Cass. Sez. III sent.. 40954 del 11112005 (ud. 13 ottobre 2005)
Pres. Vitalone Est. Mancini Ric. Agnello
Inquinamento atmosferico – Impianti di frantumazione
Gli impianti di frantumazione dei materiali di cava devono essere ricondotti nella previsione dell’articolo 1 del d.p.r. 203-1988 data la loro oggettiva attitudine a dare luogo ad emissione nell’atmosfera. L’imprenditore che lo gestisce ha comunque l’obbligo di evitare emissioni moleste anche n caso di guasto all’impianto disponendone, all’occorrenza, la chiusura fino alla riparazione.
Svolgimento del processo
Con
sentenza dell'8 maggio 2003 il tribunale di Mistretta ha condannato Agnello
Antonio, concesse le attenuanti generiche, alla pena di euro 600,00 di ammenda
per averlo riconosciuto colpevole nella sua qualità di AU della Nebrodi Inerti
srl di contravvenzione all'art. 25 del DPR 203 del 1988 ed all'art. 674 c.p. In
fatto ne ha riconosciuto la responsabilità da un lato per non avere
periodicamente relazionato le competenti autorità circa l'emissione
nell'atmosfera delle polveri derivanti dalla frantumazione e vagliatura del
materiale calcareo cui si procedeva nella sua azienda e circa l'azione di
contenimento delle emissioni stesse, dall'altro per avere diffuso negli ambiti
circostanti polveri in quantità ingenti, atte ad arrecare molestie alle
persone.
Quanto
al primo reato il tribunale osserva che la contestata omissione si è verificata
per l'anno 2000 e che le giustificazioni addotte dall'imputato non potevano
considerarsi appaganti.
Quanto
al secondo rileva che la documentazione fotografica dimostra come le polveri
sicuramente emesse dall'impianto dell'imputato avessero invaso i terreni
circostanti cagionando molestia e disagio ai proprietari di essi come dimostrato
dalle raccolte deposizioni testimoniali. Né poteva valere come giustificazione
della condotta antigiuridica la circostanza addotta dalla difesa relativa alla
momentanea mancanza di acqua normalmente utilizzata per l'abbattimento delle
polveri, la quale se vera avrebbe dovuto suggerire la cessazione dell'attività.
Infine
il possesso dell'autorizzazione per l'emissione di polveri nell'atmosfera non
valeva ad escludere la configurabilità del reato di cui all'art. 674 c.p. dal
momento che gli interessi tutelati da tale norma e dal DPR 203 del 1988 sono
diversi.
Propone
ricorso per cassazione l'imputato che con un primo motivo deduce errata
applicazione dell’art. 25 del DPR 203 del 1988 sostenendo che la norma si
applica alle sostanze nocive ed inquinanti e tale non sarebbe il calcare.
Deduce
quindi con un secondo motivo la violazione dell’art. 522 c.p.p. in quanto a
suo avviso gli è stata contestata una contravvenzione accaduta il 5 ottobre
2001 mentre è stato condannato per una omissione verificatasi nell'anno 2000,
quando, tra l'altro, erano in corso lavori di sistemazione e manutenzione degli
impianti elettrici e la società aveva comunicato all'autorità competente che
al completamento degli stessi avrebbe relazionato sugli accorgimenti adottati
per l'abbattimento delle polveri (come in effetti poi avvenuto con nota del 26
settembre 2001 ).
Con
il terzo ed ultimo motivo di ricorso si censura l'impugnata sentenza per avere
omesso di considerare che la contravvenzione all'art. 674 richiede una condotta
attiva mentre nella specie si sarebbe al più trattato del mancato apprestamento
- rientrante peraltro nella responsabilità del direttore della cava come
previsto dalla legge regionale - di accorgimenti idonei ad impedire che le
polveri, a causa di un guasto momentaneo, fuoriuscissero da un luogo privato.
Motivi della decisione
II
ricorso è infondato e deve essere respinto.
Quanto
al primo motivo, con il quale si assume che le polveri di calcare non sarebbero
sottoposte alla disciplina del DPR 203 del 1988, trattasi di affermazione
meramente assertiva, sfornita di un qualsivoglia supporto argomentativo, in
contrasto peraltro con l'insegnamento di questa Corte Suprema che occupandosi
dell'argomento con la sentenza 7 ottobre/26 novembre 1999 n. 13534, Cipriani,
confermativa della decisione 1995 n. 11334, RIV
Neppure
il secondo motivo, relativo alla asserita discrepanza fra contestazione e
pronuncia di colpevolezza, può essere condiviso.
E' infatti sufficiente al riguardo osservare, sulla scia di quanto
puntualizzato dal Procuratore generale in udienza, che comunque anche sul fatto
assentamene non incluso nel capo di imputazione - il quale è peraltro
omnicomprensivo in quanto applica la formula, circa la data del commesso
delitto, " fino al 5 ottobre 2001 - ha esercitato il suo diritto di difesa
che pertanto non ha subito alcuna lesione.
Strettamente
collegato a questo motivo è quello con il quale si rappresenta che abnormi
emissioni di
fumi
e polveri si sarebbero avute soltanto in stretta dipendenza con un guasto
all'impianto elettrico dell'azienda, causa a sua volta della interruzione
dell'acqua utilizzata per l'abbattimento delle polveri.
Il
fatto non potrebbe comunque configurare uno stato di necessità data la estrema
delicatezza della materia che coinvolge direttamente questioni riguardanti la
salute dell'uomo.
E'
questa l'idea sottesa alla pronuncia del 3 maggio 1995/11 luglio 1995 n. 7692,
imp. Vinella di questa III sezione della Suprema Corte la quale ricorda
l'obbligo per l'imprenditore di adottare tutte le misure necessaria ad evitare
un peggioramento anche temporaneo delle emissioni e l'impossibilità di invocare
utilmente il guasto tecnico per sottrarsi a tale obbligo.
Con
l'ultimo motivo di ricorso infine si assume che la contestata contravvenzione
all'art. 674 – non si nega che concorra con l'altra, di cui ai primi tre commi
del DPR n. 203 del 1988, come peraltro rilevato da Cass. sez. I, 25 maggio/31
agosto 1994 n. 9357, Turino – richiederebbe una condotta attiva mentre nella
specie si sarebbe trattato della mancata adozione di accorgimenti atti ad
evitare l'abnorme emissione di polveri come conseguenza del guasto.
La
censura ha già avuto una risposta allorché si è osservato che l'imprenditore
ha comunque l'obbligo dì evitare
emissioni moleste anche nel
caso di guasto all'impianto (occorrendo, disponendone la chiusura fino ad
avvenuta riparazione dello stesso), con la conseguenza che l'inosservanza
dell'obbligo di evitare l'evento oggetto della volontà repressiva del
legislatore è assimilabile, secondo il principio generale affermato dall'art.
40 cpv. c.p., alla condotta attiva produttiva dell'evento stesso.
Un
solo precedente di questa Corte Suprema - Sez. VI, 2 ottobre 1985 n. 8449,
Spallanzani - sembra essere di segno diverso ma il riferimento contenuto in tale
sentenza, ad una condotta attiva quale requisito della contravvenzione in esame,
non può certo valere ad escludere la generale portata, appena ricordata, della
norma contenuta nel cit. art. 40.
Segue
al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.