Cass. Sez. III n. 18878 del 3 maggio 2018 (Ud 29 set 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Gentili Imputato: Scandroglio ed altri
Urbanistica.Lottizzazione mista e momento consumativo del reato
La lottizzazione, in particolare nella sua forma mista, la quale si realizza attraverso la attività di materiale di frazionamento di una più vasta area e la attribuzione, realizzata tramite la stipulazione di puntuali atti negoziali, ai singoli quotisti delle frazioni di terreno sulle quali vengono, poi, realizzate le opere abusive, è reato che, sebbene possa dirsi già integrato con il solo frazionamento dei terreni, si caratterizza per essere, tuttavia, permanente in quanto suscettibile di perfezionarsi definitivamente solo con la cessazione della attività edificatoria, di tal che di esso, in caso di svolgimento di tale attività successivamente alla realizzazione degli atti negoziali di attribuzione dei singoli lotti di terreno, perdura la flagranza sino alla cessazione di dette attività all’interno di ciascuna delle singole frazioni di terreno così realizzate
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25 marzo 2014 la Corte di appello di Milano - in sostanziale riforma della sentenza emessa il precedente 19 giugno 2013 dal Tribunale di Varese e con la quale, dichiarata la penale responsabilità di Scandroglio Alessandro, Brioschi Franca, Filippi Maurizio, Sandoni Stefano e Tancredi Tommaso Salvatore in ordine alla commissione dei reati loro ascritti ai capi A), B), C) e D) della rubrica loro contestata, ed aventi al oggetto, quanto ai primi tre capi, la violazione della normativa in materia di pianificazione territoriale e di tutela del paesaggio, e, quanto all’ultimo, la violazione della normativa in materia di abusivo smaltimento nelle rete fognaria dei rifiuti non pericolosi, costituiti dalle acque reflue domestiche - gli stessi erano stati condannati alla pena di giustizia nonché alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi a loro cura e spese, essendo stata, altresì, disposta la confisca, ai sensi dell’art. 44, comma 2, del dPR n. 380 del 2001, dell’area in sequestro oggetto degli interventi abusivi, mentre, con la medesima sentenza del giudice di primo grado, era stata dichiarata la intervenuta prescrizione del reato loro contestato sub F) della articolate rubrica e gli stessi erano stati, infine, mandati assolti dalla imputazione di cui al residuo capo E) per non aver commesso il fatto – ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei predetti in relazione ai capi di imputazione di cui alla lettere A), B), e C) della originaria rubrica per la sopravvenuta prescrizione, mentre li ha assolti quanto al reato di cui alla lettera D) perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, confermando nel resto la impugnata sentenza.
Avverso la decisione del giudice del gravame hanno interposto ricorso per cassazione i predetti imputati, assistiti dai loro difensori di fiducia, articolando quattro motivi di ricorso.
Il primo motivo attiene alla ritenuta violazione di legge e/o mancanza di motivazione in ordine al punto controverso relativo alla individuazione della legge applicabile relativamente al momento del fatto, ciò in particolare, con riferimento alla previsione della confisca dell’area interessata dalla abusiva, non essendo tale misura prevista nella normativa applicabile, ratione temporis, alla fattispecie ad avviso dei ricorrenti.
Il secondo ed il terzo motivo hanno ad oggetto la illegittimità della sentenza, sia sotto il profilo della violazione di legge che sotto quello della carenza di motivazione, in relazione alla mantenuta confisca dell’area in sequestro, sebbene il reato edilizio, afferente ad una ritenuta lottizzazione abusiva, già era prescritto al momento dell’esercizio della azione penale.
Con il quarto motivo, subordinato all’eventuale rigetto dei precedenti, è stata contestata dai ricorrenti, sempre con riferimento alla violazione di legge, la sentenza impugnata nella parte in cui era stata, in ogni caso, disposta la confisca di quanto in sequestro, pur in presenza di una sentenza con la quale non era stata pronunziata, in forza dell’intervenuta dichiarazione di prescrizione dei reati edilizi contestati, la condanna dei prevenuti relativamente a questi ultimi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, fondato nei sensi di cui in motivazione, deve essere, pertanto, accolto limitatamente alla disposta confisca della area in sequestro.
Osserva, infatti, il Collegio, quanto al primo dei motivi di ricorso, che con esso i ricorrenti si sono doluti del fatto che i giudici del merito non abbiano risposto alla censura afferente alla individuazione della legge applicabile alla fattispecie, in particolare con riferimento alla conservata confisca, argomentata sulla pretesa riferibilità del tempus commissi delicti al momento in cui è iniziata la attività concernente l’avvenuta lottizzazione della area in sequestro, attività, consistente nel materiale frazionamento del terreno in singole piazzole, risalente all’anno 1976.
I ricorrenti hanno infatti segnalato che la confisca del terreno oggetto di una lottizzazione abusiva è misura sanzionatoria introdotta solo a seguito della entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, sicché la stessa, visto l’art. 2 cod. pen., non può essere applicata a condotte poste in essere prima della vigenza di tale disposizione normativa.
L’assunto su cui si poggia l’argomentazione difensiva dei ricorrenti è errato e, pertanto, esso non è pertinente rispetto al caso in questione.
Omettono, infatti, di considerare le difese dei ricorrenti che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte la lottizzazione, in particolare nella sua forma mista, la quale si realizza attraverso la attività di materiale di frazionamento di una più vasta area e la attribuzione, realizzata tramite la stipulazione di puntuali atti negoziali, ai singoli quotisti delle frazioni di terreno sulle quali vengono, poi, realizzate le opere abusive (Corte di cassazione, Sezione III penale, 7 febbraio 2008, n. 6080), è reato che, sebbene possa dirsi già integrato con il solo frazionamento dei terreni, si caratterizza per essere, tuttavia, permanente in quanto suscettibile di perfezionarsi definitivamente solo con la cessazione della attività edificatoria, di tal che di esso, in caso di svolgimento di tale attività successivamente alla realizzazione degli atti negoziali di attribuzione dei singoli lotti di terreno, perdura la flagranza sino alla cessazione di dette attività all’interno di ciascuna delle singole frazioni di terreno così realizzate (Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 maggio 2015, n. 24985, ord.; idem Sezione III penale, 15 ottobre 2013, n. 42361; idem Sezione III penale, 22 maggio 2007, n. 19732).
Tanto premesso, con riferimento alla legge applicabile al reato permanente, va rilevato che, stante la natura di illecito di durata che caratterizza siffatta tipologia di reato, il momento qualificativo della violazione normativa non va individuato in quello in cui la condotta è stata primieramente posta in essere ma in quello in cui la condotta criminosa cessa, atteso che è in tale momento, e non in quello iniziale, che viene meno la posizione di contrasto fra l’operato del soggetto agente e la norma precettiva che vieta un determinato comportamento.
Da quanto sopra discende che, diversamente da ciò che appare essere stato opinato dalle difese dei ricorrenti, la legge applicabile alle condotte integranti un reato permanente non è quella vigente al momento dell’insorgere del reato ma è quella in vigore al momento della cessazione della permanenza, ancorché si possa trattarei di normativa più rigorosa (Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 ottobre 2015, n. 43597, in fattispecie relativa alla violazione, per certi versi contermine a quella ora in esame, della normativa in tema di tutela del paesaggio e delle bellezze naturali; idem Sezione VI penale, 8 gennaio 2016, n. 550; idem Sezione I penale, 21 aprile 1993, n. 870).
Nel momento in cui la Corte milanese ha collocato nel tempo al 2007 la cessazione delle opere abusive conseguenti alla intervenuta lottizzazione, essa ha, pertanto, fissato a tale data la consumazione dei reati edilizi contestati ai prevenuti, additando, per implicito, in quella vigente a tale momento quale fosse la disciplina sanzionatoria riferibile ad essi.
Sotto i profili illustrati, pertanto, non è ravvisabile il difetto di motivazione nelle sentenza impugnata, avendo essa dato sostanzialmente una adeguata, ancorché implicita, risposta alla censura mossa avverso la sentenza di primo grado.
A fortiori manifestamente infondato è il secondo motivo di impugnazione, atteso che nessuna violazione di legge è ravvisabile nella scelta della Corte di merito di ritenere astrattamente configurabile, in base alla normativa ritenute essere pertinente alla fattispecie ora in esame, la sanzione della confisca per il reato di lottizzazione abusiva originariamente contestato ai ricorrenti.
Fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso.
Questa Corte ha, infatti, in più occasioni rilevato che non è consentito, in caso di lottizzazione abusiva, disporre la confisca dei terreni interessati da essa nonché dei manufatti su di essa insistenti - confisca altrimenti obbligatoria in ipotesi di accertamento, anche in via astratta, della penale responsabilità degli imputati - ove il reato in questione debba intendersi già prescritto al momento in cui è stata esercitata la azione penale; ciò in quanto la intervenuta prescrizione, comportando comunque la estinzione del reato e, pertanto, la irrilevanza penale del fatto storico commesso, si pone come fattore assolutamente preclusivo all’accertamento, anche sotto la più limitata prospettiva ora in discorso, della ricorrenza degli elementi oggettivi e soggettivi da cui dipende la esistenza del reato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 febbraio 2011, n. 5857; idem Sezione III penale, 24 luglio 2009, n. 30933; nel senso della illegittimità anche del sequestro preventivo dell’area lottizzata in una fattispecie del tipo di quella descritta, stante impossibilità della conversione di quello in confisca del bene staggito cfr.: Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 agosto 2016, n. 35313).
Nel caso che ora interessa, come dianzi accennato, i giudici del merito hanno collocato nel tempo la permanenza della condotta penalmente rilevante sino al 2007; considerato che la azione penale è stata esercitata solamente con atto del 16 novembre 2012, momento in cui il Pm presso il Tribunale di Varese ha emesso il decreto di citazione a giudizio a carico dei ricorrenti, risulta evidente che esso, primo atto interruttivo della prescrizione, è intervenuto dopo che era già decorso il termine ordinario di prescrizione dei reati contravvenzionali contestati, pari, infatti, a 4 anni decorrenti, nel caso ora in questione, dal 2007 epoca di cessazione della permanenza del reato.
Erroneamente, pertanto, la Corte territoriale milanese, nel dichiarare la intervenuta prescrizione anche dei residui reati contestati ai ricorrenti, non ha disposto, data la risalente irrilevanza penale delle condotte loro attribuite già al momento in cui fu esercitata nei loro confronti la azione penale, anche la revoca della confisca dell’area in sequestro a suo tempo disposta dal giudice di primo grado.
In tale senso, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata e la confisca in questione deve essere eliminata.
La pronunzia che precede comporta evidentemente l’assorbimento del quarto motivo di impugnazione, espressamente presentato dai ricorrenti in via subordinata all’eventuale mancato accoglimento dei precedenti.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca che elimina.
Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2017