Consiglio di Stato Sez. IV n. 3573 del 20 luglio 2017
Urbanistica.Modifica degli indici di fabbricazione del piano regolatore
L’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili. Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Pubblicato il 20/07/2017
N. 03573/2017REG.PROV.COLL.
N. 00635/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 635 del 2012, proposto da:
Società Ravagni Adriana & c.. s.n.c., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Gabriele Pafundi, Giacomo Bonomi, con domicilio eletto presso lo studio Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14;
contro
Comune di Adro non costituito in giudizio;
Baglioni Battista e Lancini Palmira, rappresentati e difesi dagli avvocati Claudio Chiola, Mario Gorlani, con domicilio eletto presso lo studio Claudio Chiola in Roma, via della Camilluccia, 785;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZ. I n. 01629/2011, resa tra le parti, concernente permesso di costruire relativo alla realizzazione di una villetta bifamiliare
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Battista Baglioni e di Palmira Lancini;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati G. Pafundi e C. Chiola;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, la società Ravagni Adriana e c. s.n.c. impugna la sentenza 5 novembre 2011 n. 1629, con la quale il TAR per la Lombardia, sez. I di Brescia, in accoglimento del ricorso proposto dai signori Battista Baglioni e Palmira Lancini, ha, in particolare, annullato il permesso di costruire 10 luglio 2009 n. C2009 – 16, pratica D 2009/78, relativo alla realizzazione di una villetta bifamiliare nel Comune di Adro.
La presente controversia ha ad oggetto le complesse vicende relative alla realizzazione della predetta villetta bifamiliare, già oggetto di un primo permesso di costruire (anch’esso impugnato dalle ricorrenti in I grado, attuali appellate), poi sostituito – a seguito di vicende riassunte in sentenza (v., in particolare, pagg. 17-19) – dal permesso di costruire in variante n. 78, oggetto del ricorso giudicato dalla sentenza appellata.
La censura principale, rivolta avverso tale permesso onde contestarne la legittimità, riguarda la ritenuta insussistenza di volumetria disponibile sul lotto, che sarebbe già saturo posto che, in base al PRG vigente, sarebbero consentiti mc. 4.824, a fronte di mc. 6735,51, insistenti sul lotto.
La sentenza – previo rigetto di eccezioni di inammissibilità per carenza di legittimazione ed interesse ad agire – ha innanzi tutto richiamati i principi giurisprudenziali applicabili al caso di specie (v. pagg. 23 – 27), e quindi, in particolare:
- la necessità di considerare, al fine di consentire la nuova edificazione, non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura dei fabbricati preesistenti, a nulla rilevando che queste possano insistere su una parte del lotto catastalmente divisa;
- a tal fine, devono essere considerate tutte le costruzioni esistenti sul lotto, ivi comprese quelle abusivamente realizzate;
- nel caso di variazione degli indici edificatori, si deve fare riferimento sempre all’indice edificatorio attuale, di modo che il permesso di costruire deve essere rilasciato in base agli indici vigenti e non in base a quelli, anche se più favorevoli, vigenti anteriormente;
- in caso di mutamenti nei criteri di determinazione della volumetria (ad esempio, circa la computabilità o meno di determinati volumi), le nuove norme dispongono di regola per il futuro, di modo che esse, se assumono rilevanza per determinare la volumetria del nuovo intervento edilizio, non possono essere assunte a parametro per il calcolo della volumetria degli edifici da scomputare, in quanto anteriormente realizzati.
Ciò premesso, nel caso di specie, la sentenza prende atto delle seguenti risultanze, come desumibili dalla nota 4 giugno 2009 del Comune di Adro) e cioè che:
a) al fine di accertare la capacità edificatoria, occorre considerare, con riferimento all’entrata in vigore del nuovo PRG (che nel 1992 ha attribuito al comparto l’indice di 1,2 mc/mq, in luogo del precedente 0,6 mc/mq):
- la superficie del comparto, pari a mq. 4020;
- la capacità edificatoria (mq. 4020 x 1,2) , pari a mc. 4,824;
- la detrazione dei volumi edificati, pari a mc. 2555,26;
- la volumetria residua (mc 4824 – 2555,26), pari a 2268,74.
b) della volumetria residua realizzabile, per effetto della ripartizione della capacità edificatoria effettuata secondo un criterio percentuale dei lotti scoperti, spetta alla società Ravagni una volumetria di mc. 1465,33 (al momento del nuovo PRG), che – per effetto della precedentemente assentita costruzione di due villette per complessivi mc. 887,40 – si riduce a mc. 578,13.
La disposta CTU concorda nell’affermare che la volumetria originariamente realizzabile è pari a mc. 4824, ma – considerati i titoli edilizi rilasciati (ed i sottotetti realizzati) e la volumetria interrata valutabile – conclude affermando che la volumetria delle costruzioni comunque esistenti è pari a mc. 7.841 ( di cui mc. 4.837 fuori terra e mc. 3004 volumetria interrata) a fronte della predetta volumetria realizzabile di mc. 4824..
La sentenza prende atto (pag. 35) che “la volumetria del sottotetto del condominio e quella interrata non sono state dall’amministrazione considerate in sede di rilascio del permesso di costruire impugnato, per effetto delle diverse metodologie di calcolo dei volumi nella successione degli strumenti urbanistici”.
Infine, secondo la sentenza impugnata (che, argomentando su quanto esposto dalla CTU e dalle parti, precisa quali sono i volumi effettivamente computabili, alla luce dei criteri giurisprudenziali innanzi esposti: v. pagg. 36 – 39), “si perviene ad un totale di mc. 7711 (in luogo di quello di mc. 7841 indicato dal CTU, sicchè deve concludersi nel senso che il lotto in questione risultava già saturo e non si sarebbe potuto rilasciare alcun titolo edificatorio)”.
La sentenza impugnata ha dichiarato la illegittimità del permesso di costruire per due ulteriori ragioni:
- per violazione dell’art. 6 delle NTA del PRG, poiché il progetto non presenta una superficie scoperta drenante., da non adibirsi a posto macchina o a qualsiasi tipo di deposito, non inferiore al 30% (come previsto per i complessi residenziali);
- per violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990, poiché il rilascio del titolo edilizio non è stato preceduto da invio della comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti controinteressati, chiaramente identificabili.
2. Avverso tale decisione, la società Ravagni propone i seguenti motivi di appello:
a) inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione ed interesse ad agire; poiché “nel caso di specie, per la tipologia, la dimensione, la localizzazione, la posizione del negozio dei ricorrenti, e lo stato dell’urbanizzazione della zona, è da escludere qualsiasi pregiudizio, diretto e indiretto, in capo ai ricorrenti”;
b) error in iudicando; extrapetizione; violazione art. 27 del regolamento edilizio; eccesso di potere per difetto di motivazione e per mancata disamina delle risultanze istruttorie; ciò in quanto: b1) innanzi tutto, il giudice non avrebbe potuto “sindacare, dopo circa trenta anni, il comportamento tenuto dal Comune di Adro nel quantificare la volumetria assentita nel 1980”; b2) “la volumetria realizzata prima del 1992, in applicazione degli indici stabiliti dall’allora vigente regolamento edilizio, andava considerata nei termini assentiti dai titoli autorizzatori e non poteva essere aumentata per volumi allora esclusi dal computo (sottotetti e interrati)”; il che comporta che il progetto presenta un volume da realizzarsi perfettamente entro i limiti consentiti;
c) error in iudicando; violazione del principio dell’affidamento, della ragionevolezza e della proporzionalità; poiché il Comune di Adro “per tutte le ipotesi similari alla presente ha applicato sempre il criterio dell’indice storico, escludendo dal computo volumetrico i volumi del sottotetto e degli interrati destinarti ad autorimesse, in applicazione dell’allora vigente art. 27 del regolamento edilizio”;
d) error in iudicando; violazione art. 6 delle NTA del PRG; poiché la norma risulta rispettata in quanto “l’area esterna all’edificio, cioè l’area di pertinenza, è rimasta allo stato naturale e in condizione drenante”;
e) error in iudicando; supposta violazione art. 7 l. n. 241/1990, in quanto i ricorrenti sono in carenza di interesse (e, dunque, non avevano la veste di controinteressati in sede procedimentale).
Si sono costituiti in giudizio i signori Battista Baglioni e Palmira Lancini, che hanno concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
3. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata, integrata dalle precisazioni di motivazione di seguito esposte.
3.1. E’ infondato il primo motivo di appello, con il quale si ripropone l’eccezione di inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado, per difetto di legittimazione ed interesse.
A tal fine, occorre osservare che, come già condivisibilmente rilevato dalla sentenza impugnata, è sufficiente verificare la sussistenza della vicinitas, onde ritenere sussistente la legittimazione ad agire, dovendosi invece considerare, ai fini dell’interesse ad agire, la concreta lesività della costruzione oggetto di permesso di costruire, ben potendo questa consistere nel mero aumento del carico urbanistico della zona da essa derivante. Né l’appellante ha dedotto circostanze idonee a escludere la legittimazione degli originari ricorrenti titolari di immobili nel comparto.
3.2. Ai fini dell’esame del secondo motivo di appello, giova, innanzi tutto, osservare, in punto di fatto, che l’appellante, nella sostanza, concorda con le seguenti circostanze emergenti dalla nota 4 giugno 2009 del Comune di Adro:
la capacità edificatoria è pari a mc. 4824 (per la precisione, l’appellante indica mc. 4820: pag. 16 app.); la volumetria realizzata è pari a mc. 2.555,26 (mc. 2.555,27 secondo l’appellante); la volumetria residua pari a mc. 2268, 74 (mc. 2268 per l’appellante).
Tuttavia, mentre la nota del Comune, operando la ripartizione della capacità edificatoria effettuata secondo un criterio percentuale dei lotti scoperti, afferma che spettava alla società Ravagni una volumetria di mc. 1465,33 (al momento del nuovo PRG) e, di poi, al momento della richiesta di permesso di costruire, una volumetria di mc. 578,13 (per avere la società già utilizzato una volumetria di mc. 887,40), l’appello espone, più “sinteticamente”, che la volumetria assentita con il permesso di costruire impugnato, pari a mc. 578,13, sarebbe (sommata a quella già realizza) pari a un totale di mc. 4167, dunque “inferiore a mc. 4.820 come accertato dal CTU”
Anche la CTU concorda sul dato della capacità edificatoria (mc. 4824), divergendo essa, invece, sul calcolo della volumetria già sfruttata, con particolare riferimento a quella fuori terra (con aggiunta dei sottotetti), sia con riferimento a quella interrata (non considerata).
3.2. Il Collegio, ai fini della decisione della presente controversia, deve richiamare alcune considerazioni, già svolte da questo Consiglio di Stato (sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3246; 9 luglio 2011 n. 4134) e che devono essere riconfermate nella presente sede.
Ai sensi dell’art. 7 della l. 17 agosto 1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale, in particolare prevedendo “la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano, come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, “servono a conformare l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell’entrata in vigore del Piano o di una sua variante” (Cons. Stato, sez. IV, 18 giugno 2009 n. 4009), ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons. Stato, sez. II, 18 giugno 2008 n. 982).
Orbene, proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto, peraltro, modo di affermare che "un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni” (Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2000 n. 749).
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto" (Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2002 n. 6128; sez. IV, 6 settembre 1999 n. 1402).
Quanto esposto, comporta che, proprio perché il piano regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano le sole aree libere, eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori.
Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, poiché esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi della conformabilità delle sole aree libere. Ed infatti, nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel secondo l’area è libera, posta la sua non ancora intervenuta utilizzazione.
3.3. Alla luce delle considerazioni esposte, appare evidente come il criterio seguito dalla sentenza impugnata (e, prima ancora, dal Comune di Adro e dal CTU) – la quale perviene comunque alla declaratoria di “saturazione” dell’area interessata ai fini dell’ulteriore edificazione (e, dunque, al riscontro della illegittimità del permesso di costruire rilasciato) – pur fondandosi su una giurisprudenza puntualmente citata (ma che questa Sezione non ritiene di condividere, per le ragioni innanzi indicate), risulta ben più favorevole di quello innanzi enunciato.
L’indice edificatorio di 1,2 mc/mq, introdotto dal Piano regolatore del 1992, deve essere senz’altro applicato all’intero comparto considerato, ma nel senso che, di esso, deve essere considerata solo la estensione (in mq) non in precedenza interessata dalla edificazione, realizzata applicando l’indice 0,6 mc/mq.
Al contrario, nel definire la capacità edificatoria, sia il Comune che il CTU prendono in considerazione la superficie dell’intero comparto (mq. 4020), applicandole il nuovo indice di 1,2 mc/mq (così pervenendo a definire una cubatura possibile, al lordo delle edificazioni già realizzate, di mc. 4824), laddove si sarebbe dovuta considerare la sola superficie ancora disponibile, cioè non “consumata” per effetto della edificazione con il precedente indice (cioè detraendo sia l’area di sedime dei fabbricati realizzati, sia la superficie già utilizzata per il computo della volumetria secondo il precedente indice 0,6 mc/mq)
In altre parole, il nuovo indice edificatorio non deve essere applicato a tutta la superficie del lotto/comparto considerato, così prima determinando la cubatura realizzabile e poi detraendo da questa la cubatura realizzata.
Al contrario, occorre prima determinare la superficie ancora disponibile (cioè quella che risulta detraendo dalla complessiva superficie del lotto quella costituente area di sedime e quella già “consumata” per le cubature in precedenza realizzate), poi applicare solo a questa residua superficie il nuovo indice.
Ne consegue che il computo effettuato dall’amministrazione ai fini della verifica della volumetria realizzabile non è corretto e ciò rende, di per sé, illegittimo il titolo edilizio rilasciato.
Né, ovviamente, a fronte di quanto finora esposto, assume alcun rilievo considerare che l’amministrazione comunale ha sin qui operato applicando un “metodo di calcolo” diverso e più “vantaggioso” per l’edificazione.
3.4. A quanto sin qui esposto, occorre aggiungere che risulta condivisibile quanto argomentato dalla sentenza impugnata in ordine alla computabilità dei sottotetti.
La sentenza precisa (pagg. 36 – 37) che gli stessi “che non avevano rilevanza volumetrica all’epoca del rilascio del titolo autorizzatorio, l’hanno acquisita a pieno titolo allorché sono stati oggetto di mutamento di destinazione d’uso (da lavanderia, stenditoio, ripostiglio a residenza)”.
A tal fine, non rileva quanto sostenuto dall’appellante (pagg. 18 – 21 app.), sia in ordine alla identificazione di coloro che hanno richiesto il mutamento di destinazione d’uso, sia in ordine all’assenza di opere strutturali, sia in ordine alla qualificazione del caso di specie (“sanatoria per condono” o “mero recupero di sottotetto esistente”). Alla luce di quanto innanzi esposto, ciò che rileva è esclusivamente l’esistenza di volumi ad uso residenziale che, quale che sia stata la forma della loro realizzazione (lecita o abusiva), non possono che essere computati in detrazione dalla volumetria ancora disponibile.
Per effetto di ciò (e ferme le più incisive e restrittive considerazioni svolte ai punti che precedono), la volumetria già realizzata, al momento di presentazione della domanda per ottenere il permesso di costruire poi impugnato, è la seguente:
mc 3.609 (dato su cui l’appellante concorda: v. pag. 24 appello), cui occorre aggiungere la maggiore volumetria di mc. 540 dei sottotetti, per un totale di mc. 4149; il che determina una volumetria residua di mc. 675 ma, tra l’altro, una diversa determinazione della capacità edificatoria specifica dell’appellante (anche in considerazione della necessaria aggiunta del volume per sottotetto a quello originariamente assentito per il condominio, pari a 1775,26 mc).
Anche a voler prendere a riferimento quanto illustrato dal comune di Adro con nota del 4 giugno 2009 (v. supra), al volume già edificato pari a mc. 2555,26, occorre aggiungere mc. 540 dei sottotetti, per un totale di mc. 3095,26, con una volumetria residua di mc. 1728,74 (anziché mc. 2268,74, come indicato dal Comune).
Considerata la percentuale di capacità edificatoria spettante all’appellante (77,79%), ciò produce la possibilità di ulteriore volumetria per mc. 1379,36 (in luogo dei riconosciuti 1456,33), di modo che, detratti i mc. 887,40 già realizzati, residuano solo mc. 491,96, inferiori cioè ai 578,13 mc. assentiti (per questo dato, v. pag. 17 app.).E ciò a prescindere dalla verifica della imputazione della volumetria per sottotetto per l’intero alla percentuale di capacità edificatoria dell’appellante.
In definitiva, anche senza considerare il volume interrato (non calcolato dal CTU ma invece considerato in sentenza ed oggetto di doglianza con uno dei profili del secondo motivo di appello), quanto già realizzato (comprensivo anche dai sottotetti) già determina la non assentibilità, in relazione alla volumetria richiesta, del permesso di costruire impugnato.
E ciò a prescindere, come si è detto, dalle più restrittive linee interpretative innanzi esposte, che sono ex se risolutive per la reiezione dell’appello.
Per tutte le ragioni esposte, il secondo motivo di appello deve essere respinto.
4. E’ appena il caso di osservare che anche il terzo ed il quarto motivo di appello sono infondati.
Quanto al terzo motivo, è sufficiente osservare che non può mai costituire fonte di affidamento in ordine alle modalità dell’azione amministrativa, quanto da questa in ipotesi illegittimamente posto in essere in situazioni asseritamente similari.
Quanto al quarto motivo, con il quale si contesta che vi sarebbe violazione dell’art. 6 delle NTA del PRG, dato che la norma risulta rispettata in quanto “l’area esterna all’edificio, cioè l’area di pertinenza, è rimasta allo stato naturale e in condizione drenante”, occorre osservare che ad un aumento della volumetria (come quello conseguente al permesso di costruire impugnato) non può che conseguire un aumento della “superficie scoperta drenante”, in misura non inferiore al 30%. Ma ciò non è dato riscontrare nel caso di specie.
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’appello deve essere respinto, essendo irrilevante l’esame del quinto motivo, con il quale si contesta l’error in iudicando, per avere la sentenza ritenuto necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento ai vicini controinteressati.
Va peraltro precisato, dovendosi sul punto correggere la motivazione del primo giudice, che non sussiste, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 241, un obbligo di avviso del procedimento di rilascio del titolo edilizio ai soggetti viciniori dell’istante, che, pur essendo legittimati in quanto tali all’impugnazione, oltre tutto nemmeno rivestono la qualifica di controinteressati in senso tecnico ( conf. Consiglio di Stato, sez. VI, 10 aprile 2014 n. 1718, che ha precisato che, ove sia stata proposta una domanda di concessione edilizia, il vicino del richiedente o il soggetto legittimato possono intervenire nel procedimento ed impugnare il provvedimento che accoglie l'istanza, ma non hanno titolo a ricevere l'avviso di avvio del procedimento; cfr. pure Cons. Stato, sez. VI, 14 marzo 2002 n. 1533).
Ne consegue la conferma della sentenza impugnata, con le integrazioni e le precisazioni di motivazione innanzi esposte.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo nei confronti della parte appellata costituita, mentre la mancata costituzione del Comune di Adro esime il Collegio dal decidere in ordine alle spese del presente grado di giudizio nei suoi confronti..
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Società Ravagni Adriana e c. s.n.c. (n. 635/2012 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore degli appellati Battista Baglioni e Palmira Lancini delle spese ed onorari del presente grado di giudizio, che liquida, per entrambi ed in solido, in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge.
Nulla per spese ed onorari del presente grado di giudizio nei confronti del Comune di Adro.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2017 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere
Giuseppa Carluccio, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Oberdan Forlenza Filippo Patroni Griffi