Cass. Sez. III n. 19955 del 9 maggio 2013 (ud. 9 apr. 2013)
Pres. Teresi Est. Ramacci Ric. Balzarini
Rifiuti. Attività di recupero soggette e procedura semplificata

Il decreto ministeriale del 5 febbraio 1998 è riferibile esclusivamente alle attività di recupero soggette a procedura semplificata, come è indicato nel titolo e come si rileva dall'esame del preambolo, dall'articolato e dal richiamo ad esso effettuato dall'articolo 214 d.lgs. 152\06.Tali attività riguardano esclusivamente il recupero di materia (riciclaggio) e non anche il recupero di energia.
Le prescrizioni apposte all'autorizzazione devono ritenersi vincolanti per il soggetto autorizzato non soltanto quando traggano origine da specifiche disposizioni normative che l'atto autorizzatorio semplicemente recepisce, ma anche quando siano apposte direttamente dall'amministrazione che le rilascia nell'esercizio del suo potere discrezionale

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 09/04/2013
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - N. 1087
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere - N. 34591/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BALZARINI MARIO N. IL 01/01/1955;
avverso la sentenza n. 407/2011 TRIBUNALE di ROVERETO, del 23/12/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/04/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Policastro Aldo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. (Ndr.: testo originale non comprensibile) A. RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Rovereto, in composizione monocratica, con sentenza del 23.12.2011, ha affermato la responsabilità penale di Mario BALZARINI, che ha condannato alla pena dell'ammenda, per i reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4 e D.Lgs. n. 133 del 2005, art. 19, comma 12 perché, quale responsabile per gli aspetti ambientali della "Marangoni s.p.a.", non osservava le prescrizioni contenute nell'autorizzazione rilasciata per l'effettuazione di attività di recupero di rifiuti mediante combustione del 7.2.2011 non accertando, così come stabilito al punto 2 del provvedimento, le caratteristiche dei rifiuti, consistenti in pneumatici usurati e camere d'aria con eventuale presenza di inquinanti superficiali (IPA minore 10 ppm) e scarti di gomma di varie dimensioni e forme e, sempre con riferimento al medesimo impianto di coincenerimento, per non aver osservato le prescrizioni dell'autorizzazione omettendo di acquisire, prima dell'accettazione dei rifiuti nell'impianto, le informazioni sui rifiuti indicate dal D.Lgs. n. 133 del 2005, art. 7, comma 4, lett. a) e b).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso denunzia la violazione di legge, rilevando che l'attività svolta, concernente il trattamento di pneumatici fuori uso tramite termo-demolizione con produzione di energia elettrica, è stata debitamente autorizzata con determinazione dirigenziale del 7.2.2011, con la quale veniva rinnovata la precedente autorizzazione dell'11.10.2005 per "l'esercizio dell'attività di messa in riserva (R13) e utilizzazione come combustibile per produrre energia da rifiuti (R1) non pericolosi costituiti da pneumatici fuori uso e scarti della lavorazione della gomma secondo il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 208".
Aggiunge che nel nuovo titolo abilitativo, alla descrizione del rifiuto ammesso (pneumatici fuori uso - CER 16.01.03), era stata aggiunta la dicitura "pneumatici usurati e camere d'aria con eventuale presenza di inquinanti superficiali (IPA minore 10 ppm)", prima non prevista e che, a seguito di un controllo, si era accertato come per il rifiuto avviato alle attività di recupero non fosse stato prodotto alcun rapporto di prova relativo alla sua caratterizzazione, ipotizzandosi così le violazioni contestate. Osserva, poi, che la "Marangoni s.p.a." ha richiesto ed ottenuto la modifica dell'autorizzazione, mediante la soppressione della parte nella quale era prevista la limitazione per la presenza di inquinanti superficiali nei rifiuti avviati al recupero e ciò in quanto tale limitazione è contemplata dal D.M. 5 febbraio 1998, richiamata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 214, solo per i rifiuti con codice CER 16.01.03 destinati ad attività di recupero di materia (R3) autorizzata in regime di procedura semplificata e non anche per attività di recupero energetico (R1) quale quella esercitata dall'azienda con autorizzazione ordinaria.
Ciò posto, deduce che il provvedimento impugnato avrebbe errato nel ritenere applicabile, anche nel suo caso, le prescrizioni contenute nel D.M. 5 febbraio 1998 considerando norme di carattere generale quelle contenute paragrafo 10.2.2, poiché una siffatta lettura non sarebbe compatibile con le finalità del decreto ministeriale, chiaramente individuate dal legislatore.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta ancora la violazione di legge, rilevando che il giudice del merito avrebbe omesso ogni considerazione in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, in quanto nessun rimprovero potrebbe muoversi all'imputato, il quale avrebbe comunque condotto l'impianto conformemente alle prescrizioni di legge che ben conosceva, tanto da segnalare alla amministrazione competente l'erronea previsione originariamente contenuta nell'autorizzazione e poi rimossa. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato e non può, pertanto, essere accolto. Va in primo luogo osservato che le considerazioni svolte dal ricorrente in ordine all'ambito di operatività del D.M. 5 febbraio 1998, con ampi riferimenti ad un contributo dottrinario in tema di messa in riserva agevolata dei rifiuti, appaiono corrette. Come è noto, l'attività di recupero dei rifiuti è definita dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. t) come "qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale (...)".
La medesima disposizione precisa, nell'ultimo periodo, che l'Allegato C alla parte 4^ del D.Lgs. 152 del 2006 riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero, tra le quali possono individuarsi, con riferimento agli pneumatici fuori uso e per quello che qui interessa, le seguenti operazioni: R1 "Utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia"; R3 "Riciclo/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)"; R13 "Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)2.
Il D.M. 5 febbraio 1998, che riguarda la "individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 31 e 33" è espressamente richiamato, con riferimento alle attività di recupero, dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 214, comma 4, il quale ne prevede l'applicabilità sino all'adozione dei decreti previsti dal comma 2 del medesimo articolo.
Il decreto, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, ha subito ulteriori modifiche - rispetto a quelle già apportate nel 2003 e nel 2004 - a seguito di quanto rilevato dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 7 aprile 2004, ad opera del D.M. 5 aprile 2006, n. 186 e dal D.Lgs. n. 4 del 2008 (art. 2, comma 47 relativamente ai rifiuti di carta, cartone, e prodotti di carta). Va peraltro ricordato che, con specifico riferimento agli pneumatici, la L. 31 luglio 2002, n. 179, art. 23, comma 2 dando riscontro alla Decisione 2000/532/CE del 3 maggio 2000, che aveva riformulato il codice CER 16 01 03, stabiliva, tra l'altro, che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio era autorizzato ad apportare le conseguenti modifiche ed integrazioni al D.M. Ambiente 5 febbraio 1998, come in effetti poi avveniva ad opera del D.M. 9 gennaio 2003, recante "Esclusione dei pneumatici ricostruibili dall'elenco di rifiuti non pericolosi" ove, considerata "la necessità di escludere i pneumatici ricostruibili dall'elenco dei rifiuti non pericolosi individuato dall'allegato 1 al citato D.M. 5 febbraio 1998" il quale sopprimeva la voce 10, punto 3, del suballegato 1 all'allegato 1 del D.M. 5 febbraio 1998 che tale tipologia di pneumatici contemplava, lasciando invece inalterata la voce 10, punto 2 concernente gli pneumatici non ricostruibili, le camere d'aria non riparabili e gli altri scarti di gomma. 5. Pertanto, il D.M. 5 febbraio 1998 attualmente considera, nell'Allegato 1, Suballegato 1, al punto 10.2, gli pneumatici non ricostruibili, camere d'aria non riparabili e altri scarti di gomma con codice CER 16.01.03 provenienti dall'industria della ricostruzione pneumatici, da attività di sostituzione e riparazione pneumatici e attività di servizio, da attività di autodemolizione autorizzata, autoriparazione e industria automobilistica. Le attività considerate al punto 10.2.3 sono la messa in riserva di rifiuti di gomma (R13) con lavaggio, triturazione e/o vulcanizzazione per sottoporli alle seguenti operazioni di recupero: a) recupero nell'industria della gomma per mescole compatibili (R3); b) recupero nella produzione bitumi (R3); c) realizzazione di parabordi previo lavaggio chimico fisico se contaminato, eventuale macinazione, compattazione e devulcanizzazione (R3).
Il punto 10.2.2. individua così le caratteristiche del rifiuto:
"pneumatici usurati e camere d'aria con eventuale presenza di inquinanti superficiali (IPA minore 10 ppm); scarti di gomma di varie dimensioni e forme", mentre le caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti sono individuate dal successivo punto 10.2.4: a) manufatti in gomma nelle forme usualmente commercializzate; b) e c) bitumi e parabordi nelle forme usualmente commercializzate.
I rifiuti classificabili con codice CER 16.01.03 sono contemplati anche nel medesimo sub-allegato, al punto 14, tra i rifiuti speciali non pericolosi per la produzione di CDR (combustibile da rifiuti, categoria peraltro non più compresa nel D.Lgs. n. 152 del 2006 dopo le modifiche apportatevi dal D.Lgs. 205 del 2010) e nel punto 17 tra i rifiuti recuperabili con processi di pirolisi o gassificazione. Le quantità massime di rifiuti recuperabili sono poi indicate nell'allegato 4, suballegato 1 del medesimo decreto. 6. Date tali premesse, deve rilevarsi che, come correttamente osservato in ricorso, effettivamente il D.M. del 1998 è riferibile esclusivamente alle attività di recupero soggette a procedura semplificata, come è indicato nel titolo e come si rileva dall'esame del preambolo, dall'articolato e dal richiamo ad esso effettuato dal già menzionato D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 214.
Tali attività riguardano esclusivamente, come si è visto, il recupero di materia (riciclaggio) e non anche il recupero di energia. Erra dunque il Tribunale laddove attribuisce alla disposizione richiamata una portata generale che obiettivamente non ha, essendo, come si è detto, riferita alle sole operazioni di recupero soggette a procedura semplificata, tra le quali non rientra quella svolta dal ricorrente soggetta, come pure si è detto, ad autorizzazione ordinaria.
7. All'inapplicabilità del decreto ministeriale all'attività svolta dal ricorrente viene attribuito, in ricorso, rilievo determinante ai fini dell'esclusione di responsabilità dell'imputato, ma così non è.
L'attività di recupero energetico effettuata dal ricorrente è soggetta, come si è visto, all'autorizzazione unica prevista dal D.Lgs. n. 153 del 2006, art. 208.
Seppure in termini estremamente generici, va ricordato che il rilascio del provvedimento autorizzatorio presuppone, come è noto, l'espletamento di un complesso procedimento amministrativo, ove l'amministrazione opera un preventivo controllo di compatibilità dell'impianto con la normativa di settore attraverso un'istruttoria tecnica, all'esito del quale viene emesso il titolo abilitativo. L'autorizzazione unica, in particolare, prevede la convocazione di apposita conferenza di servizi, che rappresenta luogo procedimentale di complessiva valutazione del progetto presentato, tanto che l'art. 208, comma 6 assegna al provvedimento conclusivo del procedimento una funzione sostitutiva di tutti gli atti e provvedimenti ordinariamente di competenza di altre autorità territoriali, che assumono così il ruolo di interlocutori procedimentali.
Il provvedimento, di così ampia portata, risulta anche connotato da evidente discrezionalità, atteso che l'amministrazione può incidere anche in modo rilevante sull'attività autorizzata attraverso l'imposizione di prescrizioni che possono integrare o, addirittura, limitare l'efficacia del provvedimento.
L'art. 208, comma 11 è inequivocabile in tal senso, disponendo che l'autorizzazione individui, in generale, le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'art. 178 ed "almeno" alcuni elementi specificamente indicati, quali, tra gli altri, i tipi ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti e alla modalità di verifica, monitoraggio e controllo della conformità dell'impianto al progetto approvato per ciascun tipo di operazione autorizzata; le misure precauzionali e di sicurezza da adottare.
L'uso dell'avverbio "almeno" evidenzia come l'elencazione sia indicativa e non tassativa, cosicché l'amministrazione può apporre ulteriori clausole che delimitino ulteriormente l'attività lecitamente espletabile.
Alla luce di quanto appena osservato deve, pertanto, concludersi che, nella fattispecie, la previsione, da parte dell'amministrazione che ha rilasciato il titolo, di uno specifico requisito del rifiuto da recuperare (presenza di IPA minore 10 ppm), risulta pienamente legittimo perché rientrante nell'ambito dell'ampia discrezionalità riconosciuta dal legislatore.
8. Da ciò consegue anche che le prescrizioni apposte
all'autorizzazione devono ritenersi vincolanti per il soggetto autorizzato non soltanto quando traggano origine da specifiche disposizioni normative che l'atto autorizzatorio semplicemente recepisce, ma anche quando siano apposte direttamente dall'amministrazione che le rilascia nell'esercizio del suo potere discrezionale.
L'attribuzione di tale potere, inoltre, trova una giustificazione evidente, come pure osservato in dottrina, nella necessità di adeguare l'esercizio dell'attività autorizzata a specifiche esigenze relative al singolo insediamento attraverso l'imposizione di prescrizioni limitative o modali.
È pertanto evidente che, per quanto detto in precedenza, il destinatario del provvedimento non potrà certo ignorare le prescrizioni imposte con l'atto abilitativo e che ne delineano l'ambito di efficacia ed esercitare comunque l'attività autorizzata, pur potendo far ricorso agli ordinari strumenti di tutela qualora intenda porre in discussione la legittimità del titolo abilitante. 9. La inosservanza delle prescrizioni imposte è, inoltre, certamente idonea a configurare le contravvenzioni contestate. Il reato previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4, come si è già avuto modo di rilevare, è reato proprio, in quanto l'agente è necessariamente il soggetto destinatario del titolo abilitativo, permanente (Sez. 3, n. 16890, 5 maggio 2005) e formale, poiché richiede, per la sua configurabilità, la mera inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, ovvero la carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni avendo come finalità quella di assicurare il controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione (Sez. 3, n. 6256 del 21 febbraio 2011; Sez. 3, n. 20277, 21 maggio 2008; Sez. 3, n. 35621, 27 settembre 2007; Sez. 3, n. 15560, 18 aprile 2007; Sez. 3, n. 38186, 8 ottobre 2003).
Analogamente, l'ipotesi contravvenzionale contemplata dal D.Lgs. n. 133 del 2005, art. 19, comma 12 sanziona penalmente chiunque, nell'esercizio di un impianto autorizzato di incenerimento o coincenerimento, non osserva le prescrizioni contenute in diverse disposizioni richiamate, tra cui figura quella oggetto di contestazione nella fattispecie, che riguarda l'art. 7, comma 1 del medesimo D.Lgs., il quale stabilisce che il gestore dell'impianto di incenerimento o di coincenerimento deve adottare tutte le precauzioni necessarie riguardo alla consegna e alla ricezione dei rifiuti per evitare o limitare per quanto praticabile gli effetti negativi sull'ambiente, in particolare l'inquinamento dell'aria, del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonché odori e rumore e i rischi diretti per la salute umana. Le misure devono inoltre soddisfare almeno le condizioni indicate nei successivi commi 3, 4 e 5 del medesimo articolo, che individuano uno specifico onere di informazione e particolari procedure di ricezione del rifiuto da parte del gestore.
La disciplina delineata dal D.Lgs. n. 133 del 2005, tuttavia, è speciale rispetto a quella generale sui rifiuti delineata dal D.Lgs. n. 152 del 2006 come osservato dalla Corte Costituzionale, la quale ha rilevato che l'intera disciplina contenuta nel menzionato decreto legislativo si pone "in termini di specialità rispetto alla disciplina generale riguardante gli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, contenuta nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 208 e ss. (Norme in materia ambientale), e rispetto a quella riguardante i soli impianti di incenerimento di rifiuti urbani, sottoposti all'autorizzazione integrata ambientale, già contenuta nel D.Lgs. n. 59 del 2005, oggi trasfusa nel Titolo 3^ bis del D.Lgs. n. 152 del 2006" (Corte Cost. Ord. 253, 27 luglio 2011). Nella menzionata pronuncia viene altresì posto in rilievo il richiamo effettuato dal D.Lgs. al regime autorizzazione previsto dalle disposizioni generali per la "valutazione di conformità dei singoli impianti alle prescrizioni (requisiti e condizioni) in esso contenute".
Al richiamato regime autorizzazione si aggiungono, infatti, le ulteriori disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 133 del 2005, art. 4 e ss..
10. Ciò posto, deve però rilevarsi che, nella fattispecie, l'oggetto della contestazione risulta, alla luce della limitata cognizione del fatto consentita a questa Corte in base al contenuto del ricorso e del provvedimento impugnato (essendo precluso l'accesso agli atti del procedimento), essere riconducibile a condotte diverse, facendosi riferimento, nel capo a), alla inosservanza di una specifica prescrizione imposta nell'atto autorizzatorio e, nel capo b) all'inosservanza delle particolari cautele imposte nella consegna e ricezione dei rifiuti. Tale evenienza, peraltro, non viene posta in neppure in discussione nel ricorso.
Date tali premesse, deve dunque rilevarsi che il giudice del merito, pur attribuendo al D.M. 5 febbraio 1998 un ambito di efficacia che in effetti non ha, ha comunque correttamente ravvisato la sussistenza delle contravvenzioni contestate laddove ha riconosciuto rilevanza penale tanto alla inosservanza della specifica prescrizione imposta nell'atto autorizzatorio quanto alla inosservanza delle ulteriori cautele richieste dal D.Lgs. n. 133 del 2005.
11. Resta da considerare, a questo punto, l'ulteriore censura mossa con il secondo motivo di ricorso e concernente l'elemento soggettivo del reato.
Nella fattispecie risulta evidente, dal tenore del provvedimento impugnato, che il giudice del merito ha considerato l'intera dinamica della vicenda, dalla quale emerge che l'imputato ha scientemente disatteso le prescrizioni imposte dall'autorizzazione, tanto che ne ha sollecitato la modifica, poi ottenuta, all'amministrazione competente.
Tale comportamento non poteva essere considerato, come si sostiene in ricorso, quale dato sintomatico di una scrupolosa diligenza atteso che, per le ragioni in precedenza indicate, il destinatario del provvedimento autorizzatorio era tenuto ad osservarne le prescrizioni.
12. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2013.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2013