TAR Campania (NA) Sez. II sent. 4961 del 14 settembre 2009
Urbanistica. Ordine di demolizione e sanatoria

La validità ovvero l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano pregiudicate, con la pretesa automaticità, dalla successiva presentazione di un’istanza ex art. 36 del d.p.r. 380/2001. Sul punto, mette conto evidenziare che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto, sicché, se, da un lato, la presentazione dell’istanza ex art. 36 D.P.R. 380/2001 determina inevitabilmente un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente, dall’altro, occorre ritenere che l’efficacia dell’atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che l’atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza. All’esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda, con conseguente venir meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata. Di contro, in caso di rigetto dell’istanza, l’ordine di demolizione a suo tempo adottato riacquista la sua efficacia, che non era definitivamente cessata, bensì era rimasta solo sospesa in attesa della conclusione del nuovo iter procedimentale, con la sola precisazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell’interessato, che non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l’accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso.
N. 04961/2009 REG.SEN.
N. 04644/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 4644 del 2005, proposto da:
D\'Ambrosio Giuseppa, rappresentata e difesa dall\'avv. Annibale Schettino ed elettivamente domiciliata in Napoli, alla via Lomonaco n. 3 presso lo studio dell’Avv. Girardi;


contro


Comune di Comiziano, rappresentato e difeso dall\'avv. Daria Papa ed elettivamente domiciliata in Napoli, alla via Tino di Camaino n.6 presso lo studio del Prof. Avv. Silio Aedo Violante;

per l\'annullamento

previa sospensione dell\'efficacia,

del provvedimento prot.llo n. 0001878/P del 18.4.2005, con il quale il responsabile del IV° servizio tecnico del Comune di Comiziano ha comunicato, in relazione alla richiesta di ripristino dello stato dei luoghi di cui alla d.i.a. prot.llo n. 1992 del 23.4.2003, che “i tempi di ultimazione delle opere suindicate non potranno superare quelli previsti nell’ordinanza di demolizione n. 12 dell’1.6.2004 regolarmente notificata, vale a dire 90 (novanta) giorni”.


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l\'atto di costituzione in giudizio del Comune di Comiziano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell\'udienza pubblica del giorno 18/06/2009 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


La ricorrente è proprietaria di un fabbricato destinato a civile abitazione sito nel territorio del Comune di Comiziano, alla via Nazionale delle Puglie.
A seguito di un sopralluogo effettuato presso la suddetta unità abitativa da personale della locale Polizia Municipale, venivano contestati – giusta ordine di demolizione n. 12/2004 – taluni abusi, consistenti, in sintesi, 1) nell’abbassamento del piano di posa del villino per una superficie di mq. 35 con ampliamento esterno del piano cantinato ed aumento della cubatura di circa mc. 280; 2) nella realizzazione di un corpo di fabbrica aggiunto (tettoia chiusa da tre lati, di superficie pari a 83 mq. e cubatura di circa mc. 240).
Espone la ricorrente di aver spiegato ricorso (n. 10413/04) avverso il precitato titolo ingiuntivo, salvo poi a non coltivare il predetto mezzo di gravame per il sopravvenire di nuovi atti.
Ha, inoltre, aggiunto di aver presentato un’istanza di condono per la parte relativa alla tettoia, nonché, per ciò che attiene all’ampliamento esterno del cantinato, una richiesta (in data 21.7.2004 prot.llo 3740) di accertamento di conformità ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 36 del d.p.r. 380/2001.
Tale ultima richiesta veniva ricusata dal Comune di Comiziano (prot.llo 453 del 2.2.2005), secondo cui l’intervento realizzato determinerebbe un incremento di volumetria non consentito dalla locale disciplina urbanistica.
All’esito di ripetuti contatti con l’ufficio tecnico del Comune di Comiziano, di cui la ricorrente riferisce nella parte narrativa del ricorso, la D’Ambrosio si determinava a presentare, in data 30.3.2005 (prot.llo n. 1591/A) una d.i.a. finalizzata “a ripristinare la legittimità del manufatto attraverso l’esecuzione del ripristino della originaria rampa d’accesso al locale pluriuso e della quota assentita..”.
Tale richiesta veniva riscontrata dal Comune di Comiziano con il provvedimento impugnato, mediante il quale il predetto Ente prescriveva che “i tempi di ultimazione delle opere suindicate non potranno superare quelli previsti nell’ordinanza di demolizione n. 12 dell’1.6.2004 regolarmente notificata, vale a dire 90 (novanta) giorni”.
Avverso il precitato atto, con il gravame in epigrafe, la ricorrente ha dedotto l’illegittimità del medesimo per i profili di seguito indicati:

1) anzitutto, per la sua atipicità, illogicità e contraddittorietà: il contenuto precettivo rifletterebbe, a prima vista, un sostanziale assenso all’esecuzione dell’intervento, ma l’apposizione del termine (già abbondantemente trascorso) si risolverebbe, di fatto, in un’inibitoria;
2) il provvedimento risulterebbe, inoltre, inficiato da un palese difetto di motivazione;
3) inoltre, sarebbe illegittimo anche perché spedito in violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento;


Si è costituito in giudizio il Comune di Comiziano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

All’udienza del 18.6.2005 il ricorso è stato trattenuto in decisione.


DIRITTO


Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
Ed, invero, a giudizio del Collegio, il provvedimento impugnato si inserisce con piena coerenza nella sequenza legale tipica delineata dalla disciplina di settore (art. 31 del d.p.r. 380/2001), della quale mutua integralmente il relativo contenuto precettivo.
Giusta quanto già anticipato in premessa, alla ricorrente è stata contestata – con ordine di demolizione n. 12/2004 spedito ai sensi e per gli effetti di cui al mentovato art. 31 - l’esecuzione di taluni abusi edilizi, consistenti, in sintesi, 1) nell’abbassamento del piano di posa del villino per una superficie di mq. 35 con ampliamento esterno del piano cantinato ed aumento della cubatura di circa mc. 280; 2) nella realizzazione di un corpo di fabbrica aggiunto (tettoia chiusa da tre lati di superficie pari a 83 mq. e cubatura di circa mc. 240).
Com’è noto, l’ordinamento di settore – oltre a prevedere sanzioni di tipo pecuniario e ripristinatorio – contempla, altresì, procedure volte alla regolarizzazione degli abusi oramai consumati.
Segnatamente, l’art. 36 comma 1^ del d.p.r. 380/2001 prevede che, in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, …. fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all\'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell\'abuso, o l\'attuale proprietario dell\'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l\'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
Tale procedimento, già previsto dall\'art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, ed ora disciplinato dall’art. 36 D.P.R. 380/2001, è diretto, com’è noto, a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il relativo titolo abilitativo, ma sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione sia al momento della presentazione della domanda (cd. doppia conformità).
Ed è proprio di tale facoltà che si è avvalsa la ricorrente, avanzando, in data 21.7.2004 (prot.llo n. 3730), una richiesta di accertamento di conformità ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 36 del d.p.r. 380/2001, rispetto alla quale, alla scadenza del sessantesimo giorno, si formava il silenzio rigetto.
Peraltro, tale istanza veniva anche formalmente ricusata dal Comune di Comiziano (prot.llo 453 del 26.1.2005), secondo cui l’intervento realizzato determinerebbe un incremento di volumetria non consentito dalla locale disciplina urbanistica.
La suddetta scansione genera un prima rilevante conseguenza sul piano processuale: è pur vero che il silenzio serbato su un’istanza ex art. 36 del d.p.r. 380/2001 per un periodo superiore ai 60 gg. assume, ai sensi dell’ultimo comma del sopra richiamato art. 36, il valore legale tipico di diniego, ciò nondimeno non può essere obliterata l’incidenza che il successivo esercizio del proprio potere, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, esplica sul rapporto.
Ed, invero, tale provvedimento, cui si riconnette la dignità giuridica di atto di conferma in senso proprio, assorbe il cd. silenzio – rigetto, sostituendosi ad esso come statuizione (di contenuto negativo) che regola in via esclusiva i rapporti tra le parti.
Orbene, mette conto evidenziare che il suddetto atto di diniego non è stato impugnato, sicché, una volta consolidatosi, vale, in via definitiva, a qualificare come illecito non sanabile le opere in questione.
Occorre a questo punto soffermarsi ad analizzare le ricadute dei suddetti arresti provvedi mentali.
Pur non ignorando l’esistenza di un indirizzo ermeneutico di segno contrario, la Sezione condivide l’orientamento giurisprudenziale – già ripetutamente applicato (cfr. Tar Campania Sez. II n. 9757 del 19.10.2007, n. 8345/2007, n.10128/2004, n.816/2005) – secondo cui la validità ovvero l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano pregiudicate, con la pretesa automaticità, dalla successiva presentazione di un’istanza ex art. 36 del d.p.r. 380/2001.
Sul punto, mette conto evidenziare che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto, sicché, se, da un lato, la presentazione dell’istanza ex art. 36 D.P.R. 380/2001 determina inevitabilmente un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente, dall’altro, occorre ritenere che l’efficacia dell’atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che l’atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza.
All’esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda, con conseguente venir meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata.
Di contro, in caso di rigetto dell’istanza, l’ordine di demolizione a suo tempo adottato riacquista la sua efficacia, che non era definitivamente cessata, bensì era rimasta solo sospesa in attesa della conclusione del nuovo iter procedimentale, con la sola precisazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell’interessato, che non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l’accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso.
In sostanza, considerato che il procedimento di verifica della compatibilità urbanistica dell’opera avviato ad istanza di parte è un procedimento del tutto autonomo e differente dal precedente procedimento sanzionatorio avviato d’ufficio e conclusosi con l’ordinanza di demolizione dell’opera eseguita in assenza o difformità del titolo abilitativo, il Collegio ritiene che non sussista motivo per imporre all’amministrazione comunale il riesercizio del potere sanzionatorio a seguito dell’esito negativo del procedimento di accertamento di conformità urbanistica, atteso che il provvedimento di demolizione costituisce un atto vincolato a suo tempo adottato in esito ad un procedimento amministrativo sul quale non interferisce l’eventuale conclusione negativa del procedimento ad istanza di parte ex art. 36 D.P.R. 380/2001.
Un nuovo procedimento sanzionatorio, infatti, si rivelerebbe, in assenza di un’espressa previsione legislativa, un’inutile ed antieconomica duplicazione dell’agere amministrativo (cfr. anche Tar Campania, Sezione III, n. 10369/06).
In applicazione dei suddetti principi, deve concludersi, tornando al caso in esame, che la validità e l’efficacia dell’originario titolo ingiuntivo (id est ordinanza di demolizione n. 12/2004) – anche per effetto della definizione con provvedimento negativo del procedimento di sanatoria - restano definitivamente consolidate ed il predetto provvedimento monitorio vale definitivamente a conformare la posizione del ricorrente.
In altri termini, si riespande la valenza precettiva dell’ordine di demolizione i cui effetti, quanto ai successivi sviluppi, restano direttamente governati dalla disciplina di settore (cfr. art. 31 del testo unico sull’edilizia).
Sul piano delle conseguenze, una prima possibilità è legata ad eventuali iniziative collaborative assunte dallo stesso soggetto intimato che potrebbe spontaneamente adempiere all’ordine di demolizione.
Secondo quanto già sopra anticipato, in siffatta evenienza, il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione (pari a novanta giorni) è direttamente fissato dalla legge e deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell’interessato, che non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l’accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso.
In mancanza, e cioè nell’ipotesi di perdurante inadempienza del soggetto intimato (protratta oltre il divisato termine di legge), si innesterà su quello originario un nuovo procedimento sanzionatorio che condurrà, rispetto alle più gravi fattispecie d’abuso, all’esecuzione di misure ablatorie, con conseguente acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive e della relativa area di sedime.
Orbene, a fronte del descritto quadro di riferimento appare condivisibile il contenuto precettivo del provvedimento impugnato che sostanzialmente riconduce nell’alveo del procedimento legale tipico le opzioni che l’ordinamento di settore riserva all’interessato.
Vale, infatti, rammentare che il Comune intimato, attraverso la determina prot.llo n. 0001878/P del 18.4.2005, si è limitato a precisare che “i tempi di ultimazione delle opere suindicate non potranno superare quelli previsti nell’ordinanza di demolizione n. 12 dell’1.6.2004 regolarmente notificata, vale a dire 90 (novanta) giorni”.
Tale provvedimento, spedito in stretta applicazione della corrispondente regola iuris (art. 31 cit.), vale a conformare la facoltà dell’interessato di adempiere spontaneamente all’ordine di demolizione in modo del tutto simmetrico a quanto prescritto dal legislatore; ed, infatti, l’esecuzione del suddetto proposito (di adempimento spontaneo dell’ordine di demolizione), nell’ambito dello stesso schema legale di riferimento, resta temporalmente confinata nell’arco di 90 giorni.
La divisata natura dell’atto, dovuto ed a contenuto vincolato, rende del tutto fuori sesto le argomentazioni censoree incentrate sul presunto difetto di motivazione, dovendo le ragioni giustificative che reggono l’avversata statuizione essere mutuate dalla stessa disciplina di riferimento.
Né è ovviamente possibile sovrapporre al suddetto tipizzato procedimento quello previsto, in via ordinaria agli art. 22 e ss del d.p.r. 380/2001, per l’esecuzione di interventi soggetti a denuncia di inizio attività (che possono essere ultimati nel più lungo termine di tre anni), trovando la fattispecie in esame, in ragione dei suoi peculiari tratti identificativi, la sua compiuta e diretta disciplina di riferimento nell’ambito del combinato disposto dell’art. 31 del d.p.r. 380/2001.
Del pari, appare priva di pregio la lettura offerta dalla ricorrente del provvedimento impugnato e volta ad assegnargli un’impropria efficacia retroattiva, sì da impedire, di fatto, l’esecuzione dei lavori di ripristino dello stato dei luoghi.
Di contro, il provvedimento impugnato, pur indicando l’arco temporale per l’esecuzione dei suddetti lavori (novanta giorni), non esplicita il dies a quo che, viceversa, va individuato alla stregua della disciplina di settore.
Sul punto, e giusta quanto già ripetutamente evidenziato, il termine di 90 giorni avrebbe dovuto decorrere dal provvedimento di diniego (n. 431 del 26.1.2005, notificato il 2.2.2005) opposto dal Comune di Comiziano avverso la domanda di accertamento di conformità precedentemente presentata dal ricorrente.
E ciò è a dirsi anche a voler accreditare l’opzione ermeneutica di parte ricorrente circa la presunta valenza retroattiva del provvedimento impugnato: anche in siffatta evenienza, l’immediata e vincolante portata precettiva della disposizione di riferimento (art. 31 del d.p.r. 380/2001) varrebbe a giustificare la sostituzione del termine legale a quello diverso ( e più breve) eventualmente assegnato dall’Amministrazione (cfr. CdS n. 986 del 24.2.2003) e, quindi, la parte ricorrente avrebbe comunque mantenuto la facoltà di demolire nel termine di 90 giorni decorrente dalla notifica del suindicato provvedimento di diniego.
Senza contare che, all’udienza camerale del 7.7.2005, questa Sezione – per dissipare ogni incertezza sul dies a quo – con ordinanza n. 2079/2005, ha rimesso in termini la ricorrente, assegnandole un nuovo termine, pur sempre di 90 giorni, per eseguire le opere di demolizione.
Di contro, la sig.ra D’Ambrosio non si è avvalsa nemmeno di tale residua possibilità.
In ragione di tutto quanto finora evidenziato, e ribadito il regime che connota il provvedimento impugnato, da intendersi atto dovuto ed a contenuto vincolato, assumono carattere recessivo le residue censure che impingono in presunte violazioni delle garanzie di partecipazioni al procedimento.
Sul punto, è sufficiente osservare, in linea con il disposto di cui all’art. 21 octies della legge n. 241/1990, che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato.
Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto siccome infondato.
Sussistono nondimeno giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate e contributo unificato a carico della parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall\'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 18/06/2009 con l\'intervento dei Magistrati:

Carlo d\'Alessandro, Presidente
Dante D\'Alessio, Consigliere
Umberto Maiello, Primo Referendario, Estensore

L\'ESTENSORE

IL PRESIDENTE