Cass. Sez. III n. 38555 del 23 settembre 2015 (Ud 26 mag 2015)
Pres. Mannino Est. Scarcella Ric. Orecchioni ed altri
Urbanistica. Efficacia dei piani particolareggiati  

Secondo gli artt. 16, 17 e 28 della legge urbanistica l'efficacia dei piani particolareggiati, ai quali si assimilano analogicamente le lottizzazioni convenzionate, ha un termine entro il quale le opere debbano essere eseguite, che non può essere superiore a dieci anni. L'imposizione del termine suddetto va inteso nel senso che le attività dirette alla realizzazione dello strumento urbanistico, sia convenzionale che autoritativo, non possono essere attuate ai sensi di legge oltre un certo termine, scaduto il quale l'autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alle parti non realizzate, anche, in ipotesi, con una nuova convenzione di lottizzazione. Ne segue che, se, e fino a quando, tale potere non viene esercitato, l'assetto urbanistico dell'area rimane definito nei termini disposti con la convenzione di lottizzazione. Le conseguenze della scadenza dell'efficacia del piano attuativo (ovvero dei piani a questo equiparati) si esauriscono pertanto nell'ambito della sola disciplina urbanistica, non potendo invece incidere sulla validità ed efficacia delle obbligazioni assunte dai soggetti attuatori degli interventi. Alla stregua di quanto sopra, pertanto, non potendo ritenersi scaduta né tantomeno illegittima la convenzione di lottizzazione, del tutto legittimamente le attività edilizie risultano essere state assentite dal p.d.c. originaria e successive varianti.

 RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza emessa in data 23/07/2014, depositata in data 28/07/2014, il tribunale del riesame di TEMPIO PAUSANIA annullava il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP presso il medesimo tribunale emesso in data 10/07/2014 per i reati di cui agli artt. 44, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001 contestati come commessi sino all'8/07/2014 dagli attuali indagati per la realizzazione di quattro corpi di fabbrica con 35 grandi appartamenti sulla più panoramica collina rocciosa di Porto Cervo in loc. Lisca di Vacca.

2. Ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, impugnando l'ordinanza predetta con cui deduce dieci motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

2.1. Deduce, anzitutto, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b):

a) in relazione all'art. 322 c.p.p. (il tribunale del riesame violato il disposto dell'art. 322 cod. proc. pen., essendosi pronunciato sulla sussistenza del presupposto per la convalida del provvedimento di urgenza disposto dal PM; detta prerogativa non spetterebbe al tribunale, potendo essere impugnato con la richiesta di riesame, solo il decreto di sequestro emesso dal giudice e non anche il provvedimento pur contestuale di convalida o non convalida del provvedimento di urgenza);

b) in relazione all'art. 321 c.p.p., vizio evocato sia al motivo sub b) che al motivo sub I) del ricorso (motivo sub b) del ricorso:

secondo il tribunale del riesame il sequestro non sarebbe legittimo perchè le opere sarebbero ultimate e note in quanto ben visibili da anni; detto principio sarebbe errato, in quanto il sequestro preventivo sarebbe ammissibile anche per evitare l'aggravio del carico urbanistico del territorio della nuova struttura edilizia, come si legge nella motivazione del provvedimento del GIP; motivo sub I) del ricorso: il tribunale avrebbe errato nel ritenere valutabile l'elemento psicologico del reato, in quanto la verifica di tale elemento è estranea all'adozione della misura cautelare reale);

c) in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e c) (motivo sub d) del ricorso: secondo il tribunale il reato di costruzione abusiva sussisterebbe solo se manca il titolo edilizio e non anche se questo è palesemente illegittimo, e quello di lottizzazione abusiva sussisterebbe solo se manca la convenzione del piano di lottizzazione, ma non se questo è scaduto prima del rilascio della concessione edilizia; detta affermazione sarebbe erronea, in quanto non solo il giudice penale può disapplicare il provvedimento amministrativo, ma deve valutare il rispetto sostanziale delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti;

analogamente, con riferimento alla lottizzazione abusiva, il reato sussisterebbe anche quando la convenzione di lottizzazione è palesemente illegittima o è scaduta, con conseguente illegittimità della concessione edilizia rilasciata successivamente);

d) in relazione alla L. n. 1150 del 1942, art. 16, (motivo sub e) del ricorso: il tribunale avrebbe violato la norma citata innanzitutto perchè il regolamento comunale cui è allegato il piano di fabbricazione non conterrebbe alcuna deroga espressa alla temporanea efficacia voluta dalla legge per la convenzione di lottizzazione; in ogni caso, il richiamo alla convenzioni esistenti sarebbe un richiamo integrale al testo della convenzione, e sarebbe come tale comprensivo della clausola del termine massimo di utilizzazione decennale ribadito espressamente dagli artt. 16 e 17 della convenzione relativa al piano di lottizzazione "Liscia di Vacca centro" del 18/06/1981; il principio diversamente affermato dal tribunale potrebbe avere effetti indiretti su altre convenzioni di lottizzazione di Porto Cervo ormai scadute ed abbandonate, che in forza di tale decisione potrebbero resuscitare con gravi ripercussioni sul territorio già duramente sfruttato dagli investitori nazionali ed internazionali; si osserva in ricorso, peraltro, che lo stesso CdS con sentenza n. 2045 del 6/04/2012 aveva confermato una sentenza del Tar Sardegna n. 118 del 31/01/2009 che ha annullato una concessione edilizia per decorso del termine decennale di efficacia della convenzione di lottizzazione per l'invalidità delle concessioni edilizie rilasciate dopo la scadenza del termine massimo di utilizzazione fissato dal piano di lottizzazione);

e) in relazione al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 144, comma 3, (motivo sub h) del ricorso: il tribunale non avrebbe considerato che nel periodo antecedente l'entrata in vigore del PPR era già vigente il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 144, comma 3, quale norma primaria, che consentiva ai piani paesaggistici adottati, ed in fase di approvazione, una volta affermatone il primato gerarchico rispetto ai piani urbanistici) di fissare norme di salvaguardia già applicabili, in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici, rispetto alle previsioni dei piani paesaggistici; ne conseguirebbe, dunque, che anche se l'entrata in vigore del D.P.R. n. 82 del 2006 è avvenuta il giorno successivo, con la pubblicazione nel BURAS, le norme di salvaguardia trovavano riferimento nella norma primaria; pertanto, la norma in esame fonderebbe il potere del PPR nel periodo che va dalla sua adozione alla sua approvazione, di prevedere misure di salvaguardia, rendendo legittimo ed efficace l'art. 15 delle NTA del Piano regionale, secondo cui sono precluse costruzioni negli ambiti di paesaggio costieri fino all'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle previsioni del PPR);

2.2. Deduce, in secondo luogo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e):

a) in relazione all'art. 321 c.p.p., anche sotto il profilo della violazione di legge (motivo sub e) di ricorso: vi sarebbe manifesta carenza di motivazione in quanto la visibilità delle opere in corso era relativa alle iniziali opere strutturali e non poteva determinare alcun impedimento al sequestro, non essendo rilevante nè sul piano sostanziale nè su quello processuale per un singolare effetto impeditivo del sequestro, senza alcuna indicazione della relativa fonte normativa; inoltre vi sarebbe anche illogicità e contraddittorietà della motivazione risultando dal verbale di sequestro che le opere erano al grezzo, essendo in corso di realizzazione opere interne ed esterne di completamento, risultando realizzati in buona parte gli impianti ed intonaci);

b) sotto il profilo della carenza di motivazione (motivo sub f) del ricorso: il tribunale del riesame non avrebbe motivato su un importante argomento a sostegno della tesi accusatoria, alla luce della produzione documentale fotografica del ct. del PM che ritraeva la simulazione del complesso intervento redatta in sede di progettazione dagli indagati, e quella reale dell'insieme delle strutture effettivamente realizzate; dal raffronto risulterebbe in maniera evidente il superamento con le opere realizzate del crinale della collina, circostanza che costituiva condizione imprescindibile del parere favorevole espresso sulle opere, ciò che dimostrerebbe come le opere realizzate siano diverse da quella consentite dagli strumenti urbanistici e dal titolo edilizio; nel verbale di udienza si darebbe atto del deposito della relazione di ct., ma il tribunale non avrebbe argomentato assolutamente su quanto dedotto nella predetta relazione);

c) sotto il profilo della insufficienza e contraddittorietà della motivazione (motivo sub g) del ricorso: il tribunale non avrebbe motivato in modo adeguato sul mancato rispetto da parte del titolo abilitativo e della concessione n. 321 del 2006, dell'obbligo di dimezzamento della volumetria nell'intera lottizzazione e del separato obbligo di dimezzamento almeno nel lotto B5 nelle zone F;

richiamando quanto affermato da due sentenze del Tar Sardegna nel 2006 nonchè da quanto emergente dalla concessione edilizia del 2006, il PM ricorrente sostiene che il tribunale, motivando alle pagg. 10 ed 11, avrebbe contraddittoriamente motivato, sostenendo, da un lato, che il dimezzamento sia stato rispettato - in ciò contrastato da quanto relazionato dalla Polizia Municipale e dalle dichiarazioni del responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune di Arzachena - e, dall'altro, ritenendo che le norme di salvaguardia prevista dalla L.R. n. 8 del 2004 non avrebbero dovuto aver efficacia fino all'approvazione del PPR e comunque per un periodo non superiore ai 18 mesi, senza accorgersi che il 7/09/2006, data in cui il tribunale ritiene che abbiano ricevuto attuazione dette norme di salvaguardia, risulta essere stata rilasciata la concessione edilizia n. 321 censurata dal PM, donde sarebbe evidente l'illegittimità della concessione edilizia rilasciata nello stesso giorno di attuazione del PPR);

d) sotto il profilo dell'insufficienza della motivazione (motivo sub i) del ricorso: il tribunale non avrebbe inteso affrontare la questione per la quale, quando era intervenuta la proroga del 9/12/2002, concessa con la Delib. n. 101, il termine decennale dal 1981 e le successive brevi proroghe erano già scaduti, sicchè l'intera procedura era viziata, in quanto era necessario approvare un nuovo piano di lottizzazione, soprattutto perchè lo stesso era in contrasto con il nuovo PPR già da tempo adottato e poi approvato proprio lo stesso giorno del rilascio della concessione edilizia).

3.Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 14/04/2015, la difesa degli indagati Dolce e Vannucchi ha chiesto dichiararsi inammissibile o, in subordine, rigettarsi il ricorso del PM.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso del P.M. è infondato e dev'essere rigettato.

5. Seguendo l'ordine logico già tracciato nell'illustrazione dei singoli profili di doglianza, possono essere, anzitutto, accorpati, attesa l'omogeneità delle censure mosse, i motivi sub c), f), g) ed i) del ricorso, con cui il Pubblico Ministero evoca vizi della motivazione dell'impugnata ordinanza.

5.1. I predetti motivi di ricorso sono inammissibili, in quanto proposti fuori dai casi previsti dalla legge.

L'art. 325 c.p.p., comma 1, infatti, prevede che il ricorso in cassazione avvenga per violazione di legge. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall'art. 606, lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. e) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv.

226710). Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692), ma non l'illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (v., tra le tante: Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009 - dep. 20/02/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).

6. Il controllo della Corte di Cassazione è, pertanto, limitato in questa sede ai soli profili della violazione di legge. La verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare è necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi (per tutte: Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 - dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. U, n. 7 del 23/02/2000 - dep. 04/05/2000, Mariano, Rv. 215840). La delibazione non può estendersi neppure all'elemento psicologico del reato (tra le tante, v.: Sez. 6, n. 10618 del 23/02/2010 - dep. 17/03/2010, P.M. in proc. Olivieri, Rv. 246415) e alla ricostruzione in concreto delle possibili e prevedibili modalità con le quali la condotta contestata si sarebbe dovuta manifestare; in altri termini, quindi, non è possibile che il controllo della Corte di Cassazione si traduca in un controllo che investe, sia pure in maniera incidentale, il merito dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 5, n. 18078 del 26/01/2010 - dep. 12/05/2010, De Stefani, Rv. 247134, la quale ribadisce che le condizioni generali per l'applicabilità delle misure cautelari personali, previste dall'art. 273 cod. proc. pen., non sono estensibili, per le loro peculiarità, alle misure cautelari reali essendo precluse per queste ultime, in sede di verifica della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo, ogni valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati e sulla gravità degli stessi).

7. Così definito il perimetro del sindacato di questa Corte in materia di provvedimenti di cautela reale, è dunque evidente come, nel caso in esame, non sia possibile da parte del Collegio di legittimità esercitare il sindacato richiesto dal P.M. ricorrente avverso l'impugnata ordinanza.

Ed infatti, le censure della difesa, quanto ai motivi sub c), f), g) ed i) evocano non un vizio di "violazione di legge" inteso nei limiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità, ma espressamente un vizio di motivazione sub lett. e), art. 606 cod. proc. pen., risolvendosi in una critica, ancorchè dettagliata, al procedimento valutativo attraverso il quale il tribunale del riesame ha ritenuto insussistenti le condizioni per il mantenimento della cautela. Da qui, dunque, l'inammissibilità dei predetti motivi.

8. Può, quindi, procedersi all'esame dei residui motivi di ricorso, con cui invece il P.M. prospetta, quanto meno apparentemente, censure di violazione di legge che in astratto rientrano nel perimetro cognitivo di questa Corte Suprema. Le dedotte doglianze, tuttavia, non meritano accoglimento.

8.1. Ed invero, muovendo dall'esame del motivo a) del ricorso, con il medesimo - come già illustrato in sede di analisi del motivo - viene evocata una violazione della legge processuale, sub specie dell'art. 322 c.p.p., in quanto, si sostiene il tribunale del riesame ne avrebbe violato il disposto, essendosi pronunciato sulla sussistenza del presupposto per la convalida del provvedimento di urgenza disposto dal PM; in altri termini, si afferma, detta prerogativa non spetterebbe al tribunale, potendo essere impugnato con la richiesta di riesame, solo il decreto di sequestro emesso dal giudice e non anche il provvedimento pur contestuale di convalida o non convalida del provvedimento di urgenza.

8.1.1. Il motivo, pur suggestivo, non è meritevole di accoglimento per carenza di interesse.

Ed infatti, se è ben vero che l'ordinanza con la quale il giudice, a norma dell'art. 321 c.p.p., comma 3 bis, convalida il sequestro preventivo disposto in via d'urgenza dal P.M. è inoppugnabile (Sez. U, n. 21334 del 31/05/2005 - dep. 07/06/2005, Napolitano, Rv.

231055), e che nel giudizio di riesame del sequestro preventivo eseguito d'urgenza dalla polizia giudiziaria non sono proponibili le questioni relative all'avvenuta convalida, dato che oggetto esclusivo del riesame è il decreto di sequestro emesso dal giudice, che è l'unico provvedimento che legittima la misura cautelare (Sez. 3, n. 11671 del 03/02/2011 - dep. 23/03/2011, Fioretti, Rv. 249919), è però altrettanto vero che, nel caso in esame, il tribunale del riesame, ha solo - sebbene erroneamente - esaminato incidenter tantum la questione della sussistenza dei presupposti per la convalida del provvedimento di sequestro disposto d'urgenza dal P.M., passando poi ad esaminare le questioni afferenti sia la sussistenza del fumus che del periculum, ambedue aventi ad oggetto il provvedimento di sequestro emesso dal Gip, unico ad essere suscettibile di esame in quella sede. Ne discende, pertanto, che l'eccezione sollevata dal P.M., per quanto corretta, si rileva del tutto inconferente nella fattispecie esaminata, non essendosi sottratto il tribunale del riesame (pur nell'errore commesso di aver sindacato i presupposti per la convalida del provvedimento di urgenza disposto dal P.M.) al ruolo di garanzia proprio, esaminando specificamente l'unico provvedimento impugnabile, ossia l'autonomo decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip. Sotto tale profilo, dunque, va qui riaffermato il principio per il quale, in materia di impugnazioni, se è vero che il pubblico ministero è legittimato ad impugnare ogni qual volta ravvisi una decisione in qualsiasi modo ingiusta, indipendentemente dalle conseguenze favorevoli o sfavorevoli per l'imputato, purchè il provvedimento tenda all'esatta applicazione della legge, è tuttavia necessario che l'interesse sia concreto, non potendo l'impugnazione configurarsi come una mera pretesa all'esattezza giuridica della decisione sotto il profilo teorico. In altri termini, se la decisione, ove anche favorevole all'impugnazione del P.M., non può avere alcuna conseguenza concreta per essere la situazione già regolata da altra decisione, non più impugnabile, vi è la mancanza di un interesse concreto alla decisione sull'impugnazione. (Sez. 6, n. 1473 del 02/04/1997 - dep. 20/05/1997, P.M. in proc. Pacifico, Rv.

207489). Nella specie, l'intervenuto esame del merito del provvedimento di sequestro emesso dal Gip, determina l'assorbimento di ogni altra questione afferente il provvedimento d'urgenza convalidato, rendendo carente di interesse l'impugnazione proposta dal P.M. davanti a questo giudice di legittimità.

8.2. Può, quindi, passarsi all'esame del successivo motivo di ricorso, con cui il P.M. svolge censure di violazione della legge processuale, segnatamente in relazione all'art. 321 c.p.p., vizio evocato sia quanto al motivo sub b) che al motivo sub I) del ricorso.

In sintesi, mentre con il motivo sub b), il P.M. ricorrente censura l'affermazione del tribunale del riesame secondo cui il sequestro non sarebbe legittimo perchè le opere sarebbero ultimate e note in quanto ben visibili da anni, principio errato, secondo il P.M., in quanto il sequestro preventivo sarebbe ammissibile anche per evitare l'aggravio del carico urbanistico del territorio della nuova struttura edilizia, come si legge nella motivazione del provvedimento del GIP. Quanto al motivo sub I) del ricorso, invece, sostiene il P.M. che il tribunale avrebbe errato nel ritenere valutabile l'elemento psicologico del reato, in quanto la verifica di tale elemento è estranea all'adozione della misura cautelare reale.

8.2.1. Ambedue i profili di doglianza non meritano accoglimento. Ed infatti, la lettura dell'impugnata ordinanza rende ragione dell'inconsistenza delle doglianze. Il tribunale del riesame, in particolare, ha affrontato la questione della configurabilità o meno del periculum, precisando che, essendo noto che le opere fossero sostanzialmente ultimate, detta situazione era da considerarsi decisiva per escludere la legittimità del sequestro, non essendovi elementi per ritenere la protrazione degli effetti dannosi, atteso che il completamento delle rifiniture dell'opera non avrebbe potuto assolutamente incidere sulla volumetria degli immobili o su una presunta alterazione dello status lori; i giudici del riesame, sul punto, hanno chiarito che il concetto di pericolo della protrazione e aggravamento delle conseguenze del reato deve essere inteso come una concreta probabilità di danno futuro, non essendo sufficiente la generica configurabilità di un qualsivoglia effetto, rilevando che, nel caso in esame, l'intervenuto completamento dell'opera, tenuto conto del suo stato, non avrebbe potuto comportare alcuna ulteriore concreta incidenza negativa sull'assetto territoriale.

Nè, si osserva, rileva quanto sostiene il P.M. ricorrente che richiama l'aggravio sull'assetto territoriale, aggravio che, invece, secondo il tribunale del riesame, non sarebbe stato riconducibile al completamento dell'opera, essendo circoscritto ad interventi di rifinitura ed abbellimento, donde l'illegittimità, per i giudici del riesame, del disposto sequestro.

Quanto argomentato sul punto dal tribunale del riesame, del resto, è conforme all'orientamento giurisprudenziale di questa Corte che, in più occasione, ha infatti ribadito che il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere adottato anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi. In particolare, per i reati edilizi, è ammissibile il sequestro di un immobile costruito abusivamente la cui edificazione sia ultimata, fermo restando l'obbligo di motivazione del giudice circa le conseguenze antigiuridiche, ed ulteriori rispetto alla consumazione del reato, derivanti dall'uso dell'edificio realizzato abusivamente, che la misura cautelare intende inibire (Sez. 2, n. 17170 del 23/04/2010 - dep. 05/05/2010, De Monaco, Rv. 246854). Nella specie, i giudici, pur a fronte di opera ultimata, hanno motivato sulle ragioni per le quali, nonostante il completamento dell'opera, non sussistessero le condizioni per il mantenimento del vincolo cautelare, escludendo che essendo le opere già presenti in loco da anni, l'esecuzione delle opere di rifinitura non avrebbe determinato quell'aggravio alla cui sussistenza la giurisprudenza di questa Corte condiziona il permanere del vincolo cautelare.

8.2.2. Quanto, poi, al motivo sub I), riguardante il tema dell'elemento soggettivo, i giudici del riesame hanno dettagliatamente esaminato il percorso che ha condotto al rilascio del titolo abilitativo, ritenendo complete ed esaurienti le valutazioni amministrative espresse e del tutto pertinenti e corretti i relativi controlli, osservando non solo come l'originario titolo abilitativo ma anche le successive varianti furono istruite dall'ufficio tecnico comunale e sottoposte al parere di conformità ai regolamenti comunali, spiegando come l'attività di controllo e verifica confluì anche in sopralluoghi (come quello del 7/02/2008 e quello del maggio 2013) che certificarono l'assenza di elementi di illiceità, concludendo, infine, come la stessa regione Sardegna, richiamando alcune pronunce rese dal T.A.R. isolano, aveva concluso per la liceità dell'opera, così ritenendo la legittimità della procedura amministrativa seguita. L'aver, quindi, i giudici del riesame ritenuto, all'esito di tale dettagliato esame, valutabile l'elemento psicologico del reato, escludendone la sussistenza non vizia l'impugnato provvedimento, soprattutto laddove si consideri che se è ben vero che il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente dall'accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all'adozione della misura cautelare reale (Sez. 6, n. 10618 del 23/02/2010 - dep. 17/03/2010, P.M. in proc. Olivieri, Rv. 246415), è altrettanto vero che in tema di sequestro preventivo, ai fini dell'affermazione del "fumus commissi delicti" del reato proprio contestato anche a soggetti che non rivestono la qualifica tipica (e non v'è dubbio sulla natura di reati "propri" degli illeciti previsti dalla normativa edilizia: Sez. 3, n. 16571 del 23/03/2011 - dep. 28/04/2011, Iacono e altri, Rv. 250147), è necessario che il giudice motivi anche sull'elemento psicologico dell'autore proprio, atteso che la sua mancanza impedisce la stessa astratta configurabilità del predetto reato (Sez. 6, n. 31382 del 28/06/2011 - dep. 05/08/2011, Loiodice e altri, Rv. 250441).

8.3. Passando, quindi, ad esaminare il motivo di ricorso con cui viene evocato un vizio di violazione di legge sostanziale in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e c) (motivo sub d) del ricorso), il P.M. ricorrente censura l'affermazione del tribunale secondo cui il reato di costruzione abusiva sussisterebbe solo se manca il titolo edilizio e non anche se questo è palesemente illegittimo, e quello di lottizzazione abusiva sussisterebbe solo se p manca la convenzione del piano di lottizzazione, ma non se questo è scaduto prima del rilascio della concessione edilizia. Nella prospettazione del P.M. detta affermazione sarebbe erronea, in quanto non solo il giudice penale può disapplicare il provvedimento amministrativo, ma deve valutare il rispetto sostanziale delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti (analogamente, con riferimento alla lottizzazione abusiva, il reato sussisterebbe anche quando la convenzione di lottizzazione è palesemente illegittima o è scaduta, con conseguente illegittimità della concessione edilizia rilasciata successivamente).

8.3.1. La censura del P.M. pur in astratto corretta, non è nella fattispecie in esame meritevole di accoglimento.

Ed infatti, il ricorso del P.M. insiste sulla configurabilità di ipotesi di reato che non tengono conto della peculiarità del caso sottoposto ad esame, difettando, segnatamente, la pretesa illegittimità dei titoli abilitativi con cui è stata assentita l'attività edilizia in questione. Sul punto, i giudici del riesame evidenziano come gli ordinari termini di efficacia dei cosiddetti piani attuativi, categoria all'interno della quale si collocano i piani di lottizzazione, non risultano applicabili giacchè nel Comune di Arzachena lo strumento urbanistico tuttora vigente (il regolamento edilizio con programma di fabbricazione approvato nel 1983 con Decreto RAS n. 1761/u) aveva inserito l'ambito territoriali di cui si discute (vale a dire il Piano di lottizzazione in questione), nella disciplina delle zone F3 - aree turistiche oggetto di lottizzazioni approvate, come da certificato urbanistico e regolamento edilizio.

Orbene, il regolamento edilizio di cui al vigente Piano di Fabbricazione, all'art. 64 relativamente alle zone F3, così prevede:

"...la disciplina urbanistica edilizia di dette zone è quella stabilita dalle convenzioni e dallo strumento attuativo esistente..."; ne consegue, quindi, che le previsione del Piano di lottizzazione "Liscia di Vacca centro", da cui origina il p.d.c. n. 321/2006 e le varianti successive, sono state espressamente recepite nello strumento generale di pianificazione, rappresentato nel Programma di fabbricazione (che, com'è noto - in virtù dell'assimilabilità al piano regolatore generale operata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 23 del 20 marzo 1978 - avendo natura di atto normativo regolatore a carattere generale e, quindi, cogente, anche nei confronti della P.A., è integrativo del regolamento edilizio: Cass. civ., Sez. 2, Sentenza n. 6058 del 17/03/2006, Rv. 587800).

Le previsioni contenute nel predetto Piano di lottizzazione assurgono al rango di normativa primaria, la cui efficacia non si presta a limitazioni o scadenze temporali etero - imposte; il concetto di "scadenza", dunque, come correttamente evidenziato dalle difese degli indagati, è divenuto quindi irrilevante in quanto anacronisticamente riferito ad uno strumento attuativo che non ne è più soggetto nel momento stesso in cui è entrato "in pianta stabile" a far parte integrante dello strumento generale di pianificazione. Ciò spiega, dunque, l'affermazione, corretta, del tribunale del riesame secondo cui diventa impossibile configurare il reato di lottizzazione abusiva su un comprensorio la cui regola è quella del Programma di fabbricazione, atteso che il Piano di lottizzazione è stato sottratto al termine di efficacia decennale previsto per gli strumenti attuativi dalla L. n. 1150 del 1942, art. 16 atteso che le previsioni contenute nel PRG e non riguardanti vincoli o limiti non sono soggette a termini di efficacia in quanto disposizioni aventi contenuto generale ed astratto. Secondi i giudici del riesame, dunque, il Piano di lottizzazione originario non era soggetto a termini di scadenza, poichè il Programma di fabbricazione vigente, approvato nel 2003, ha elevato al rango di disciplina urbanistica generale le convenzioni e i piani attuativi compresi nella zona F/3, conseguendone pertanto che il Piano di lottizzazione "Liscia di Vacca centro" deve, per il tribunale, considerarsi tuttora in vigore con conseguente efficacia della Convenzione. Ne discende, conclusivamente, che non si è al cospetto di una convenzione illegittima o scaduta, come sostiene il P.M. ricorrente, ma di un assetto particolare ed attuativo (quello del Piano di lottizzazione), elevato per espressa intenzione del competente pianificatore comunale, a parte integrante del regime generale.

8.3.2. Che questa sia la conclusione corretta, del resto, è confermato dalla stessa giurisprudenza amministrativa, sulla cui base è possibile affermare la pacifica compatibilità dell'intervento con il Programma di fabbricazione, per effetto dell'assorbimento nel primo del Piano di lottizzazione, essendo giunta la più recente giurisprudenza amministrativa a differenti conclusioni rispetto a quanto sostenuto in precedenza (così restando superato ed isolato il principio, richiamato dal P.M. ricorrente, di cui alla sentenza Cons. Stato, Sez. 4, 06/04/2012, n. 2045, secondo cui il P.d.L. ha una durata decennale per cui, decorso il relativo termine, esso perde di efficacia e non può più costituire valido presupposto per il rilascio di qualsivoglia titolo abilitativo alla edificazione di manufatti).

In particolare, secondo la giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato (cfr. sez. 5, 30 aprile 2009, n. 2768; Id., sez. 4, 27 ottobre 2009, n. 6572), in materia di efficacia del piano di attuazione (o di strumenti urbanistici analoghi, quale un piano di lottizzazione o un piano di zona per l'edilizia economica e popolare) dopo la scadenza del termine previsto per la sua esecuzione, da una corretta interpretazione della L. n. 1150 del 1942, art. 17 debbono ritenersi discendere i seguenti principi: a) le previsioni dello strumento attuativo comportano la concreta e dettagliata conformazione della proprietà privata (con specificazione delle regole di conformazione disposte dal piano regolatore generale, ai sensi dell'art. 869 c.c.); b) in linea di principio, le medesime previsioni rimangono efficaci a tempo indeterminato (nel senso che costituiscono le regole determinative del contenuto della proprietà delle aree incluse nel piano attuativo); c) col decorso del termine, diventano inefficaci unicamente le previsioni del piano attuativo che non abbiano avuto concreta attuazione, cosicchè non potranno più eseguirsi gli espropri, preordinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria, nè si potrà procedere all'edificazione residenziale, salva la possibilità di ulteriori costruzioni coerenti con le vigenti previsioni del piano regolatore generale e con le prescrizioni del piano attuativo, che per questa parte ha efficacia ultrattiva. In particolare, quanto al significato da attribuire agli artt. 16, 17 e 28 della legge urbanistica - secondo cui l'efficacia dei piani particolareggiati, ai quali si assimilano analogicamente le lottizzazioni convenzionate, ha un termine entro il quale le opere debbano essere eseguite, che non può essere superiore a dieci anni -, la giurisprudenza ha chiarito che l'imposizione del termine suddetto va inteso nel senso che le attività dirette alla realizzazione dello strumento urbanistico, sia convenzionale che autoritativo, non possono essere attuate ai sensi di legge oltre un certo termine, scaduto il quale l'autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alle parti non realizzate, anche, in ipotesi, con una nuova convenzione di lottizzazione. Ne segue che, se, e fino a quando, tale potere non viene esercitato, l'assetto urbanistico dell'area rimane definito nei termini disposti con la convenzione di lottizzazione (cfr. Cons. Stato, sez. 4, 19 febbraio 2007, n. 851).

Le conseguenze della scadenza dell'efficacia del piano attuativo (ovvero dei piani a questo equiparati) si esauriscono pertanto nell'ambito della sola disciplina urbanistica, non potendo invece incidere sulla validità ed efficacia delle obbligazioni assunte dai soggetti attuatori degli interventi (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 20 luglio 2012, n. 28).

Alla stregua di quanto sopra (v., sul punto, da ultimo: Cons. Stato, Sez. 4, sentenza 26/08/2014, n. 4278), pertanto, non potendo ritenersi scaduta nè tantomeno illegittima la convenzione di lottizzazione, del tutto legittimamente le attività edilizie risultano essere state assentite dal p.d.c. originaria e successive varianti.

8.4. Quanto, ancora, al successivo motivo con cui il P.M. ricorrente svolge censure di violazione di legge sostanziale in relazione alla L. n. 1150 del 1942, art. 16, (motivo sub e), si sostiene che il tribunale avrebbe violato la norma citata innanzitutto perchè il regolamento comunale cui è allegato il piano di fabbricazione non conterrebbe alcuna deroga espressa alla temporanea efficacia voluta dalla legge per la convenzione di lottizzazione e che, in ogni caso, il richiamo alle convenzioni esistenti sarebbe un richiamo integrale al testo della convenzione, e sarebbe come tale comprensivo della clausola del termine massimo di utilizzazione decennale ribadito espressamente dagli artt. 16 e 17 della convenzione relativa al piano di lottizzazione "Liscia di Vacca centro" del 18/06/1981 (il P.M., peraltro, in ricorso esprime anche la preoccupazione che il principio diversamente affermato dal tribunale potrebbe avere effetti indiretti su altre convenzioni di lottizzazione di Porto Cervo ormai scadute ed abbandonate, che in forza di tale decisione potrebbero resuscitare con gravi ripercussioni sul territorio già duramente sfruttato dagli investitori nazionali ed internazionali, insistendo, ancora, sul fatto che lo stesso C.d.S. con la richiamata sentenza n. 2045 del 6/04/2012 aveva confermato una sentenza del Tar Sardegna n. 118 del 31/01/2009 che ha annullato una concessione edilizia per decorso del termine decennale di efficacia della convenzione di lottizzazione per l'invalidità delle concessioni edilizie rilasciate dopo la scadenza del termine massimo di utilizzazione fissato dal piano di lottizzazione).

8.4.1. Tale motivo è infondato, al pari dei precedenti.

Ed infatti, richiamato quanto in precedenza esposto a proposito del "superamento" del principio di cui alla richiamata sentenza del Cons. St. n. 2045/2012, deve ritenersi che la tesi del P.M. ricorrente, prescindendo dalle peculiarità del caso concreto e dai principi generali vigenti, si fonda sulla predetta decisione del Giudice amministrativo, approdando a conclusioni errate. Diversamente, in base a quanto sopra esposto, deve ritenersi che l'intervento edilizio in parola, valutato sulla scorta dello specifico Statuto urbanistico ed edilizio che lo regola, a sua volta applicato al lume dei principi generali per effetto dei quali, da un lato, il Piano di lottizzazione aveva una pacifica ultrattività quanto alle volumetrie da realizzarsi determinata dal suo recepimento in senso al Programma di Fabbricazione, dall'altro, in ogni caso, quand'anche si volesse ritenere scaduto detto Piano, ciò non avrebbe ostato al valido rilascio di un titolo abilitativo edilizio a fronte dell'intenso grado di urbanizzazione della zona.

Ed infatti, costituisce principio pacifico ed acquisito nella giurisprudenza amministrativa (v., da ultimo: T.A.R. Sicilia - Palermo, Sez. 3, sentenza 7/11/2014, n. 2754) che la necessità di presentazione di un previo piano attuativo si impone qualora si tratti di asservire per la prima volta all'edificazione, mediante la costruzione di uno o più fabbricati, aree non ancora urbanizzate che obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Si è, in particolare, affermato che in questo caso non può prescindersi dalla previa predisposizione di un piano esecutivo (piano di lottizzazione o piano particolareggiato) quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia al fine di garantire una pianificazione razionale e ordinata del futuro sviluppo del territorio dal punto di vista urbanistico ed edilizio (in tal senso T.A.R. Campania Napoli, 8, 7 novembre 2013, n. 4954, ma anche ex plurimis Consiglio di Stato, 4, 27 aprile 2012, n. 2470). La esigenza sottesa a tale orientamento è quella di garantire lo sviluppo ordinato del territorio, evitando che vengano realizzate nuove costruzioni in assenza della contestuale previsione della realizzazione delle necessarie opere di urbanizzazione. Ne consegue, dunque, così condividendosi le argomentazioni espresse dagli indagati, che correttamente il tribunale del riesame ha ritenuto superflua per il rilascio del p.d.c. l'approvazione preventiva di un ulteriore Piano di lottizzazione, atteso che erano state ormai effettuate - si legge nella motivazione dell'impugnata ordinanza - le cessioni gratuite al Comune di tutti i terreni per le opere di urbanizzazione anche secondarie (chiesa e scuola), nonchè realizzate ed anche collaudate in data 10.7.2006 le altre opere di urbanizzazione previste dalla convenzione nonchè realizzato anche il 61% del volume privato convenzionato.

8.5. Non miglior sorte merita, infine, l'ultimo motivo, con cui il P.M. ricorrente svolge censure di violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 144, comma 3, (motivo sub h).

Secondo il P.M., come già illustrato in precedenza in sede di sviluppo del motivo, il tribunale non avrebbe considerato che nel periodo antecedente l'entrata in vigore del PPR era già vigente il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 144, comma 3, quale norma primaria, che consentiva ai piani paesaggistici adottati, ed in fase di approvazione, una volta affermatone il primato gerarchico rispetto ai piani urbanistici) di fissare norme di salvaguardia già applicabili, in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici, rispetto alle previsioni dei piani paesaggistici. Ne conseguirebbe, dunque, che anche se l'entrata in vigore del D.P.R. n. 82 del 2006 è avvenuta il giorno successivo, con la pubblicazione nel BURAS, le norme di salvaguardia trovavano riferimento nella norma primaria; pertanto, la norma in esame fonderebbe il potere del PPR nel periodo che va dalla sua adozione alla sua approvazione, di prevedere misure di salvaguardia, rendendo legittimo ed efficace l'art. 15 delle NTA del Piano regionale, secondo cui sono precluse costruzioni negli ambiti di paesaggio costieri fino all'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle previsioni del PPR. 8.5.1. Il motivo, pur suggestivo, non ha pregio.

Ed infatti, come ben chiarito dalla difesa degli indagati, il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 145, comma 3, sotto la rubrica "Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione", prevede che "3. Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli artt. 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali.

Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette".

Detta norma fissa una regola di carattere generale applicabile esclusivamente in virtù di un P.P.R. già approvato che ne costituisce espressione e non disciplina, invece, l'intermezzo tra l'adozione e l'approvazione del P.P.R. medesimo. In altri termini, l'entrata in vigore del P.P.R. è condizione necessaria e sufficiente per l'operatività della norma in questione rispetto agli EE.LL. chiamati a darvi esecuzione in sede di definizione dei rispetti strumenti pianificatori. Tale norma, si noti, è entrata in vigore dopo il rilascio della prima concessione edilizia (la n. 321/2006), ossia quando è entrato in vigore il P.P.R. che l'ha resa operativa.

Ne discende, dunque, che non sussiste alcun collegamento tra la norma a carattere generale (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 145, comma 3), e quella speciale di cui all'art. 15 delle N.T.A. del P.P.R. adottato il 13/12/2005 (delibera G.R. n. 59/36 del 2005) ed approvato con Delib. G.R. 5 settembre 2006, n. 36/7 pubblicata sul BURAS dell'8/09/2006, giusta D.P.R.S. 7 settembre 2006, n. 82. Come, del resto, ben evidenziato dalle difese degli indagati, lo stesso art. 15, comma 8, delle N.T.A. disciplina l'intervallo temporale tra l'adozione e l'approvazione del P.P.R., stabilendo che dal momento dell'adozione del P.P.R. e fino alla sua approvazione si applica la L. n. 1902 del 1952 e successive modifiche, art. unico ed integrazioni, in riferimento al rilascio dei titoli abilitativi in contrasto con le disposizioni del presente art..

Tale norma, quindi, rinvia per tale intervallo, all'articolo unico della citata legge secondo cui "il sindaco, su parere conforme della Commissione edilizia comunale, può, con provvedimento motivato da notificare al richiedente, sospendere ogni determinazione sulle domande di licenza di costruzione, di cui alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 31 quando riconosca che tali domande siano in contrasto con il piano adottato". E, nel caso in esame, si noti, nessun esplicito provvedimento risulta essere stato adottato dal Sindaco che, in applicazione dell'art. 15, comma 8, delle N.T.A. del P.P.R. precludesse l'abilitazione degli interventi in questione. Da qui, pertanto, l'infondatezza anche di tale ultimo motivo.

9. Il ricorso del P.M. dev'essere, dunque, complessivamente rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso del P.M..

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 26 maggio 2015.