Abbandono-deposito incontrollato di rifiuti e Cassazione. Tutto chiaro?
di Gianfranco AMENDOLA
pubblicato su rivistadga.it si ringraziano Autore ed Editore
Cass. Sez. III Pen. 7 marzo 2022, n. 8088 - Ramacci, pres.; Di Stasi, est.; Molino, P.M. (diff.) - F.M., ric. (Dichiara inammissibile Trib. Verbania 16 dicembre 2020)
Sanità pubblica - Rifiuti - Deposito incontrollato di rifiuti consistenti in terre e rocce da scavo - Attività di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti.
Ogni qualvolta l’attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero del rifiuto stesso, caratterizzandosi essa, pertanto, come una forma, per quanto elementare, di gestione del rifiuto (della quale attività potrebbe dirsi che costituisce il «grado zero»), la relativa illiceità penale permea di sé l’intera condotta (quindi sia la fase prodromica che quella successiva), integrando, pertanto, una fattispecie penale di durata, la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella di rilascio; tutto ciò con le derivanti conseguenze anche a livello di decorrenza del termine prescrizionale. Nel caso in cui, invece, siffatta attività non costituisca l’antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni, aventi ad oggetto appunto lo smaltimento od il recupero del rifiuto, ma racchiuda in sé l’intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente; ciò in quanto, essendosi il reato pienamente perfezionato ed esaurito in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, risulterebbe del tutto irragionevole non considerarne oramai cristallizzati i profili dinamici fin dal momento dei rilascio del rifiuto, nessuna ulteriore attività e residuando alla descritta condotta di abbandono.
1. - Premessa: la natura del reato (istantaneo o permanente) secondo la Cassazione. Tutta la normativa, comunitaria ed italiana, sui rifiuti si basa sul principio base secondo cui un rifiuto deve essere gestito in modo da non provocare pericoli o danni per la salute e per l’ambiente; e, pertanto, deve essere tenuto sotto controllo «dalla culla alla tomba», soprattutto attraverso lo strumento dell’autorizzazione e delle connesse prescrizioni; lasciando esente da questo obbligo solo il «deposito temporaneo» (che, comunque, è soggetto a rigorosi limiti generali).
È, pertanto, evidente che il primo divieto da rispettare in proposito è quello previsto dall’art. 192, comma 1, d.lgs. n. 152/06 (TUA), a norma del quale « l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati »1, sanzionato come contravvenzione se commesso da «titolari di imprese o responsabili di enti» (art. 256, comma 2).
Rinviando ad altri lavori per un approfondimento delle numerose questioni connesse con questo divieto 2, ci si vuole limitare, in questa sede, ad esaminare la problematica relativa alla natura del reato (istantaneo o permanente?) particolarmente rilevante ai fini della prescrizione (comunque, molto breve, trattandosi di contravvenzione), più volte trattata dalla Cassazione con soluzioni apparentemente contrastanti.
A tal fine risulta particolarmente utile la recentissima sentenza della Suprema Corte in epigrafe la quale, dopo avere premesso che «è necessario verificare le concrete circostanze che connotino in maniera peculiare la presenza in loco dei rifiuti», richiama e ricapitola la sua pregressa giurisprudenza, concludendo che, qualora « l’attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero del rifiuto stesso », trattasi di reato permanente; mentre « nel caso in cui, invece, siffatta attività non costituisca l’antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni, aventi ad oggetto appunto lo smaltimento od il recupero del rifiuto, ma racchiuda in sé l’intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente »; e trattasi, quindi, di reato istantaneo; aggiungendo, infine, che «anche la dottrina è pervenuta a conclusioni analoghe, osservando che se l’illecito si concretizza nell’abbandono del rifiuto, si configura un reato istantaneo con eventuali effetti permanenti: se il deposito incontrollato assume, di fatto, la conformazione di un rilascio definitivo nell’ambiente è, al pari dell’abbandono, un reato istantaneo con eventuali effetti permanenti; il reato è, invece, permanente ove l’agente pur non abbandonando il rifiuto ne mantiene la detenzione con modalità estranee a quelle conformi a legge, potenzialmente pericolose e la sua consumazione dura fintanto che non vengano a cessare le situazioni di fatto che integrano l’illecito (la regolarizzazione delle modalità di tenuta del deposito, la materiale rimozione dei rifiuti, anche ad opera di terzi, il compimento delle fasi di recupero o smaltimento dei medesimi)».
2. - Il primo dubbio: la differenza tra abbandono e deposito temporaneo. Diciamo subito che, a nostro sommesso avviso, la conclusione cui giunge la Suprema Corte sembra, nel suo complesso, condivisibile ma necessita di alcune precisazioni.
In primo luogo, cioè, appare opportuno approfondire l’ambito dei termini «abbandono» e «deposito incontrollato» che, evidentemente, devono avere un diverso significato anche se vengono accomunati dalla norma incriminatrice.
Oggettivamente, infatti, un abbandono di rifiuti comporta sempre anche la creazione di un deposito non controllato; tuttavia, mettendo a confronto il significato lessicale dei due termini, è anche vero che, in realtà, il concetto di abbandono contiene un elemento specializzante rispetto al deposito incontrollato in quanto evidenzia la volontà di disfarsi definitivamente del rifiuto: è il termine stesso di «deposito», infatti, che fa pensare ad una azione diversa da quella del « buttare» (abbandono) in quanto si deposita (e non si butta) qualcosa che non si vuole abbandonare 3.
E pertanto, se è vero che l’abbandono di rifiuti si risolve, di fatto, in un deposito incontrollato è anche vero che un deposito incontrollato, quando manca la volontà della derelizione, non coincide con l’abbandono. Desta, quindi, perplessità, nella citata sentenza, l’affermazione della Cassazione secondo cui anche l’abbandono (oltre al deposito incontrollato) può costituire fase prodromica rispetto ad una successiva fase di smaltimento o recupero. Così come desta perplessità, in molte sentenze della Cassazione 4, l’aggiunta dell’aggettivo «incontrollato» (utilizzato dalla legge solo per il deposito) al termine «abbandono», visto che, a nostro sommesso avviso, l’abbandono già comporta, di per sé, la rinuncia ad ogni controllo.
In altri termini, è possibile che un titolare di impresa depositi sul suolo rifiuti da lui prodotti, senza, tuttavia, l’intenzione di abbandonarli disinteressandosene totalmente 5 , ma mantenendone il controllo e riservandosi di provvedere in seguito 6 . Se, invece, un rifiuto viene «abbandonato» nell’ambiente dal detentore, appare chiaro che l’autore dell’abbandono non ha alcuna intenzione di provvedere a «controllarlo» in vista di una successiva fase di smaltimento o di recupero, e che l’abbandono integra quindi, già di per sé, l’operazione di smaltimento tramite «deposito sul suolo o nel suolo», prevista espressamente dalla voce D1 dell’allegato B («operazioni di smaltimento») alla parte IV del TUA 7 . Circostanza, peraltro, evidenziata più volte dalla Cassazione quando, con riferimento al deposito temporaneo, ricorda che «la nozione di deposito di rifiuti anche solo temporaneo implica, a differenza di quella dell’abbandono, ed in virtù della sua finalizzazione ad una gestione degli stessi, una attività connotata necessariamente da un controllo a che la collocazione avvenga inizialmente e poi permanga, nell’arco temporale richiesto, secondo le modalità di legge; non è sostenibile che, una volta collocato il materiale (su area che già non sia interessata da oggetti di provenienza diversa) sia possibile disinteressarsi della sorte del medesimo (...)» 8 ; tanto è vero che un deposito può essere «controllato» e lecito mentre l’abbandono è sempre vietato.
A questo proposito, peraltro, si deve osservare, per completezza, che la giurisprudenza della Suprema Corte sembra identificare il deposito incontrollato solo con quello temporaneo effettuato senza rispettare le condizioni per esso previste dalla legge 9 , mentre, in realtà, esso può riscontrarsi anche in caso di stoccaggio (deposito preliminare o messa in riserva) irregolare, tenendo conto che, in quest’ultimo caso il deposito di rifiuti è controllato tramite l’obbligo di autorizzazione (e relative prescrizioni o di deposito temporaneo) mentre, in caso di deposito temporaneo, ciò avviene tramite l’osservanza delle condizioni generali imposte dall’art. 185 bis TUA 10 . Non appare, tuttavia, rilevante approfondire la questione in questa sede e, pertanto, sembra sufficiente ricordare, a livello pratico, che, se pure è vero che, come evidenziato dalla dottrina 11 , le relative sanzioni sono contenute in due diverse disposizioni (art. 256, comma 1, per stoccaggio senza autorizzazione e art. 256, comma 2, per deposito incontrollato), è anche vero che, in realtà, la sanzione è la stessa, in quanto il comma 2 dell’art. 256 rinvia alle sanzioni del comma 1.
In sostanza, quindi, un deposito irregolare di rifiuti che, per la evidente volontà di disfarsene definitivamente da parte dell’autore, si esaurisce in un «abbandono» integra un reato istantaneo (con eventuali effetti permanenti) mentre, se il detentore continua a conservare un potere di intervento e di controllo, anche e soprattutto in previsione di fasi ulteriori per lo smaltimento o il recupero, si può ipotizzare un reato permanente.
3. - Quale prova? Ma, una volta tratteggiata sulla carta la differenza tra le due ipotesi, nella realtà occorre decidere, per appurare la natura del reato (e, di conseguenza, i termini di prescrizione) 12, se, in concreto, caso per caso, sia configurabile un abbandono (istantaneo) o un deposito incontrollato (permanente) di rifiuti; specie quando ci si trova di fronte a casi in cui non sia immediatamente e certamente percepibile la volontà del detentore di liberarsi definitivamente del rifiuto. E la p.g. sa bene che molto spesso, di fronte a cumuli immondi di rifiuti depositati da tempo alla rinfusa nel terreno, la giustificazione è sempre quella che non si tratta di abbandono perché, in qualche modo (non si sa come e non si sa quando), ci si riserva di riutilizzarli; anzi, non sono neppure rifiuti.
Ovviamente, si tratta di una questione rimessa al giudice di merito 13 rispetto alla quale, tuttavia, qualche indicazione si rinviene nella giurisprudenza della Suprema Corte. Nella sentenza in esame, infatti, la Cassazione, pur premettendo che non vi è alcuna pretesa di esaustività, richiama alcuni precedenti e precisa che «costituirà attendibile indice differenziale l’occasionalità o meno del fatto di abbandono e deposito del rifiuto, laddove la sistematica pluralità di azioni, fra loro di identico o comunque analogo contenuto, farà propendere per una forma di organizzazione della condotta, sintomo attendibile di una volontà gestoria e non esclusivamente dismissiva del rifiuto; mentre l’episodicità di esse, ancorché non rigorosamente intesa nel senso dell’assoluta unicità della condotta, dovrebbe indirizzare il giudizio sulla istantaneità della natura del reato posto in essere; altri indici rivelatori della finalità gestoria potranno essere la pertinenza, o meno, del rifiuto oggetto di rilascio, all’eventuale circuito produttivo riferibile all’agente, ove questi svolga attività imprenditoriale; oppure la reiterata adibizione di un unico sito, eventualmente anche promiscuamente utilizzato al medesimo fine pure da altri soggetti, quale punto di rilascio dei rifiuti». A questo proposito, in dottrina, si è osservato che «per stabilire l’esistenza del reato si deve pensare ad “un tempo di attesa ragionevole” decorso il quale la mancata effettiva rimozione dei rifiuti permetterebbe di qualificare la situazione di fatto non già come un deposito, ma come un “abbandono”, con la conseguenza che il reato si consuma nell’istante del rilascio del rifiuto con decorrenza del termine di prescrizione da quel momento», aggiungendo che «per ridurre per quanto possibile la genericità dell’indicazione, occorrerà ricercare tutti gli indici probatori significativi che dimostrino, obiettivamente, la condizione di effettiva temporaneità dell’accumulo dei rifiuti, a cominciare dalla loro natura e dalle caratteristiche dell’ammasso, valorizzando ogni ulteriore elemento da cui si possa desumere l’esistenza di un iniziale “progetto” di allontanamento del rifiuto» 14.
4. - Abbandono, deposito incontrollato e discarica di rifiuti. Trattasi di indicazioni certamente importanti e valide che, tuttavia, a nostro sommesso avviso, nei casi di maggior rilievo, devono essere integrate per verificare se, addirittura, ci si trovi di fronte non ad una ipotesi di abbandono o di deposito incontrollato ma di una vera e propria discarica abusiva, per la cui configurazione, secondo costante giurisprudenza, «è necessario l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta (anche se non abituale), in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, con conseguente degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi ed essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata» 15 .
Quanto ai tratti distintivi, secondo la costante giurisprudenza, «è la mera occasionalità che differenzia l’abbandono dalla discarica e tale caratteristica può essere desunta da elementi indicativi quali le modalità della condotta (ad es. la sua estemporaneità o il mero collocamento dei rifiuti in un determinato luogo in assenza di attività prodromiche o successive al conferimento), la quantità di rifiuti abbandonata, l’unicità della condotta di abbandono. Diversamente, la discarica richiede una condotta abituale, come nel caso di plurimi conferimenti, ovvero un’unica azione ma strutturata, anche se in modo grossolano e chiaramente finalizzata alla definitiva collocazione dei rifiuti in loco» 16 . E pertanto, si configura una discarica abusiva «tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato. Anche la differenza con il mero abbandono di rifiuti è stata individuata evidenziando la natura occasionale e discontinua di tale attività rispetto a quella, abituale o organizzata, di discarica (Sez. III, n. 25463 del 15 aprile 2004, Bono, rv. 228.689)» 17.
Rispetto al deposito incontrollato, invece, «ove esso si realizzi con plurime condotte di accumulo, in assenza di attività di gestione, la distinzione con il reato di realizzazione di discarica non autorizzata si fonda principalmente sulle dimensioni dell’area occupata e sulla quantità dei rifiuti depositati »18.
E, pertanto, è in base a questi elementi che si deve distinguere il reato di abbandono-deposito incontrollato da quello, ben più grave, di discarica abusiva.
Anzi, a questo proposito, si deve aggiungere che uno stoccaggio o un deposito temporaneo di rifiuti, qualora si protraggano oltre determinati limiti temporali (da uno a tre anni), possono addirittura essere, ex lege 19 , assimilati ad una discarica abusiva 20.
In questi casi, quindi, si configura il più grave reato di discarica abusiva, il quale ha «le caratteristiche della permanenza, posto che la lesione del bene interesse tutelato si perpetua, determinando la perdurante flagranza del reato, non solo per tutto il periodo in cui la discarica abusiva, attraverso il conferimento e/o la manipolazione dei rifiuti in corso di svolgimento in essa, è materialmente in esercizio, ma anche sino a che, in assenza di provvedimenti autoritativi che la sottraggano alla disponibilità del gestore, non ne sia esaurita anche la fase cosiddetta post-operativa, cioè sino alla conclusione delle procedure di chiusura, consistenti nella rimozione dei rifiuti e nella bonifica dell’area, imposte dalla legge, ovvero con il rilascio della autorizzazione amministrativa» 21 .
Gianfranco Amendola
1 Cui si aggiunge il divieto di immissione nelle acque superficiali e sotterranee (art. 192, comma 2).
2 Ci permettiamo di rinviare al nostro recentissimo Diritto penale ambientale, Pisa 2022, 168 e ss.
3 Si tratta, in sostanza, della stessa disputa sulla nozione di «rifiuto» innescata dalla definizione del d.p.r. n. 915/1982 secondo cui era rifiuto « qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono » (art. 2, comma 1): definizione certamente ambigua se si considera che, invece, la normativa CEE da cui derivava quella del d.p.r. n. 915/1982 usava già la dizione «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’ obbligo di disfarsi», con la conseguenza che in Italia i rifiuti destinati al riutilizzo, non essendo destinati all’abbandono, potevano essere esclusi dalla disciplina sui rifiuti; e solo l’intervento della Corte europea di giustizia indusse il nostro Paese ad adeguare la definizione al dettato comunitario. Per approfondimenti, cfr. Amendola, I rifiuti. Normativa italiana e comunitaria, Milano, 1991, 51 e ss., nonché Gestione dei rifiuti e normativa penale, Milano, 2003, 60 e ss.
4 Cfr., tra le tante, Cass. Sez. III Pen. 11 dic. 2014, n. 51422, D’Itri; Cass. Sez. III Pen. 19 feb. 2015, n. 7386/2014, Cusini; da ultimo, Cass. Sez. III Pen. 17 febbraio 2021, n. 6149/2020, Musio, in www.rivistadga.it, 2021, 2 (con nota di De Biase, Le risposte della Cassazione ai rapporti tra gli artt. 255 e 256, d.lgs. n. 152/2006 e i problemi irrisolti ) secondo cui «il reato di abbandono incontrollato di rifiuti ha natura istantanea con effetti permanenti, in quanto presuppone una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti che, per la sua episodicità, esaurisce i propri effetti al momento della derelizione, mentre il reato di deposito incontrollato, integrato dal mancato rispetto delle condizioni dettate per la sua qualificazione come temporaneo, ha natura permanente, perché la condotta riguarda un’ipotesi di deposito “controllabile”, cui segue l’omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dall’art. 183, comma primo, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l’eventuale sequestro».
5 Cfr. Cass. Sez. III Pen. 29 novembre 2013, n. 47501, Caminotto, in www.lexambiente.it, 18 dicembre 2013, secondo cui «la volontà che sottende all’abbandono di rifiuti è sostanzialmente diretta a disfarsi ed a disinteressarsi completamente della cosa (...)».
6 Cfr. Cass. Sez. III Pen. 28 luglio 2021, n. 29578, Codognotto, in www.osservatorioagromafie.it e in www.lexambiente.it, 8 settembre 2021 e in Ambiente e sviluppo 2021, 11, 796 e ss. (con nota critica di Paone, Il deposito incontrollato di rifiuti al vaglio della Cassazione ) secondo cui «ciò che, invece, caratterizza il deposito incontrollato è la condotta tipica individuabile alla luce del significato letterale del termine “deposito”, ossia la collocazione non definitiva dei rifiuti in un determinato luogo in previsione di una successiva fase di gestione del rifiuto». In dottrina, cfr. Paone, Reati in materia di rifiuti, consumazione e decorrenza della prescrizione , in www.lexambiente.it, 9 marzo 2018, secondo cui «la nozione di deposito rimanda all’idea di un accumulo di rifiuti attuato in via provvisoria per un tempo apprezzabile in vista della loro successiva movimentazione. Perciò, mentre nell’abbandono il detentore si disinteressa completamente della sorte dell’oggetto scaricato che resta definitivamente nell’ambiente, nel deposito il soggetto agisce con la prospettiva di ammassare i rifiuti in un certo sito in vista dell’esecuzione di ulteriori fasi di gestione dei rifiuti».
7 Cfr. la sentenza n. 29578/2021, sopra citata, secondo cui «il “deposito incontrollato” presuppone una condotta differente dalle fattispecie di abbandono e di immissione, altrimenti la sua previsione da parte del legislatore risulterebbe inutile. (...) Ciò che, invece, caratterizza il deposito incontrollato è la condotta tipica individuabile alla luce del significato letterale del termine “deposito”, ossia la collocazione non definitiva dei rifiuti in un determinato luogo in previsione di una successiva fase di gestione del rifiuto».
8 Cass. Sez. III Pen. 22 novembre 2013, n. 46711, Di Nota, in www.lexambiente.it, 17 dicembre 2013.
9 Cfr. per tutti Cass. Sez. III Pen. 31 gennaio 2018, n. 4573/2017, Attanasio, in www.dirittoambiente.net, secondo cui «giova ricordare che questa Suprema Corte (Sez. III, n. 49911 del 10 novembre 2009, rv. 245.865; Sez. III n. 38676 del 20 maggio 2014, rv. 260.384) ha affermato che per deposito controllato o temporaneo, si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, quando siano presenti precise condizioni relative alla quantità e qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto delle norme tecniche elencate nel d.lgs. n. 152 del 2006», nonché Cass. Sez. III Pen. 14 febbraio 2018, n. 6999/2017, Paglia, in www.osservatorioagromafie.it , secondo cui «il deposito incontrollato di rifiuti è integrato dal mancato rispetto delle condizioni dettate per la sua qualificazione come temporaneo».
10 Cfr. Cass. Sez. III Pen. 13 febbraio 2014, n. 6985, in www.dirittoambiente.net, secondo cui «per poter definire controllato un deposito di rifiuti, non basta che rimanga sotto gli occhi del gestore ma esso deve essere anche temporaneo, vale a dire, vi deve essere un rigoroso controllo dei tempi di giacenza ed, anche in caso di regime semplificato, le prescrizioni e le cautele devono coincidere con quelle previste per l’iscrizione nel registro delle imprese che effettuano il recupero di rifiuti non pericolosi».
11 Paone, op. loc. ult. cit., secondo cui «mentre il deposito temporaneo non costituisce “operazione di gestione di rifiuti”, come ha stabilito la Corte di giustizia con la sentenza 5 ottobre 1999, n. 175/98, il deposito preliminare e la messa in riserva sono invece fasi di gestione dei rifiuti e sono perciò sottoposte al controllo della pubblica amministrazione con la conseguenza che la loro abusiva effettuazione è punita ex art. 256, 1° comma» mentre il deposito incontrollato è punito ex art. 256, comma 2.
12 Per fortuna, come abbiamo visto, la sanzione è la stessa.
13 Cfr. per tutti Cass. Sez. III Pen. 16 marzo 2016, n. 10960/2015, Giangregorio, dove si ricorda che «è compito del giudice del merito, sulla base del concreto atteggiarsi della vicenda, valutare, di volta in volta, se l’azione di abbandono e deposito del rifiuto si vada ad innestare in una più articolata fase, ancorché elementare, di gestione dello stesso, ovvero se debba, invece, intendersi definita e conclusa in tutti i suoi elementi».
14 Paone, Il reato di deposito incontrollato di rifiuti e l’individuazione del suo momento consumativo , in Lexambiente, Riv trim., 2020, 1.
15 Cass. Sez. III Pen. 6 maggio 2021, n. 17387, Circo, in www.osservatorioagromafie.it e in www.lexambiente.it., 4 giugno 2021 (giurisprudenza costante).
16 Cfr. per tutti Cass. Sez. III Pen. 31 ottobre 2019, n. 44516, in www.osservatorioagromafie.it e in Foro it., 2020, 2, II, 73.
17 Cass. Sez. III Pen. 28 gennaio 2015, n. 3943/2014, Aloisio, in www.lexambiente.it., 20 febbraio 2015.
18 Cass. Sez. III Pen. 21 maggio 2020, n. 15575, Santamaria, in www.lexambiente.it., 23 giugno 2020.
19 Cfr. la definizione di «discarica» di rifiuti di cui all’art. 2, comma 1, lett. g), d.lgs. 3 gennaio 2003, n. 36: «area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno . Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno ».
20 In giurisprudenza, cfr. tuttavia, Cass. Sez. III Pen. 11 luglio 2014, n. 30583, Briganti, in www.lexambiente.it, 28 luglio 2014, secondo cui «è configurabile il reato di discarica non autorizzata o abusiva nel caso di abbandono reiterato di rifiuti anche se il loro deposito abbia durata inferiore ad un anno, in quanto la protrazione del deposito dei rifiuti per un periodo superiore all’anno non individua un elemento costitutivo della fattispecie, in particolare non incidendo l’equiparazione del deposito temporaneo protrattosi per oltre un anno alla realizzazione di una discarica, contenuta nell’art. 2 del d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, sulla configurabilità del reato di discarica abusiva ove si sia appunto in presenza, come nella specie, di un abbandono reiterato di rifiuti».
21 Cass. Sez. III Pen. 13 maggio 2020, n. 14724/2019, Gatti, in www.osservatorioagromafie.it e in www.lexambiente.it, 16 giugno 2020.