressivi, visto che i Comuni, in materia paesaggistica, non hanno competenze).
Siccome non esiste una disposizione del Codice che stabilisca quanto statuito dal Consiglio di Stato, ecco che i giudici hanno operato un’inammissibile interpretatio abrogans delle citate disposizioni degli articoli 1 e 146 d.lgs. 42/2004 che, invece, tutelano i beni paesaggistici quando individuati negli strumenti urbanistici.
Né hanno rilievo, per giustificare la correttezza della sentenza, le osservazioni dei giudici che il decreto di vincolo può imporre «determinate prescrizioni di tutela ulteriori a quelle previste dallo strumento urbanistico» e che occorra «per assicurare certezza sullo status dei beni nella circolazione dei beni giuridici», atteso che:
a) già con l’aggettivo «ulteriori» i giudici da un lato implicitamente riconoscono che i vincoli ex art. 7 L. 1150/1942, da contenersi nelle norme di attuazione del PRG, sono adeguati per assicurare la permanenza dei valori se rilevanti a scala comunale, mentre se i valori fossero rilevanti a scala extra comunale dovrebbero essere la Regione o lo Stato a dover intervenire mediante le dichiarazioni di notevole interesse pubblico ex artt. 138 e 140 corredate dalle specifiche prescrizioni d’uso;
b) la certezza sullo status dei beni nella circolazione dei beni giuridici già ora non è assicurata nemmeno per i beni paesaggistici dichiarati di notevole interesse pubblico perché non esiste alcuna norma positiva che imponga di corredare gli atti dispositivi di diritti reali su tali beni di una certificazione promanante dalla Regione o dallo Stato circa il loro status (a differenza di quanto avviene per il bene culturale). Né è obbligatorio che nel certificato di destinazione urbanistica dei terreni vi sia riportata l’esistenza di vincoli paesaggistici.
Concludendo, sono dell’avviso che la sentenza sia assolutamente non condivisibile e permanga l’obbligo di munirsi di autorizzazione paesaggistica per operare nei centri storici (in ispecie se patrimonio UNESCO come Firenze, Napoli ecc.) ancorché non dichiarati di notevole interesse pubblico, nonché quello di reprimere le opere eseguite in sua assenza.
Pubblicato il 07/08/2024
N. 07019/2024REG.PROV.COLL.
N. 05150/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5150 del 2020, proposto da
Associazione Italia Nostra Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Paoletti, Niccolo' Pecchioli, Nino Scripelliti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Annalisa Minucci, Antonella Pisapia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio n. 15;
nei confronti
Regione Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Arianna Paoletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marcello Cecchetti in Roma, piazza Barberini 12;
Città Metropolitana di Firenze, non costituita in giudizio;
Sezione dei Costruttori Edili e Affini dell'Associazione Industriali della Provincia di Firenze in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Duccio Maria Traina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Firenze, Ordine degli Ingeneri della Provincia di Firenze, Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali della Provincia di Firenze, Collegio dei Geometri e dei Geometri Laureati della Provincia di Firenze, Collegio dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati della Provincia di Firenze, Collegio dei Periti Agrari e dei Periti Agrari Laureati delle Provincia di Siena , Arezzo e Firenze, Consulta Interprofessionale degli Ordini e dei Collegi Professionali Tecnici di Firenze e Toscana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Vincenzo Farnararo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana n. 01694/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Firenze, della Regione Toscana, della Sezione dei Costruttori Edili e Affini, dell'Associazione Industriali della Provincia di Firenze;
Visto l’intervento in giudizio ad opponendum di: Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Firenze, Ordine degli Ingeneri della Provincia di Firenze, Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali della Provincia di Firenze, Collegio dei Geometri e dei Geometri Laureati della Provincia di Firenze, Collegio dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati della Provincia di Firenze, Collegio dei Periti Agrari e dei Periti Agrari Laureati delle Provincia di Siena , Arezzo e Firenze, Consulta Interprofessionale degli Ordini e dei Collegi Professionali Tecnici di Firenze e Toscana;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Roberta Ravasio e uditi per le parti gli avvocati Francesco Paoletti, Antonella Pisapia e Arianna Paoletti. in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams”;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Ricorrendo dinanzi a questo Consiglio di Stato l’Associazione Italia Nostra Onlus appella la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, Sez. I, n. 118 del 12 dicembre 2019, che ha respinto il ricorso dalla stessa presentato avverso le deliberazioni della Giunta Comunale di Firenze n. 670/2017, e del Consiglio Comunale n. 11/2018 e n. 45/218, di approvazione della variante al vigente regolamento urbanistico.
2. Con il ricorso di primo grado, in particolare, l’odierna appellante impugnava gli indicati atti, a mezzo dei quali è stata modificata la disciplina degli interventi edilizi sul patrimonio esistente nel centro storico.
2.1. In particolare, con un primo motivo di ricorso l’Associazione denunciava che il Comune di Firenze aveva modificato il proprio regolamento edilizio consentendo non il semplice restauro conservativo, come precedentemente previsto, bensì la ristrutturazione edilizia sugli immobili del centro storico; pertanto, a seguito dell’approvazione di tale variante, sarebbero ora autorizzabili il mutamento di destinazione d’uso da uso residenziale ed uso commerciale, il frazionamento, l’ampliamento di SUL nell’ambito degli involucri esistenti, il recupero abitativo dei sottotetti. Questi interventi determinerebbero una potenziale alterazione del tessuto urbanistico/edilizio e socio economico del centro della città di Firenze, il quale è tutelato quale bene paesaggistico e culturale inserito nell’elenco dei beni UNESCO, e rischia di vedere di alterati i caratteri morfologici, con accentuazione della vocazione turistico commerciale a discapito della destinazione residenziale stanziale.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso, inoltre, Italia Nostra deduceva il difetto di motivazione circa i limiti generali degli interventi di ristrutturazione ammessi.
5. Il TAR, con la sentenza in epigrafe indicata, dichiarava infondato il ricorso.
6. Avverso la suindicata sentenza Italia Nostra ONLUS ha proposto appello formulando le seguenti censure.
7. Si sono costituiti in giudizio la Regione Toscana e il Comune di Firenze chiedendo il rigetto dell’appello, sia per motivi di rito, in quanto da un lato Italia Nostra risulterebbe priva dell’interesse ad agire, mancando una lesione attuale e concreta di una situazione giuridica sostanziale ad essa riferibile; sia per violazione del divieto di nova e dell’onere di specificazione delle censure avanzate ex art. 110 c.p.a..
8. Sono intervenuti ad opponendum l’Ordine degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori della Provincia di Firenze, l’Ordine degli ingeneri della Provincia di Firenze, l’Ordine dei dottori agronomi e forestali della Provincia di Firenze, il Collegio dei geometri e dei geometri laureati della Provincia di Firenze, il Collegio dei periti industriali e dei periti industriali laureati della Provincia di Firenze.
9. La causa è stata chiamata all’udienza straordinaria dell’8 maggio 2024, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
10. Si può prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Comune di Firenze, essendo il ricorso infondato nel merito.
11. Con il primo motivo, l’odierna appellante contesta l’affermazione del TAR secondo cui il centro storico della città di Firenze non può essere considerato (in sé) alla stregua di bene culturale
paesaggistico ex lege., non trovando tale assunto fondamento nel diritto positivo.
11.1. Con tale statuizione il TAR ha rilevato che il fatto che l’art. 136, comma 1, lett. c) prenda in considerazione i centri storici significa solo che essi possono essere dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi degli artt. 138 e seguenti, del D. L.vo 42/2004, non essendo compresi nelle aree vincolate ex lege ai sensi dell’art. 142 di tale Decreto; che la disciplina relativa ai beni culturali consente di vincolare singoli immobili, ma indiscriminatamente tutti gli edifici di una intera città o del relativo centro storico; che l’inclusione di beni nell’elenco dei beni tutelati dall’UNESCO, pur non costituendo circostanza irrilevante, non comporta alcun automatismo nella sottoposizione a vincolo di beni immobili: il TAR ha richiamato l’art. 3 della L. n. 77/2006, secondo cui al fine di assicurare la conservazione dei siti e degli elementi italiani UNESCO e creare le condizioni per la loro valorizzazione devono essere approvati appositi piani di gestione che definiscano le priorità di intervento, le relative modalità attuative, le azioni esperibili per reperire le risorse pubbliche e private necessarie, e le opportune forme di collegamento con programmi o strumenti normativi che
perseguano finalità complementari, tra i quali quelli disciplinanti i sistemi turistici locali e piani relativi alle aree protette, e quello approvato dal Comune di Firenze, relativamente al proprio centro storico, non contiene alcuna direttiva in ordine agli interventi edilizi.
11.2. Riproponendo nella sostanza il primo motivo del ricorso di primo grado l’Associazione appellante richiama l’art. 10.15.3 del Piano Strutturale, sostenendo che qualsiasi intervento edilizio e di cambio di destinazione d’uso potrebbe avvenire solo se specificamente autorizzato nel Piano Strutturale, il quale definisce il centro storico quale “elemento invariante” del sistema insediativo, anche sul presupposto che, trattandosi di bene tutelato come patrimonio mondiale dell’UNESCO, non può non esserne riconosciuta la “centralità simbolica, da tutelare in ogni elemento che lo compone”. Rileva, inoltre, che il Piano di gestione ex L. 77/2006, approvato dal Comune di Firenze, afferma la necessità di “preservare nel tempo l’Integrità e l’Autenticità dell’eccezionale Valore Universale che hanno consentito il riconoscimento del sito come Patrimonio Mondiale Unesco”, affermando che tale obiettivo è perseguito dal Piano Regolatore Generale “che identifica il Centro
Storico di Firenze come zona di interesse culturale e ambientale”, nella quale “sono ammessi solamente interventi di tipo conservativo e di restauro”. L’appellante richiama anche il D.M.31 agosto 1953, che ha apposto il vincolo paesaggistico su una “zona panoramica a sud e a nord delle
sponde dell’Arno comprendente anche il parco delle Cascine e una zona centrale della città di Firenze”, nonché il D.M. 25 maggio 1995, che nell’imporre il vincolo paesaggistico sui distorni di Firenza, fa espresso riferimento anche a una “zona caratteristica della città di Firenze per le costruzioni i giardini e i viali in essa inclusi dal viale Fratelli Rosselli al viale Giovane Italia una fascia larga m 500 ca”. E, ancora, l’appellante rammenta che sono stati individuati 18 punti di belvedere e i corrispondenti assi visuali dell’arco collinare nord e sud del Comune di Firenze finalizzati “al controllo dello skyline a protezione delle visuali da e verso il nucleo storico UNESCO cui farà seguito l’individuazione della buffer zone” (art. 12.4.1 del Piano Strutturale); quest’ultima è stata individuata il 6 luglio 2015 con l’approvazione della Commissione di Patrimonio Mondiale, risultando così operativa la prescrizione del P.S. (art. 12.4.3) secondo cui “il Regolamento Urbanistico dovrà evidenziare gli interventi in cui le trasformazioni devono essere soggette alla verifica delle eventuali interferenze con le visuali dai punti di belvedere individuati a
protezione del nucleo storico UNESCO”.
Secondo l’appellante l’insieme di tutte le misure indicate testimonia dell’eccezionale valore del centro storico di Firenze e della necessità proteggerlo nel suo insieme.
Peraltro, la giurisprudenza del Consiglio di Stato avrebbe ormai accolto una accezione unitaria dei centri storici ed ha riconosciuto la valenza di bene culturale alle pubbliche vie, strade e altri spazi urbani, laddove rientranti nel centro storico.
11.3. La censura è infondata.
11.4. La circostanza che il Centro Storico di Firenze sia inserito negli elenchi dell’UNESCO non implica, come pretende parte appellante, che esso debba intendersi automaticamente assoggettato alla disciplina di tutela dei beni paesaggistici prevista dal dlgs. 42/2004. In particolare, secondo tale normativa i centri storici non sono ricompresi tra i beni, previsti dall’art. 142, vincolati ex lege, ma vengono menzionati dal Legislatore nell’art. 136 comma 1 lett. c) tra quei beni che necessitano dell’apposizione del vincolo paesaggistico da parte dell’Amministrazione, il quale ha valenza ricognitiva dell’interesse pubblico di un centro storico, in ragione del “caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”. Secondo il vigente Codice dei beni culturali, dunque, non si può prescindere da una espressa e formale declaratoria del vincolo, sia per la ragione che l’atto impositivo del vincolo può imporre determinate prescrizioni di tutela ulteriori a quelle previste dallo strumento urbanistico o dai piani paesaggistici, sia per assicurare certezza sullo status dei beni nella circolazione dei beni giuridici.
11.5. Vero è che l’inclusione del centro storico della città di Firenze nel patrimonio mondiale dell’UNESCO non può ritenersi priva di significato, ma come correttamente affermato dal TAR, si deve escludere una automatica equipollenza tra tale misura e la dichiarazione di interesse pubblico ai sensi degli artt. 136 e seguenti del D. L.vo 42/2004: la dichiarazione di un bene nel patrimonio mondiale UNESCO può, semmai, integrare una circostanza idonea a giustificare l’avvio del procedimento per la declaratoria di interesse pubblico.
12. Possono essere esaminati congiuntamente il secondo, terzo e quarto dei motivi d’appello.
12.1. Con il secondo motivo si contesta il capo della sentenza con cui il TAR ha affermato, respingendo l’originario secondo motivo di ricorso, che l’Amministrazione ha dato conto della scelta effettuata, “posto che la relazione di accompagnamento alla variante si diffonde ampiamente nella illustrazione delle ragioni da cui essa scaturisce le quali si correlano ad una particolare interpretazione restrittiva data dalla giurisprudenza penale e da una parte della giurisprudenza amministrativa alle nuove nozioni di manutenzione straordinaria e risanamento conservativo introdotte dalla legislazione dell’ultimo quinquennio diretta ad ampliare lo jus utendi edilizio nel quadro di una generale spinta verso la liberalizzazione degli interventi minori. Ai fini di una maggiore chiarezza della disciplina locale (che anche in precedenza non vietava ogni forma di trasformazione edilizia) il Comune ha inteso eliminare ogni dubbio sulla assentibilità in centro storico di quelle forme di trasformazione (come il mutamento d’uso o il frazionamento) astrattamente ricomprese nelle definizioni legislative di manutenzione straordinaria e risanamento ma che la giurisprudenza ha talvolta ascritto alla categoria della ristrutturazione.”.
Secondo l’appellante il TAR, nel ritenere legittima la variante oggetto di causa avrebbe avallato una scelta pianificatoria illegittima, incongruente con gli stessi scopi enunciati nella relazione di accompagnamento, avendo il Comune affermato la volontà di voler porre in essere una variante finalizzata a lasciare inalterato il livello di tutela del centro storico preesistente, ma avendo reso possibile una tipologia di intervento edilizio – la ristrutturazione edilizia – che per definizione ha l’attitudine a trasformare gli organismi edilizi: si tratterebbe, quindi, di un aggiornamento che non ha finalità conservativa. L’appellante critica, poi, il fatto che venga meno l’obbligo esplicito di mantenimento dei materiali di finitura dell’immobile, che possa essere modificata la quota dei solai, che il rispetto degli elementi tipologici non sarà più obbligatori, sostiene, infine, che la possibilità di realizzare cambi di destinazione d’uso senza il vincolo di rispettare la tipologia dell’immobile, unitamente alla possibilità di recuperare i sottotetti e frazionare gli immobili, potrebbero incidere sulle reali possibilità di salvaguardia dei tratti identitari del patrimonio immobiliare storico della citta.
12.2. Con il terzo motivo d’appello Italia Nostra contesta il capo della sentenza in cui si afferma che
“la disciplina impugnata, nonostante ammetta in astratto interventi fino alla ristrutturazione, rimane ispirata a finalità eminentemente conservative limitando fortemente le potenzialità insite nella richiamata categoria di intervento”.
Secondo l’appellante, il TAR avrebbe accreditato alla variante effetti limitati al solo scopo di avvalorare sul piano giuridico-concettuale la possibilità di una sovrapposizione pressoché totale di essa con le facoltà di intervento ascritte alla “vecchia” nozione di restauro e risanamento conservativo, nel senso che le finalità oggi perseguibili con la ristrutturazione edilizia, in quanto appunto “limitata”, avrebbero – per riprendere le parole del TAR – una natura solo “eminentemente conservativa”. In realtà la variante impugnata produrrebbe effetti ben più ampi, disvelando la sua illegittimità nella misura in cui attribuisce alla nozione di “ristrutturazione edilizia” un significato diverso da quello enunciato dalle norme statali: così facendo il Comune di Firenze ha invaso una sfera di competenza del legislatore statale.
12.3. Con il quarto motivo d’appello si contesta il capo della sentenza con cui il TAR afferma che “ai fini di una maggiore chiarezza della disciplina locale (che anche in precedenza non vietava ogni forma di trasformazione edilizia) il Comune ha inteso eliminare ogni dubbio sulla assentibilità in centro storico di quelle forme di trasformazione (come il mutamento d’uso o il frazionamento) astrattamente ricomprese nelle definizioni legislative di manutenzione straordinaria e risanamento ma che la giurisprudenza ha talvolta ascritto alla categoria della ristrutturazione”.
Rileva l’appellante, a tale proposito, che la tecnica redazionale utilizzata dal pianificatore fiorentino, consisterebbe nell’attribuire al soggetto destinatario della norma il contestuale potere discrezionale di determinarne autonomamente il contenuto (per esempio, laddove consente ogni destinazione d’uso “compatibile”. ……..), e quindi non avrebbe alcuna efficacia limitativa, semmai estenderebbe la discrezionalità applicativa degli esecutori, diretta ad ammettere la ristrutturazione edilizia con mutamento di destinazione, con frazionamento e recupero dei sottotetti, mentre nel precedente strumento urbanistico gli interventi finalizzati al recupero del patrimonio edilizio esistente non potevano spingersi oltre il restauro o il risanamento conservativo (articolo 6, punto 6.2 e 6.3 del delle NTA del PRG precedente strumento urbanistico). Si tratta, dunque, di una variante urbanistica che di fatto ammette interventi ben più pesanti e invasivi rispetto a quelli che rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia semplice o leggera, ne deriverebbe il concreto rischio che
la normativa impugnata in quanto la previsione della possibilità di ristrutturazione, seppur con limitazioni, sarebbe comunque più invasiva del semplice restauro-risanamento. Ne deriverebbe il concreto rischio che gli interventi di ristrutturazione edilizia ammessi sul patrimonio edilizio esistente del centro storico fiorentino risultino disallineati rispetto a quanto previsto dalle norme di principio di cui al Dpr 380/2001 e al D.lgs 222/2016, con la possibilità quindi di un conflitto tra livelli di governo che potrebbe determinare il necessario arretramento delle indicazioni/limitazioni prescritte dalla disciplina comunale. Donde l’ulteriore dimostrazione che la variante in questione, oltre ad aprire la strada ad interventi grandemente invasivi, risulta sorretta e giustificata da motivazioni inconferenti.
12.4. Le tre censure sono, complessivamente, infondate.
12.5. In primo luogo deve essere precisato in fatto che il Comune di Firenze, con deliberazione di Giunta Comunale n. 2017/G/00670 del 29 dicembre 2017 ha avviato la procedura di variante al Regolamento Urbanistico (R.U.) per «l’aggiornamento della definizione del limite di intervento da applicare al patrimonio edilizio esistente di interesse storico-architettonico e documentale rispetto all’innovato quadro normativo.». In particolare, premesso che sino a quel momento il Regolamento Edilizio consentiva, nell’ambito del centro storico, solo gli interventi di manutenzione e di restauro e risanamento conservativo, e preso atto della interpretazione rigorosa che di tale categoria di intervento edilizio dà la giurisprudenza, la Giunta Comunale ha ritenuto di rivedere le norme del Regolamento Edilizio, onde, di fatto, ampliare la tipologia degli interventi ammissibili nel centro storico, consentendo di realizzare gli interventi minimi necessari per adeguare i fabbricati alle esigenze della vita contemporanea, in mancanza dei quali tali immobili sarebbero stati destinati al progressivo abbandono. Nell’avvio di procedimento, pertanto, la Giunta ha proposto di introdurre la possibilità di effettuare, anche nel centro storico, mutamenti di destinazione d’uso con impianti nonché interventi di ristrutturazione, soggetti, però, ad una serie di limitazioni.
6.7. La proposta della Giunta è stata adottata con delibera di Consiglio Comunale n. 11 del 16 aprile 2018 ed è stata definitivamente approvata, dopo l’esame delle osservazioni presentate dal pubblico – tra le quali anche le osservazioni presentate da Italia Nostra – con deliberazione di Consiglio Comunale n. 45 del 15 ottobre 2018.
12.6. La variante normativa così approvata non incide, contrariamente a quanto assume l’appellante, sulle prerogative del legislatore nell’individuare le categorie degli interventi edilizi, in particolare per la ragione che l’intervento di ristrutturazione edilizia è stato ammesso astrattamente, e tuttavia assoggettato a limiti che sono in tutto e per tutto equiparabili a quelle prescrizioni che il pianificatore territoriale è libero di individuare per rendere l’attività edilizia più consona rispetto alle esigenze del proprio territorio e patrimonio edilizio. E’ ben vero che le limitazioni imposte rendono gli interventi di ristrutturazione edilizia più simili, nella sostanza, a degli interventi di risanamento conservativo; poiché, tuttavia, la nozione legislativa di “risanamento e restauro conservativo” è estremamente limitativa, e non consente di intervenire sugli edifici incrementando il numero di unità immobiliari, o attuando una diversa distribuzione delle superfici o di attuare un cambio di destinazione d’uso anche con opere di modesta entità. Consentendo la ristrutturazione edilizia, ma condizionando la stessa a determinate condizioni, il Comune di Firenze ha scelto di rendere possibili anche gli indicati interventi, con la finalità di rendere interessante il recupero degli edifici del centro storico, che altrimenti sarebbero verosimilmente condannati al degrado.
12.7. Sgombrato il campo dall’idea che con la variante in oggetto il Comune di Firenze abbia approvato delle categorie tipologiche di intervento edilizio non corrispondenti a quelle individuate dal legislatore, ne consegue, oltre alla manifesta infondatezza del terzo motivo d’appello, anche l’inammissibilità dei motivi secondo e quarto, che in effetti si compendiano nella critica, nel merito, della scelta del Comune di Firenze di aprire il centro storico a determinati interventi edilizi, scelta che è espressione della discrezionalità del pianificatore territoriale e che risulta, nella specie, scevra da travisamento e da macroscopica irragionevolezza.
12.8. Valga considerare, in particolare, che a tutela del centro storico il Comune di Firenze ha introdotto una serie di stringenti e puntuali prescrizioni, ovvero: 1) il divieto di demolizione dell’edificio esistente (ad eccezione delle superfetazioni) ; 2) il divieto di incremento del volume lordo complessivo 3) il divieto di modifica della sagoma (esclusione della eliminazione delle superfetazioni e delle modeste modifiche necessarie a migliorare la funzionalità delle coperture); 4) il divieto di modifiche sostanziali della composizione dei prospetti sulla via pubblica; 5) il divieto di modifica della quota di imposta della copertura (salvo modeste modifiche necessarie per esigenze di consolidamento, con tecniche e materiali compatibili); 6) il divieto di modifica della distribuzione principale interna (androni, corpi e scale ecc); 7) il divieto di modifica dell’imposta e dei materiali degli orizzontamenti strutturali; 8) il divieto di modifica della quota d’imposta della copertura (salvo modifiche, non 14 altrimenti conseguibili, relative al consolidamento); 9) obbligo di mantenimento degli apparati decorativi; 10) il divieto, giusto quanto prescritto dall’art. 65.6.1 delle NTA del RU, del passaggio dalla destinazione residenziale a quella turistico-ricettiva nel centro storico-Unesco. Inoltre, viene prevista la necessità di previo rilascio di permesso di costruire o SCIA sostitutiva e l’obbligo di accompagnare il progetto di ristrutturazione edilizia con uno studio preliminare teso a documentare le caratteristiche di interesse storico e documentale presenti, e le manomissioni o le alterazioni intervenute rispetto all’originale consistenza o le difformità rispetto al progetto originale per gli edifici di interesse documentale del moderno. È imposto, inoltre, il rispetto di prescrizioni di contesto previste dall’art. 65 delle NTA del RU per l’ambito del nucleo storico-zona A, come il mantenimento della composizione architettonica della facciata principale fronte strada e della geometria della copertura, il divieto di introdurre aggetti superiori a quelli esistenti sulla pubblica via, il divieto di realizzare terrazze a tasca, il divieto di chiudere logge e porticati.
12.9. La disciplina urbanistica prevista di Comune di Firenze individua quindi un sistema di tutele stringente che non risulta palesemente distonica rispetto alla finalità di tutelare il centro storico, né, peraltro, risulta porsi in contrasto con la disciplina normativa vigente, non con specifiche e puntuali prescrizioni vincolistiche. Ne consegue che non sussistono le condizioni per sindacare la scelta pianificatoria del Comune, dovendosi anche ricordare che i Comuni, nell’esercizio della loro potestà pianificatoria, ben possono “disciplinare in via sostanziale le attività concretamente assentibili in specifiche zone, laddove ciò sia coerentemente rapportato alle peculiarità di un determinato contesto urbanistico ed architettonico” (cfr. Cons. di Stato, IV sez., n. 5214/07; conformemente, Cons. di Stato, IV sez., n. 1669/07). .
13. In conclusione l’appello va respinto.
14. In relazione alla particolarità della vicenda si ravvisano giusti motivi per compensare la compensazione delle spese tra tutte le parti
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024, celebrata in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall’art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia”, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:
Oreste Mario Caputo, Presidente FF
Raffaello Sestini, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore