Tribunale di Cosenza Sez. II sent. 1061 del 2 ottobre 2008
Est. Branda Imp. De Vuono
Rifiuti. Discarica abusiva
Sentenza che ricostruisce la nozione di discarica abusiva secondo la legislazione e l’elaborazione giurisprudenziale. Meritevole di attenzione soprattutto il problema dell’applicabilità della causa di non punibilità prevista dal’art. 257 D.Lvo 152/06 al reato di realizzazione e gestione di discarica abusiva, esclusa nella sentenza in commento.
Est. Branda Imp. De Vuono
Rifiuti. Discarica abusiva
Sentenza che ricostruisce la nozione di discarica abusiva secondo la legislazione e l’elaborazione giurisprudenziale. Meritevole di attenzione soprattutto il problema dell’applicabilità della causa di non punibilità prevista dal’art. 257 D.Lvo 152/06 al reato di realizzazione e gestione di discarica abusiva, esclusa nella sentenza in commento.
MOTIVAZIONE
In fatto e diritto. I signori De Vuono Carlo e De Vuono Francesco sono stati tratti a giudizio, imputati del reato previsto e punito dall’art. 51 D. lvo 22/97, per aver realizzato e gestito, nelle rispettive qualità di sindaco e responsabile del relativo servizio, una discarica non autorizzata di rifiuti, anche pericolosi, in località Torre Oranges del Comune di Aprigliano, con permanenza protratta fino alla data del sequestro eseguito il 24 marzo 2004.
All’udienza del 22 febbraio 2007, costituite ritualmente le parti civili e dichiarata la contumacia degli imputati, veniva aperto il dibattimento ed ammesse le prove così come richieste.
Nella stessa udienza ed in quelle successive del 21/6/07, 22/9/07, 3/4/08 e 2/10/2008, venivano escussi i testimoni ed esaminato l’imputato De Vuono Francesco, frattanto costituitosi; all’esito, le parti discutevano illustrando le rispettive conclusioni ed il processo processo era definito
Ritiene il Tribunale che sia stata fornita piena prova di colpevolezza dei prevenuti in ordine al reato loro ascritto.
Dall’istruttoria svolta è emerso che costoro – senza essere muniti di alcuna autorizzazione - hanno rispettivamente concorso alla realizzazione e gestione di una discarica di rifiuti in località Torre Oranges, nel terreno di proprietà degli eredi Capocchiano.
In particolare il teste Rota Giancarlo, ispettore superiore del Corpo Forestale dello Stato, ha riferito che nel marzo 2004, su segnalazione dei colleghi di Aprigliano, intervenne sul sito sopra descritto, ed effettuò un sopralluogo.
In tale circostanza, verificò che, all\'interno della suddetta area, in una superficie estesa per circa 500 metri quadri, erano stati accumulati notevoli quantitativi di rifiuti, costituiti da carcasse di elettrodomestici (frigoriferi e lavatrici) ed altri ingombranti, e soprattutto, da alcuni di tipo pericoloso, quali batterie esauste di autoveicoli (almeno 10) e numerosi frammenti di eternit.
I rifiuti erano posizionati direttamente sul suolo, senza alcuna impermeabilizzazione diretta ad evitare la contaminazione del terreno sottostante; nelle immediate vicinanze era situato il ripartitore dell’acquedotto comunale.
Quanto alla permanenza dei rifiuti rinvenuti sul posto, la stessa era risalente ad almeno un anno, posto che tra gli stessi era addirittura cresciuta vegetazione erbacea.
In relazione ai soggetti, il teste ha riferito di aver verificato che De Vuono Carlo, sindaco pro tempore del Comune di Appigliano, con una comunicazione del 9 agosto 2002, aveva individuato la predetta area, destinandola alla raccolta di rifiuti; servizio di cui era responsabile De Vuono Francesco.
Pertanto, dopo aver effettuato i rilievi fotografici, procedette al sequestro preventivo dell\'area, avendo accertato che per la realizzazione della suddetta discarica non era mai stata richiesta ed ottenuta alcuna autorizzazione.
Gli altri testi d’accusa, Perri e Siniscalchi, hanno puntualmente confermato tali circostanze, riferendo che i rifiuti meglio rappresentati nelle fotografie erano costantemente presenti sull’area; la teste Siniscalchi ha poi dichiarato di aver accertato, previo esame dei titoli di proprietà e visura catastale, che l’area in oggetto ricadeva nella proprietà degli eredi Capocchiano.
Il rapporto fotografico, acquisito al fascicolo del dibattimento, conferma con assoluta chiarezza e maggiore dettaglio, la versione dei fatti fornita dai suddetti testimoni; invero, dalla visione delle rappresentazioni fotografiche, emerge che sull’area denominata Torre Oranges, al momento del sopralluogo, erano accumulate ingenti quantità di rifiuti costituiti da elettrodomestici abbandonati, rottami ferrosi, batterie esauste (vedi foto 6) e frammenti di eternit (foto 3- 5- 8 -9), scaricati sul suolo e senza alcuna protezione per evitare contaminazioni del terreno sottostante.
L’imputato De Vuono Francesco, in sede di dichiarazioni spontanee, ha ammesso di essere il responsabile del servizio rifiuti; ha confermato che la scelta del sito per la raccolta dei rifiuti ingombranti era stata effettuata dal coimputato sindaco; quanto alla presenza di rifiuti pericolosi, in particolare di quelli contenenti amianto, ha rilevato che non si trattava di fogli di eternit, bensi di schegge di eternit piccole dimensioni (cm 25 x 15 circa); ha precisato che il sito, utilizzato per il deposito da più anni, era situato a circa cento metri di distanza dalla case popolari e che nelle immediate vicinanze v’erano gli impianti dell’acquedotto, seppur collocati ad un livello altimetrico superiore.
I testi della difesa, Morelli, Savaia e Misuraca, hanno riferito che l’area era utilizzata dal 2001- 2002, soprattutto dagli operatori ecologici del Comune, per la raccolta dei rifiuti ingombranti che, circa una volta al mese, venivano prelevati dalla ditta Calabria Maceri, incaricata dello smaltimento in altra sede. Costoro hanno altresì precisato che De Vuono Franco era il comandante della Polizia Municipale del Comune di Appigliano e responsabile della raccolta dei rifiuti
I testi Ritacco e Sirangelo, dipendenti della Calabria Maceri, hanno dichiarato di aver provveduto al prelievo dei rifiuti dalla predetta area con cadenza pressoché mensile, limitandosi a quelli ingombranti costituiti da carcasse di elettrodomestici, materassi, ferrame e parti di autovetture; hanno aggiunto, di non aver verificato se ci fossero rifiuti contenenti amianto, per i quali peraltro non avrebbero potuto procedere al prelievo , perché non consentito dalla ditta di appartenenza.
In diritto. La contestazione mossa agli imputati è di aver realizzato e gestito una discarica di rifiuti senza autorizzazione.
La nozione di discarica è stata dapprima delineata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in mancanza di uno specifico riferimento normativo; e quindi recentemente disciplinata con l’attuazione della direttiva CEE n.31/1999 , ad opera del D.lvo n.36/2003.
La definizione assume rilievo con riferimento alle conseguenze sanzionatorie previste dal D.L.vo n. 22/97, come riformulato dall’art.256 D.Lvo 152/06, in relazione all’ipotesi di reato integrata dalla realizzazione e/o gestione di una discarica non autorizzata, ben più grave rispetto, ad esempio, all’abbandono o al deposito incontrollato di rifiuti.
Sul punto la prima pronuncia significativa è stata quella della Sezioni Unite della Suprema Corte n.12753 del 28 dicembre 1994, che affrontando il tema di realizzazione e gestione di discarica abusiva ha precisato che “la realizzazione di discarica consiste nella destinazione e allestimento a tale scopo di una data area, con l’effettuazione di norma delle opere a tal fine occorrenti: spianamento del terreno impiegato, apertura dei relativi accessi, sistemazione, perimetrazione e recinzione …. La gestione di discarica senza autorizzazione presuppone l’apprestamento di un area per raccogliervi i rifiuti, e consiste nell’attivazione di una organizzazione articolata o rudimentale non importa, di persone, cose e/o macchine dirette al funzionamento della discarica”.
Con successiva sentenza n. 3968 del 12 aprile 1995, la III sezione, ha affermato che “L’accumulo ripetuto nello stesso luogo di rifiuti speciali, ben interpreta il concetto giuridico di discarica non autorizzata; , e l’anno dopo, con sentenza. 8 novembre 1996, n. 9579, ha ulteriormente specificava che: “è’ configurabile il reato di discarica abusiva (sanzionato ai sensi dell’art. 51 comma 3 del decreto Ronchi) anche quando i rifiuti vengano accumulati in un’area trasformata di fatto in deposito degli stessi, mediante una condotta ripetuta, consistente nell’abbandono - per un tempo considerevole e comunque non determinato - di una notevole quantità, che occupa uno spazio cospicuo. La provvisorietà e lo stoccaggio in attesa di un trasferimento, da attuare in tempi lunghi, non escludono la sussistenza dell’illecito”.
Più di recente, la Suprema Corte (sent. 10 ottobre 2001, n. 2597) ha nuovamente affrontato il problema temporale della permanenza dei rifiuti: “L’attività di deposito incontrollato di rifiuti che non sia occasionale e discontinua bensì reiterata per un tempo apprezzabile e con carattere di definitività integra gli estremi del reato di cui all’art. 51 comma 3 del D. L.vo n. 22/97”.
E sotto il profilo del degrado connesso all’abbandono dei rifiuti, con sentenza n. 6796 del 20 febbraio 2002, ha precisato che “ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, non è sufficiente l’accumulo più o meno sistematico di rifiuti in un’area controllata, ma occorre l’ulteriore elemento costituito dal degrado, quanto meno tendenziale dello stato dei luoghi, per effetto della presenza dei materiali destinati all’abbandono”, inoltre quanto all’apporto di rifiuti, secondo la Corte, “… può essere unico, purché sia considerevole, e tale da far assumere al luogo una non equivoca destinazione”.
In sintesi, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza, al fine della individuazione del concetto di discarica sono necessari due elementi: a) il numero e il tempo dei conferimenti, che denota una sorta di organizzazione dell’attività; b) la trasformazione subita dal territorio per effetto degli stessi, a seguito della permanenza della destinazione dell’area.
La materia è stata poi puntualmente regolata dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 36/2003, che in attuazione della direttiva comunitaria n. 31/1999, ha introdotto nel nostro ordinamento la definizione di discarica.
I effetti, all’art. 3, comma 1, lettera g), del predetto decreto, viene delineata la definizione di discarica come l\' "area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno".
Al riguardo, appare necessario ricordare la finalità della disciplina legislativa, dichiarata all’art. 1 del suddetto decreto: “Per conseguire le finalità di cui all\'articolo 2 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 il presente decreto stabilisce requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche, misure, procedure e orientamenti tesi a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull\'ambiente, in particolare l\'inquinamento delle acque superficiali, delle acque sotterranee, del suolo e dell\'atmosfera, e sull\'ambiente globale, compreso l\'effetto serra, nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l\'intero ciclo di vita della discarica.
E’ evidente infatti che anche l’interpretazione della norma deve essere orientata secondo la suddetta finalità.
Tanto premesso, la definizione di discarica data dal legislatore si riferisce evidentemente ad un’area adibita – id est stabilmente destinata – allo smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo.
Dunque gli elementi caratterizzanti ( che giustificano il particolare rigore nella disciplina e nelle precauzioni da adottare per impianti di tal genere), sono costituiti dalla stabile destinazione alle fasi dello smaltimento e dal contatto diretto dei rifiuti con il suolo.
A ben vedere, la definizione legislativa coincide con i risultati cui era già pervenuta la giurisprudenza della Suprema Corte.
Siffatta definizione è operante anche a seguito dell\'entrata in vigore del decreto legislativo n.152 del 2006 poichè anche l\'art.256 terzo comma del citato decreto legislativo, come a suo tempo l\'articolo 51 terzo comma del decreto Ronchi, deve necessariamente essere letto in correlazione con il decreto legislativo n.36 del 2003 ( così, letteralmente, Cass. Sez. III n. 19221 del 13 maggio 2008).
In sintesi, secondo la legislazione vigente, come univocamente interpretata dalla Suprema Corte si ha discarica abusiva tutte le volte in cui per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale carattere di definitività".
I suddetti elementi oggettivi si riscontrano indubbiamente nel caso concreto, posto che – secondo quanto dichiarato dai testi e rappresentato con estrema chiarezza dalle fotografie in atti – nel sito di Torre Oranges, gli odierni imputati hanno realizzato e gestito un impianto in cui sono stati sistematicamente scaricati al suolo, senza alcuna precauzione per la tutela dell’ambiente, ingenti quantitativi di rifiuti, tra cui alcuni pericolosi, quali ad esempio i frammenti di eternit e le batterie d’auto esauste; inoltre, la suddetta area è stata destinata a tempo indeterminato allo scarico dei rifiuti, con evidente degrado ambientale; il tutto senza alcuna autorizzazione .
La difesa ha controdedotto che tali rifiuti venivano depositati sul posto, in attesa di essere trasportati altrove per lo smaltimento.
Tuttavia l’argomento difensivo non vale ad escludere l’ipotesi di reato contestata, per i seguenti motivi:
- i rifiuti, costantemente reintegrati, erano continuamente presenti sull’area e sempre in quantitativi considerevoli.
Al riguardo, basta ricordare che, secondo le stesse dichiarazioni dell’imputato De Vuono Francesco, l’area era destinata alla raccolta di tali rifiuti da più anni.
- Lo scarico era effettuato direttamente sul suolo, senza alcuna precauzione idonea ad evitare l’inquinamento del suolo sottostante.
- L’area era stata destinata stabilmente a ricevere i rifiuti e tale destinazione non era affatto transitoria, posto che - secondo quanto dichiarato dagli stessi testi indicati dalla difesa – il Comune aveva organizzato sullo stesso sito il deposito preliminare di grandi quantità di rifiuti in attesa del successivo trasporto altrove.
- Il trasporto in altra discarica non avveniva tempestivamente; infatti, come dichiarato dai testimoni gli stessi rifiuti depositati erano rimasti sull’area per lunghi periodi (secondo il teste Rota, per almeno un anno; per i testi della difesa, almeno, nell’ordine di 1 mese) ed i quantitativi venivano costantemente reintegrati, in modo che la stessa area era sempre ricoperta da rifiuti del medesimo genere.
- Alcuni rifiuti – addirittura quelli più pericolosi quali i frammenti di eternit- non venivano mai smaltiti, posto che, come dichiarato dallo stesso teste della difesa Ritacco, i dipendenti della ditta incaricata (Calabria Maceri) non potevano prelevarli.
- Per l’eternit, preoccupante appare la deduzione difensiva ( vedi esame dell’imputato) secondo cui lo stesso rifiuto non era presente in lastre di consistenti dimensioni, bensì in piccole schegge; infatti, il maggior pericolo di diffusione delle polveri di amianto, com’è noto, deriva proprio dalla frammentazione dell’eternit.
- Il deposito ed accumulo dei rifiuti, del tutto privi di qualsivoglia precauzione idonea ad evitare l’inquinamento del terreno sottostante, ha provocato un notevole degrado della zona, come visivamente ben documentato dalle rappresentazioni fotografiche. In proposito, ad ulteriore dimostrazione del degrado all’ambiente circostante, provocato dai cumuli di rifiuti, occorre evidenziare che la discarica è stata realizzata e gestita in vicinanza del centro abitato (case popolari) e degli impianti dell’acquedotto comunale .
Tali elementi di fatto costituiscono dunque gli elementi integrativi del reato contestato anche nel quadro delineato dal decreto . 36 del 2003.
Come già accennato, all’art. 3, comma 1, lettera g) del predetto decreto, viene delineata la definizione di discarica come l\' "area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno".
Innanzitutto va premesso che, secondo l’autorevole insegnamento della Suprema Corte, nel concetto di smaltimento di rifiuto devono infatti essere comprese tutte le fasi della vita dello stesso, che possono dividersi in: a) operazioni preliminari (conferimento, spazzamento, cernita, raccolta e trasporto); b) operazioni di trattamento (trasformazione, recupero, riciclo, innocuizzazione); c) operazioni di deposito (nel suolo o sottosuolo). (Fattispecie relativa allo spianamento di terreno adibito a deposito di rifiuti, integrante secondo la Suprema Corte – la realizzazione di una discarica: Sezione III, n.1819 del 29/07/1999) .
Orbene, nel caso concreto, è indubbio che l’area in questione è stata adibita ad una fase dello smaltimento consistita nel deposito preliminare, mediante operazioni di scarico sul suolo di ingenti quantitativi di rifiuti, poi abbandonati in loco per un considerevole lasso di tempo .
Non ricorre, inoltre, alcuna delle esclusioni previste dal capoverso della norma citata.
Così, in primo luogo, non può ritenersi che il sito di Torre Oranges rientri tra gli “impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento”.
L’ipotesi normativamente prevista deve essere infatti riferita agli impianti in cui le fasi dello scarico e del successivo prelievo per il trasporto altrove non siano intervallate da lunghi periodi di tempo in cui i rifiuti restino abbandonati sul suolo, con evidente pericolo di inquinamento del terreno sottostante.
Nella specie, al contrario, è stato riscontrato che i rifiuti venivano costantemente scaricati sul suolo e abbandonati anche per mesi nella stessa area in attesa di trasportati altrove; inoltre, non risultava adottata alcuna precauzione (impermeabilizzazione) idonea ad evitare l’inquinamento del terreno.
Tutto ciò dimostra che il deposito effettuato non è assolutamente ascrivibile alle operazioni strettamente funzionale allo scarico ed alla preparazione al successivo trasporto altrove.
Per la stessa ragione, non ricorre neanche l’ipotesi dello stoccaggio posto che “essa consiste essenzialmente nel deposito preliminare di rifiuti finalizzato al sollecito compimento di una delle operazioni di smaltimento in senso stretto” e deve essere comunque connotata dalla assoluta separazione dei rifiuti dal suolo sottostante, in modo da evitare ogni pericolo di inquinamento (cfr., rispettivamente, Cass. 9168 del 09/10/1997 e Cass. 13105 del 24/03/2003).
Non è altresì ipotizzabile il deposito temporaneo in senso tecnico, in quanto - per aversi deposito temporaneo - i rifiuti devono originare da una attivita\' di produzione svolta proprio in quel luogo: Cass. n. 13606 del 23/12/1998.
Nel caso di specie, gli elementi dominanti che connotano la condotta, attraendola nella definizione di gestione di una discarica (sottoposta a ben maggiori obblighi di precauzione), sono costituiti dal fatto che i rifiuti erano accumulati in quantitativi considerevoli e venivano abbandonati sul suolo per un prolungato lasso di tempo, senza alcuna separazione dal terreno sottostante esposto perciò al pericolo di inquinamento, in una situazione di fatto che, nell’ottica di tutela per l’ambiente che presiede alla disciplina, presenta le connotazioni tipiche della discarica intesa come luogo in cui si svolge lo smaltimento di rifiuti (o alcune fasi dello smaltimento) mediante deposito sul suolo o nel suolo.
Il fatto che, sporadicamente, alcune quantità di rifiuti venissero prelevate e trasportate altrove, salvo essere immediatamente reintegrate con altre dello stesso tipo, pertanto non esclude affatto la destinazione dell’area a discarica.
La predetta valutazione è in aderenza con le dichiarate finalità di protezione dell’ambiente cui si ispira la disciplina sopravvenuta, che impongono l’osservanza del criterio ermeneutico più favorevole alla tutela dell’ambiente (Corte di Cassazione Penale Sez. III del 31 luglio 2003, Sentenza n. 32235 ) ed è in linea con quello sostenuto anche dalla Corte di Giustizia Europea, secondo cui per ritenere sussistenti i presupposti di fatto e di diritto che legittimano le rispettive figure, deve verificarsi la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla legge.
Inapplicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 257, co. 4 D.Lvo n. 152/06. La difesa ha infine eccepito che gli imputati potrebbero giovarsi della causa di non punibilità prevista dall’articolo 257, co. 4, D.Lvo 152/06 (“l’osservanza dei progetti approvati ai sensi dell’art. 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1”), essendo stata effettivamente bonificata l’area.
L’assunto difensivo, peraltro frequentemente prospettato in casi analoghi, è destituito di fondamento .
Invero, come emerge dalla lettera della norma invocata, la causa di non punibilità di cui all’art. 257 co. 4 si riferisce al reato di cui al primo comma dello stesso articolo ed a quelli previsti da altre leggi in cui l’ evento di inquinamento concorre ad integrare la fattispecie; si discute se come elemento costitutivo ovvero come condizione obiettiva di punibilità.
A prescindere dall’adesione all’una o all’altra tesi sulla natura dell’evento di inquinamento, è comunque da escludere la riferibilità della predetta causa di non punibilità al reato di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata previsto dall’art. 256.
Trattasi infatti di reato di pericolo (cfr. Cass. 39861 del 14/7/2004), la cui consumazione prescinde dall’accertamento sulla verificazione in concreto dell’evento inquinante.
Sul punto, appare opportuno altresì precisare che non è soltanto la lettera della norma ad escludere l’applicabilità al reato previsto e punito dal’art. 256 della predetta causa di non punibilità, ma anche la differente ratio legis sottesa alle due disposizioni in confronto.
Infatti, la ratio incriminatrice del reato di gestione di discarica abusiva attiene al più vasto profilo della osservanza dei sistemi di controllo, diretti ad assicurare alla Pubblica amministrazione, in via preventiva, la verifica delle scelte di realizzazione e gestionali, riguardanti anche l’individuazione dei siti e la correttezza delle linee-guida da osservare in relazione ad un’attività che ha potenzialmente un notevole impatto ambientale, non equiparabile perciò ad un singolo e circoscritto episodio di inquinamento.
Peraltro, anche nell’ottica della impostazione difensiva, per nulla condivisa da questo Tribunale, la bonifica non sarebbe stata effettuata secondo i dettami della norma, non essendo mai state osservate le prescrizioni di cui all’art. 242, già contenute nel Decreto Ronchi, all’articolo 17.
Sotto il profilo soggettivo, risulta accertato che gli imputati hanno concorso nella realizzazione e nelle gestione della discarica, nelle rispettive qualità di sindaco e responsabile del servizio, utilizzando l’area nel modo accertato, senza alcuna autorizzazione.
Invero, agli stessi è rispettivamente ascrivibile la decisione e l’esecuzione del deliberato, concernenti l’utilizzo dell’area secondo le modalità contestate nell’imputazione e accertate in dibattimento.
Il sindaco infatti – come documentato dalla comunicazione al Corpo Forestale del 9 agosto 2002 – ha disposto l’utilizzazione dell’area per il deposito dei rifiuti, successivamente gestita dal coimputato, responsabile del servizio.
Sotto il profilo sanzionatorio, possono concedersi ai prevenuti, entrambi incensurati, le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulla contestata aggravante.
Pertanto, tenuto conto dei criteri di cui agli artt. 133 e seguenti c.p., si ritiene di giustizia la pena di mesi 8 di arresto ed euro 4500,00 di ammenda (p.b. anni 1 ed euro 6000; - 62 bis = mesi 8 ed euro 4500). Segue per legge la condanna di entrambi al pagamento delle spese processuali.
Possono essere concessi i doppi benefici, formulandosi una prognosi favorevole sulla futura astensione da ulteriori reati, in considerazione dell’incensuratezza dei prevenuti.
La condotta accertata ha - di sicuro - provocato un danno alle costituite parti civili, in quanto proprietarie dell’area su cui è stata gestita abusivamente la discarica, con evidente danno al territorio.
La difesa degli imputati al riguardo ha eccepito che il procuratore speciale dei proprietari non avrebbe provato il diritto.
Al contrario, si ritiene ampiamente provata la legittimazione, avendo il testimone Siniscalchi dichiarato di aver verificato la proprietà dell’area in capo agli eredi Capocchiano, meglio individuati nell’atto di costituzione di parte civile, mediante esame dei titoli e misura al catasto; il tutto, con gli opportuni riscontri documentali contenuti anche nella relazione dell’ispettore Rota, di cui al verbale di sopralluogo del 24 marzo 2004.
La liquidazione del danno è rimessa al competente giudice civile.
Le spese di costituzione si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.
Dichiara De Vuono Carlo e De Vuono Francesco colpevoli del reato loro ascritto e, concesse le attenuanti generiche, li condanna ciascuno alla pena di mesi 8 di arresto ed euro 4500,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
Concede agli imputati i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
Dispone la restituzione del fondo in sequestro agli aventi diritto.
Letti gli articoli 538 e seguenti c.p.p.
Condanna gli imputati, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle costituite pari civili “eredi Capocchiano”, da liquidarsi in separata sede, oltre alla rifusione delle spese di costituzione liquidate in complessivi euro 2000,00 per onorari, oltre rimborso forfetario, IVA e CPA come per legge.
Giorni 30 per i motivi.
Cosenza, 2/10/08 Il Giudice
Dr. Francesco Luigi Branda
In fatto e diritto. I signori De Vuono Carlo e De Vuono Francesco sono stati tratti a giudizio, imputati del reato previsto e punito dall’art. 51 D. lvo 22/97, per aver realizzato e gestito, nelle rispettive qualità di sindaco e responsabile del relativo servizio, una discarica non autorizzata di rifiuti, anche pericolosi, in località Torre Oranges del Comune di Aprigliano, con permanenza protratta fino alla data del sequestro eseguito il 24 marzo 2004.
All’udienza del 22 febbraio 2007, costituite ritualmente le parti civili e dichiarata la contumacia degli imputati, veniva aperto il dibattimento ed ammesse le prove così come richieste.
Nella stessa udienza ed in quelle successive del 21/6/07, 22/9/07, 3/4/08 e 2/10/2008, venivano escussi i testimoni ed esaminato l’imputato De Vuono Francesco, frattanto costituitosi; all’esito, le parti discutevano illustrando le rispettive conclusioni ed il processo processo era definito
Ritiene il Tribunale che sia stata fornita piena prova di colpevolezza dei prevenuti in ordine al reato loro ascritto.
Dall’istruttoria svolta è emerso che costoro – senza essere muniti di alcuna autorizzazione - hanno rispettivamente concorso alla realizzazione e gestione di una discarica di rifiuti in località Torre Oranges, nel terreno di proprietà degli eredi Capocchiano.
In particolare il teste Rota Giancarlo, ispettore superiore del Corpo Forestale dello Stato, ha riferito che nel marzo 2004, su segnalazione dei colleghi di Aprigliano, intervenne sul sito sopra descritto, ed effettuò un sopralluogo.
In tale circostanza, verificò che, all\'interno della suddetta area, in una superficie estesa per circa 500 metri quadri, erano stati accumulati notevoli quantitativi di rifiuti, costituiti da carcasse di elettrodomestici (frigoriferi e lavatrici) ed altri ingombranti, e soprattutto, da alcuni di tipo pericoloso, quali batterie esauste di autoveicoli (almeno 10) e numerosi frammenti di eternit.
I rifiuti erano posizionati direttamente sul suolo, senza alcuna impermeabilizzazione diretta ad evitare la contaminazione del terreno sottostante; nelle immediate vicinanze era situato il ripartitore dell’acquedotto comunale.
Quanto alla permanenza dei rifiuti rinvenuti sul posto, la stessa era risalente ad almeno un anno, posto che tra gli stessi era addirittura cresciuta vegetazione erbacea.
In relazione ai soggetti, il teste ha riferito di aver verificato che De Vuono Carlo, sindaco pro tempore del Comune di Appigliano, con una comunicazione del 9 agosto 2002, aveva individuato la predetta area, destinandola alla raccolta di rifiuti; servizio di cui era responsabile De Vuono Francesco.
Pertanto, dopo aver effettuato i rilievi fotografici, procedette al sequestro preventivo dell\'area, avendo accertato che per la realizzazione della suddetta discarica non era mai stata richiesta ed ottenuta alcuna autorizzazione.
Gli altri testi d’accusa, Perri e Siniscalchi, hanno puntualmente confermato tali circostanze, riferendo che i rifiuti meglio rappresentati nelle fotografie erano costantemente presenti sull’area; la teste Siniscalchi ha poi dichiarato di aver accertato, previo esame dei titoli di proprietà e visura catastale, che l’area in oggetto ricadeva nella proprietà degli eredi Capocchiano.
Il rapporto fotografico, acquisito al fascicolo del dibattimento, conferma con assoluta chiarezza e maggiore dettaglio, la versione dei fatti fornita dai suddetti testimoni; invero, dalla visione delle rappresentazioni fotografiche, emerge che sull’area denominata Torre Oranges, al momento del sopralluogo, erano accumulate ingenti quantità di rifiuti costituiti da elettrodomestici abbandonati, rottami ferrosi, batterie esauste (vedi foto 6) e frammenti di eternit (foto 3- 5- 8 -9), scaricati sul suolo e senza alcuna protezione per evitare contaminazioni del terreno sottostante.
L’imputato De Vuono Francesco, in sede di dichiarazioni spontanee, ha ammesso di essere il responsabile del servizio rifiuti; ha confermato che la scelta del sito per la raccolta dei rifiuti ingombranti era stata effettuata dal coimputato sindaco; quanto alla presenza di rifiuti pericolosi, in particolare di quelli contenenti amianto, ha rilevato che non si trattava di fogli di eternit, bensi di schegge di eternit piccole dimensioni (cm 25 x 15 circa); ha precisato che il sito, utilizzato per il deposito da più anni, era situato a circa cento metri di distanza dalla case popolari e che nelle immediate vicinanze v’erano gli impianti dell’acquedotto, seppur collocati ad un livello altimetrico superiore.
I testi della difesa, Morelli, Savaia e Misuraca, hanno riferito che l’area era utilizzata dal 2001- 2002, soprattutto dagli operatori ecologici del Comune, per la raccolta dei rifiuti ingombranti che, circa una volta al mese, venivano prelevati dalla ditta Calabria Maceri, incaricata dello smaltimento in altra sede. Costoro hanno altresì precisato che De Vuono Franco era il comandante della Polizia Municipale del Comune di Appigliano e responsabile della raccolta dei rifiuti
I testi Ritacco e Sirangelo, dipendenti della Calabria Maceri, hanno dichiarato di aver provveduto al prelievo dei rifiuti dalla predetta area con cadenza pressoché mensile, limitandosi a quelli ingombranti costituiti da carcasse di elettrodomestici, materassi, ferrame e parti di autovetture; hanno aggiunto, di non aver verificato se ci fossero rifiuti contenenti amianto, per i quali peraltro non avrebbero potuto procedere al prelievo , perché non consentito dalla ditta di appartenenza.
In diritto. La contestazione mossa agli imputati è di aver realizzato e gestito una discarica di rifiuti senza autorizzazione.
La nozione di discarica è stata dapprima delineata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in mancanza di uno specifico riferimento normativo; e quindi recentemente disciplinata con l’attuazione della direttiva CEE n.31/1999 , ad opera del D.lvo n.36/2003.
La definizione assume rilievo con riferimento alle conseguenze sanzionatorie previste dal D.L.vo n. 22/97, come riformulato dall’art.256 D.Lvo 152/06, in relazione all’ipotesi di reato integrata dalla realizzazione e/o gestione di una discarica non autorizzata, ben più grave rispetto, ad esempio, all’abbandono o al deposito incontrollato di rifiuti.
Sul punto la prima pronuncia significativa è stata quella della Sezioni Unite della Suprema Corte n.12753 del 28 dicembre 1994, che affrontando il tema di realizzazione e gestione di discarica abusiva ha precisato che “la realizzazione di discarica consiste nella destinazione e allestimento a tale scopo di una data area, con l’effettuazione di norma delle opere a tal fine occorrenti: spianamento del terreno impiegato, apertura dei relativi accessi, sistemazione, perimetrazione e recinzione …. La gestione di discarica senza autorizzazione presuppone l’apprestamento di un area per raccogliervi i rifiuti, e consiste nell’attivazione di una organizzazione articolata o rudimentale non importa, di persone, cose e/o macchine dirette al funzionamento della discarica”.
Con successiva sentenza n. 3968 del 12 aprile 1995, la III sezione, ha affermato che “L’accumulo ripetuto nello stesso luogo di rifiuti speciali, ben interpreta il concetto giuridico di discarica non autorizzata; , e l’anno dopo, con sentenza. 8 novembre 1996, n. 9579, ha ulteriormente specificava che: “è’ configurabile il reato di discarica abusiva (sanzionato ai sensi dell’art. 51 comma 3 del decreto Ronchi) anche quando i rifiuti vengano accumulati in un’area trasformata di fatto in deposito degli stessi, mediante una condotta ripetuta, consistente nell’abbandono - per un tempo considerevole e comunque non determinato - di una notevole quantità, che occupa uno spazio cospicuo. La provvisorietà e lo stoccaggio in attesa di un trasferimento, da attuare in tempi lunghi, non escludono la sussistenza dell’illecito”.
Più di recente, la Suprema Corte (sent. 10 ottobre 2001, n. 2597) ha nuovamente affrontato il problema temporale della permanenza dei rifiuti: “L’attività di deposito incontrollato di rifiuti che non sia occasionale e discontinua bensì reiterata per un tempo apprezzabile e con carattere di definitività integra gli estremi del reato di cui all’art. 51 comma 3 del D. L.vo n. 22/97”.
E sotto il profilo del degrado connesso all’abbandono dei rifiuti, con sentenza n. 6796 del 20 febbraio 2002, ha precisato che “ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, non è sufficiente l’accumulo più o meno sistematico di rifiuti in un’area controllata, ma occorre l’ulteriore elemento costituito dal degrado, quanto meno tendenziale dello stato dei luoghi, per effetto della presenza dei materiali destinati all’abbandono”, inoltre quanto all’apporto di rifiuti, secondo la Corte, “… può essere unico, purché sia considerevole, e tale da far assumere al luogo una non equivoca destinazione”.
In sintesi, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza, al fine della individuazione del concetto di discarica sono necessari due elementi: a) il numero e il tempo dei conferimenti, che denota una sorta di organizzazione dell’attività; b) la trasformazione subita dal territorio per effetto degli stessi, a seguito della permanenza della destinazione dell’area.
La materia è stata poi puntualmente regolata dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 36/2003, che in attuazione della direttiva comunitaria n. 31/1999, ha introdotto nel nostro ordinamento la definizione di discarica.
I effetti, all’art. 3, comma 1, lettera g), del predetto decreto, viene delineata la definizione di discarica come l\' "area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno".
Al riguardo, appare necessario ricordare la finalità della disciplina legislativa, dichiarata all’art. 1 del suddetto decreto: “Per conseguire le finalità di cui all\'articolo 2 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 il presente decreto stabilisce requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche, misure, procedure e orientamenti tesi a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull\'ambiente, in particolare l\'inquinamento delle acque superficiali, delle acque sotterranee, del suolo e dell\'atmosfera, e sull\'ambiente globale, compreso l\'effetto serra, nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l\'intero ciclo di vita della discarica.
E’ evidente infatti che anche l’interpretazione della norma deve essere orientata secondo la suddetta finalità.
Tanto premesso, la definizione di discarica data dal legislatore si riferisce evidentemente ad un’area adibita – id est stabilmente destinata – allo smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo.
Dunque gli elementi caratterizzanti ( che giustificano il particolare rigore nella disciplina e nelle precauzioni da adottare per impianti di tal genere), sono costituiti dalla stabile destinazione alle fasi dello smaltimento e dal contatto diretto dei rifiuti con il suolo.
A ben vedere, la definizione legislativa coincide con i risultati cui era già pervenuta la giurisprudenza della Suprema Corte.
Siffatta definizione è operante anche a seguito dell\'entrata in vigore del decreto legislativo n.152 del 2006 poichè anche l\'art.256 terzo comma del citato decreto legislativo, come a suo tempo l\'articolo 51 terzo comma del decreto Ronchi, deve necessariamente essere letto in correlazione con il decreto legislativo n.36 del 2003 ( così, letteralmente, Cass. Sez. III n. 19221 del 13 maggio 2008).
In sintesi, secondo la legislazione vigente, come univocamente interpretata dalla Suprema Corte si ha discarica abusiva tutte le volte in cui per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale carattere di definitività".
I suddetti elementi oggettivi si riscontrano indubbiamente nel caso concreto, posto che – secondo quanto dichiarato dai testi e rappresentato con estrema chiarezza dalle fotografie in atti – nel sito di Torre Oranges, gli odierni imputati hanno realizzato e gestito un impianto in cui sono stati sistematicamente scaricati al suolo, senza alcuna precauzione per la tutela dell’ambiente, ingenti quantitativi di rifiuti, tra cui alcuni pericolosi, quali ad esempio i frammenti di eternit e le batterie d’auto esauste; inoltre, la suddetta area è stata destinata a tempo indeterminato allo scarico dei rifiuti, con evidente degrado ambientale; il tutto senza alcuna autorizzazione .
La difesa ha controdedotto che tali rifiuti venivano depositati sul posto, in attesa di essere trasportati altrove per lo smaltimento.
Tuttavia l’argomento difensivo non vale ad escludere l’ipotesi di reato contestata, per i seguenti motivi:
- i rifiuti, costantemente reintegrati, erano continuamente presenti sull’area e sempre in quantitativi considerevoli.
Al riguardo, basta ricordare che, secondo le stesse dichiarazioni dell’imputato De Vuono Francesco, l’area era destinata alla raccolta di tali rifiuti da più anni.
- Lo scarico era effettuato direttamente sul suolo, senza alcuna precauzione idonea ad evitare l’inquinamento del suolo sottostante.
- L’area era stata destinata stabilmente a ricevere i rifiuti e tale destinazione non era affatto transitoria, posto che - secondo quanto dichiarato dagli stessi testi indicati dalla difesa – il Comune aveva organizzato sullo stesso sito il deposito preliminare di grandi quantità di rifiuti in attesa del successivo trasporto altrove.
- Il trasporto in altra discarica non avveniva tempestivamente; infatti, come dichiarato dai testimoni gli stessi rifiuti depositati erano rimasti sull’area per lunghi periodi (secondo il teste Rota, per almeno un anno; per i testi della difesa, almeno, nell’ordine di 1 mese) ed i quantitativi venivano costantemente reintegrati, in modo che la stessa area era sempre ricoperta da rifiuti del medesimo genere.
- Alcuni rifiuti – addirittura quelli più pericolosi quali i frammenti di eternit- non venivano mai smaltiti, posto che, come dichiarato dallo stesso teste della difesa Ritacco, i dipendenti della ditta incaricata (Calabria Maceri) non potevano prelevarli.
- Per l’eternit, preoccupante appare la deduzione difensiva ( vedi esame dell’imputato) secondo cui lo stesso rifiuto non era presente in lastre di consistenti dimensioni, bensì in piccole schegge; infatti, il maggior pericolo di diffusione delle polveri di amianto, com’è noto, deriva proprio dalla frammentazione dell’eternit.
- Il deposito ed accumulo dei rifiuti, del tutto privi di qualsivoglia precauzione idonea ad evitare l’inquinamento del terreno sottostante, ha provocato un notevole degrado della zona, come visivamente ben documentato dalle rappresentazioni fotografiche. In proposito, ad ulteriore dimostrazione del degrado all’ambiente circostante, provocato dai cumuli di rifiuti, occorre evidenziare che la discarica è stata realizzata e gestita in vicinanza del centro abitato (case popolari) e degli impianti dell’acquedotto comunale .
Tali elementi di fatto costituiscono dunque gli elementi integrativi del reato contestato anche nel quadro delineato dal decreto . 36 del 2003.
Come già accennato, all’art. 3, comma 1, lettera g) del predetto decreto, viene delineata la definizione di discarica come l\' "area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno".
Innanzitutto va premesso che, secondo l’autorevole insegnamento della Suprema Corte, nel concetto di smaltimento di rifiuto devono infatti essere comprese tutte le fasi della vita dello stesso, che possono dividersi in: a) operazioni preliminari (conferimento, spazzamento, cernita, raccolta e trasporto); b) operazioni di trattamento (trasformazione, recupero, riciclo, innocuizzazione); c) operazioni di deposito (nel suolo o sottosuolo). (Fattispecie relativa allo spianamento di terreno adibito a deposito di rifiuti, integrante secondo la Suprema Corte – la realizzazione di una discarica: Sezione III, n.1819 del 29/07/1999) .
Orbene, nel caso concreto, è indubbio che l’area in questione è stata adibita ad una fase dello smaltimento consistita nel deposito preliminare, mediante operazioni di scarico sul suolo di ingenti quantitativi di rifiuti, poi abbandonati in loco per un considerevole lasso di tempo .
Non ricorre, inoltre, alcuna delle esclusioni previste dal capoverso della norma citata.
Così, in primo luogo, non può ritenersi che il sito di Torre Oranges rientri tra gli “impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento”.
L’ipotesi normativamente prevista deve essere infatti riferita agli impianti in cui le fasi dello scarico e del successivo prelievo per il trasporto altrove non siano intervallate da lunghi periodi di tempo in cui i rifiuti restino abbandonati sul suolo, con evidente pericolo di inquinamento del terreno sottostante.
Nella specie, al contrario, è stato riscontrato che i rifiuti venivano costantemente scaricati sul suolo e abbandonati anche per mesi nella stessa area in attesa di trasportati altrove; inoltre, non risultava adottata alcuna precauzione (impermeabilizzazione) idonea ad evitare l’inquinamento del terreno.
Tutto ciò dimostra che il deposito effettuato non è assolutamente ascrivibile alle operazioni strettamente funzionale allo scarico ed alla preparazione al successivo trasporto altrove.
Per la stessa ragione, non ricorre neanche l’ipotesi dello stoccaggio posto che “essa consiste essenzialmente nel deposito preliminare di rifiuti finalizzato al sollecito compimento di una delle operazioni di smaltimento in senso stretto” e deve essere comunque connotata dalla assoluta separazione dei rifiuti dal suolo sottostante, in modo da evitare ogni pericolo di inquinamento (cfr., rispettivamente, Cass. 9168 del 09/10/1997 e Cass. 13105 del 24/03/2003).
Non è altresì ipotizzabile il deposito temporaneo in senso tecnico, in quanto - per aversi deposito temporaneo - i rifiuti devono originare da una attivita\' di produzione svolta proprio in quel luogo: Cass. n. 13606 del 23/12/1998.
Nel caso di specie, gli elementi dominanti che connotano la condotta, attraendola nella definizione di gestione di una discarica (sottoposta a ben maggiori obblighi di precauzione), sono costituiti dal fatto che i rifiuti erano accumulati in quantitativi considerevoli e venivano abbandonati sul suolo per un prolungato lasso di tempo, senza alcuna separazione dal terreno sottostante esposto perciò al pericolo di inquinamento, in una situazione di fatto che, nell’ottica di tutela per l’ambiente che presiede alla disciplina, presenta le connotazioni tipiche della discarica intesa come luogo in cui si svolge lo smaltimento di rifiuti (o alcune fasi dello smaltimento) mediante deposito sul suolo o nel suolo.
Il fatto che, sporadicamente, alcune quantità di rifiuti venissero prelevate e trasportate altrove, salvo essere immediatamente reintegrate con altre dello stesso tipo, pertanto non esclude affatto la destinazione dell’area a discarica.
La predetta valutazione è in aderenza con le dichiarate finalità di protezione dell’ambiente cui si ispira la disciplina sopravvenuta, che impongono l’osservanza del criterio ermeneutico più favorevole alla tutela dell’ambiente (Corte di Cassazione Penale Sez. III del 31 luglio 2003, Sentenza n. 32235 ) ed è in linea con quello sostenuto anche dalla Corte di Giustizia Europea, secondo cui per ritenere sussistenti i presupposti di fatto e di diritto che legittimano le rispettive figure, deve verificarsi la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla legge.
Inapplicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 257, co. 4 D.Lvo n. 152/06. La difesa ha infine eccepito che gli imputati potrebbero giovarsi della causa di non punibilità prevista dall’articolo 257, co. 4, D.Lvo 152/06 (“l’osservanza dei progetti approvati ai sensi dell’art. 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1”), essendo stata effettivamente bonificata l’area.
L’assunto difensivo, peraltro frequentemente prospettato in casi analoghi, è destituito di fondamento .
Invero, come emerge dalla lettera della norma invocata, la causa di non punibilità di cui all’art. 257 co. 4 si riferisce al reato di cui al primo comma dello stesso articolo ed a quelli previsti da altre leggi in cui l’ evento di inquinamento concorre ad integrare la fattispecie; si discute se come elemento costitutivo ovvero come condizione obiettiva di punibilità.
A prescindere dall’adesione all’una o all’altra tesi sulla natura dell’evento di inquinamento, è comunque da escludere la riferibilità della predetta causa di non punibilità al reato di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata previsto dall’art. 256.
Trattasi infatti di reato di pericolo (cfr. Cass. 39861 del 14/7/2004), la cui consumazione prescinde dall’accertamento sulla verificazione in concreto dell’evento inquinante.
Sul punto, appare opportuno altresì precisare che non è soltanto la lettera della norma ad escludere l’applicabilità al reato previsto e punito dal’art. 256 della predetta causa di non punibilità, ma anche la differente ratio legis sottesa alle due disposizioni in confronto.
Infatti, la ratio incriminatrice del reato di gestione di discarica abusiva attiene al più vasto profilo della osservanza dei sistemi di controllo, diretti ad assicurare alla Pubblica amministrazione, in via preventiva, la verifica delle scelte di realizzazione e gestionali, riguardanti anche l’individuazione dei siti e la correttezza delle linee-guida da osservare in relazione ad un’attività che ha potenzialmente un notevole impatto ambientale, non equiparabile perciò ad un singolo e circoscritto episodio di inquinamento.
Peraltro, anche nell’ottica della impostazione difensiva, per nulla condivisa da questo Tribunale, la bonifica non sarebbe stata effettuata secondo i dettami della norma, non essendo mai state osservate le prescrizioni di cui all’art. 242, già contenute nel Decreto Ronchi, all’articolo 17.
Sotto il profilo soggettivo, risulta accertato che gli imputati hanno concorso nella realizzazione e nelle gestione della discarica, nelle rispettive qualità di sindaco e responsabile del servizio, utilizzando l’area nel modo accertato, senza alcuna autorizzazione.
Invero, agli stessi è rispettivamente ascrivibile la decisione e l’esecuzione del deliberato, concernenti l’utilizzo dell’area secondo le modalità contestate nell’imputazione e accertate in dibattimento.
Il sindaco infatti – come documentato dalla comunicazione al Corpo Forestale del 9 agosto 2002 – ha disposto l’utilizzazione dell’area per il deposito dei rifiuti, successivamente gestita dal coimputato, responsabile del servizio.
Sotto il profilo sanzionatorio, possono concedersi ai prevenuti, entrambi incensurati, le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulla contestata aggravante.
Pertanto, tenuto conto dei criteri di cui agli artt. 133 e seguenti c.p., si ritiene di giustizia la pena di mesi 8 di arresto ed euro 4500,00 di ammenda (p.b. anni 1 ed euro 6000; - 62 bis = mesi 8 ed euro 4500). Segue per legge la condanna di entrambi al pagamento delle spese processuali.
Possono essere concessi i doppi benefici, formulandosi una prognosi favorevole sulla futura astensione da ulteriori reati, in considerazione dell’incensuratezza dei prevenuti.
La condotta accertata ha - di sicuro - provocato un danno alle costituite parti civili, in quanto proprietarie dell’area su cui è stata gestita abusivamente la discarica, con evidente danno al territorio.
La difesa degli imputati al riguardo ha eccepito che il procuratore speciale dei proprietari non avrebbe provato il diritto.
Al contrario, si ritiene ampiamente provata la legittimazione, avendo il testimone Siniscalchi dichiarato di aver verificato la proprietà dell’area in capo agli eredi Capocchiano, meglio individuati nell’atto di costituzione di parte civile, mediante esame dei titoli e misura al catasto; il tutto, con gli opportuni riscontri documentali contenuti anche nella relazione dell’ispettore Rota, di cui al verbale di sopralluogo del 24 marzo 2004.
La liquidazione del danno è rimessa al competente giudice civile.
Le spese di costituzione si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.
Dichiara De Vuono Carlo e De Vuono Francesco colpevoli del reato loro ascritto e, concesse le attenuanti generiche, li condanna ciascuno alla pena di mesi 8 di arresto ed euro 4500,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
Concede agli imputati i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
Dispone la restituzione del fondo in sequestro agli aventi diritto.
Letti gli articoli 538 e seguenti c.p.p.
Condanna gli imputati, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle costituite pari civili “eredi Capocchiano”, da liquidarsi in separata sede, oltre alla rifusione delle spese di costituzione liquidate in complessivi euro 2000,00 per onorari, oltre rimborso forfetario, IVA e CPA come per legge.
Giorni 30 per i motivi.
Cosenza, 2/10/08 Il Giudice
Dr. Francesco Luigi Branda