La Gazzetta Ufficiale n. 75 del 30 marzo 2001 reca la legge 7 marzo
2001, n. 78 – Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale.
Si tratta di una legge che riunisce vari disegni di legge d’iniziativa
parlamentare presentati sia alla Camera dei Deputati che al Senato e che è
stata varata con il consenso di tutti i gruppi parlamentari.
Questa legge risponde all’esigenza di salvaguardia di un diffuso
patrimonio storico, che – come dice la relazione ad uno di questo disegni di
legge - “l’usura del tempo e degli agenti atmosferici da un lato, la
curiosità e l’interesse non sempre correttamente orientato degli uomini
dall’altro, vanno progressivamente ed implacabilmente rimovendo”. Al
tempo stesso, essa intende regolare e sostenere le iniziative spontanee che,
negli ultimi anni, si sono un po’ ovunque moltiplicate per la difesa, la
conservazione, il restauro e la valorizzazione di queste cose realizzando
musei, convenzionali o all’aperto, e recuperando strutture da parte di
amministrazioni locali, associazioni di volontariato (come l'Associazione
Nazionale Alpini) e il Comando delle Truppe alpine, talvolta in azione congiunta
di volontari italiani, austriaci e tedeschi.
Gli oggetti che la legge espressamente protegge sono le “vestigia della Prima guerra mondiale”: cose materiali, del cui “valore storico e culturale” viene fatto espresso riconoscimento (art. 1, comma 1), e la cui caratteristica comune è di essere state, direttamente o indirettamente, realizzate per l’attività bellica della Grande guerra o in memoria o per documentazione di questa.
Di queste vestigia, l’art. 1, comma 2, fornisce una elencazione:
a)
forti, fortificazioni permanenti e altri edifici e manufatti militari;
b)
fortificazioni campali, trincee, gallerie, camminamenti, strade e
sentieri militari;
c)
cippi, monumenti, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni e tabernacoli;
d)
reperti mobili e cimeli;
e)
archivi documentali e fotografici pubblici e privati;
f)
ogni altro residuato avente diretta relazione con le operazioni belliche.
Non si tratta di beni culturali, almeno nel senso inteso dal
Titolo I del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico dei beni culturali e
ambientali) (già legge 1 giugno 1939, n. 1089), perché sono cose oggetto sì
di un processo di rarefazione, ma non giunto fino al punto tale da giustificare
un loro generalizzato assoggettamento a quella tutela quali beni storici o
storico-artistici. Se introdotta per singole cose (ad es., per un forte di
particolare pregio architettonico, o per un edificio che fu sede di un
particolare evento), la salvaguardia apprestata da quella legge concorrerà con
questa salvaguardia, senza che l’una escluda l’altra. Del resto, si tratta
di qui di una specie particolare di c. d. “beni culturali minori”, per i
quali la necessità presente nel corpo sociale è non tanto di una tutela di
tipo ablativo, quanto di una normazione “a basso regime”, vale a dire
a vigilanza leggera e fatta più di servizi e di sostegno che di direzione
autoritativi. Di fronte ad una tale domanda sociale, un assoggettamento
generalizzato alla normativa del Testo unico sarebbe stato difficilmente
accettabile e difficilmente gestibile (si consideri che il solo fronte era di
ben 600 chilometri). Al tempo stesso, lasciare fuori di una normativa di
salvaguardia un tale patrimonio, avrebbe significato rimanere indifferenti alla
sua dispersione.
L’impianto della legge è comunque ispirato a non derogare, ma a
concorrere cumulativamente con altre normative: non solo quella in tema di
tutela del patrimonio storico-artistico, ma anche, ad es., quella in tema di
tutela paesistica, che come noto riguarda ex lege tutti i territori di
alta montagna o circostanti i fiumi.
In sintesi, la legge opera lungo queste direttrici:
a)
da un lato vengono vietati gli interventi di alterazione delle
caratteristiche materiali e storiche delle vestigia protette. Il che è di
particolare importanza per quanto riguarda il patrimonio immobiliare (art. 1,
comma 5).
b)
da un altro lato vengono invece facilitati e sostenuti gli interventi di
manutenzione, restauro, gestione e valorizzazione delle stesse vestigia, purché
eseguiti in conformità a precisi criteri tecnico scientifici, da fissare da
parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (art. 4, comma 1, lett. b)),
sia da parte privata (con particolare riguardo al volontariato) che da parte
pubblica. Tali interventi – che non possono eccedere in alterazioni dei
manufatti - sono assoggettati all’obbligo di previa comunicazione alla locale
Soprintendenza, corredata di progetto esecutivo e di atto di assenso del
titolare del bene, almeno due mesi prima dell’inizio delle opere (art. 2,
comma 3). Questo regime di denuncia di inizio di attività non deroga però
all’obbligo di ottenere la previa autorizzazione se la cosa è sottoposta alla
tutela del Titolo I del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, a quello di ottenere
l’autorizzazione paesistica ai sensi del Titolo II dello stesso T. u. e alle
competenze del Ministero della Difesa e del Ministero delle Finanze (art. 2,
comma 2).
Circa i soggetti che possono eseguire gli interventi, essi sono indicati
alla legge secondo un ordine che riflette il principio di sussidiarietà, sia
orizzontale (privati, singoli o associati) che verticale (enti territoriali). Un
particolare ruolo è dato al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che
dovrà fornire determinate direttive sugli interventi o, in via suppletiva,
eseguirli direttamente, e dovrà istituire un apposito Comitato
tecnico-scientifico con specifiche funzioni consultive; al Ministero della
Difesa, che, oltre che poter realizzare direttamente alcuni interventi, dovrà
in particolare curare gli archivi storici militari (strumento indispensabile
anche per un corretto recupero degli immobili) e al Ministero degli Affari
esteri, che dovrà promuovere iniziative a livello internazionale. Un ruolo
particolarmente incisivo sarà poi, sia sul piano della amministrazione attiva
che su quello della legislazione concorrente, quello spettante a regioni e
province autonome, anch’esse chiamate alla realizzazione o alla vigilanza
sugli interventi (artt. da 4 a 6) e a regolare più dettagliatamente la raccolta
di reperti mobili.
È previsto anche il finanziamento statale degli interventi, se
pienamente conformi ai criteri e corredati di adeguata documentazione, ad opera
del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (art. 8).
Dal punto di vista dell’apparato sanzionatorio, la legge prevede alcune
fattispecie di illecito amministrativo e penale (art. 10): l’esecuzione di
interventi senza avere compiuto la denunzia in questione e l’impossessamento,
o il possesso, di reperti mobili o cimeli senza farne denuncia al sindaco sono
illeciti amministrativi, la realizzazione degli interventi di alterazione è un
reato contravvenzionale.