L’art.
7, terzo comma, lett. l), del D.Lgs n. 22/1997, ricomprende espressamente, tra i
rifiuti speciali, gli autoveicoli fuori uso[1].
Ne deriva la gestione di tale particolare categoria di rifiuti, è soggetta alla
disciplina di carattere generale in tema di autorizzazioni e comunicazioni
prevista, rispettivamente, per lo smaltimento ed il recupero. L'assunto,
peraltro, discende anche dall’art. 46, che, in tema, dispone: “il
proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio che intenda procedere alla
demolizione dello stesso deve consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa
in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione,
autorizzato ai sensi degli articoli 27 e 28”.
Il
riferimento all'art. 46 consente di individuare i seguenti profili di interesse
:
gli
obblighi amministrativi per la cancellazione dal P. R. A. e demolizione del
veicolo;
la
disciplina di riferimento in caso di abbandono lungo la pubblica via di veicoli
non reclamati dai proprietari;
la
disciplina della gestione dei rifiuti consistenti in autoveicoli fuori uso e
loro parti.
Conviene
subito esaminare i primi due profili, per poi approfondire l'ultimo che riveste
maggior interesse sotto il profilo penalistico.
L’art.
46 richiamato individua i seguenti soggetti coinvolti nella rottamazione dei
veicoli a motore: il proprietario ; il centro di raccolta per la messa in
sicurezza; il concessionario o la succursale. Prevede per loro obblighi di
natura amministrativa sostanzialmente finalizzati ad attuare la cancellazione
dei veicoli, come pre-condizione per qualsiasi attività di alienazione, di
smontaggio, di distruzione e di rottamazione degli stessi[2].
I
responsabili dei centri di raccolta sono assoggettati agli stessi obblighi di
cancellazione e di annotazione anche nell’ipotesi in cui si tratti di veicoli
“rinvenuti da organi pubblici o non reclamati dai proprietari e quelli
acquisiti per occupazione ai sensi degli artt. 927-929 e 923 del codice
civile” [3].
La specifica materia è disciplinata dal decreto del Ministero dell’Interno
del 22 ottobre 1999, n. 460[4],
il quale prevede due diverse ipotesi: quella in cui gli organi di polizia
stradale rinvengono su aree ad uso pubblico un veicolo in condizioni tali da far
presumere lo stato di abbandono, ovverosia privo della targa di immatricolazione
o del contrassegno di identificazione; e quella in cui gli indicati organi
accertano il protrarsi, per oltre sessanta giorni, della sosta del veicolo a
motore o di un rimorchio su un’area ad uso pubblico sulla quale è fatto
divieto ai sensi degli artt. 6,7,157,158 e 175 del codice della strada.
In
entrambi i casi, gli organi di polizia stradale, devono immediatamente conferire
in via provvisoria il veicolo rinvenuto ad uno dei centri di raccolta
autorizzato ai sensi del D.Lgs n. 22/1997 e procedere ad accertamenti per
verificare se il veicolo non sia oggetto di furto. Nel primo caso, poi, gli
indicati organi dovranno anche tentare di identificare il proprietario del
veicolo e notificargli un avviso contenente l’invito a ritirare il veicolo
medesimo entro sessanta giorni; quindi, trascorso detto termine dalla
notificazione, o dal rinvenimento, se il proprietario non è stato identificato,
ed in mancanza di reclamo da parte degli aventi diritto, il veicolo verrà
considerato, in applicazione dell’art. 923 c. c. , cosa abbandonata ed il
centro di raccolta cui era stato conferito potrà procedere alla demolizione ed
al recupero dei materiali, previa cancellazione dal PRA. Nel secondo caso,
invece, gli organi di polizia stradale dovranno informare il Sindaco del
rinvenimento del veicolo, ai sensi e per gli effetti degli artt. 927 e seguenti
c. c. ; il Sindaco dovrà, poi, procedere alla pubblicazione prevista
dall’art. 928 c. c. , disporre accertamenti per verificare l’identità del
proprietario e, in caso di sua identificazione, procedere alla notificazione
allo stesso dell’invito a ritirare il veicolo, con l’espressa avvertenza
della perdita della proprietà in caso di mancato ritiro entro un anno dalla
pubblicazione. Anche in questo caso, trascorso inutilmente l’indicato termine,
il centro di raccolta procederà alla rottamazione, salvo che il Comune non
disponga la vendita del veicolo.
Occorre
ora stabilire se nelle ipotesi dinanzi richiamate siano applicabili le
disposizioni di cui all'art. 14 del D.Lgs n. 22/97, in ordine al divieto
assoluto di abbandono e di deposito incontrollati di rifiuti nel suolo.
La
norma pone, infatti, un duplice divieto: in primis, il divieto assoluto di
abbandonare qualsiasi cosa, da intendersi nel senso di lasciare o dismettere
qualsiasi cosa; in secundis, il divieto di deposito incontrollato, che ricorre
allorquando si lasci in un sito uno o più rifiuti -anche con il beneplacito del
proprietario del luogo- e sempre che manchino i caratteri soggettivi ed
oggettivi per qualificare detto deposito come temporaneo o preliminare.
La
violazione della disposizione richiamata comporta un duplice tipo di sanzioni.
La prima di carattere amministrativo o penale, a seconda della fattispecie e
delle modalità dell'abbandono; la seconda, concernente il ripristino della
situazione pregressa, di competenza del Sindaco, il quale è tenuto a disporre
con ordinanza la riduzione in pristino del territorio, ed in caso di
inottemperanza, all'esecuzione delle operazioni di ripristino provvederà il
Comune a spese dei soggetti ritenuti responsabili, con anticipo delle stesse da
parte dell'ente e successivo recupero, cui seguirà l'applicazione delle
sanzioni penali specifiche, previste dal secondo comma dell'art. 50.
Questo,
infatti, al comma 1, così dispone: "chiunque, in violazione del divieto di
cui all'art. 14, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette
nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa
pecuniaria da lire duecentomila a lire un milione duecentomila", e quindi,
per la ipotesi di inottemperanza all'ordinanza di rimozione e ripristino,
prevede una sanzione di tipo penale, detentiva a carattere contravvenzionale
dell'arresto; invece, il successivo art. 51, comma 2, sancisce, sanzioni di tipo
penale qualora a commettere l'abbandono od il depositi incontrollato siano i
titolari di imprese ed i responsabili di enti, ed in tal caso le sanzioni
applicabili sono quelle di cui all'art. 51, comma 1.
E'
da ritenere, però, che allorquando si tratti di abbandono di veicoli,
l'applicabilità della norma in esame (art. 14 dlgs n22/97) resti esclusa ove
ricorra l' ipotesi in cui il proprietario del veicolo abbandonato non sia
identificabile.
Diversa
è la situazione quando la identificazione si verifica, in quanto l'organo
procedente dovrà redigere e trasmettere il verbale per violazione dell'art. 14
del D.Lgs 22/1997, e, quindi, dovranno essere necessariamente applicate le
sanzioni di cui all'art. 50, comma 1 o 51, comma 1 e 2, a seconda dell'ipotesi
ricorrente; ma è escluso che il Sindaco possa emettere l'ordinanza di
rimozione, posto che in questo caso la procedura da seguire è quella
disciplinata dal D. M. n. 460/1999 dinanzi richiamata, la quale deroga alle
disposizioni del decreto Ronchi in conseguenza della espressa delega contenuta
nell'art. 46 ("con le procedure determinate con decreto del Ministero
dell'interno... ")[5].
Assumono
una rilevanza penalistica certamente maggiore tutte le questioni connesse alla
gestione dei rifiuti consistenti in autoveicoli fuori uso e loro parti.
In
primo luogo va rilevato che al soggetto che provvede alla demolizione e
rottamazione di veicoli altrui, trasportati in un’area in sua dotazione e che
proceda alla separazione delle varie componenti, al recupero dei residui
riutilizzabili ed all’accumulo degli scarti, non può essere applicata la
nozione di “produttore di rifiuti propri”, che lo esimerebbe da particolari
formalità ed autorizzazioni, posto che, ai sensi dell’art. 6, lettera b)
della normativa considerata, è tale “la persona la cui attività ha prodotto
rifiuti e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di
miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione dei
rifiuti”.
Di
modo che il titolare dei centri di raccolta e di demolizione delle carcasse
d’auto altrui, proprio perché non è produttore di rifiuti ed interviene
nella fase di loro trasformazione, ovverosia in un momento tecnico-giuridico
successivo rispetto al momento di produzione, ha necessità, per l’esercizio
della sua attività, di venire in possesso delle autorizzazioni previste dal
D.Lgs n. 22/1997.
Confortano
la interpretazione che precede i primi orientamenti giurisprudenziali in materia
del giudice penale, per i quali “non può essere considerato produttore di
rifiuti propri il soggetto che provvede alla demolizione e rottamazione di
veicoli altrui, trasportati in una area in sua dotazione, ove procede alla
separazione delle varie componenti, al recupero dei residui riutilizzabili ed
all'accumulo degli scarti: le vetture assumono, infatti, il carattere di rifiuti
speciali fin dal momento in cui vengono dismesse dal proprietario o possessore,
che li consegna al demolitore; e pertanto, tutta l'attività dei centri di
raccolta rientra nell'ambito dello smaltimento e del recupero e non può essere
esercitata senza autorizzazione” [6],
ed ancora “non può esser considerato produttore di rifiuti propri il soggetto
che provvede allo smantellamento di veicoli altrui non più funzionanti,
trasportati in un area in sua dotazione, ove si procede al recupero delle parti
riutilizzabili ed all'abbandono degli scarti: i rifiuti, infatti, assumono tale
carattere fin dal momento in cui vengono dismessi da coloro che li conferiscono
alla demolizione, ed il soggetto cui vengono affidati per la cernita deve esser
qualificato come semplice detentore di residui di terzi, la cui attività
integra attività di smaltimento di rifiuti speciali prodotti da terzi”[7].
Del
resto, anche la giurisprudenza formatasi nella vigenza del D. P. R. n. 915/82
era concorde nel ritenere che l'attività di demolizione di auto fosse soggetta
ad autorizzazione regionale, trattandosi di smaltimento di rifiuti prodotti da
terzi, e però, generalmente escludeva che detta attività potesse configurarsi
come apertura e gestione di discarica, argomentando dal fatto che “la
discarica presuppone che i rifiuti siano immagazzinati in un impianto che ne
garantisce l'isolamento dall'ambiente, mentre le attività di demolizione di
auto hanno come fine la demolizione o la rottamazione delle auto o, comunque, il
commercio delle loro parti”[8].
C’è
da aggiungere che è estraneo all’attività in esame anche il concetto di
deposito temporaneo, stante che il medesimo ricorre allorquando il
raggruppamento di rifiuti è effettuato dal produttore in senso stretto nel
luogo in cui gli stessi sono prodotti, e quindi, nell’ipotesi in cui il
rifiuto non è ancora uscito dall’area delimitata entro la quale si svolge
l’attività produttiva ed il deposito è effettuato da parte del soggetto
produttore dei rifiuti.
Si
può, allora concludere, che dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel
ritenere che, per l’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero
degli autoveicoli fuori uso altrui, non trovi applicazione la condizione e la
regolamentazione del “produttore di rifiuti propri”, e che per essa è
necessaria l’espressa autorizzazione di cui agli artt. 27 e 28 del D.Lgs
richiamato, con la conseguenza che la sua mancanza configura il reato di natura
permanente di cui all’art. 51, perseguibile a titolo di semplice colpa, come
si è da ultimo affermato dalla Suprema Corte: “gli autoveicoli fuori uso
costituiscono rifiuti speciali ai sensi dell'art. 7 del decreto legislativo 5
febbraio 1997 n. 22, sicché è necessaria la preventiva autorizzazione per
l'esercizio delle operazioni di smaltimento, la cui mancanza costituisce reato
di natura permanente; sotto il profilo soggettivo è sufficiente la colpa,
ovvero la negligenza nel munirsi di una specifica ed espressa autorizzazione
preventiva regionale”[9];
ed ancora, “la raccolta di rifiuti speciali prodotti da terzi (autoveicoli,
parti di essi, pneumatici ed altro) e la tenuta di tali rifiuti in deposito sul
suolo prima dell'avviamento degli stessi alla distruzione finale, costituisce
operazione di smaltimento sia ai sensi dell'art. 25 del D. P. R. 10 settembre
1982 n. 915, sia ai sensi dell'art. 51 del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22: la sua
effettuazione in difetto di autorizzazione configura pertanto tuttora reato”[10].
Per
quanto concerne, poi, il recupero dei materiali derivanti dalla rottamazione dei
veicoli, l’art. 46 del D.Lgs n. 22/97 autorizza espressamente il commercio dei
pezzi di ricambio relativi a tutte le parti dei veicoli, ad eccezione per quelli
correlati alla sicurezza di quest’ultimi, i quali possono solamente essere
ceduti alle imprese esercenti attività di autoriparazione, di cui alla legge 5
febbraio 1992, n. 122 e potranno essere utilizzati solamente se sottoposti alle
operazioni di revisione singole di cui all’art. 80 del D.Lgs n. 285/92; al
riguardo, la giurisprudenza, con riferimento ai precedenti decreti in tema di
residui riutilizzabili, ha più volte ritenuto che “la disciplina vigente
qualifica le carcasse di auto come residui riutilizzabili solo se hanno
determinate caratteristiche dimensionali e se sono state previamente depurate
delle batterie, della plastica, degli olii e degli altri materiali estranei,
sicché residui solo materiale ferroso privo di sostanze tossiche o nocive” [11].
Ora,
la materia è disciplinata dal sub-allegato 5 dell’All. 1) del D. M. 5. 02.
1998 (“ altri rifiuti contenenti metalli”) che si occupa in modo specifico
delle “parti bonificate di autoveicoli, veicoli a motore, rimorchi e simili
private di batterie, di fluidi, di altri componenti e materiali pericolosi,
nonché di pneumatici e delle componenti plastiche recuperabili[12]”
(punto 5. 1. 2) e che sostanzialmente conferma, sia pure con puntualizzazioni,
l’orientamento appena richiamato.
Rimanendo
in tema, va segnalato, con riferimento specifico alle batterie esauste,
l’orientamento giurisprudenziale formatosi in concomitanza con la decretazione
d’urgenza, per il quale “il D. M. 5 settembre 1994 al punto 4. 10 dimostra
che le batterie esauste contengono scarti solidi non destinati al riutilizzo e,
quindi, assoggettati al D. P. R. 10 settembre 1982, n. 915, mentre lo
stoccaggio provvisorio deve essere eseguito per l'avvenire in accordo con la
Delibera Interministeriale 27 luglio 1984 in applicazione degli artt. 15 e 16
D.L. 7 gennaio 1995, n. 3, sicché sotto questo profilo, non essendo tutti i
residui destinati al riutilizzo, non trova applicazione la causa di non
punibilità - all'epoca della decisione di merito - prevista dall'art. 12 D.L. 7
gennaio 1994, n. 12” [13].
Peraltro,
la distinzione tra i due profili è stata confermata dall’orientamento
successivo della Suprema Corte che ha così sentenziato: “le batterie esauste
di autoveicoli sono ancora considerate rifiuto speciale ai sensi dell'art. 7,
comma terzo, lett. i), del D.L. G. 5 febbraio 1997 n. 22; la raccolta ed il
conseguente stoccaggio delle batterie esauste appartenenti a terzi rientra nella
definizione di stoccaggio formulata dall'art. 6, comma primo, lett. i), del
medesimo provvedimento; pertanto lo smaltimento di rifiuti speciali prodotti da
terzi mediante stoccaggio di batterie esauste senza autorizzazione è sanzionato
dall'art. 51, comma primo, del D.L. G. 22 del 1997, che ha ripreso la precedente
statuizione dell'art. 25 del D. P. R. 10 settembre 1982 n. 915”[14];
e si è ritenuto, inoltre, che anche per le batterie di piombo esauste non
ricorre l’ipotesi di deposito temporaneo, affermandosi al riguardo che “lo
smaltimento di rifiuti tossici e nocivi, quali le batterie di piombo esauste,
accantonati in una area a disposizione dell'autore dello smaltimento, non
configura una ipotesi di deposito temporaneo, in quanto per aversi deposito
temporaneo i rifiuti devono originare da una attività di produzione svolta
proprio in quel luogo, e non si può sostenere che le batterie esauste siano
prodotte dalla attività di smaltimento” [15].
Di
recente, poi, con il decreto 20 novembre 1997, n. 476, il Ministro
dell’industria, del commercio e dell’artigianato, di concerto con il
Ministro dell’ambiente ed il Ministro della sanità, ha emanato un regolamento
per dare attuazione alla direttiva n. 91/157/CEE (già recepita nel nostro
ordinamento con “la legge comunitaria 1993” [16])
ed alla direttiva n. 93/86/CEE, entrambe relative alle pile ed agli accumulatori
contenenti sostanze pericolose: tale regolamento disciplina le pile e gli
accumulatori, aventi le caratteristiche indicate dall’art. 2, commi 1 e 2,
commercializzati nel nostro paese a partire dal 28 gennaio 1998, data di entrata
in vigore del regolamento medesimo, ma fa salve le disposizioni di cui
all’art. 9-quinquies del D.L. 9 settembre 1988, n. 397, convertito con
modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, in tema di raccolta e di
riciclaggio delle batterie al piombo esauste[17].
Pasquale
Fimiani
[1] La natura di rifiuti viene confermata da Cass. pen. , Sez. VI, sent. n. 1899 del 06/07/99 (CC. 18/05/99) Archidiacono (rv. 214512): "Sono da considerare rifiuti, ai sensi degli artt. 7, comma terzo, lett. 1) e 51 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 gli autoveicoli destinati alla rottamazione, onde la loro raccolta e il loro smaltimento, al pari di ogni altra operazione di gestione, sono soggetti ad autorizzazione amministrativa. (Nella specie la Corte di cassazione ha disatteso la tesi secondo la quale i veicoli abbandonati devono ritenersi di proprietà dello Stato, cui i legittimi proprietari li cederebbero in cambio degli incentivi per la rottamazione, e ha confermato la legittimità dell'operato del tribunale del riesame che aveva ritenuto la sussistenza dei presupposti per il sequestro preventivo dell'area sulla quale i veicoli giacevano abbandonati, comportando la libera disponibilità dell'immobile il pericolo della protrazione e dell'aggravamento dei reati di cui all'art. 51 del D.Lgs. 22/1997 e all'art. 633 cod. pen. )".
[2] Il proprietario di un veicolo a motore (o di un rimorchio, secondo la modifica della novella) che intenda procedere alla demolizione dello stesso deve consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione (art 46, co. 1); nel caso in cui intenda cedere il veicolo (o il rimorchio) per acquistarne un altro, può consegnarlo ad un concessionario o alle succursali della casa costruttrice che provvederanno alla consegna ad un centro di raccolta (art 46, co. 2).
La violazione dei predetti commi 1 e 2, della quale rispondono sia il proprietario del veicolo in caso di inosservanza degli obblighi sopra illustrati, che il concessionario o responsabile delle succursali della casa costruttrice nel caso di omessa consegna ad un centro di raccolta, è stata aggiunta dalla novella come ulteriore forma di sanzione amministrativa nell’art. 50 (retro). L’inclusione in tale norma si spiega con il fatto che trattasi di una forma speciale di abbandono di rifiuti, con la conseguenza che non è applicabile, in tali casi, la sanzione prevista per la violazione di cui all’art. 14, commi 1 e 2.
Sempre l’art. 50 punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 500. 000 a lire 3 milioni, al comma 1 bis introdotto dalla novella,» il titolare del centro di raccolta, il concessionario e il titolare della succursale della casa costruttrice che violano le disposizioni di cui all'articolo 46, comma 5» ( quest'ultimo è stato interamente riscritto dal Decreto « Ronchi bis», prevedendo una disciplina più precisa in tema di cancellazione del veicolo dal P. R. A. ).
La riforma delle procedure in tema di rottamazione dei veicoli a motore è stata completata con l’aggiunta all’art. 46 dei commi 6 bis, 6 ter, 6 quater, la cui violazione ora viene punita dall’art. 51, comma 7, di nuova introduzione.
Il riferimento a «chiunque» come soggetto attivo della violazione non deve trarre in inganno in quanto, trattandosi di obblighi procedurali riferiti a figure professionali ben precise, soltanto queste, e non altre, possono ritenersi responsabili della loro inosservanza. Da notare l’inclusione tra i soggetti destinatari dei precetti sopra illustrati anche dei responsabili dei centri di raccolta o altri luoghi di custodia di veicoli rimossi ai sensi dell’art. 159 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (norma del nuovo codice della strada che disciplina le ipotesi di rimozione e blocco dei veicoli), nel caso in cui si debba procedere alla alienazione o demolizione del veicolo. Tale ipotesi, a norma dell’art. 215, comma 4, del predetto decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, si verifica nel caso in cui, trascorsi 180 giorni dalla notificazione del verbale contenente la contestazione della violazione e l’indicazione della effettuata rimozione o blocco, il proprietario o l’intestatario del documento di circolazione non abbiano chiesto la restituzione del veicolo.
Nonostante l’analogia delle situazioni, tali obblighi non sono stati estesi all’ipotesi di alienazione o distruzione dei veicoli sottoposti a sequestro nell’ambito di accertamenti penali (art. 260 ult. co. c. p. p ed 83 Disp. Att. per l’ipotesi di vendita o distruzione di cose deperibili prima della sentenza definitiva; art. 263 ult. co. c. p. p ed 86 Disp. Att. per l’ipotesi di vendita o distruzione di cose confiscate dopo la sentenza definitiva).
Il problema può trovare la sua soluzione nel caso di distruzione dei veicoli sequestrati o confiscati, in quanto sia l’art. 83 che l’art. 86 delle Disp. Att. del c. p. p. dispongono che in questi casi la Cancelleria può avvalersi di persona idonea. Sarà quindi necessario affidare le operazioni al titolare di un centro di raccolta, ovvero al concessionario od al titolare della succursale della casa costruttrice; questi dovranno rispettare gli obblighi sopra enunciati. Nel caso di alienazione si possono invece ritenere applicabili gli obblighi previsti per il proprietario del veicolo da rottamare ( del resto in caso di confisca ( art. 240 c. p. ) il bene diventa di proprietà pubblica).
[3]
Art. 46, comma 3 del D.Lgs n. 22/1997.
[4]
Pubblicato nella Gazz. Uff. 7 dicembre 1999, n. 287.
[5] Prima del D. M. n. 460/1999 P. GIAMPIETRO, Rimozione dei veicoli abbandonati da parte degli enti competenti, in Ambiente, n. 10/1999, pagg. 945 e segg. , riteneva che, allorquando il proprietario del veicolo era identificato, l’organo procedente doveva redigere e trasmettere il verbale per violazione dell’art. 14 del D.Lgs n. 22/1997; il Sindaco poteva emettere l’ordinanza di rimozione a carico del proprietario e procedere d’ufficio, in caso di inottemperanza da parte di quest’ultimo, con rivalsa delle spese sostenute.
[6] Cass. Penale, Sez. III, sent. 10952 del 21/10/98 (ud. 21/09/98), Boccanera , (rv. 212045). Commento di M. SANTOLOCI, No al deposito temporaneo di veicoli fuori uso presso il rottamatore, in Rifiuti, n. 8-9/1999, pag. 24.
[7]
Cass. Penale, Sez. III, sent. 00902
del 25. 01. 99 (ud. 11/12/98),Convertini, (rv 212836).
[8]
Cass. Penale, Sez. III, 4. 5. 89, n. 6755, Centurella.
[9]
Cass. Penale, Sez. III, sent. 08572 del 24/07/98 (ud. 25/05/98), Pontone,
(rv. 211545).
[10]
Cass. Penale, Sez. III, sent. 00902 del 25/01/99 (ud. 11/12/98), Convertini,
(rv. 212835).
[11]
Sez. III, sent. n. 1386 del 17-05-1996 (ud. del 21-03-1996), Artuso (rv
205430). Conformi Sez.
III, sent. n. 5635 del 12-05-1994 (cc. del 08-03-1994), Fontinovo (rv
199119); Sez. III, sent. n. 2716 del 23-01-1995 (ud. del 18-10-1994),
Lattanzi (rv 201223); Sez. III, sent. n. 12718 del 21-12-1994 (cc. del
30-11-1994), Zaurrini (rv 200953); Sez. III, sent. n. 2362 del 09-03-1995
(cc. del 06-02-1995), D'Amore (rv 201967); Sez. III, sent. n. 11087 del
09-11-1995 (ud. del 05-10-1995), Magli (rv 202970). In tutte queste
decisioni si precisava, tra l'altro, che qualsiasi attività volta
all'eliminazione dei rifiuti, comprendente tutte le fasi che vanno dalla
raccolta alla discarica, sono soggette all'autorizzazione regionale ed il
fatto che sia possibile la riutilizzazione di parte delle cose abbandonate
non fa venire meno la qualifica di rifiuto alle cose destinate
all'abbandono. La Corte, quindi, riteneva costantemente la responsabilità
penale di chi avesse realizzato e gestito un centro di raccolta e discarica
di veicoli a motore e rimorchi destinati alla demolizione. Conforme G.
DIOTALLEVI, Un singolare tentativo (
legislativo) di smaltimento dei rifiuti industriali ( in Cass.
pen. , 1995, pag. 384, nota Cass. pen. 12-05-1994, Fontinovo, cit. ).
[12]
Le plastiche sono oggetto del successivo sub-allegato 6).
[13]
Sez. III, sent. n. 2367 del 09-03-1995 (cc. del 06-02-1995), Belli (rv
201969).
[14]
Cass. Penale, Sez. III, sent. 01575
del 01. 07. 98 (CC. 18/05/98), Cauzzo, (rv. 211335), in Ambiente,
n. 10/1998, pag. 864.
[15]
Cass. Penale, Sez. III, sent. 13606
del 23. 12. 98 (ud. 18/11/98), Iannuzzelli, (rv 212542), in Ambiente,
n. 5/1999, pag. 469.
[16]
L. 22 febbraio 1994, n. 146, recante Disposizioni
per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle
Comunità europee - legge comunitaria 1993 (pubblicata nella Gazz. Uff.
4 marzo 1994, n. 52, S. O).
[17] Peraltro, la disciplina del D. M. richiamato, per certi versi deroga il D.Lgs n. 22/97, ma a ciò è legittimato -nonostante si tratti di fonte secondaria- per l’espressa autorizzazione a dettare norme in materia di batterie ed accumulatori, concessa ai Ministri dell’industria, dell’ambiente e della sanità dalla indicata “legge comunitaria 1993”.
In particolare, l’art. 4 stabilisce che le pile e gli accumulatori usati debbano essere consegnati al rivenditore al momento dell’acquisto di nuove pile o di nuovi accumulatori –il quale, a tal fine, dovrà porre a disposizione del pubblico un contenitore idoneo all’immissione di tale tipologia di rifiuti- ovvero conferiti in raccolta differenziata presso uno dei punti allo scopo predisposti dai soggetti esercenti il servizio pubblico.
Il rivenditore di cui innanzi, chiamato a curare l’attività di raccolta delle pile e degli accumulatori usati, secondo la disciplina di cui al decreto Ronchi, trattandosi di stoccaggio di rifiuti pericolosi destinati al recupero effettuata in luogo diverso da quello in cui avviene l’attività di recupero, dovrebbe munirsi di apposita autorizzazione regionale, non essendo sufficiente la semplice comunicazione alla Provincia; ed invece, il regolamento in esame non richiede tale autorizzazione e pone al rivenditore quale unico obbligo quello di “conservare copia della documentazione idonea a dimostrare le modalità di raccolta e di svuotamento del contenitore seguite presso il suo esercizio”: è evidente la deroga, ma la stessa è giustificata dal fatto che una legge ordinaria ha delegificato la materia, attribuendo ad un atto formalmente amministrativo il potere di innovare l’ordine legislativo.