TAR Lazio Sez. II-quater n. 3722 del 30 marzo 2020
Urbanistica.Nozione di tombatura
L’operazione di “tombatura” consiste nella chiusura totale con muratura dei locali che li rende inaccessibili e, di conseguenza, non idonei a determinare incremento di volumetria o superficie da computarsi ai fini urbanistici in quanto non utilizzabili. Pertanto tali locali non costituiscono superficie utile e non determinano un incremento volumetrico, rientrando nell’attività edilizia libera, disciplinata dall’art. 6, lett. c) d.P.R. n. 380/2001, al pari dei “volumi tecnici” (che sono del pari utilizzabili esclusivamente per contenere impianti ed assicurare la funzionalità dell’edificio cui sono asserviti, per cui sono accessibili esclusivamente per l’utilizzato degli impianti in essi collocati), dai quali si distinguono per non essere neppure accessibili, come nel caso dei “sottotetti non accessibili asserviti alla costruzione quale spazio vuoto utile all’isolamento termico ecc. (segnalazione Ing. M. Federici)
Pubblicato il 30/03/2020
N. 03722/2020 REG.PROV.COLL.
N. 04869/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 4869 del 2019, proposto da
Clarisa Corelli, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabrizio Castellano, Giorgia Clementi, Valentina Castellano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Viterbo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Roberto Cutigni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento, previa sospensiva,
dell'ordinanza di demolizione n. 607 del 27/12/2018, ad oggetto: d.p.r. n. 380/2001 art. 27 e 2 seg. l.r. 15/08, ripristino lavori eseguiti in Viterbo, Strada Castellaccio,
nonché di ogni altro atto o provvedimento antecedente, conseguente o, comunque, connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Viterbo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2020 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
La ricorrente premette di essere proprietaria di un terreno sito in Viterbo, Strada Castellaccio, distinto al catasto al foglio 148, particelle 563 su cui ha realizzato, a seguito della D.I.A presentata il 21/11/2012 prot. 0039896), integrata il 20/10/2015 (prot. n. 0056072), un progetto di demolizione e ricostruzione di un fabbricato già esistente (composto da un piano interrato e un piano terra), con ampliamento ex L.R. 21/2009 e successive modificazioni al Piano Casa della Regione Lazio.
Per completare tale progetto la ricorrente ha presentato una richiesta di proroga per ultimazione lavori, respinta con nota prot. n. 85608 del 26.10.2018 – non impugnata - in considerazione della sua realizzazione dopo l’intervenuta scadenza in data 22.10.2017 dei termini per l’ultimazione dei lavori previsti nella D.I.A. presentata il 21.11.2012 e integrata il 20.10.2015.
Al medesimo periodo risalgono gli accertamenti effettuati dall’Ufficio tecnico comunale il 16.10.2018 e, congiuntamente alla Polizia Municipale, il 20.10.2018, che hanno accertato che i lavori erano ancora in corso e che era stato realizzato un ampliamento di superficie rispetto a quella autorizzata.
Con il ricorso in esame impugna l’ordinanza di demolizione n. 607 del 27/12/2018, disposta, a seguito di sopralluoghi del 15/11/2018 e 20/11/2018, in quanto i lavori realizzati (consistenti in manufatto seminterrato, costituito da cordoli di fondazione e pareti perimetrali (con spessore di cm 20 circa) in c.a., avente le dimensioni di ml 16,00 circa di lunghezza, ml. 9,40 circa di larghezza massima, ml. 7.50 di larghezza minima, ml. 2,90 circa di altezza, sprovvisto del solaio di copertura e con una superficie di circa 66 mq più grande di quella riportata negli elaborati allegati alla D.I.A.) sostenendo che essi sono stati erroneamente ritenuti in difformità rispetto al progetto assentito.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
1) ECCESSO DI POTERE PER EVIDENTE TRAVISAMENTO DEI FATTI E/O ERRONEA VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI DI FATTO IN RELAZIONE ALLA PRESUNTA DIFFORMITA’ DE LAVORI ESEGUITI SUL CANTIERE OGGETTO DI ACCERTAMENTO RISPETTO AL PROGETTO ASSENTITO; ILLOGICITA’ E INGIUSTIZIA MANIFESTA; ECCESSO DI POTERE PER MANIFESTA ARBITRARIETA’; VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 17 DELLA CARTA DI NIZZA, DEGLI ARTT. 2 E 42 COST. E DELL’ART. 832 COD.CIV.;
2) VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 7, 8, 9 E 10 DELLA LEGGE 7 AGOSTO 1990 N. 241; VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 1 L. 241/1990, 97 COST. E 41 CARTA DI NIZZA - AVENTE LO STESSO VALORE DEI TRATTATI AI SENSI DELL’ART. 6 TUE - CHE EVOCANO IL PRINCIPIO DI PARTECIPAZIONE ALL’AZIONE AMMINISTRATIVA E DI BUONA AMMINISTRAZIONE; ECCESSO DI POTERE PER CARENZA DI ISTRUTTORIA; TRAVISAMENTO DEI FATTI ED ERRONEA VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI.;
3) VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 3 DELLA legge n. 241/1990; ECCESSODI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E CARENTE MOTIVAZIONE; ECCESSO DI POTERE PER MANIFESTA ARBITRARIETA’; ILLOGICITA’ E INGIUSTIZIA MANIFESTA; TRAVISAMENTO DEI FATTI ED ERRONEA VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI; ECCESSO DI POTERE PER GENERICITA’ E INDETERMINATEZZA DELL’OGGETTO DELLA RICHIESTA DI DEMOLIZIONE.
4. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 22, 23, 31, 32, 33, 34 E 37 TU 380/2001; VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 1 l. n. 241/1990 - NEL RICHIAMO AI PRINCIPI DELL’ORDINAMENTO COMUNITARIO DI PROPORZIONALITA’, ADEGUATEZZA E IDONEITA’ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA ; ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI FATTI, PER INGIUSTIZIA E ILLOGICITA’ MANIFESTA E PER MANIFESTA ARBITRARIETA’.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale con memoria scritta a difesa del proprio operato.
Con ordinanza collegiale istruttoria n. 6823/2019 la Sezione ha disposto una verificazione, ai sensi dell’art. 66 c.p.a., a cura del Provveditorato interregionale per le Opere Pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna, cui sono stati sotto posti i seguenti quesiti: 1. quale sia l’esatta eccedenza della superficie del manufatto in contestazione realizzata dalla ricorrente rispetto a quella indicata negli elaborati progettuali allegati alla DIA; 2. se tale discrepanza costituisca, come sostenuto dalla ricorrente, un mero “vuoto tecnico” dovuto alla metodologia costruttiva e sia quindi “riassorbibile” in quello progettato.
Con ordinanza n. 6823/2019 è stato disposto un supplemento di istruttoria, visti i rilievi formulati dal tecnico di parte alla relazione finale di verificazione depositata in data 19.7.2019, chiedendo al verificatore di risolvere i dubbi sollevati, che, con deposito del 28 ottobre 2019, ha integrato la propria relazione.
Alla Camera di consiglio dell’11.2.2020 la causa è stata trattenuta in decisione con sentenza in forma semplificata, sussistendone i presupposti, previo avviso alle parti.
Per comodità espositiva si anticipa l’esame delle censure d’ordine formale.
Va respinto il secondo motivo, con cui la ricorrente lamenta la violazione delle garanzie procedimentali sancite dalla legge n. 241/90, asserendo di non aver ricevuto, né l’avviso di avvio del procedimento amministrativo, né un provvedimento di sospensione dei lavori in corso, che avrebbero consentito all’interessata di rappresentare al Comune la funzione che riveste il manufatto asseritamente abusivo rispetto alla porzione ritenuta legittima, l’inesistenza di aumenti volumetrici e, comunque, alla perfetta coincidenza degli elaborati progettuali rispettivamente allegati alla D.I.A.
La censura è infondata in fatto.
Come chiarito dall’Amministrazione nella propria memoria difensiva l’avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e 8, L. 241/90 e s.m.i. era stato comunicato con nota prot. n. 0097129 del 07.12.2018, inviato all’indirizzo dalla stessa indicato sulla pratica edilizia, e notificato per “compiuta giacenza”.
Va del pari disatteso il terzo mezzo di gravame, con cui la ricorrente lamenta il difetto di motivazione dell’atto impugnato.
Nell’atto impugnato il Comune premette che la richiesta di proroga per ultimazione lavori era stata respinta con nota prot. n. 85608 del 26.10.2018 (non impugnata) e che i termini per l’ultimazione dei lavori previsti nella D.I.A., presentata il 21.11.2012 e integrata il 20.10.2015, sono venuti a scadere in data 22.10.2017; fa riferimento alle risultanze dell’istruttoria (sopralluoghi in data 16.10.2018 e 20.11.2018 all’esito dei quali ha riscontrato il contestato aumento di superficie di 66 mq); richiama, quale riferimento normativo, l’art. 16 e segg. della LR 15/2008, che prevede le misure ripristinatorie e sanzionatorie per gli “interventi di ristrutturazione edilizia e cambi di destinazione d'uso in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali”.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza in materia, si deve ritenere che l’ordine di demolizione abbia sinteticamente assolto l’onere di motivazione sancito dall’art. 3 della legge n. 241/90, mediante l’indicazione dei presupposti di fatto e delle conseguenze giuridiche in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
Ne consegue che l’onere di motivazione “formale” risulta rispettato; cosa diversa è se tale motivazione risulti corretta sotto il profilo sostanziale, questione che invece costituisce oggetto di rilievi dei successivi mezzi di gravame.
Con i restanti motivi la ricorrente deduce censure d’ordine sostanziale contestando il difetto dei presupposti di fatto per l’adozione della misura demolitoria, per non essersi il Comune avveduto che l’incremento di superficie era solo temporaneo in quanto al termine dei lavori avrebbe dato luogo ad un “vuoto strutturale”, il difetto di motivazione del relativo ordine di demolizione, impartito in violazione del principio di proporzionalità, oltre alla violazione di garanzie procedimentale.
In sostanza la ricorrente lamenta, producendo una perizia a supporto delle proprie affermazioni, che “il dichiarato discostamento dalla D.I.A. è solo apparente, posto che lo scarto di superficie rilevato, relativamente al piano interrato ed effettivamente pari a circa 66 metri lineari, altro non è che un vuoto strutturale (…) cioè uno spazio necessario per “sopperire al rischio di cedimento della porzione di piano terra eccedente per dimensioni quello interrato (..) che, al termine dei lavori, è destinato a divenire impraticabile dato che “manca la previsione di una qualsivoglia apertura e/o canale di accesso che lo avrebbe reso fruibile” (per cui non configura, per la sua inaccessibilità, una superficie utile né integra un aumento della volumetria)”. In sostanza, secondo l’interessata, le difformità dal progetto ravvisate dalla PA in realtà sono “temporanei scostamenti” dovuti ad esigenze costruttive, dato che, una volta edificati i pilastri e i solai, la tamponatura delle pareti, l’edificio “avrebbe corrisposto senz’altro al progetto allegato alla stessa dichiarazione di inizio attività”.
Nel caso in esame, nell’elaborato grafico allegato alla DIA è rappresentato, appunto, nella parte post operam, sul lato sinistro del garage del seminterrato, un “vuoto strutturale tombato”, così espressamente denominato nella rappresentazione grafica e rappresentato mediante linea discontinua (peraltro con riduzione della superficie rispetto all’esistente della rappresentazione ante operam).
L’ampliamento realizzato nel locale seminterrato può essere qualificato come cd. “vuoto strutturale” solo a condizione che si tratti di locale senza destinazione d’uso, non accessibile e completamente interrato, come, appunto pare desumersi dalla graficizzazione del locale in contestazione mediante linea tratteggiata nell’elaborato allegato alla DIA.
Come chiarito dalla giurisprudenza in materia, l’operazione di “tombatura” consiste nella chiusura totale con muratura dei locali che li rende inaccessibili e, di conseguenza, non idonei a determinare incremento di volumetria o superficie da computarsi ai fini urbanistici in quanto non utilizzabili. Pertanto tali locali non costituiscono superficie utile e non determinano un incremento volumetrico, rientrando nell’attività edilizia libera, disciplinata dall’art. 6, lett. c) d.P.R. n. 380/2001, al pari dei “volumi tecnici” (che sono del pari utilizzabili esclusivamente per contenere impianti ed assicurare la funzionalità dell’edificio cui sono asserviti, per cui sono accessibili esclusivamente per l’utilizzato degli impianti in essi collocati), dai quali si distinguono per non essere neppure accessibili, come nel caso dei “sottotetti non accessibili asserviti alla costruzione quale spazio vuoto utile all’isolamento termico ecc.” (vedi, TAR Campania, Salerno, sez. I, che ha chiarito che il “tombamento” consiste nel “colmamento dei vuoti di uno scavo, livellamento delle depressioni di un terreno o riempimento del letto di un corso d'acqua con materiali solidi” (per tale rigorosa accezione si veda anche T.A.R. Campania, Sezione di Salerno, Sez. II, n. 1588 del 15 luglio 2013), ritenendo quindi sufficiente che un locale sia interamente “chiuso” per potersi definire come “tombato”, deve osservarsi che i locali “tombati”, per essere tali, ovvero per beneficiare del predetto regime di favor, devono perseguire ab initio una loro autonoma funzione di carattere edilizio (quale potrebbe essere anche quella di rispondere ad una specifica esigenza di carattere strutturale): funzionalizzazione che finisce per conformarli anche strutturalmente, se si considera che la relativa dimensione non può che essere rapportata alla (e contenuta in ragione della) funzione per la quale sono realizzati”).
Si tratta, pertanto, di locali che non debbono essere computati nella volumetria o nella superficie utile dato che svolgono “una loro autonoma funzione di carattere edilizio (quale potrebbe essere anche quella di rispondere ad una specifica esigenza di carattere strutturale)” – appunto, come nel caso in esame – “funzionalizzazione che finisce per conformarli anche strutturalmente, se si considera che la relativa dimensione non può che essere rapportata alla (e contenuta in ragione della) funzione per la quale sono realizzati”. Pertanto detti locali non danno luogo ad un volume in considerazione della “duratura finalizzazione ad uno scopo meramente strumentale, incompatibile con l’autonoma utilizzazione” (vedi, da ultimo, TAR Campania, Salerno, sez. I, n. 1189/2019).
Tali condizioni risultavano soddisfatte dal progetto presentato dalla ricorrente, dato che negli elaborati grafici allegati alla DIA il locale adiacente al lato sinistro del garage veniva denominato e graficamente rappresentato come “vuoto strutturale tombato”.
Nel sopralluogo effettuato dal competente Ufficio Tecnico comunale in data 16.10.2018 e 20.11.2018 è stata accertata la realizzazione di “un manufatto seminterrato in corso di realizzazione (….) sprovvisto di solaio di copertura e dalle misurazioni si è riscontrato un aumento di superficie di circa 66 mq rispetto alle dimensioni riportate negli elaborati progettuali allegati alla DIA”.
La ricorrente deduce che la volumetria aggiuntiva contestata riguarda un locale non accessibile e non autonomamente utilizzabile – che pertanto rientra nella nozione di “vuoto strutturale” sopraindicato – che è stato necessario realizzare per assicurare la conformità dell’edificio alla normativa antisismica, che era rappresentato negli elaborati grafici approvati dal Genio Civile e che, al momento in cui l’accertamento è stato effettuato, i lavori non erano stati totalmente completati – come si evince dalla descrizione delle opere contenute nel suddetto verbale - per cui, una volta effettuata la tombatura non vi sarebbe stata più la contestata difformità, venendo meno l’effetto solo temporaneo dell’aumento di superficie verificatosi nel corso dei lavori di fondazione.
Per verificare l’effettiva esistenza e consistenza della difformità dell’edificio realizzato rispetto a quello progettato e alla prospettata possibilità del “riassorbimento” dell’asserito “vuoto strutturale” soprarichiamato è stata disposta una verificazione, nonché un’integrazione della stessa, a seguito di rilievi del consulente di parte.
Sulla conformità dell’opera realizzata a quella “approvata”, il verificatore dà atto, da un lato, che quanto effettivamente costruito è conforme al progetto datato 2014 allegato alla autorizzazione del Genio Civile Regionale di Viterbo, e, dall’altro, che risulta difforme rispetto a quanto rappresentato nel progetto allegato alla DIA n. n. 549/2012.
Però, nella medesima relazione si illustrano le ragioni della modifica apportata al progetto allegato alla DIA, collegate alle caratteristiche strutturali dell’edificio che, essendo localizzato in zona sismica, ha richiesto un cambiamento nella tecnica delle fondazioni.
A tale riguardo il verificatore ha precisato che nel progetto architettonico allegato alla DIA n. 549/2012 la struttura portante dell'edificio poggiava su fondazioni dirette (travi rovesce) poste su piani sfalsati, soluzione che “pone una problematica tutt'altro che trascurabile, che è connessa alla vulnerabilità strutturale di un'opera (…) poiché presenta: uno sviluppo planimetrico differente nei due piani; la quota del piano di fondazione posta su due livelli differenti. Il secondo aspetto su citato, in particolare, comporta un aggravio in termini di sicurezza e vulnerabilità sismica dell'opera oltre a costituire un rilevante scostamento rispetto alla buona regola d'arte delle costruzioni in zona sismica”.
Ciò spiega le modifiche introdotte nel progetto strutturale sottoposto all'esame del Genio Civile - nonché al progetto allegato alla richiesta della ricorrente prot.44286 del 15/05/2019 in corso di esame da parte del Comune – che vede le fondazioni non più poste su piani sfalsati, bensì su un unico piano, in modo da tener conto, oltre che delle azioni gravitazionali, anche delle sollecitazioni sismiche, adeguandosi alle prescrizioni della normativa antisismica (che richiede che le fondazioni siano poste su uno stesso piano e rigidamente collegate tra loro in modo da assicurare uniformità degli spostamenti ed il movimento sincrono alla base dei diversi elementi verticali della struttura, mentre se sono poste su piani sfalsati si muovono diversamente e quindi rendono più probabile il crollo della struttura).
L’esigenza di rimediare a tale problematica strutturale ha comportato una modifica della quota di fondazione della parte più alta per farla combaciare con la fondazione più bassa, con una modifica che è giudicata dal verificatore “una variante strutturale sostanziale migliorativa” - sotto il profilo del regime di sollecitazione interna alla struttura rispetto alla fondazione sfalsata – che non dipende da una diversa “metodologia costruttiva”, ma da una “differente impostazione della compagine strutturale del fabbricato in questione”.
Con riferimento alla qualificazione del locale in contestazione il verificatore s’è espresso nel senso che: “il cosiddetto "vuoto tecnico" non sia "riassorbibile" in quello progettato, ma bensì dipende da una differente impostazione progettuale della struttura del fabbricato in questione. Il volume realizzato, aldilà dell'uso che si vorrà fare, è e resta vincolato al destino della costruzione nell'arco della sua vita e pertanto non può essere considerato come un qualcosa provvisoriamente generato e/o strumentale alla metodologia costruttiva (strumentale per la realizzazione di qualcos'altro, "uno stato in itinere" a carattere temporaneo). Il cosiddetto "vuoto tecnico", se riferito alla destinazione d'uso ipotizzata nel "progetto di variante allegato alla richiesta del 15/5/2019", potrebbe essere meglio definito come "vuoto architettonico", ovvero equiparato ad un "vano tecnico strutturale", dato che questo spazio, contiene (ed al contempo ne è delimitato), effettivamente, una parte strutturale inamovibile, necessaria ed inscindibile dal resto della compagine strutturale dell'edificio.”
A seguito dei rilievi del consulente tecnico di parte in merito alla incomprensibilità di tali affermazioni ed alla contraddittorietà delle conclusioni sulla “non riassorbibilità” di tale locale rispetto alla sua qualificazione come "vano tecnico strutturale dato che questo spazio, contiene (ed al contempo ne è delimitato), effettivamente, una parte strutturale inamovibile, necessaria ed inscindibile dal resto della compagine strutturale dell'edificio.”, il verificatore, nella relazione integrativa ha precisato che: “Il cosiddetto "volume tecnico" o come si voglia meglio definire, determinatosi al piano interrato del fabbricato, non dipende dalla metodologia esecutiva posta in essere, per risolvere un particolare dettaglio costruttivo del fabbricato, come in origine progettato, ma è funzione diretta della nuova e diversa struttura dell'edificio che si è intesa realizzare e per la quale è sorta la necessità della variante” ed ha pertanto concluso che “la variante tecnica scaturita in corso d'opera doveva tenere conto del procedimento tecnico —amministrativo in atto e, pertanto ( al pari del progetto originario), doveva essere autorizzata dall'Amministrazione competente prima di essere posta in esecuzione.”.
Il Collegio osserva che, alla luce della documentazione in atti ed ai chiarimenti tecnici forniti nella relazione di verificazione, si può pervenire alle seguenti conclusioni:
-le modifiche apportate al progetto originario costituiscono “varianti necessarie” per assicurare il rispetto delle norme tecniche antisismiche;
-sono rappresentate negli elaborati grafici approvati dal Genio Civile e risultano ad esse conformi;
-tali “variazioni” erano state trasmesse al competente Ufficio tecnico comunale (che, pertanto, avrebbe potuto immediatamente contestare la difformità dispetto al progetto allegato alla DIA);
-al momento in cui l’accertamento è stato effettuato i lavori erano ancora in corso per cui risultava impossibile prevedere se, una volta completati, sarebbe stata effettuata la tombatura (con conseguente eliminazione dell’aumento di superficie utile contestato) oppure se il locale così realizzato sarebbe stato destinato ad altro uso (possibilità che il verificatore ha lasciato aperta riferendosi nelle conclusioni al “volume realizzato, aldilà dell'uso che si vorrà fare”);
-tale variante in corso d'opera avrebbe dovuto essere autorizzata dall'Amministrazione competente prima di essere posta in esecuzione.
Una volta chiariti nei termini soprariportati gli aspetti tecnici dell’intervento in contestazione, si deve affrontare il punto nodale della loro qualificazione giuridica, partendo dai seguenti dati.
La ricorrente, supportata dal Consulente tecnico di parte, eccepisce che si tratta di una “variante non sostanziale”, per cui avrebbe provveduto a presentare a conclusione lavori – come previsto dall’art. 22 co. 2 DPR 380/2001 - una “variante in corso d’opera per uniformare il progetto architettonico con il progetto strutturale” (cosa che in effetti poi ha fatto presentando un "progetto di variante” in data 15/5/2019, che però non rileva ai fini della decisione, che deve far riferimento allo stato di fatto e di diritto al momento dell’adozione dell’atto impugnato).
Si tratta di un punto determinante per stabilire se sia applicabile la misura ripristinatoria demolitoria.
L’atto impugnato fa riferimento all’art. 16 e segg. della LR 15/2008, che prevede le misure ripristinatorie e sanzionatorie per gli “interventi di ristrutturazione edilizia e cambi di destinazione d'uso in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali”, ma poi finisce per ordinare la demolizione senza valutare la possibilità alternativa dell’applicazione della pena pecuniaria.
La misura demolitoria è infatti l’unica “sanzione” unica dagli artt. 31 D.P.R. 380/01 e dall’art. 15 della LR n. 15/2008 per gli interventi di nuova costruzione sia per il caso di totale difformità che di variazioni essenziali di cui all’art.17.
Mentre l’art. 16 per gli interventi di ristrutturazione edilizia e cambi di destinazione d'uso in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali, al comma 3 prevede che “Qualora, sulla base di un motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile della struttura comunale competente applica una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'incremento del valore di mercato dell'immobile conseguente alla esecuzione delle opere, determinato con riferimento alla data di applicazione della sanzione”.
Non solo, ma la stessa qualificazione dell’intervento come “variazione essenziale”, ai sensi dell’art. 17, non risulta adeguatamente “argomentato” nell’atto impugnato, dato che la disposizione in parola fa riferimento alle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standard urbanistici; b) mutamento delle destinazioni d'uso, con o senza opere a ciò preordinate, quando per lo stesso è richiesto il permesso di costruire; c) aumento superiore al 2 per cento del volume o della superficie lorda; d) modifica dell'altezza superiore al 10 per cento; e) modifica della sagoma quando la sovrapposizione è superiore al 10 per cento; f) modifica della localizzazione inferiore al 50 per cento; g) mutamento delle caratteristiche rispetto alla classificazione dell'articolo 3 del d.P.R. 380/2001 e successive modifiche; h) violazione sostanziale della normativa antisismica.
Ed appunto quest’ultima previsione appare particolarmente significativa nel caso in esame, dato che le modificazioni in contestazione sono state introdotte nel progetto approvato dal Genio Civile – che corrisponde ai lavori effettivamente realizzati - proprio per la necessità di adeguarsi alla normativa antisismica.
Non solo, ma seguendo la prospettazione della ricorrente in merito all’intenzione di realizzare il contestato “vuoto strutturale tombato” (per il quale valgono, a maggior ragioni, le previsioni concessive riconosciute per i volumi tecnici), non risulta preso in considerazione nell’atto impugnato nemmeno quanto previsto dal comma 3 dell’art. 17 della legge regionale in parola, che precisa che “Non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative”.
Inoltre non viene considerata la possibilità alternativa di ricomprendere l’intervento in questione tra quelli previsti dall’art. 18 per gli interventi tanto di nuova costruzione quanto di ristrutturazione edilizia eseguiti in “parziale difformità” dal titolo abilitativo, per i quali il comma 3 prevede che “ Qualora, sulla base di un motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi non possa avvenire senza pregiudizio della parte dell'immobile eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile della struttura comunale competente applica una sanzione pecuniaria”.
Tantomeno viene considerato l’art. 19 che prevede che per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività l’applicazione di una “sanzione pecuniaria (…) in relazione alla gravità dell'abuso”.
In conclusione il provvedimento impugnato risulta assistito solo da una “motivazione formale”, ma non da un’adeguata “motivazione sostanziale” in quanto il Comune si limita a far esclusivo riferimento alle dimensioni dell’aumento di superficie riscontrate in corso di lavori ancora in corso (come attestato nello stesso verbale del sopralluogo), contestando una difformità rispetto agli elaborati grafici allegati alla DIA - che peraltro avrebbe potuto tempestivamente rilevare in occasione della ricezione del progetto modificato per l’adeguamento alla normativa antisismica approvato dal Genio Civile - ma ha omesso di valutare la “necessità” di tali modificazioni (che rientrano tra quelle indicate all’art. 17 co. 3 soprarichiamato).
Inoltre, alla luce delle considerazioni sopra svolte, la “sanzione” demolitoria appare in contrasto con il principio di proporzionalità, dato che non solo impone la demolizione di un edificio che, seppur di dimensioni maggiori rispetto a quello della DIA, risulta minore rispetto a quello preesistente, ma soprattutto viola i canoni di idoneità, necessarietà e adeguatezza, dato che, se l’intervento progettato fosse stato eseguito esattamente come previsto, cioè con i piani sfalsati, avrebbe determinato uno stato di pericolo in caso di evento sismico. Pertanto l’interesse all’astratto rispetto del “titolo abilitativo” perseguito dal Comune viene in conflitto con l’interesse alla sicurezza e stabilità delle costruzioni, che invece sarebbero (irragionevolmente) sacrificati ove si pretendesse la demolizione dell’opera in contestazione per poi consentirne la sua ricostruzione in violazione alla normativa antisismica. Soprattutto, nello specifico e concreto insieme di circostanze sopra rappresentate, l’interesse pubblico al rispetto del “titolo abilitativo” può essere ugualmente assicurato mediante il completamento dell’intervento progettato con l’operazione di tombatura che, appunto, consente di assicurare la corrispondenza del costruito al progettato.
In conclusione il ricorso risulta fondato sotto l’assorbente profilo di censura sopra esaminato, sicché il provvedimento impugnato va annullato; fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione che, in esecuzione della presente sentenza, dovrà procedere alla riedizione dell’atto impugnato, integrandone la motivazione sotto il profilo sopra evidenziali, con particolare riferimento ai canoni del principio di proporzionalità.
Dato l’esito del gravame, sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.
Il compenso dovuto al verificatore, liquidato nella misura di €. 1.000,00, è posto definitivamente a carico del Comune soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione, e, per l'effetto, annulla, per quanto di ragione, il provvedimento impugnato; fatti salvi gli ulteriori provvedimenti di competenza dell’Amministrazione.
Spese di giudizio compensate.
Condanna l’Amministrazione a corrispondere al verificatore nominato, Ing. Gian Francesco DE LUCA, il compenso per l’attività svolta nella somma complessiva di euro 1.000,00 (mille/00), ponendolo a carico del Comune di Viterbo.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza e per le comunicazioni alle parti ed al verificatore.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:
Donatella Scala, Presidente
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
Silvia Coppari, Primo Referendario