Consiglio di Stato, Sez. VI, n . 3908del 4 luglio 2012, .
Urbanistica.Legittimità diniego di concessione demaniale per pontile galleggiante.
E’ legittimo il diniego della concessione demaniale per un pontile galleggiante, emanato in base all’art. 6 del Regolamento Regionale del Lazio n. 11 del 2009. Infatti, tale disposizione prevede che la superficie dei pontili galleggianti che sostanzialmente distinguono i “punti di ormeggio” con struttura, dai campi di boe, non può essere sottratta al limite massimo di 25 m.q. previsto dalla citata norma regionale. La dizione complessiva di “struttura”, è da intendere come complesso integrato a terra e in acqua di parti di un manufatto, o costruzione, suscettibile di impatto sul territorio. Il fatto che, in altre disposizioni o provvedimenti, il termine sia associato al concetto di copertura (“strutture coperte”) non toglie che il vocabolo “struttura” indicato senza aggettivazione, appaia nella fattispecie utilizzato per individuare ogni possibile installazione di manufatti amovibili, di consistenza non ragguardevole, nei punti di ormeggio. Inoltre, non è rilevante il numero degli ancoraggi al fondale connesso ad esigenze di sicurezza, di norma estranee, salvo casi particolari, al concetto di amovibilità. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 03908/2012REG.PROV.COLL.
N. 09785/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9785 del 2011, proposto da Giovane Ponza s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Roberto Faccini, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Orazio, 3;
contro
Comune di Ponza;
nei confronti di
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Rosa Maria Privitera, con domicilio eletto presso gli uffici dell’Avvocatura regionale del Lazio in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
per la riforma della sentenza del t.a.r. lazio - sez. staccata di latina, sezione i, n. 00576/2011, resa tra le parti, concernente diniego di concessione demaniale marittima; risarcimento dei danni;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti l’avv. Bellini per delega dell'avv. Faccini e l'avv. Privitera;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Latina, sez. I, n. 576/11 del 30 giugno 2011 (che non risulta notificata) sono state dichiarate in parte l’inammissibilità e in parte l’improcedibilità di due ricorsi riuniti, per la restante parte respinti, proposti dalla Giovane Ponza s.r.l. avverso una comunicazione sindacale, concernente la ritenuta illegittimità di un ordine di introito di somme, a titolo di canone per la concessione demaniale di uno specchio d’acqua (poiché non emesso dal responsabile del servizio), nonché avverso i provvedimenti sindacali di diniego della concessione stessa e l’art. 6 del Regolamento della Regione Lazio 15 luglio 2009, n. 11, nella parte in cui non veniva specificato che la superficie di 25 mq. non avrebbe potuto riferirsi anche al pontile galleggiante, poiché rientrante fra le strutture destinate alla nautica da diporto come semplici “punti di ormeggio”, al pari dei “campi di boe”, a norma dell’art. 2, comma 1, lettera c) del d.P.R. 2 dicembre 1997, n. 509.
Nella sentenza si rilevava, in particolare, che col primo ricorso (dichiarato inammissibile) il sindaco si limitava a rilevare di avere firmato un atto da rimettere, invece, al responsabile del servizio, con successiva mancata adozione dell’atto stesso (ordine di pagamento del canone concessorio per l’anno 2009), a causa del mancato rilascio della concessione; l’impugnativa del primo diniego, oggetto del secondo ricorso, era poi dichiarata improcedibile, per sopravvenuto nuovo atto negativo a seguito di riesame richiesto dal Tribunale amministrativo. Quanto al conclusivo diniego, si riteneva infine che la prevista installazione di quello, che nel ricorso era definito “pontile galleggiante di natura mobile da adibire a precario punto d’ormeggio, senza ancoraggi fissi, ma del tutto amovibile” e “dotato di WC chimico”, fosse in realtà incompatibile con l’at. 6 del ricordato regolamento regionale n. 11 del 2009, in quanto di superficie pari a 140 mq (contro i 25 consentiti) e saldamente ancorato al fondale da “56 corpi morti e da un sistema di catenarie […] non di facile rimozione”. Contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, infine, con la predetta norma regolamentare la Regione Lazio avrebbe operato “l’esatta individuazione delle caratteristiche strutturali del punto di ormeggio”, contrastanti con l’opera proposta dalla ricorrente e giusta causa pertanto di diniego, con conseguente inconferenza dei motivi aggiunti di gravame, proposti avverso il Piano di riassetto per l’utilizzo delle aree demaniali.
Avverso la predetta sentenza è stato proposto l’atto di appello in esame (n. 9785/11, notificato il 25 novembre 2011), sulla base dei seguenti motivi di gravame:
1) violazione degli articoli 2 e 3 del d.P.R. n. 509 del 1997, dell’art. 57 della legge della Regione Lazio 6 agosto 2007, n. 13 e dell’art. 6 del regolamento regionale n. 11 del 2009, in quanto il punto di ormeggio sarebbe indipendente dalle ulteriori strutture coperte, alle quali sarebbe riferito il limite di superficie di 25 mq, mentre il pontile dovrebbe ritenersi non soggetto al predetto limite, né potrebbe prescindere da un efficace ancoraggio;
2) violazione dei principi fondamentali per l’utilizzazione del litorale, essendo il Piano per l’utilizzo degli arenili (P.U.A.) di competenza regionale, mentre nel caso di specie sarebbe stato predisposto un piano comunale;
3) violazione del giusto procedimento e carenza di istruttoria, non essendo stato redatto, a monte delle determinazioni comunali, il necessario piano regionale;
4) illogicità e contraddittorietà, essendo prevista l’autorizzazione per i campi boe, equiparabili ai pontili galleggianti;
5) e 6) incompetenza del Comune per l’adozione degli atti impugnati;
7) violazione dell’art. 6, comma 3 della legge 4 dicembre 1993, n. 494 [di conversione in legge, con modificazioni ed integrazioni, del d.-l. 5 ottobre 1993, n. 400 concernente disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime].
La Regione Lazio, costituitasi in giudizio, sottolineava la propria estraneità alla questione controversa, rientrando nella competenza dei Comuni il rilascio della concessione di aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, in base agli articoli 77, comma 2, lettera b) e 129, comma 1, lettera d) della legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 e dell’art. 8, comma 2, lettera b-bis) della legge regionale del Lazio 11 dicembre 1998, n. 53. Alla medesima Regione, pertanto, spetterebbero le competenze per l’utilizzo delle aree demaniali marittime, ad eccezione delle funzioni delegate per finalità turistico ricreative, da riferire a stabilimenti balneari, spiagge attrezzate, punti di ormeggio, ristorazione e somministrazione di bevande. L’art. 6 del citato regolamento n. 11 del 2009 sarebbe infine da interpretare – quanto alla definizione dei punti di ormeggio – in combinato disposto con il precedente art. 2, comma 1, lettera d) dello stesso testo normativo.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello non sia meritevole di accoglimento.
Sono state infatti sottoposte a giudizio, nella presente sede di appello, solo questioni riferite al secondo diniego di concessione demaniale, emesso in sede di riesame, nonché (per quanto di ragione) al P.U.A., che sarebbe stato adottato in violazione delle competenze regionali ed alle disposizioni applicabili per l’utilizzazione del litorale.
Sotto quest’ultimo profilo – da esaminare anticipatamente, in base a criteri di priorità logica – tutte le censure prospettate appaiono inammissibili (poiché irrilevanti quale presupposto di legittimità dell’atto impugnato) o prive di fondamento, essendo formalmente affidate ai Comuni le competenze in materia di rilascio, rinnovo e revoca di concessioni sul litorale marittimo, quando l’utilizzazione abbia – come nel caso di specie – finalità turistiche e ricreative (cfr. art. 77, comma 2, lettera b), della legge della Regione Lazio 6. agosto 1999, n. 14, che si pone come speciale rispetto all’art. 129, comma 1, lettera d), della medesima legge regionale). L’art. 8, comma 2, lettera b-bis) della legge regionale 11 dicembre 1998, n. 53 (come modificata dalla legge regionale 17 febbraio 2005, n. 9) conferma peraltro la competenza della Regione in materia di utilizzazione e concessione dei beni del demanio marittimo, “fatte salve le funzioni ed i compiti amministrativi delegati ai Comuni, ai sensi dell’art. 77, comma 2 della citata legge regionale n. 14/1999”, mentre l’art. 5, comma 2, della legge regionale 6 agosto 2007, n. 13 specifica che compete ai comuni, tra le “funzioni e i compiti amministrativi delegati”, provvedere al “rilascio rinnovo, revoca delle concessioni relative alle aree del demanio marittimo […] per finalità turistico ricreative e per la relativa vigilanza”. Il successivo art. 52 della medesima legge regionale n. 13 del 2007, a sua volta, dispone che – “tra le tipologie di utilizzazione delle aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative” – rientrino “i punti di ormeggio”, secondo modalità di utilizzazione e tipologie, disciplinate con regolamenti regionali (cfr. commi 1, lettera d) e comma 3 del medesimo articolo).
Così chiariti i presupposti del provvedimento in esame – per la cui emanazione appare indubbia la competenza del Comune, con irrilevanza di altre argomentazioni difensive, inerenti a profili di pianificazione non rilevanti per la legittimità dell’atto impugnato – restano da valutare le prospettazioni sostanziali, indirizzate avverso i requisiti e le caratteristiche dei punti di ormeggio, come disciplinati dall’art. 6 del regolamento della Regione Lazio 15 luglio 2009, n. 11 (Disciplina delle diverse tipologie di utilizzazione delle aree demaniali marittime per finalità turistico- ricreative e classificazione degli stabilimenti balneari).
Questo art. 6, al comma 1, dispone quanto segue: “Nei punti d’ormeggio possono essere installate strutture di facile rimozione, della superficie massima di 25 metri quadrati, da destinare a natanti o piccole imbarcazioni, per offrire i servizi necessari all’utenza nautica”.
Sono definiti “punti di ormeggio” – a norma dell’art. 2, comma 1, lettera c), del d.P.R. 2 dicembre 1997, n. 509 (Regolamento recante disciplina del procedimento di concessione di beni del demanio marittimo, per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto, a norma dell'art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59) – le “aree demaniali marittime e gli specchi acquei, dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all’ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto”.
Con questa definizione sono individuate le strutture più semplici dedicate alla nautica da diporto, rispetto al “porto turistico” (comprensivo di strutture sia amovibili che inamovibili, sia in mare che a terra) e all’”approdo turistico” (finalizzato a servire il diportista nautico anche mediante l’apprestamento di servizi complementari).
In assenza di strutture esterne visibili, può essere infine prevista la realizzazione di “campi di boe”, che consentono il solo ancoraggio, tramite “corpi morti” ancorati al fondale.
In tale contesto, la principale argomentazione dell’appellante è quella di un’interpretazione del ricordato art. 6 del regolamento regionale n. 11 del 2009, secondo cui la superficie dei pontili galleggianti – che sostanzialmente distinguono i punti di ormeggio strutturati dai campi di boe – sarebbe sottratta al limite massimo, previsto dalla citata norma, di 25 mq.. In altri termini, il limite massimo di 25 mq andrebbe misurato – secondo la medesima parte appellante – solo riguardo alle installazioni a terra e non rileverebbe per la parte strettamente marittima.
Tale assunto non è condivisibile, in assenza di un elemento - logico o letterale - che consenta di escludere i pontili dalla nozione complessiva di “struttura”, da intendere come complesso integrato – a terra e in acqua - di parti di un manufatto, o costruzione, suscettibile di impatto sul territorio.
Il fatto che, in altre disposizioni o provvedimenti, il termine sia associato al concetto di copertura (“strutture coperte”) non toglie che il termine “struttura” – indicato senza aggettivazione – appaia nella fattispecie utilizzato per individuare ogni possibile installazione di manufatti amovibili, di non grande consistenza, nei punti di ormeggio di cui si discute.
Il limite di 25 mq., imposto dalla previsione regolamentare di cui trattasi, costituiva pertanto presupposto di legittimità, sufficiente a legittimare il diniego di concessione emesso nel caso di specie, per un pontile galleggiante che avrebbe sviluppato nel suo complesso (fra terra e acqua) una superficie complessiva di 140 mq..
Non rilevante invece, ad avviso del Collegio, doveva ritenersi il numero degli ancoraggi al fondale, inferiore a quello indicato nella sentenza appellata e comunque connesso ad esigenze di sicurezza, di norma estranee – salvo casi particolari – al concetto di amovibilità.
In base all’accezione, qui recepita, del termine “struttura” e dei relativi limiti di superficie, normativamente imposti, il diniego di concessione di cui trattasi costituiva atto vincolato, senza che rilevassero al riguardo l’ipotizzato difetto di istruttoria (non essendo contestata la reale superficie del pontile, secondo il progetto sottoposto ad approvazione), né i principi del giusto procedimento, né questioni di pianificazione, che appaiono oggetto di contestazione generica, e fermo restando che è rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione la fissazione di limiti all’impatto delle strutture turistiche sul territorio: impatto che può essere anche severamente contenuto in aree di particolare pregio.
Per tutte le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto, anche (come immediata conseguenza dell’infondatezza delle tesi difensive prospettate) per quanto riguarda l’istanza risarcitoria, nonché per la condanna al pagamento delle spese giudiziali, come discrezionalmente valutate in primo grado di giudizio. Le spese giudiziali della presente fase di appello, da porre a carico della società soccombente, vengono liquidate nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00), a favore della Regione costituita in giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe; condanna l’appellante al pagamento delle spese giudiziali, a favore della controparte costituita in giudizio, nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00)..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/07/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)