Cass. Sez. III n. 24361 del 10 giugno 2016 (Ud 13 apr 2016)
Pres. Ramacci Est. Mocci Ric. Bitetti
Rifiuti. Acque provenienti da frantoio e fertirrigazione
La pratica della "fertirrigazione", la cui disciplina si pone in deroga alla normativa sui rifiuti, rispetto alla quale è autonoma ed indipendente e non richiede che gli effluenti provengano da attività agricola e siano riutilizzati nella stessa attività agricola, presuppone l'effettiva utilizzazione agronomica delle sostanze, la quale implica che essa sia di una qualche utilità per l'attività agronomica e lo stato, le condizioni e le modalità di utilizzazione delle sostanze compatibili con tale pratica, con la conseguenza che, in difetto, essa resta sottoposta alla disciplina generale sui rifiuti. Pertanto, integra il reato previsto dall'art. 256, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 lo smaltimento, lo spandimento o l'abbandono incontrollati delle acque provenienti da un frantoio, potendosi applicare la disciplina prevista dalla legge 11 novembre 1996, n. 574 ai soli casi in cui i reflui oleari abbiano una loro utilità ai fini agricoli
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 20 maggio 2013, il giudice monocratico del Tribunale di Taranto, sez. distaccata di Ginosa, assolveva B. F. dai reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, commi 1 e 2 e al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2.
Al prevenuto era contestato di non aver ottemperato al regolamento regionale in tema di utilizzo agronomico delle acque di vegetazione, avendole convogliate nella rete fognaria, e di aver abbandonato, in un terreno di sua proprietà, acque di vegetazione per un quantitativo di mq. 364.
2. Su gravame del Procuratore generale in ordine al capo c) - D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2 - la Corte d'Appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto riformava la sentenza impugnata, condannando l'imputato alla pena di Euro 7.500,00 di ammenda.
Affermava il giudice di secondo grado che l'esame approfondito delle risultanze processuali induceva a ritenere realizzato il reato in contestazione. Avrebbe dovuto, all'uopo, reputarsi rilevante la deposizione D.F., da cui era emerso che la superficie interessata aveva ricevuto 300 mc. di acqua di vegetazione, mentre avrebbe potuto tollerarne al massimo 30-40 mc., determinando in tal modo la modifica della configurazione dei luoghi. Così si sarebbe realizzata la fattispecie vietata dall'art. 256 cit., con riguardo all'immissione sul suolo e sottosuolo di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido.
3. Ha proposto ricorso per cassazione il B., sulla scorta di tre motivi manifesta illogicità della motivazione, ex art. 606 c.p.p., lett. e); inosservanza o erronea applicazione della legge penale, art. 606 c.p.p., lett. b); decorso del tempo di prescrizione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Mediante il primo motivo, il ricorrente assume che la Corte territoriale, dopo aver enunciato le molteplici ragioni che avevano indotto il Tribunale ad assolvere l'imputato, le avrebbe poi ignorate. Pertanto, di fronte alle plurime ragioni addotte dal Tribunale a sostegno della statuizione assolutoria, l'affermazione secondo cui il primo giudice avrebbe liquidato sbrigativamente le risultanze processuali sarebbe stata del tutto illogica e gratuita.
D'altronde, la motivazione della sentenza impugnata avrebbe tratto spunto da dichiarazioni testimoniali, che avevano invece evidenziato la mancanza della prova del fatto, e si sarebbe riferita alla condotta del B., che pure non era stato autore nè del trasporto nè dello spandimento. Sarebbe stato del tutto contraddittorio il richiamo alla documentazione planimetrica.
2. La seconda censura s'impernia sul fatto che la fattispecie avrebbe dovuto assumere i contorni del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 14 norma speciale rispetto a quella generale di cui all'art. 256, comma 2, cit. D.Lgs., trattandosi di acque vegetative derivanti dalla molitura delle olive.
3. Con la terza doglianza, il B. fa rilevare che il reato sarebbe in ogni caso prescritto.
4. Il ricorso è manifestamente infondato.
Va preliminarmente ribadito l'insegnamento, secondo il quale nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, in mancanza di elementi sopravvenuti occorre che la motivazione, nella diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, esprima una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio Sez. 3, Sentenza n. 6817 del 27/11/2014 Ud. (dep. 17/02/2015) Rv. 262524.
4.1. Nella specie, e con riguardo al primo motivo, può oggettivamente dirsi che la sentenza della Corte d'Appello abbia discusso gli elementi che il Tribunale di Taranto aveva portato a sostegno dell'assoluzione dai reati ascritti al B. e li abbia puntualmente confutati, con il richiamo alla testimonianza D. F., nonchè alla documentazione planimetrica e fotografica. In altri termini, il ragionamento sviluppato dalla Corte territoriale sulla scorta dei dati fattuali disponibili, imperniato sulla concreta inosservanza delle dichiarazioni rilasciate alla Pubblica amministrazione, appare logico e congruo e si sottrae pertanto a qualunque sindacato di legittimità.
4.2. Presupposto imprescindibile per l'effettuazione della pratica della fertirrigazione è l'effettiva utilizzazione agronomica delle sostanze, la quale implica che l'attività sia di una qualche utilità per l'attività agricola svolta nonchè un'indagine sullo stato, le condizioni e le modalità di utilizzazione delle sostanze compatibili con tale pratica. In altre parole, deve trattarsi di un'attività la cui finalità sia effettivamente il recupero delle sostanze nutritive ed ammendanti contenute negli effluenti e non può risolversi nel mero smaltimento delle deiezioni animali.
Da ciò consegue la necessità che, in primo luogo, vi sia l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, la quantità e qualità degli effluenti sia adeguata al tipo di coltivazione, i tempi e le modalità di distribuzione siano compatibili ai fabbisogni delle colture e, in secondo luogo, che siano assenti dati fattuali sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione quali, ad esempio, lo spandìmento di liquami lasciati scorrere per caduta, effettuato a fine ciclo vegetativo, oppure senza tener conto delle capacità di assorbimento del terreno con conseguente ristagno.
Per quanto riguarda il regime sanzionatorio applicabile, va osservato che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 5, prevede un'ipotesi di illecito amministrativo, salvo che il fatto costituisca reato, per l'ipotesi di inosservanza delle disposizioni di cui all'art. 170, comma 7, fino all'emanazione della disciplina regionale di cui all'art. 112, comma 2, mentre l'art. 137, comma 14, stabilisce l'applicazione della sanzione penale per l'effettuazione dell'utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento di acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonchè di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all'art. 112, al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste, oppure in caso di inottemperanza al divieto o all'ordine di sospensione dell'attività e, infine, per l'utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente. Da ciò consegue, come già rilevato (Sez. 3^ n. 38411, 9 ottobre 2008,) che, stante la presenza, nell'art. 133, della clausola che fa salva l'applicabilità della sanzione penale, l'irrogazione della sanzione amministrativa è consentita "...solo per quelle violazioni delle disposizioni regionali che non consistano nell'esercizio della utilizzazione agronomica fuori dei casi e delle procedure previste, o nell'inizio della attività senza previa comunicazione all'autorità competente, ovvero nell'inottemperanza al divieto o all'ordine di sospensione dell'attività".
E' appena il caso di precisare che la richiamata disciplina sanzionatoria presuppone, in ogni caso, lo svolgimento di un'attività effettivamente inquadrabile nella nozione di utilizzazione agronomica in precedenza delineata, come si ricava agevolmente dal tenore letterale della norma la quale, infatti, fa sempre riferimento a tale specifica attività, ancorchè effettuata al di fuori dei casi e delle procedure stabilite, con la conseguenza che ogni altra condotta non rientrante nella richiamata tipologia andrà opportunamente collocata entro ambiti diversi, comprendenti anche specifiche ipotesi di reato, quali quelle previste in caso di illecita gestione di rifiuti.
Alla luce delle considerazioni dianzi esposte va pertanto nuovamente affermato il principio secondo il quale la pratica della "fertirrigazione", la cui disciplina si pone in deroga alla normativa sui rifiuti, rispetto alla quale è autonoma ed indipendente e non richiede che gli effluenti provengano da attività agricola e siano riutilizzati nella stessa attività agricola, presuppone l'effettiva utilizzazione agronomica delle sostanze, la quale implica che essa sia di una qualche utilità per l'attività agronomica e lo stato, le condizioni e le modalità di utilizzazione delle sostanze compatibili con tale pratica, con la conseguenza che, in difetto, essa resta sottoposta alla disciplina generale sui rifiuti.
Pertanto, integra il reato previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 2, lo smaltimento, lo spandimento o l'abbandono incontrollati delle acque provenienti da un frantoio oleoso, potendosi applicare la disciplina prevista dalla L. 11 novembre 1996, n. 574 ai soli casi in cui i reflui oleari abbiano una loro utilità ai fini agricoli Sez. 3, n. 40533 del 17/06/2014 (dep. 01/10/2014), Pellegrino, Rv. 260755. Nella specie, è emerso che la particella interessata al versamento, la n. 213 era diversa da quelle indicate nella dichiarazione resa alle autorità competenti (Comune di Ginosa ed ARPA) e dunque mancava, di fatto, proprio il requisito dell'utilità.
4.3. La manifesta infondatezza dei motivi determina l'inammissibilità del ricorso, ex art. 606 c.p.p., comma 3.
A tale proposito, giova sottolineare che il reato contestato si è prescritto il 20 gennaio 2015, ma la declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità Sez. U, Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. (dep. 21//2/2000) Rv. 217266 e, da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 28848 dell'8/05/2013 Ud. (dep. 08/07/2013) Rv. 256463.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016