Abbruciamento di scarti vegetali, inquinamento da leggi e cassazione
a cura di Gianfranco AMENDOLA
La sentenza Cass. pen., sez. 3, c.c. 9 luglio , dep. 24 settembre 2014, n. 39203, in tema di abbruciamento in terra di scarti vegetali, appena pubblicata su questo sito merita un piccolo chiarimento, altrimenti rischia di essere fuorviante.
Essa, infatti, è stata emessa in camera di consiglio il 9 luglio 2014 e, quindi, si basa sulla legge esistente all’epoca, cioè sul testo dell’art. 14, comma 8, del decreto legge 24 giugno 2014 n. 91, che, in quel momento era "provvisorio" in quanto in attesa della legge di conversione.
E' intervenuta, quindi (dopo la sentenza), la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116, la quale ha profondamente modificato l'art. 14, comma 8, come risulta dallo schema che segue:
ART, 14, COMMA 8, TESTO D. L. 91 ART. 14, COMMA 8, TESTO LEGGE 116
8. Al decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: |
8. Identico: |
a) all'articolo 166, comma 4-bis, dopo le parole: «di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali» sono inserite le seguenti: «e con il Ministro della salute»; |
a) identica; |
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b) all'articolo 256-bis dopo il comma 6, è aggiunto il seguente: «6-bis. Le disposizioni del presente articolo e dell'articolo 256 non si applicano al materiale agricolo e forestale derivante da sfalci, potature o ripuliture in loco nel caso di combustione in loco delle stesse. Di tale materiale è consentita la combustione in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro nelle aree, periodi e orari individuati con apposita ordinanza del Sindaco competente per territorio. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle Regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata.». |
b) all'articolo 182, dopo il comma 6 è aggiunto il seguente: «6-bis. Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali di cui all'articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata.......»; omissis b-sexies) all'articolo 256-bis, comma 6, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 182, comma 6-bis, le disposizioni del presente articolo non si applicano all'abbruciamento di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico o privato |
Se, a questo punto, andiamo a rileggere la sentenza, appare evidente che si basa su un contesto normativo letterale che è profondamente cambiato. Essa, infatti, parte dal presupposto (all'epoca, esatto) che "l'articolo 14, comma 8, lettera b), d.I.24 giugno 2014 n.91 ha inserito nell'articolo 256 bis del Codice dell'ambiente il comma 6 bis. La suddetta norma, dovendosi interpretare nel suo complesso, senza isolare artificialmente il primo periodo dai seguenti, alla luce degli ordinari canoni ermeneutici, non depenalizza tout court l'abbruciamento in terra di scarti vegetali come rifiuti, bensì prevede ("...è consentita la combustione ecc.") un margine di irrilevanza della condotta ai fini del reato di cui all'articolo 256 specificamente determinato a livello quantitativo e temporale, anche a mezzo dell'individuazione amministrativa di parte di tali modalità scriminanti mediante appunto una ordinanza sindacale ad hoc, e fatto salvo il limite imposto dalle regioni per tutelare dal rischio degli incendi boschivi.".
Dopo la conversione in legge, invece, non solo non c'è più il comma 6-bis dell'art. 256-bis ma anche i "periodi" della norma sono del tutto diversi.
E’, quindi, evidente, che oggi il ragionamento seguito dalla suprema Corte nella sentenza appena pubblicata –basato sul comma 6-bis inserito nel contesto dell’art. 256-bis- non è più valido e, quanto meno, deve essere riesaminato alla luce del mutato dato normativo.
Ciò premesso, sembra opportuno, in primo luogo, riportare per intero il testo attuale dell’art. 256-bis , come risulta dopo la legge di conversione.
256-bis. Combustione illecita di rifiuti
(articolo introdotto dall'art. 3, comma 1, legge n. 6 del 2014)
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica.
2. Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all'articolo 255, comma 1, e le condotte di reato di cui agli articoli 256 e 259 in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti.
3. La pena è aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 è commesso nell'ambito dell'attività di un'impresa o comunque di un'attività organizzata. Il titolare dell'impresa o il responsabile dell'attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l'autonomo profilo dell'omessa vigilanza sull'operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all'impresa o all'attività stessa; ai predetti titolari d'impresa o responsabili dell'attività si applicano altresì le sanzioni previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
4. La pena è aumentata di un terzo se il fatto di cui al comma 1 è commesso in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
5. I mezzi utilizzati per il trasporto di rifiuti oggetto del reato di cui al comma 1 del presente articolo, inceneriti in aree o in impianti non autorizzati, sono confiscati ai sensi dell'articolo 259, comma 2, salvo che il mezzo appartenga a persona estranea alle condotte di cui al citato comma 1 del presente articolo e che non si configuri concorso di persona nella commissione del reato. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell'area sulla quale è commesso il reato, se di proprietà dell'autore o del concorrente nel reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi.
6. Si applicano le sanzioni di cui all'articolo 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e). Fermo restando quanto previsto dall’articolo 182, comma 6-bis, le disposizioni del presente articolo non si applicano all’abbruciamento di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico o privato.
(comma così modificato dall'art. 14, comma 8, legge n. 116 del 2014)
A livello letterale, quindi :
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Ai sensi del comma 6, prima parte, la combustione di rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi, e aree cimiteriali, abbandonati o depositati in maniera incontrollata, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dell'art. 255 (da 300 a 3000 euro).
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Ai sensi del comma 6, seconda parte, l’abbruciamento di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico e privato non è punibile come delitto ai sensi dei commi precedenti dell’art. 256-bis.
A tale proposito, resta, tuttavia, fermo quanto disposto dal (nuovo) comma 6-bis dell’art. 182 a norma del quale, come abbiamo visto, “le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali di cui all'articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata. I comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facolta' di sospendere,differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all'aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attivita' possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumita' e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10)".
Se si considera che i materiali di cui all’art. 185, comma 1, lett. f) sono “paglia, sfelci e potature nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso ..”, si deve concludere che il loro “abbruciamento”, quindi, se eseguito nel rispetto delle condizioni imposte dal citato comma 6-bis dell'art. 182, non costituisce attività di gestione di rifiuti, e , pertanto, non può integrare alcun illecito previsto dalla normativa sui rifiuti. Peraltro, trattasi solo di una specificazione rispetto al più generale disposto dell’art. 185, comma 1, lett. f) il quale già stabiliva e stabilisce che questi materiali non rientrano nel campo di applicazione della normativa sui rifiuti qualora siano “utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.
Resta da capire che cosa succede quando questo materiale agricolo o forestale non pericoloso venga bruciato al di fuori delle condizioni previste dal comma 6-bis, primo periodo, dell'art. 182. A nostro sommesso avviso, fermo restando che, in virtù dell’espresso disposto del (nuovo) secondo periodo del comma 6 dell’art. 256-bis, non si applicano, comunque, le disposizioni relative ai delitti previsti dal citato articolo, possono essere applicate, ricorrendone i presupposti1, le sanzioni contravvenzionali in tema di smaltimento illecito di rifiuti di cui all’art. 256, comma 1, lett. a). Infatti, in tal caso, mancano le condizioni richieste per la esclusione dell'"abbruciamento" dalle attività di gestione di rifiuti; e, quindi, resta applicabile il disposto dell'art. 256, comma 1, lett. a), relativo, appunto, alle attività di gestione di rifiuti non autorizzate.
Un dubbio sorge per il penultimo ultimo periodo del comma 6-bis (quello relativo al divieto nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi) in quanto esso sembra operare come divieto assoluto a sè, senza alcun collegamento con quanto stabilito nel periodo precedente, e, quindi, prescindendo dalla valutazione se si rientra nelle attività di gestione di rifiuti. A questo proposito, tuttavia, e proprio su questa problematica è in fase di deposito una recentissima sentenza della Cassazione (udienza 7 ottobre 2014), e, quindi, ci riserviamo un approfondimento dopo aver letto la motivazione della suprema Corte.
Si giunge, comunque, anche se per altra via, alle stesse conclusioni della sentenza annotata.
Ed è appena il caso di notare che tutta questa allucinante vicenda dell'abbruciamento delle stoppie, con relativo inquinamento da leggi, iniziata con il cd. decreto "terra dei fuochi", è dovuta esclusivamente alla approssimazione ed alla superficialità di un legislatore cui sembrano interessare più i comunicati stampa che la reale tutela dell'ambiente.
Di certo, anche se con le correzioni odierne, la disciplina complessiva che ne deriva in tema di combustione di rifiuti presenta, ancora e comunque, una serie di incongruenze e punti oscuri del tutto ignorati dal legislatore.
Ad esempio, non si capisce perchè l'abbruciamento di paglia, sfelci e potature nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso, a certe condizioni, non costituisce illecito mentre la combustione di rifiuti da giardini, aree verdi2 ecc. costituisce sempre un illecito amministrativo.
E che dire della "perla" del richiamo, nel primo comma dell'art. 256-bis, ai rifiuti "abbandonati o depositati in maniera incontrollata"? Si deve, forse, ritenere permessa la combustione di rifiuti depositati in discarica autorizzata o in uno stoccaggio autorizzato, che, peraltro, comporta per l'ambiente le stesse nefaste conseguenze ?
O forse si vuol dire che deve trattarsi di combustione di rifiuti depositati da altri, come sembra ritenere Cass. pen., sez. 3, c.c. 27 febbraio 2014, n. 34098, secondo cui deve trattarsi di rifiuti " non raccolti e trasportati dallo stesso autore della combustione" ma è poi costretta a concludere che "poiché, in tal caso, la condotta ricadrebbe nella previsione di cui al comma 2° dello stesso art. 256-bis, d.lgs. cit., ne consegue che la condotta di autosmaltimento mediante combustione illecita di rifiuti continua ad avere penale rilevanza"3?
Una delle poche cose certe, a questo punto, è che, a livello letterale, dovremmo punire con la reclusione da 2 a 5 anni il poveraccio che d'inverno dà fuoco4 a qualche cassetta di legno abbandonata per scaldarsi. E, diciamo la verità, se non usiamo la carbonella, anche il nostro barbecue è a rischio.
Intanto, nella terra dei fuochi i roghi tossici continuano.
1 In proposito, si rinvia al nostro Decreto terra dei fuochi e combustione di stoppie in questo sito.
2 E peraltro, che facciamo per le potature da giardini ed aree verdi?
3 con la stessa pena
4 salvo tentare una dotta discettazione per sostenere che "appiccare il fuoco" ha un significato diverso da "dare fuoco"