Cass. Sez. III sent. 3969 del 1 febbraio 2006 (ud. 12 gennaio 2006)
Pres. Postiglione Est. Lombardi Imp. Spataro
Caccia e animali – art. 727 c.p. e risarcimento del danno ad associazione
Sussistendo continuità normativa tra a vecchia e la nuova formulazione
dell’articolo 727 c.p. può configurarsi il reato in caso di abbandono di un cane
in stato di infermità all’interno di un canile in un recinto dove sono custoditi
altri cani randagi con conseguente pericolo per l’incolumità dell’animale
esposto, a causa delle sue condizioni, a possibili aggressioni da parte degli
altri cani.
Nel caso in cui l’ENPA intervenga nel procedimento ex art. 91 c.p.p.,
perseguendo tale ente finalità di tutela di interessi generali non si configura
in uso favore alcun diritto al risarcimento del danno ma solo alla rifusine
delle spese processuali.
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott.Amedeo Postiglione
1.Dott.Pierluigi Onorato
2.Dott.Alfredo Maria Lombardi
3.Dott.Mario Gentile
4.Dott.Aldo Fiale
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto dall'avv. Galileo Gallo, difensore di fiducia di Spataro
Palmiro, n. a Melissa il 5.8.1952, avverso la sentenza in data 15.3.2005 del
Tribunale di Crotone, con la quale venne condannato alla pena di é 1.200,00 di
ammenda, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile, ENPA,
quale colpevole del reato di cui all'art. 727 c.p..
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria
Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Francesco
Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Crotone ha affermato la colpevolezza
di Spataro Palmiro in ordine al reato di cui all'art. 727 c.p., ascrittogli per
avere abbandonato un cane.
E' stato accertato in punto di fatto che lo Spataro aveva portato il cane di
proprietà della moglie dal veterinario, perché ne accertasse le condizioni
fisiche, essendo stato investito, ed il dottore aveva riscontrato che l'animale
aveva riportato un trauma al bacino, che avrebbe reso necessario un periodo di
cure ed assistenza per almeno venti giorni. Nella circostanza l'imputato si
mostrava preoccupato, in quanto doveva partire e non poteva prendersi cura del
cane. Alcuni giorni dopo, di sera, l'addetta ad un centro di raccolta di cani
randagi udiva forti latrati provenire da una gabbia in cui erano rinchiusi i
cani e constatava che gli animali già presenti nel canile abbaiavano contro una
cagnetta, tutta bagnata ed infangata, che non faceva parte del gruppo
preesistente. Nel prosieguo si accertava che l'animale era da identificarsi con
quello di proprietà della moglie dello Spataro.
Il giudice di merito ha, quindi, affermato che il fatto integra il reato di cui
alla contestazione ed ha escluso l'attendibilità di quanto dichiarato dal
fratello dell'imputato, sentito quale teste, il quale aveva affermato di essere
stato lui a lasciare il cane all'esterno della gabbia in cui erano rinchiusi gli
altri animali.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che la
denuncia con vari motivi di gravame.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente denuncia la violazione ed
errata applicazione dell'art. 727 c.p..
Si deduce che la condotta attribuita all'imputato non integra la fattispecie
contravvenzionale di cui alla contestazione, essendo stato accertato che
l'animale non era stato abbandonato, ma depositato presso un canile pubblico. Si
deduce, inoltre che il giudice di merito ha ravvisato la sussistenza del reato
in considerazione della sofferenza inferta all'animale per essere stato
allontanato dai padroni, mentre tale fatto non integra certamente la fattispecie
dell'abbandono di animali domestici, che deve implicare un pericolo per
l'incolumità dell'animale abbandonato.
Con il secondo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la sentenza per
carenza o manifesta illogicità della motivazione.
Si deduce che il giudice di merito ha attribuito, senza adeguata motivazione, la
condotta illecita all'imputato, pur essendo stato accertato che il cane
apparteneva alla moglie di quest'ultimo. Si deduce inoltre che è stata disattesa
l'attendibilità di quanto dichiarato dal teste Spataro Francesco, che ha
attribuito a se stesso la condotta di cui alla contestazione, avendo peraltro
precisato di avere lasciato il cane fuori del recinto degli animali, benché tale
deposizione non fosse contrastata dalle altre emergenze processuali.
Con il terzo motivo si denuncia la sentenza per violazione di legge in relazione
all'ammissione della costituzione di parte civile dell'ENPA ed alla condanna al
risarcimento del danno morale in favore di detto ente.
Con l'ultimo motivo si deduce, infine, che la sentenza ha erroneamente
dichiarato le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, pur non
essendo stata contestata alcuna recidiva, risultando peraltro che l'imputato è
incensurato.
Il ricorso è fondato limitatamente alla pronuncia di condanna dell'imputato al
risarcimento del danno morale nei confronti dell'ENPA.
Rileva preliminarmente la Corte che il reato non è prescritto, essendo stato
sospeso il relativo termine per rinvio del dibattimento dal 20.1.2005 al
15.3.2005 su richiesta dell'imputato per il complessivo periodo di mesi uno e
giorni ventisei.
Il primo motivo di gravame è infondato.
Va premesso in punto di diritto che sussiste indubbia continuità normativa tra
la fattispecie del maltrattamento di animali, di cui all'art. 727 c.p., con
particolare riferimento all'ipotesi dello "abbandono di animali domestici o che
abbiano acquisito abitudini della cattività" e la fattispecie di cui all'art.
727 c.p., come novellato dall'art. 1 della L. 20.7.2004 n. 189, che punisce con
la più grave sanzione alternativa dell'arresto o dell'ammenda l'identica
condotta.
Ciò precisato in ordine alla persistente punibilità della fattispecie
contravvenzionale, osserva la Corte che il giudice di merito ha esattamente
inquadrato la condotta dell'imputato nell'ipotesi di reato ascrittagli.
E' stato, infatti, tra l'altro, accertato che lo Spataro non aveva consegnato il
cane agli addetti al canile pubblico, ma lo aveva abbandonato di nascosto nel
recinto in cui erano custoditi gli altri cani randagi e che tale fatto aveva
comportato un indubbio pericolo per l'incolumità dell'animale, in quanto gli
altri cani avrebbero potuto aggredire ed anche sbranare l'intruso approfittando
del suo stato di infermità, come peraltro dimostrato proprio dall'atteggiamento
assunto dai cani che già si trovavano nel recinto.
Pertanto, l'affermazione della colpevolezza dell'imputato non risulta affatto
fondata solo sulla considerazione della sofferenza derivante dal distacco
dall'ambiente affettivo cui l'animale era abituato.
Il secondo motivo costituisce una censura di fatto avverso l'accertamento di
merito ed è, perciò, inammissibile.
Peraltro, la affermazione della sentenza in ordine alla inattendibilità delle
dichiarazioni rese dal fratello dell'imputato, sentito quale teste, si palesa
fondata su una congrua motivazione, immune da vizi logici, essendo state
evidenziate dal giudice di merito le contraddizioni tra quanto dichiarato dal
teste e le altre risultanze processuali.
Il quarto motivo è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata non ha affatto dichiarato le attenuanti generiche
equivalenti alla recidiva, considerato, peraltro, che dette attenuanti sono
state concesse allo Spataro proprio in considerazione del suo stato di
incensuratezza.
E', invece, fondato il terzo motivo di gravame nei limiti sopra precisati.
Osserva la Corte che il giudice di merito ha ritualmente ammesso la costituzione
di parte civile dell'ENPA, ai sensi dell'art. 91 c.p.p., come peraltro precisato
nell'atto di costituzione in giudizio, trattandosi notoriamente di Ente che,
giusta la legge istitutiva del 11.4.1938 n. 612, modificata con legge del
19.5.1954 n. 303 e successive, persegue finalità di tutela degli interessi lesi
dal reato.
Nei casi di intervento ex art. 91 c.p.p., tuttavia, è stato reiteratamente
precisato dalla giurisprudenza di questa Corte che la possibilità di costituirsi
parte civile o, comunque di intervenire in giudizio per esercitare facoltà
analoghe a quelle della parte civile (sez. III, 199407275, Galletti e altri,
riv.198194), dell'ente che persegue finalità di tutela di interessi generali non
implica alcun diritto al risarcimento del danno, attesa la peculiare natura
dell'interesse che la nonna ha inteso tutelare, ma esclusivamente il diritto
alla rifusione delle spese processuali nell'ipotesi di condanna dell'imputato
(cfr. sez. III, 26.2.1991 n. 2603, Contento; conf. sez. III, 200243238,
Veronese, riv. 223040).
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio
limitatamente alla condanna dell'imputato al risarcimento del danno morale in
favore dell'ENPA, fatta salva, invece, la condanna alla rifusione delle spese
del grado sostenute dall'Ente.
Il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna
al risarcimento del danno in favore dell'ENPA, salva la rifusionione pese.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 12.1.06.