Corte Costituzionale sent. 203 del 20 luglio 2012
Oggetto: Regioni, in genere - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica - Dissenso fra Stato e Regione o Province autonome in sede di conferenza dei servizi - Possibilità di superare il mancato raggiungimento dell'intesa con deliberazione del Consiglio dei ministri, non solo nelle materie di competenza statale, ma anche in quelle di competenza delle Regioni e delle Province autonome, con riferimento agli enti locali - Lamentata violazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di intesa forte; Disciplina relativa alla conferenza dei servizi - Qualificazione come attinente ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi della lett. m) dell'art. 117, comma secondo, Cost. - Lamentato intento del legislatore statale di attirare alla propria competenza esclusiva la disciplina relativa alla conferenza dei servizi, con incidenza in materie riservate alla competenza provinciale, quali la tutela e conservazione del patrimonio storico-artistico, l'urbanistica, la tutela del paesaggio, l'igiene e la sanità; Iniziativa economica privata - Introduzione della "Segnalazione certificata di inizio attività" (SCIA) sostitutiva della "Denuncia di inizio attività" (DIA) - Sostituzione diretta della preesistente normativa sia statale che regionale - Dichiarazione che la disciplina predetta attiene alla tutela della concorrenza e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali - Lamentata incidenza in ambiti di legislazione provinciale e in particolare nella materia dell'urbanistica e piani regolatori.
Dispositivo: non fondatezza

 

 

SENTENZA N. 203

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 49, comma 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010 ed iscritto al n. 105 del registro ricorsi 2010.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

udito l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

1.— La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2010, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 6 ottobre 2010 (r. ric. n. 105 del 2010), ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra gli altri, dell’articolo 49, comma 4-ter (se e in quanto riferito alle Province autonome), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per violazione: dell’articolo 8, numeri 1), 9), 14), e 20), e dell’articolo 9, numeri 3), 7), e 10), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino Alto Adige), o comunque per violazione del Titolo V della Parte II della Costituzione in connessione con l’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), in particolare degli articoli 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino Alto Adige, concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento) e, infine, del principio di leale collaborazione.

La ricorrente premette di essere dotata di autonomia finanziaria, ai sensi del Titolo VI dello statuto speciale, di recente modificato per meglio armonizzare la speciale autonomia della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e delle Province autonome di Trento e di Bolzano con le esigenze della situazione finanziaria dello Stato, anche nel quadro degli impegni assunti nell’ambito dell’Unione europea e per tenere conto delle esigenze di solidarietà derivanti anche dalla attuazione del “federalismo fiscale”, quale prefigurato dalla legge di delega 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione).

2.— Ciò posto, la Provincia autonoma di Trento, richiamato il contenuto dell’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, dubita che tali norme si applichino alle Province autonome. Tuttavia, la mancanza di una specifica clausola di salvaguardia, nel contesto di una legge che pure ne contiene, non esclude con ragionevole sicurezza una diversa interpretazione. La Provincia autonoma di Trento, dunque, censura l’art. 49, comma 4-ter, se ed in quanto ad essa applicabile.

Ad avviso della ricorrente, anche se le disposizioni citate fossero attinenti ai «livelli essenziali delle prestazioni», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o alla «tutela della concorrenza» di cui alla lettera e) del medesimo comma, ciò non consentirebbe affatto di farle entrare a questo titolo nelle materie di competenza statutaria provinciale. La nuova definizione di materie riservate allo Stato operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 verrebbe a limitare l’ampiezza della potestà legislativa provinciale delineata dallo statuto. Ma ciò sarebbe da escludere, impedendolo la clausola di cui all’art. 10 della stessa legge costituzionale, la quale prevede l’estensione delle nuove norme del Titolo V della Parte II della Costituzione alle autonomie speciali, ma solo in quanto ciò si traduca per esse in maggiore autonomia rispetto alla situazione statutaria. Per le autonomie speciali, dunque, anche le norme emanate in base ai titoli di cui all’art. 117, secondo comma, Cost. potrebbero operare soltanto nel quadro dei limiti statutari alle competenze provinciali, quali delineati dagli artt. 8 e 9 dello statuto speciale, in relazione alle potestà legislative primarie e concorrenti della Provincia.

3.— Ciò posto, e premesso che l’autoqualificazione operata dal legislatore non ha carattere vincolante, la ricorrente contesta innanzi tutto che la disciplina sulla «Segnalazione certificata di inizio attività» (d’ora in avanti SCIA) attenga ai «livelli essenziali delle prestazioni», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.

La giurisprudenza costituzionale, in effetti, avrebbe precisato, in positivo, che la citata lettera m) consente allo Stato soltanto di fissare «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da garantire agli aventi diritto» (sono richiamate le sentenze n. 10 del 2010 e n. 207 del 2010). Con le disposizioni sulla SCIA, invece, non sarebbe stabilito alcuno standard di prestazioni determinate, attinenti a questo o a quel “diritto” civile o sociale, garantito dalla stessa Costituzione.

Al contrario, sarebbe regolato in un certo modo lo svolgimento dell’attività amministrativa, in settori molto vasti e indeterminati, alcuni di indiscutibile competenza provinciale: oltre alla tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare, all’urbanistica, alla tutela del paesaggio, all’igiene e sanità, sarebbero incise le materie dell’ordinamento degli uffici provinciali, dell’artigianato, delle miniere, del turismo, del commercio, degli esercizi pubblici, dell’industria, cioè materie spettanti alla Provincia, in forza dello statuto speciale (art. 8, numeri 1, 9, 14 e 20; art. 9, numeri 3, 7 e 10) o del nuovo Titolo V della Costituzione, in connessione con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.

In tal modo, però, sarebbero violate le citate norme costituzionali e statutarie, per le quali la disciplina delle funzioni amministrative di regola non può che spettare allo Stato o alla Provincia, secondo il riparto delle competenze per materia. Sarebbe evidente che lo Stato non può, semplicemente appellandosi alla fissazione dei livelli essenziali, riservarsi la regolamentazione di interi settori materiali. Inoltre, non potrebbe essere confusa la determinazione dei livelli delle prestazioni e la disciplina delle posizioni soggettive degli amministrati, mentre la distinzione sarebbe in effetti necessaria. Infatti, se non fosse eseguita, poiché ogni diritto o interesse implica un qualche comportamento altrui (anche solo omissivo), la competenza sulla materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. consentirebbe allo Stato qualunque intervento conformativo di qualsiasi posizione soggettiva in ogni materia regionale o provinciale. Il che non potrebbe essere.

Tale confusione sarebbe evidente nella disciplina relativa alla SCIA che, nella sua rigidità, potrebbe determinare in alcuni casi una diminuzione dei livelli essenziali delle prestazioni cui hanno diritto persone destinatarie dell’attività assentita mediante segnalazione certificata: quando, ad esempio, in conseguenza delle limitazioni temporali e sostanziali alla attività di accertamento e di controllo della pubblica amministrazione, sia praticamente impedita la verifica del rispetto di standard qualitativi di determinate prestazioni attinenti ai diritti sociali.

La ricorrente non contesta che alcuni istituti della cosiddetta “semplificazione amministrativa” (cui la SCIA è riconducibile) possano concretizzare o esprimere limiti vincolanti per le potestà legislative provinciali, ma ciò postula sempre una valutazione complessiva – alla luce del tipo di potestà legislativa coinvolta – di tutti gli interessi che vengono in rilievo nella singola materia interessata, valutazione “concreta” soggetta al controllo della Corte; e il controllo, a sua volta, per essere effettivo, non può che riguardare norme riferite a ben determinati settori.

Il punto di equilibrio tra interesse del singolo ad iniziare quanto prima una certa attività e l’esercizio del potere-dovere dell’amministrazione di tutelare secondo legge gli altri interessi toccati da quell’attività potrebbe essere diverso, a seconda che questi ultimi attengano al governo del territorio, oppure alla tutela della salute o alla tutela del lavoro (il riferimento al governo del territorio e alla tutela della salute o del lavoro non sarebbe casuale, evocando interessi che il comma 4-bis non prende in considerazione, ai fini dell’esclusione dell’ambito di operatività della SCIA).

La ricorrente aggiunge che esigenze di semplificazione possono derivare anche dalla normativa comunitaria, vincolante per la Provincia, ed in particolare dalla direttiva 12 dicembre 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno). Ma anche la normativa comunitaria è attenta: a) a far salva la peculiarità dei singoli settori, ammettendo che in taluni casi l’autorizzazione allo svolgimento di certe attività sia subordinata allo svolgimento di un “adeguato esame” sulla presenza delle “condizioni stabilite” per ottenerla; b) a far salvo il riparto delle competenze tra Stato, Regioni e minori Enti locali.

Del resto, il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), non abrogato dal decreto-legge n. 78 del 2010, dispone che «relativamente alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano, i principi desumibili dalle disposizioni di cui alla parte prima del presente decreto costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e principi dell’ordinamento giuridico dello Stato», aggiungendo che in relazione «alle materie oggetto di competenza concorrente, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente decreto» (art. 1, comma 4).

Lo stesso decreto, poi, all’art. 84, e in dichiarata attuazione dell’art. 117, quinto comma, Cost., aggiunge che «nella misura in cui incidono su materie di competenza esclusiva regionale e su materie di competenza concorrente, le disposizioni del presente decreto si applicano fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione della direttiva 2006/123/CE, adottata da ciascuna Regione e Provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dei principi fondamentali desumibili dal presente decreto».

4.— La Provincia autonoma di Trento aggiunge che l’art. 49, comma 4-ter, dichiara come proprio fondamento costituzionale anche la «tutela della concorrenza», oltre ai livelli essenziali delle prestazioni. Ma esso, in realtà, non può essere ricondotto nemmeno all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

A parte la palese estraneità a tale materia delle norme penali e di quelle relative ai rimedi giurisdizionali, la cui adozione la Provincia certo non rivendica, sarebbe evidente l’estraneità alla “tutela della concorrenza” del comma in esame anche nelle parti in cui non riguarda attività imprenditoriali e professionali e nelle parti in cui concerne (limitandoli) i poteri di controllo e repressivi delle amministrazioni preposte alla tutela dei molteplici interessi pubblici e privati, che sono stati presi in considerazione dalle singole leggi di settore quando hanno previsto le autorizzazioni, licenze, nulla osta e simili. Con riferimento a queste ultime norme limitatrici, anzi, la disposizione potrebbe avere l’effetto di far rimanere “sul mercato” imprese o professionisti con requisiti (in senso lato) non del tutto conformi agli schemi legali, con conseguente alterazione della concorrenza “leale” tra i diversi operatori.

Tuttavia, anche con riferimento alle attività imprenditoriali e professionali, il comma 4-ter non sarebbe espressione della “tutela della concorrenza” nel senso della Costituzione, come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte. Esso non riguarderebbe i requisiti per l’accesso al mercato, o le condizioni di offerta dei beni e dei servizi, o la parità di trattamento degli operatori, o misure di liberalizzazione dei mercati, ma verrebbe ad incidere in via principale e diretta sullo svolgimento dell’attività amministrativa e sui relativi procedimenti.

Al più, si potrebbe affermare che la concorrenza sarebbe agevolata dal fatto che, riducendo i tempi per l’avvio di un’attività, un soggetto potrebbe essere indotto ad intraprenderla. Sarebbe evidente, però, che la decisione di intraprendere un’attività dipenderebbe anche dall’insieme della normativa (statale, provinciale, europea, internazionale) che la riguarda, in modo che l’effetto della semplificazione della disciplina sulla concorrenza sarebbe soltanto accessorio ed indiretto; e, secondo i principi affermati da questa Corte, nei casi d’interferenza, ai fini della riconduzione di una legge all’una o all’altra materia, andrebbe operato un giudizio di prevalenza (è richiamata la sentenza n. 370 del 2003).

Ad avviso della ricorrente, gli argomenti che precedono escluderebbero che il vincolo al rispetto integrale del comma 4-bis, fondato dal comma 4-ter sulle lettere e) ed m) del secondo comma dell’art. 117 Cost., possa “convertirsi” in uno dei limiti che gli artt. 8 e 9 dello statuto speciale pongono alle potestà legislative primarie e concorrenti della Provincia. Da strumenti di semplificazione dei procedimenti potrebbero anche ricavarsi norme fondamentali di riforme economico-sociali o principi dell’ordinamento giuridico: ma ciò andrebbe accertato caso per caso, in relazione alle singole previsioni, mentre non potrebbe dirsi per interi complessi di discipline eterogenee.

In ogni caso, il comma 4-ter, là dove dispone che la disciplina della SCIA posta dal comma 4-bis sostituisce direttamente quella della dichiarazione d’inizio dell’attività recata da ogni normativa statale e regionale, sarebbe costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui si riferisce a leggi provinciali, per violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Si tratterebbe di norma immediatamente applicativa, in contrasto con la regola per cui il dovere di adeguamento della legislazione provinciale ai principi ed alle norme costituenti limiti costituzionali e recati da atto legislativo dello Stato deve avvenire entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell’atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale, rimanendo nel frattempo applicabili le disposizioni legislative provinciali preesistenti.

5.— Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio, con atto depositato il 4 novembre 2010, adducendo l’infondatezza del ricorso e ponendo in evidenza che l’istituto della SCIA non è nuovo ma integra la modifica e semplificazione di altro analogo, la dichiarazione di inizio attività (DIA), già previsto dall’ordinamento e già positivamente scrutinato da questa Corte, nel senso che esso esprime un nuovo principio fondamentale del governo del territorio (alternativo alla licenza o concessione edilizia), applicabile anche alle Province autonome. Anche la norma qui impugnata da una parte continua ad integrare un principio fondamentale e dall’altra, nelle sue modifiche e semplificazioni, s’ispira alla tutela della concorrenza (incrementando e agevolando le attività edilizie) per quanto riguarda gli operatori del settore, e ai livelli essenziali delle prestazioni per i cittadini interessati ad una sollecita risposta e allo svolgimento di tali attività: materie, queste, di esclusiva competenza statale.

6.— In vista dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie dirette a sviluppare i rispettivi argomenti difensivi.


Considerato in diritto

1.— La Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe e richiamato in narrativa, ha impugnato, tra gli altri, l’articolo 49, comma 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122.

La ricorrente censura il citato art. 49, comma 4-ter, se ritenuto applicabile alla Provincia di Trento, nella parte in cui qualifica la disciplina della «Segnalazione certificata di inizio attività» (SCIA), contenuta nel comma 4-bis, che modifica l’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), come attinente alla tutela della concorrenza, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Sarebbero così violate le competenze provinciali statutarie previste, nelle materie della tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare, dell’urbanistica, della tutela del paesaggio, dell’igiene e sanità, dell’ordinamento degli uffici provinciali, dell’artigianato, delle miniere, del turismo, del commercio, degli esercizi pubblici, dell’industria, dall’art. 8, numeri 1), 9), 14) e 20), e dall’art. 9, numeri 3), 7) e 10) del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), o comunque dal nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, in connessione con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

In subordine la Provincia autonoma di Trento impugna il menzionato art. 49, comma 4-ter, nella parte in cui dispone che la disciplina della SCIA, dettata dal comma 4-bis, sostituisce direttamente quella della dichiarazione d’inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale. Infatti, la norma censurata violerebbe l’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), perché il dovere di adeguamento della legislazione provinciale ai principi e alle norme costituenti limiti costituzionali e recati da atto legislativo dello Stato deve avvenire entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell’atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale, rimanendo nel frattempo applicabili le disposizioni legislative provinciali preesistenti.

2.— Riservata a separate pronunce la decisione sulle impugnazioni delle altre norme contenute nel suddetto d.l. n. 78 del 2010, proposte dalla ricorrente, vengono qui in esame le questioni di legittimità costituzionale relative al citato art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di conversione n. 122 del 2010. Invero, come si evince dall’epigrafe del ricorso e come si desume dal contesto dell’apparato argomentativo che lo sorregge, a tale disposizione, in parte qua, fanno riferimento le censure mosse dalla Provincia autonoma di Trento. Del resto, anche la delibera della Giunta provinciale in data 17 settembre 2010 (reg. delib. n. 2169), sulla cui base il ricorso fu proposto, nella parte dispositiva concernente l’art. 49 richiama i commi 4 e 4-ter del d. l. n. 78 del 2010, come convertito, ma non menziona l’art. 4-bis che, anche nella motivazione della delibera stessa (pag. 8), risulta citato soltanto perché oggetto della disciplina dettata dal comma 4-ter, cui è attribuito il carattere lesivo della potestà legislativa provinciale.

3.— In via preliminare, la difesa dello Stato ha eccepito il carattere tardivo del ricorso, proposto «avverso norme del decreto-legge, non modificate in sede di conversione e quindi, in ipotesi, immediatamente lesive».

L’eccezione non è fondata.

L’efficacia immediata, propria del decreto-legge, e il conseguente carattere lesivo che esso può assumere, lo rendono impugnabile in via immediata da parte delle Regioni. È pur vero, però, che soltanto con la legge di conversione il detto provvedimento legislativo acquisisce stabilità (art. 77, terzo comma, Cost.). In tale contesto, come questa Corte ha più volte affermato, la Regione può, a sua scelta, impugnare tanto il solo decreto-legge, quanto la sola legge di conversione, quanto entrambi (ex plurimis: sentenze n. 298 del 2009, n. 443 del 2007, n. 407 del 2005, n. 25 del 1996).

4.— Ancora in via preliminare, deve essere esaminata, d’ufficio, l’ammissibilità del ricorso proposto dalla Provincia autonoma di Trento, sotto il profilo della tardività del deposito in giudizio della ratifica del Consiglio provinciale relativa alla delibera di proporre il ricorso stesso, adottata in via d’urgenza dalla Giunta provinciale ai sensi dell’art. 54, numero 7), del d.P.R. n. 670 del 1972.

Tale inammissibilità non può essere qui dichiarata.

Va premesso che, come ritenuto da questa Corte con la sentenza n. 142 del 2012, l’atto di ratifica del Consiglio provinciale in ordine alla delibera adottata in via d’urgenza dalla Giunta provinciale, avente ad oggetto la proposizione del ricorso davanti a questa Corte, deve intervenire ed essere prodotto in giudizio al momento del deposito del ricorso davanti alla Corte o, comunque, entro il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente.

Nella specie, il ricorso è stato proposto – come sopra si è visto – in base a delibera adottata in via di urgenza dalla Giunta provinciale di Trento, ai sensi dell’art. 54, numero 7), dello statuto, secondo cui alla Giunta medesima spetta «l’adozione, in caso di urgenza, di provvedimenti di competenza del Consiglio da sottoporsi per la ratifica al Consiglio stesso nella sua prima seduta successiva». La ratifica di tale delibera da parte del Consiglio provinciale – competente in via ordinaria a proporre ricorso ai sensi dell’art. 98 del medesimo statuto – non è stata depositata in giudizio entro il termine perentorio previsto per la costituzione della parte ricorrente, cioè entro dieci giorni decorrenti dalla notificazione del ricorso alla parte resistente (combinato disposto del terzo comma dell’art. 32 e del comma quarto dell’art. 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87). La notificazione del ricorso al Presidente del Consiglio dei ministri è avvenuta il 28 settembre 2010 e, pertanto, il termine per costituzione in giudizio della ricorrente scadeva il decimo giorno successivo, ossia l’8 ottobre 2010 (in effetti, il deposito del ricorso, con allegate la sola deliberazione della Giunta provinciale in data 17 settembre 2010 e la procura speciale ai difensori, ha avuto luogo il 6 ottobre 2010). La ratifica consiliare, che risulta intervenuta soltanto con deliberazione n. 11 del 1° dicembre 2010, non è stata ovviamente depositata in giudizio entro il suddetto termine perentorio dell’8 ottobre 2010.

Tuttavia, come sopra anticipato, l’inammissibilità del ricorso derivante dall’indicata tardività del deposito non può essere dichiarata nel presente giudizio. Si deve, infatti, tenere conto della lunga prassi di questa Corte la quale, in numerose pronunce, non ha rilevato l’inammissibilità del ricorso sotto tale profilo. Siffatta prassi ha determinato, anche per l’obiettiva incertezza interpretativa delle norme processuali in materia, un errore scusabile tale da ingenerare nella Provincia autonoma un affidamento circa la non perentorietà del suddetto termine di deposito (citata sentenza n. 142 del 2012).

5.— Nel merito, le questioni non sono fondate.

L’art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, sostituisce il testo dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, ora recante la rubrica «Segnalazione certificata di inizio di attività – SCIA».

Il comma 1 del testo novellato (testo risultante anche da alcune modifiche introdotte con provvedimenti successivi, tra i quali il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, recante «Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia» convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106) stabilisce che «Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria».

La disposizione prosegue specificando gli atti che devono essere prodotti a corredo della segnalazione e dispone che quest’ultima, con i relativi allegati, può essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell’amministrazione.

Il comma 2 stabilisce che «L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente».

Il comma 3 aggiunge che «L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del Testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa – Testo A), può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo».

Seguono, poi, altri commi, fino al 6-ter, tra i quali vanno richiamati i commi 4 e 6-bis, quest’ultimo aggiunto dall’art. 5, comma 2, lettera b), numero 2), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, poi ancora modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 6 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.

Il citato comma 4 stabilisce che «Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente». Il comma 6-bis dispone che «Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali».

Il comma 4-ter del citato art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, a sua volta statuisce che «Il comma 4-bis attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma. Le espressioni “segnalazione certificata di inizio attività” e “Scia” sostituiscono, rispettivamente, quelle di “dichiarazione di inizio di attività” e “Dia”, ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale».

6.— La «segnalazione certificata d’inizio attività» (d’ora in avanti, SCIA) si pone in rapporto di continuità con l’istituto della DIA, che dalla prima è stato sostituito. La DIA («denuncia di inizio attività») fu introdotta nell’ordinamento italiano con l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, inserito nel Capo IV di detta legge, dedicato alla «Semplificazione dell’azione amministrativa». Successivamente, con l’entrata in vigore del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato, nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, essa assunse la denominazione di «dichiarazione di inizio attività».

Scopo dell’istituto era quello di rendere più semplici le procedure amministrative indicate nella norma, alleggerendo il carico degli adempimenti gravanti sul cittadino. In questo quadro s’iscrive anche la SCIA, del pari finalizzata alla semplificazione dei procedimenti di abilitazione all’esercizio di attività per le quali sia necessario un controllo della pubblica amministrazione.

Il principio di semplificazione, ormai da gran tempo radicato nell’ordinamento italiano, è altresì di diretta derivazione comunitaria (Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, attuata nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59). Esso, dunque, va senza dubbio catalogato nel novero dei principi fondamentali dell’azione amministrativa (sentenze n. 282 del 2009 e n. 336 del 2005).

7.— Il ricorso in esame censura la normativa impugnata nella parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA, contenuta nell’art. 49, comma 4-bis, come attinente alla tutela della concorrenza ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., ha stabilito che la nuova disciplina si sostituisca a quella già esistente in tema di DIA (art. 49, comma 4-ter), modificando non soltanto la previgente disciplina statale ma anche quella regionale. In tal modo la detta normativa avrebbe interessato ambiti di legislazione regionale, ai sensi dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., quali la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il commercio, oltre alle materie riservate dallo statuto di autonomia alla potestà legislativa primaria della Provincia autonoma.

8.— Nella giurisprudenza di questa Corte si è più volte affermato che, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quelle ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza. Per individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censura, non assume rilievo la qualificazione che di esse dà il legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto e alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli effetti marginali e riflessi, in guisa da identificare correttamente anche l’interesse tutelato (ex plurimis: sentenze n. 207 del 2010; n. 1 del 2008; n. 169 del 2007; n. 447 del 2006; n. 406 e n. 29 del 1995).

In questo quadro, il richiamo alla tutela della concorrenza, effettuato dal citato art. 49, comma 4-ter, oltre ad essere privo di efficacia vincolante, è anche inappropriato. Infatti, la disciplina della SCIA, con il principio di semplificazione ad essa sotteso, si riferisce ad «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale», e per il quale «non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale».

Detta disciplina, dunque, ha un ambito applicativo diretto alla generalità dei cittadini e perciò va oltre la materia della concorrenza, anche se è ben possibile che vi siano casi nei quali quella materia venga in rilievo. Ma si tratta, per l’appunto, di fattispecie da verificare in concreto (per esempio, in relazione all’esigenza di eliminare barriere all’entrata nel mercato).

Invece, a diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento all’altro parametro evocato dall’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, poi convertito in legge.

Detta norma stabilisce che la disciplina della SCIA, di cui al precedente comma 4-bis, costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Analogo principio, con riferimento alla DIA, era stato affermato dall’art. 29, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 10, comma 1, lettera b), della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), poi ancora modificato dall’art. 49, comma 4, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito in legge.

Tale autoqualificazione, benché priva di efficacia vincolante per quanto prima rilevato, si rivela corretta.

Al riguardo, va rimarcato che l’affidamento in via esclusiva alla competenza legislativa statale della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è prevista in relazione ai «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Esso, dunque, si collega al fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. La suddetta determinazione è strumento indispensabile per realizzare quella garanzia.

In questo quadro, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto» (sentenze n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n. 387 del 2007).

Questo titolo di legittimazione dell’intervento statale è invocabile «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione» (sentenza n. 322 del 2009, citata; e sentenze n. 328 del 2006; n. 285 e n. 120 del 2005), e con esso è stato attribuito «al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenze n. 10 del 2010 e n. 134 del 2006).

Si tratta, quindi, come questa Corte ha precisato, non tanto di una “materia” in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, in relazione alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare in modo generalizzato sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenze n. 322 del 2009 e n. 282 del 2002).

Alla stregua di tali principi, la disciplina della SCIA ben si presta ad essere ricondotta al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Tale parametro permette una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione. In particolare, «la ratio di tale titolo di competenza e l’esigenza di tutela dei diritti primari che è destinato a soddisfare consentono di ritenere che esso può rappresentare la base giuridica anche della previsione e della diretta erogazione di una determinata provvidenza, oltre che della fissazione del livello strutturale e qualitativo di una data prestazione, al fine di assicurare più compiutamente il soddisfacimento dell’interesse ritenuto meritevole di tutela (sentenze n. 248 del 2006, n. 383 e n. 285 del 2005), quando ciò sia reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari circostanze e situazioni, quale una fase di congiuntura economica eccezionalmente negativa» (sentenza n. 10 del 2010, punto 6.3. del Considerato in diritto).

Orbene – premesso che l’attività amministrativa può assurgere alla qualifica di “prestazione”, della quale lo Stato è competente a fissare un livello essenziale a fronte di uno specifico diritto di individui, imprese, operatori economici e, in genere, soggetti privati – la normativa qui censurata prevede che gli interessati, in condizioni di parità su tutto il territorio nazionale, possano iniziare una determinata attività (rientrante nell’ambito del citato comma 4-bis), previa segnalazione all’amministrazione competente. Con la presentazione di tale segnalazione, il soggetto può dare inizio all’attività, mentre l’amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti legittimanti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione (trenta giorni nel caso di SCIA in materia edilizia), adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salva la possibilità che l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione.

Al soggetto interessato, dunque, si riconosce la possibilità di dare immediato inizio all’attività (è questo il principale novum della disciplina in questione), fermo restando l’esercizio dei poteri inibitori da parte della pubblica amministrazione, ricorrendone gli estremi. Inoltre, è fatto salvo il potere della stessa pubblica amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

Si tratta di una prestazione specifica, circoscritta all’inizio della fase procedimentale strutturata secondo un modello ad efficacia legittimante immediata, che attiene al principio di semplificazione dell’azione amministrativa ed è finalizzata ad agevolare l’iniziativa economica (art. 41, primo comma, Cost.), tutelando il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima.

9.— Le considerazioni fin qui svolte vanno applicate anche alla SCIA in materia edilizia, come ormai in modo espresso dispone l’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, entro i limiti e con le esclusioni previsti.

Infatti, ribadito che la normativa censurata riguarda soltanto il momento iniziale di un intervento di semplificazione procedimentale, e precisato che la SCIA non si sostituisce al permesso di costruire (i cui ambiti applicativi restano disciplinati in via generale dal d.P.R. n. 380 del 2001), non può porsi in dubbio che le esigenze di semplificazione e di uniforme trattamento sull’intero territorio nazionale valgano anche per l’edilizia. È ben vero che questa, come l’urbanistica, rientra nel «governo del territorio», materia appartenente alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.).

Tuttavia, a prescindere dal rilievo che in tale materia spetta comunque allo Stato dettare i principi fondamentali (nel cui novero va ricondotta la semplificazione amministrativa), è vero del pari che nel caso di specie, sulla base degli argomenti in precedenza esposti, il titolo di legittimazione dell’intervento statale nella specifica disciplina della SCIA si ravvisa nell’esigenza di determinare livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, compreso quello delle Regioni a statuto speciale. In altri termini, si è in presenza di un concorso di competenze che, nella fattispecie, vede prevalere la competenza esclusiva dello Stato, essendo essa l’unica in grado di consentire la realizzazione dell’esigenza suddetta.

Il richiamo all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, non è pertinente. Infatti, è vero che, in base al dettato di tale norma, «Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite». Tuttavia, nel caso in esame viene in rilievo un parametro costituzionale, cioè l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., che, come ora si è visto, postula tutele necessariamente uniformi su tutto il territorio nazionale e tale risultato non può essere assicurato dalla Regione, ancorché ad autonomia differenziata, la cui potestà legislativa è pur sempre circoscritta all’ambito territoriale dell’ente (nelle cui competenze legislative, peraltro, non risulta presente una materia riconducibile a quella prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).

10.— Infine, è stata dedotta dalle ricorrenti la violazione del principio di leale collaborazione. La deduzione, tuttavia, non è fondata, perché, pur volendo prescindere dal carattere assorbente delle considerazioni che precedono, costituisce «giurisprudenza pacifica di questa Corte che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione» (così, da ultimo, sentenze n. 371 e n. 222 del 2008, e n. 401 del 2007).

11.— Conclusivamente, la riconduzione della disciplina in esame all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. comporta la non fondatezza delle questioni, sotto tutti i profili, in quanto la normativa censurata rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi del parametro costituzionale ora citato.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe, nei confronti del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 49, comma 4-ter, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promosse dalla ricorrente in riferimento all’articolo 8, numeri 1), 9), 14) e 20) e all’articolo 9, numeri 3), 7) e 10) del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), o comunque in riferimento al Titolo V Parte II della Costituzione in connessione con l’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), in riferimento al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2012.