Consiglio di Stato Sez. IV n.3371 del 10 luglio 2017
Urbanistica.Termine di durata del permesso edilizio

Il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore

Pubblicato il 10/07/2017

N. 03371/2017REG.PROV.COLL.

N. 03108/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3108 del 2016, proposto dalla società Nekta Servizi s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Nespor e Maria Stefania Masini, con domicilio eletto presso lo studio Maria Stefania Masini in Roma, via Antonio Gramsci, n. 24;

contro

Comune di San Dona' di Piave, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Eugenia Candosin e Curzio Cicala, con domicilio eletto presso lo studio Curzio Cicala in Roma, via Bocca di Leone, n. 78;

nei confronti di

Regione Veneto non costituitasi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il VENETO –Sede di VENEZIA- SEZIONE III n. 375/2016, resa tra le parti, concernente diniego inizio lavori realizzazione impianto di recupero e smaltimento polveri di ossido di ferro per mancato rinnovo autorizzazione integrata ambientale.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Dona' di Piave;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Masini e Cicala;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 375 dell’ 11 aprile 2016 il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto – Sede di Venezia - ha respinto il ricorso proposto dalla odierna appellante società Nekta Servizi s.r.l teso ad ottenere l’annullamento del provvedimento in data 22 giugno 2015 con il quale il Comune di San Donà di Piave le aveva comunicato che "l'autorizzazione contenuta nella DGR n.2129 del 23/10/2012 relativa all'impianto di recupero e smaltimento di polveri di ossido di ferro risulta scaduta" sicché "l'inizio dei lavori è subordinato a una nuova autorizzazione da parte della Regione sulla base di rinnovata istruttoria che tenga conto della mutata situazione di fatto e di diritto nel frattempo intervenuta", nonché a conseguire la corresponsione del risarcimento dei danni discendenti dall’ impugnato provvedimento

2. L’originaria parte ricorrente aveva in particolare dedotto che:

a) essa operava nel settore della fornitura di servizi attinenti al trasporto e allo smaltimento di rifiuti ed aveva presentato in data 16 luglio 2009 una domanda di approvazione del progetto di un impianto di recupero e trattamento di polveri di ossidi di ferro e ceneri di pirite da ubicarsi nel Comune di S. Donà di Piave ai sensi del D. Lgs. n. 4/2008 e dell'art. 23 della Legge della Regione Veneto n. 10/1999 e, ciò, contestualmente alla presentazione di un’istanza per il rilascio dell'Autorizzazione Integrata Ambientale ai sensi del D. Lgs. n. 59/2005 e della L.R. n. 26/2007;

b) con la Deliberazione n. 2129 del 23 ottobre 2012 la Giunta Regionale del Veneto aveva espresso un giudizio favorevole di compatibilità ambientale per il progetto con contestuale approvazione dello stesso, e con lo stesso provvedimento le era stata rilasciata l’autorizzazione integrata ambientale;

c) l’autorizzazione integrata ambientale era stata impugnata con due separati ricorsi, dalla Provincia di Venezia e dal Comune di San Donà del Piave, ed Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con la sentenza n. 773/2014 del 9 giugno 2014 aveva accolto le impugnazioni, annullando l’autorizzazione;

d) essa aveva però vittoriosamente appellato detta sentenza ed infatti il Consiglio di Stato, V con la sentenza r.g.n. 1556/2015 del 23 marzo 2015 aveva riformato la sentenza di primo grado.

e) nelle more della definizione della suindicata controversia essa aveva:

I) ottenuto (approssimandosi il termine fissato per l'inizio dei lavori di realizzazione dell'impianto) dalla Regione Veneto, in attesa della decisione del T.a.r., una prima proroga dell'inizio dei lavori al 22 aprile 2014 e poi una seconda proroga di ulteriori sei mesi che, in quanto tale aveva, procrastinato il termine di inizio dei lavori fino al 22 ottobre 2014;

II) richiesto nelle more del giudizio di appello una terza proroga (con nota datata del 18/02/2015) motivata dalla circostanza che l’udienza avanti al Consiglio di Stato era stata rinviata al 3 Marzo 2015, ma a detta ultima richiesta la Regione Veneto non aveva fornito alcun riscontro.

f) a seguito della positiva conclusione del giudizio di appello, essa aveva comunicato l’intenzione di dare inizio ai lavori relativi all'impianto al Comune di San Donà di Piave ma inopinatamente era sopravvenuto il provvedimento impugnato del 22 giugno 2015 con il quale era stato comunicato che l'autorizzazione contenuta nella D.G.R. n. 2129 del 23.10.2012 risultava scaduta, in quanto erano decorsi i dodici mesi entro i quali avrebbero dovuto essere iniziati i lavori;

g) l’illegittimità di tale atto era evidente, in quanto la sentenza del Consiglio di Stato retroagiva alla data di adozione della deliberazione annullata in primo grado ed era del pari inesistente la circostanza relativa alla "mutata situazione di fatto e di diritto nel frattempo intervenuta".

3. Il Comune di San Donà del Piave si era costituito prospettando eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse (in quanto diretto ad ottenere l’annullamento di una mera comunicazione e non di un provvedimento di decadenza) e comunque la infondatezza nel merito stante la applicabilità dell’ art. 24, comma 4, della legge regionale del Veneto n.3/2000, nella parte in cui si prevedeva che il provvedimento di approvazione del progetto decadesse automaticamente, salvo un’eventuale proroga, se i lavori non fossero stati iniziati entro i successivi dodici mesi.

4. Il T.a.r., con la sentenza impugnata ha:

a) dichiarato di volere prescindere dallo scrutinio delle eccezioni preliminari, stante la infondatezza del ricorso nel merito;

b) respinto le censure applicando l’orientamento formatosi in materia di permesso di costruire secondo cui in materia di inizio e termine dei lavori il termine non può considerarsi automaticamente sospeso in presenza di una causa di forza maggiore (anche nel caso di sequestro penale dell’area interessata dall’intervento) atteso che non sarebbe ipotizzabile nell’attuale sistema giuridico la sospensione automatica del titolo edilizio;

c) ciò in quanto l’autorizzazione Integrata ambientale possedeva essa stessa le caratteristiche di un’autorizzazione a costruire, e ciò doveva comportare l’applicazione delle disposizioni relative all’istituto in questione.

4.1. Il T.a.r. ha poi irrobustito la motivazione reiettiva, deducendo che:

a) il suindicato orientamento giurisprudenziale era stato positivamente recepito dal Legislatore, in quanto l'art. 17, comma 1, lett. f), n. 2), del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, aveva inserito il comma 2-bis nell’art. 15 del d.P.R. n. 380/2001, facendo propri gli orientamenti sopra citati e prevedendo la necessità di presentare un’istanza di proroga che avrebbe dovuto essere “comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria”;

b) l’art. 24, comma 3, della L.R. Veneto del 21 gennaio 2000, n. 3, prevedeva che il provvedimento di approvazione del progetto decada automaticamente qualora, salvo diversi termini fissati nel provvedimento o salvo proroga accordata su motivata istanza dell'interessato, i lavori non siano iniziati entro dodici mesi o l'impianto non sia messo in esercizio entro trentasei mesi;

c) la pronunzia di decadenza del permesso di costruire era connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal cit. art. 15, comma 2 ed aveva natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione;

4.2. Il T.a.r. ha quindi conclusivamente evidenziato che:

a) nell’ultima proroga concessa si era fissato il termine per l’inizio dei lavori al 22.10.2014, e pertanto, all’atto di presentazione della comunicazione di inizio lavori, intervenuta in data 08 Giugno 2015, l’Amministrazione comunale non poteva che constatare il superamento dei termini sopra citati;

b) dalla infondatezza della domanda demolitoria discendeva la reiezione di quella risarcitoria.

5. La società originaria ricorrente rimasta soccombente, ha impugnato la suindicata decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico; ripercorse le principali tappe del risalente contenzioso, ha:

a) dedotto che la sentenza era viziata in quanto elusiva delle statuizioni di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n.1556/2015 ed all’ordinanza n. 5601/2015;

b) riproposto tutte le considerazioni già contenute nel ricorso di primo grado relative alla retroattività della sentenza demolitoria;

c) sostenuto che la sentenza era viziata da un errato esame delle circostanze fattuali sottese alla asserita decadenza del titolo.

5. In data 8.6.2016 l’appellata amministrazione comunale ha depositato una articolata memoria, nell’ambito della quale ha chiesto la reiezione del ricorso in appello proposto dall’originaria ricorrente.

6. Alla camera di consiglio del 16 giugno 2016, fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione, la Sezione, con la ordinanza n. 2241 del 16 giugno 2016, ha respinto la domanda cautelare alla stregua della considerazione per cui “Rilevato che i profili di doglianza dedotti a sostegno del proposto gravame non appaiono meritevoli di positivo apprezzamento, tenuto conto, in particolare, che:

a) al rapporto giuridico in contestazione si rende applicabile il disposto di cui all’art.24, comma 3, della legge Regione Veneto n. 3/2000, nonché la previsione recata dall’art.15, comma 2-bis, del D.P.R. n. 380/2001, ratione temporis vigente;

b) non è configurabile a carico del comportamento dell’Amministrazione comunale intimata la dedotta elusione delle statuizioni di cui alla sentenza di questo Consiglio di Stato n.1556/2015 ed all’ordinanza n. 5601/2015;”.

7. In data 20.3.2017 la società odierna appellante ha depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie tesi.

8. In data 27.3.2017 l’appellata amministrazione comunale ha depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie tesi.

9.Alla odierna pubblica udienza del 20 aprile 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è parzialmente fondato e va accolto, nei sensi di cui alla motivazione che segue, mentre va respinta la domanda di risarcimento dei danni per difetto di prova e di allegazione: la sentenza deve essere, pertanto, riformata ed il ricorso di primo grado deve essere accolto, con conseguente annullamento dell’impugnato provvedimento.

2. Discostandosi per comodità espositiva dalla tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), che in ordine logico renderebbe prioritario lo scrutinio della doglianza (lettera A dell’appello) incentrata sulla asserita “violazione del giudicato formatosi sulle statuizioni di cui alla sentenza di questo Consiglio di Stato n.1556/2015 ed all’ordinanza n. 5601/2015” ritiene il Collegio di esaminare immediatamente le censure di cui alle lettere B e C dell’appello.

3. Di entrambe si rileva immediatamente la non condivisibilità, e la intrinseca debolezza, in quanto contraddittorie rispetto alle stesse attività poste in essere dalla stessa odierna parte appellante, posto che:

a) la società appellante richiese una prima proroga dell'inizio dei lavori al 22 aprile 2014 e poi una seconda proroga di ulteriori sei mesi che, in quanto tale, procrastinava il termine di inizio dei lavori fino al 22 ottobre 2014: ciò quando ancora il T.a.r. non si era pronunciato sui ricorsi proposti avverso la Deliberazione n. 2129 del 23 ottobre 2012 di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, proposti dalla Provincia di Venezia e dal Comune di San Donà del Piave;

b) il T.a.r. accolse i ricorsi con la sentenza n. 773/2014 del 9 giugno 2014, annullando la detta autorizzazione, ed a detta data la proroga era ancora efficace, in quanto, come prima riferito, l’autorizzazione sarebbe scaduta il 22 ottobre 2014;

c) l’intera impostazione delle prime due censure dell’appello è incentrata sulla circostanza per cui, dal momento che il T.a.r. aveva annullato l’autorizzazione, questa non “esisteva più” e non avrebbe avuto senso chiedere la proroga;

d) ma tale arguta affermazione si scontra con un dato di fatto: in pendenza del giudizio di appello proposto dalla società odierna appellante avverso la suindicata sentenza del T.a.r. – e quindi quando, secondo l’argomentare della stessa appellante l’autorizzazione non esisteva più, e non avrebbe avuto senso chiedere la proroga- la società predetta chiese una terza proroga (con nota datata del 18/02/2015 motivata dal fatto che l’udienza avanti al Consiglio di Stato era stata rinviata al 3 marzo 2015);

e) ciò dimostra che essa stessa si rendeva conto che anche in pendenza del giudizio di appello (sfociato nella sentenza di questo Consiglio di Stato n. 1556/2015 che accolse infine il gravame), essa avrebbe dovuto richiedere la proroga dell’autorizzazione: soltanto che lo fece intempestivamente, in quanto l’autorizzazione era già scaduta il 22 ottobre 2014 ed essa si risolse a chiedere la proroga soltanto nel febbraio del 2015.

3.1. Tanto vale a privare di plausibilità la ricostruzione della odierna parte appellante contenuta nelle suindicate censure, e ciò proprio tenuto conto dei suoi stessi comportamenti.

3.2. Ed anche a non volere attribuire rilevanza a tali emergenze processuali, ed affrontando esclusivamente sotto il profilo giuridico le argomentazioni della parte odierna appellante, si osserva che:

a) l’effetto retroattivo del giudicato, anche nel processo amministrativo, è jus receptum e non può essere messo in discussione;

b) ma tale principio tendenziale è soggetto a limiti di vario genere e, per quel che rileva in questa sede va contemperato con le previsioni normative che regolamentano i provvedimenti interessati dal giudicato;

c) nel caso del permesso di costruire, ad evidenti fini di certezza della programmazione urbanistica (altrimenti condizionato sine die da possibili “effetti retroattivi” ascrivibili a sentenza che intervengono a distanza di tempo considerevole dal rilascio del titolo), il Legislatore ha dettato un principio che –senza smentire la portata retroattiva del giudicato- all’evidente fine di verificare il permanente interesse del soggetto latore del titolo a realizzare l’intervento programmato ha condizionato l’efficacia del titolo suddetto ad un evento: la presentazione di una istanza di proroga del termine di inizio e fine dei lavori.

d) come condivisibilmente colto dal T.a.r., infatti, la giurisprudenza nettamente prevalente di questo Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, sottolinea che, ai sensi dell'art. 15, comma 2, del D.P.R. n° 380 del 2001 ("Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga [...]"), l'effetto decadenziale si riconnette al mero dato fattuale del mancato avvio dei lavori entro il termine annuale fissato dalla legge; in altri termini "la decadenza del permesso di costruire costituisce effetto automatico del trascorrere del tempo, che per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo abilitativo" (Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2014, n. 1747; in tal senso, ex multis, anche Cons. St., sez. III, 4 aprile 2013, n. 1870: "la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione"-. Decadenza che opera di diritto, pertanto non è richiesta l'adozione di un provvedimento amministrativo espresso -Cons. St., sez. III, 4 aprile 2013, n. 1870; nonché, T.A.R. Sardegna, sez. II, 4 maggio 2015, n. 741”.).

e) la giurisprudenza amministrativa ha del pari superato pregresse incertezza giurisprudenziali stabilendo che "il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Consiglio di Stato sez. IV, n. 974/2012, cit.) " (Cons. St., sez. III, 4 aprile 2013, n. 1870);

f) di ciò il Legislatore ha appunto preso atto inserendo nel corpo dell’art.15 del d.P.R. n. 380/2001 un comma 2-bis, ratione temporis vigente ed applicabile alla fattispecie per cui è causa laddove si stabilisce che: “La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori e' comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorita' giudiziaria rivelatesi poi infondate”;

g) pertanto, l'assunto della ricorrente sulla natura di factum principis della controversia giudiziaria è destituita di fondamento.

3.3. Traendo le fila di quanto si è detto, discende che:

a) la tesi secondo cui il giudicato annullatorio retroagisce tout court e la controversia giudiziaria instaurata sulla legittimità dell’autorizzazione integri factum principis è infondata;

b) la tesi secondo cui dopo l’annullamento del T.a.r. la odierna appellante non dovesse richiedere la proroga (e prima che la precedente proroga scadesse ai sensi dell’art.15 del dPR n. 380/2001 comma 2: “Il termine per l'inizio dei lavori non puo' essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non puo' superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga puo' essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volonta' del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficolta' tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in piu' esercizi finanziari”) è :

I) smentita dalla stessa condotta dell’appellante;

II) errata, in quanto la disposizione di cui all’art.15 del d.P.R. n. 380/2001, comma 2-bis,fa riferimento all’intero protrarsi della controversia giurisdizionale;

III) d’altro canto, se la disposizione di cui al citato comma 2-bis (“La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori e' comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorita' giudiziaria rivelatesi poi infondate”) configura una “proroga obbligatoria”, da concedere su istanza di parte, ogniqualvolta i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate, è evidente la riconducibilità nel suindicato paradigma normativo della sentenza di annullamento del T.a.r, poi riformata: è certo infatti che la sentenza del T.a.r. annullando l’autorizzazione, impediva l’ avvio o la conclusione dei lavori; è altrettanto certo che anche in detto caso l’odierno appellante avrebbe dovuto presentare una istanza di proroga antecedentemente alla scadenza del termine;

IV) la tesi contraria prospettata dall’appellante, ove accolta, renderebbe inutile la disposizione normativa suindicata vanificandone la ratio: in ogni ipotesi di sentenza di primo grado demolitoria dell’originario titolo abilitativo, il latore di quest’ultimo sarebbe esonerato dal presentare la richiesta di proroga; la ratio sottesa alla necessità di verificare il permanente interesse del medesimo a costruire l’immobile ne risulterebbe vanificata.

3.4. Quanto si è finora esposto è:

a) rafforzato dalla espressa previsione dell’art. all’art. 24, comma 4, della legge della Regione Veneto n. 3/2000 (“. Il provvedimento di approvazione del progetto decade automaticamente qualora, salvo diversi termini fissati nel provvedimento stesso o salvo proroga accordata su motivata istanza dell'interessato, i lavori non vengano iniziati e l'impianto non sia messo in esercizio, rispettivamente: a) entro dodici mesi, per l'inizio dei lavori ed entro diciotto mesi per la messa in esercizio, se trattasi di discarica;b) entro dodici mesi, per l'inizio dei lavori, ed entro trentasei mesi per la messa in esercizio, in ogni altro caso.”)

b) comprovato dalla pacifica assimilabilità degli effetti dell’autorizzazione a quelli del permesso di costruire (l’art. 6, comma 14, del D.Lgs. 152/2006, così come modificato dall’art. 2, comma 3, lett. h), d.lgs. 29 giugno 2010, n. 128, stabilisce che l’approvazione del progetto costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico, e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori, mentre l’art. 24, comma 2, della predetta della legge della Regione Veneto n. 3/2000 dispone che “ Il provvedimento di approvazione del progetto produce gli effetti sostitutivi di cui all'articolo 27, comma 5, del decreto legislativo n. 22 del 1997, ed abilita alla realizzazione dell'impianto ed al suo esercizio provvisorio, con le modalità previste dall'articolo 25” ).


4.Resta a questo punto da esplorare la censura di cui alla lettera A dell’appello, riposante nell’asserita elusione del giudicato formatosi sulla sentenza di questo Consiglio di Stato n.1556/2015 e sulla ordinanza n. 5601/2015.

4.1. Tale profilo di censura – comunque decisivo- appare fondato soltanto in parte.

4.1.1. Iniziando la disamina dalla ordinanza n. 5601/2015 si rammenta che:

a) con la detta ordinanza cautelare n. 5601/2015 il Consiglio di Stato, Sezione V, si è pronunciato in ordine alla impugnazione proposta dalla stessa parte odierna appellante avverso la ordinanza n. 479/2015 resa dal T.a.r. nel medesimo processo sfociato nella sentenza oggetto della odierna impugnazione;

b) è del tutto evidente che neppure si pone alcuna problematica di elusione/violazione del “giudicato” formatosi, per la semplice ragione che nessun giudicato si è effettivamente formato ed essendo evenienza del tutto normale che la sentenza di merito approdi a conclusioni diverse da quelle raggiunte in sede di sommaria cognitio cautelare (tra le tante, si veda: Consiglio di Stato, sez. III, 26/09/2016, n. 3937 “nel processo amministrativo d'appello per la valutazione della correttezza delle statuizioni di una sentenza di primo grado è irrilevante il confronto con le statuizioni rese in precedenza dal Tar in sede cautelare”; Consiglio di Stato, sez. V, 20/06/2011, n. 3670 “nel processo amministrativo le eventuali divergenti pronunce della fase cautelare non inficiano la legittimità di una sentenza che le abbia disattese in quanto di contrario avviso, specie se la pronuncia cautelare ha omesso ogni considerazione sul fumus.”);

c) ad abundantiam si evidenzia che neppure sussiste alcun contrasto sotto il profilo oggettivo, in quanto la predetta ordinanza così si espresse “Rilevato che l’atto impugnato, inibendo l’inizio dei lavori per la realizzazione dell’impianto, è lesivo dell’interesse dedotto in giudizio dalla ricorrente e che l’AIA regionale, nonostante il decorso del tempo dovuto al pregresso contenzioso ad essa favorevole, paia, prima facie, tuttora efficace. ”: il termine “prima facie” ivi contenuto dà atto di una valutazione svolta –come di consueto- nella summaria cognitio del processo cautelare, e pertanto la tesi appellatoria è manifestamente inaccoglibile.

4.1.2. Quanto all’asserito contrasto della impugnata sentenza con il giudicato formatosi sulla sentenza di questo Consiglio di Stato n.1556/2015, effettivamente, invece, l’appello è fondato.

4.2. Si osserva, in proposito, che:

a) nella detta decisione è effettivamente stato affermato che “ sempre in via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di improcedibilità dell’appello n. 6951/2014 per sopravvenuta carenza di interesse, formulata dal Comune di San Donà di Piave, sul rilievo che la delibera di giunta regionale n. 2129 del 23 ottobre 2012 impugnata è scaduta, per effetto dello spirare della proroga concessa dalla Regione alla Nekta Servizi fino al 22 ottobre 2014 per l’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto.3. L’eccezione deve essere respinta.

Per effetto della pronuncia di annullamento emessa in primo grado il provvedimento autorizzativo regionale risulta infatti attualmente rimosso dall’ordinamento giuridico e conseguentemente deprivato di effetti. In ragione di ciò non è possibile postularne la scadenza, perché questa presuppone l’esistenza di un provvedimento valido ed appunto efficace.”;

b) detta affermazione è stata resa a smentita di una eccezione di sopravvenuta improcedibilità dell’impugnazione articolata dal Comune di San Donà di Piave;

c) è ben vero che essa venne resa nell’ambito di un giudizio avente ad esclusivo oggetto la legittimità della originaria autorizzazione ambientale rilasciata alla società odierna appellante;

d) è altresì vero, però, che la detta affermazione era funzionale alla decisione di merito, perché, ove nella motivazione fosse stata raggiunta una opzione interpretativa difforme sarebbe stato necessario dichiarare la improcedibilità dell’appello;

d) per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sez. IV, 28/07/2016, n. 3415) “nel processo amministrativo il giudicato si forma in relazione ai motivi di gravame e non anche alle affermazioni ulteriori eventualmente contenute nella sentenza, in quanto l'autorità del giudicato è circoscritta oggettivamente in conformità alla funzione della pronuncia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande proposte, sicché ogni affermazione eccedente la necessità logico-giuridica della decisione stessa deve considerarsi un obiter dictum; di conseguenza sono inidonee a passare in giudicato le osservazioni svolte dal giudicante senza essere funzionali alla decisione (c.d. obiter dicta), ossia le enunciazioni della sentenza prive di relazione causale con il decisum identificato dai motivi a base della specifica domanda giudiziale.”; la Suprema Corte di Cassazione è attestata su posizioni analoghe (Cassazione civile, sez. II, 08/02/2012, n. 1815 “l giudicato si forma, oltre che sull'affermazione o negazione del bene della vita controverso, sugli accertamenti logicamente preliminari e indispensabili ai fini del deciso, quelli cioè che si presentano come la premessa indefettibile della pronunzia, mentre non comprende le enunciazioni puramente incidentali e in genere le considerazioni estranee alla controversie e prive di relazione causale col deciso. L'autorità del giudicato è circoscritta oggettivamente in conformità alla funzione della pronunzia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande proposte, sicché ogni affermazione eccedente la necessità logico giuridica della decisione deve considerarsi un obiter dictum, come tale non vincolante”).

e) nel caso di specie, quindi, è evidente che l’affermazione non integra un obiter, e non si pone al di fuori del perimetro del devolutum; è funzionale a respingere una eccezione di sopravvenuta improcedibilità ed è –per le già chiarite ragioni – in relazione causale con il decisum;

f) essa integra quindi “giudicato” sulla permanente efficacia del provvedimento autorizzativo, dal che consegue che il provvedimento impugnato in primo grado collideva con il giudicato formatosi e che, quindi, ha errato il T.a.r. a non dichiarare tale vizio, in accoglimento del ricorso di primo grado.

5. Conclusivamente, l’appello va quindi parzialmente accolto e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza va accolto il ricorso di primo grado e va annullato il provvedimento impugnato.

6. Quanto alla connessa domanda risarcitoria, (è stato prospettato - ancorchè non quantificato - nell’appello il danno discendente dalla ritardata attivazione dell’impianto) ne è evidente l’inaccoglibilità sia a cagione dell’assoluto difetto di prova e financo di allegazione dei danni subiti (è noto che in materia opera l’art. 2697 c.c. e non potrebbe, quindi, il Giudice supplire all’inerzia sul punto della parte) ma anche perché nessun profilo di rimproverabilità potrebbe ascriversi sotto il profilo soggettivo all’Amministrazione, che si è conformata alle indicazioni della giurisprudenza prevalente sul punto.

7. All’evidenza la complessità e novità delle questioni esaminate legittima l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei sensi di cui alla motivazione che precede e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, accoglie in parte il ricorso di primo grado ed annulla il provvedimento impugnato, con rigetto, invece, della domanda di risarcimento del danno.

Spese processuali del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2017 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Troiano, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Fabio Taormina        Paolo Troiano