Consiglio di Stato Sez. VI n. 5819 del 11 dicembre 2017
Urbanistica.Potere di autotutela sul titolo abilitativo edilizio non impugnato
In difetto dell'impugnativa diretta del titolo edilizio, non sussiste alcun dovere di riesame della sua legittimità in capo all'amministrazione comunale e provinciale, nondimeno, quando questa se ne sia data carico, attenendo l'esercizio dei poteri di autotutela all'apprezzamento di profili più generali d'interesse pubblico alla rimozione di un provvedimento illegittimo, nella complessiva ponderazione di tutti gli interessi, ivi compreso e valorizzato quello del destinatario del provvedimento, non può negarsi legittimazione e interesse alla impugnativa della determinazione negativa, naturalmente condizionata dai limiti più stringenti propri della medesima e, quindi, dovendo il sindacato giurisdizionale di legittimità estrinsecarsi non già con la pienezza e ampiezza propria della cognizione diretta sulla legittimità del titolo edilizio, bensì nei soli e più stretti ambiti della valutazione della ampiezza e sufficienza della motivazione del diniego ed essenzialmente sulla sua logicità e congruenza
Pubblicato il 11/12/2017
N. 05819/2017REG.PROV.COLL.
N. 06911/2017 REG.RIC.
N. 06985/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6911 del 2017, proposto dal Comune di Caselle Torinese (To), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro Sciolla, Sergio Viale e Mario Contaldi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Mario Contaldi in Roma, via Pier Luigi Da Palestrina, n. 63;
contro
I signori Maria Grazia Novarino, Luca Volpe e la s.r.l. Tintoria di Caselle, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dagli avvocati Marco Faggiano e Guido Francesco Romanelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Guido Romanelli in Roma, via Cosseria, n. 5;
i signori Cristian Clemencic, Fulvio Vola, Mauro Esposito, la s.r.l. View, i signori Gianluigi Balma Vener, Roberta Cau, Roberto Liscio, Piera Borri, Gianfranco D'Aquino, Maria Fasano, Enrico Capello, la Marfil società semplice, la s.a.s. Vo.Vo di Vola Adriano & C., i signori Elisa Micciché, Angelo Miraglia, Luca Diraffaele, Maria Fanì, Ezio Sanò, Fiorangela Aldiano, Lorenzo Nigris, Manuela Solero, Margherita Ansaldi, Silvio Gallea, Luigia Berlini, Mario Panero, Maurizio Casalicchio, Ruggero Piero Natale Fassone, il Condominio ex Opificio di Caselle Torinese (To), via Filatoio, n. 21, in persona del legale rappresentante p.t., non costituiti in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 6985 del 2017, proposto dai signori Cristian Clemencic, Fulvio Vola, Mauro Esposito, dalla s.a.s. Vo.Vo. di Vola Adriano & C., dalla s.r.l. Tessitura Mabiel, dalla s.r.l. View, dalla Marfil società semplice, rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Paolo Videtta e Paolo Federico Videtta, con domicilio eletto presso lo studio del signor Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza, n. 24;
contro
I signori Maria Grazia Novarino, Luca Volpe, la s.r.l. Tintoria di Caselle, rappresentati e difesi dagli avvocati Marco Faggiano e Guido Francesco Romanelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Guido Romanelli in Roma, via Cosseria, n. 5;
nei confronti di
I signori Luigia Berlini e Mario Panero, rappresentati e difesi dall'avvocato Luca Marchetti, domiciliato ex art. 25 del c.p.a. presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
il Condominio ex Opificio di via Filatoio N. 21 ed il Comune di Caselle Torinese, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Piemonte, Sezione II, n. 875/2017;
VISTO l’art. 13-ter All. II c.p.a.;
VISTO il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016;
VISTO il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 23 del 25 maggio 2016, che ha delegato il Segretario generale della giustizia amministrativa ed il Segretario delegato per il Consiglio di Stato, tra l’altro, a decidere sulle istanze di autorizzazione a derogare i limiti dimensionali del ricorso e degli altri atti difensivi
RITENUTO che il gravame di che trattasi rientra nelle fattispecie contemplate dall’art. 5, comma 1, del DPCS n. 167 cit.;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Maria Grazia Novarino, Luca Volpe, Luigia Berlini, Mario Panero e della s.r.l. Tintoria di Caselle;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2017 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti l’avvocato Sergio Viale, l’avvocato Marco Faggiano e l’avvocato Paolo Federico Videtta;
- rilevato che con gli appelli in epigrafe le odierne parti appellanti, nella qualità di soccombenti nel giudizio di primo grado, impugnano la medesima sentenza con cui il Tar Piemonte ha accolto il ricorso n. 885 del 2015, proposto dalle odierne parti appellate, in merito al silenzio serbato sull’istanza di verifica della legittimità di un intervento di ristrutturazione edilizia;
- atteso che, preliminarmente, debba essere disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza, a norma dell’art. 96, comma 1, cod. proc. amm.;
- considerato che entrambi gli appelli risultano suscettibili di accoglimento nei limiti che seguono;
- rilevato che in via preliminare appare prima facie manifestamente fondato il vizio dedotto in termini di travalicamento dei limiti propri del rito del silenzio, avendo il Tar esteso la propria valutazione, anche istruttoria, oltre i confini normativamente previsti, esaminando ed incidendo direttamente su poteri ancora da esercitare, aventi fra l’altro carattere e natura ampiamente discrezionali;
- atteso che sul versante processuale, per l’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo, «in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati» e, nel rito del silenzio, «il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione»;
- rilevato che nel caso de quo, sono fondati anche i rilievi dedotti dagli appellanti in relazione alla violazione dell’art. 31 del codice in tema di silenzio, in quanto i necessari approfondimenti istruttori competono in via primaria al Comune, residuando in capo all’Amministrazione l’esercizio dei suoi poteri discrezionali, in ordine alla verifica della sussistenza dei peculiari presupposti dell’autotutela;
- considerato che tale ultima verifica attiene anche alle valutazioni di merito e di conseguente opportunità proprie dell’esercizio del potere pubblico, collocato al di fuori del sindacato giurisdizionale ammesso nei limiti predetti;
- rilevato che la sentenza appellata ha svolto autonomamente una serie di approfondimenti che fuoriescono dai predetti limiti, anche oltre le stesse istanze di parte originaria ricorrente nonché rispetto alla natura ed ai caratteri del potere, i quali erano ancora in gran parte da esercitare;
- considerato che in via dirimente, sul versante sostanziale, costituisce principio generale quello a mente del quale l'esercizio del potere di autotutela, in tutte le relative forme, costituisce ambito riservato alla discrezionalità dell'amministrativa, azionabile d'ufficio, e in merito al quale conseguentemente non sussiste alcun obbligo di provvedere (cfr. ex multis Consiglio di Stato 6253\2013);
- atteso che va parimenti ribadito come la presenza di un titolo edilizio divenuto inoppugnabile privi di ammissibilità anche l'azione con la quale il medesimo ricorrente chieda il suo annullamento in via di autotutela, rappresentando tale azione un indebito e surrettizio tentativo, da parte di soggetto già inciso dagli effetti del giudicato, di superare e rimettere in discussione quanto già assurto a definitività;
- considerato che, in proposito, il medesimo ricorrente non ha più una posizione tutelata non solo a chiedere l'annullamento dell'atto ma anche a che altri soggetti, chiamati ai sensi di legge a farlo, esercitino il potere di autotutela rimuovendo l'atto già a suo tempo impugnato con ricorso (cfr. ad es. CdS 5118\2013);
- rilevato che, al più, in ordine alla sussistenza di un interesse legittimo nei confronti dell'esercizio del potere di autotutela e della legittimazione ad impugnare i provvedimenti che concludono negativamente iter procedimentali attivati per l'esercizio del medesimo potere di ritiro, in specie in materia edilizia, in tali ipotesi l'atto privato propulsivo del procedimento, il quale peraltro mantiene natura di iter d'iniziativa d'ufficio, viene ad integrare un esposto relativo a circostanze di fatto diverse ed opposte rispetto a quelle oggetto di accertamento in sede di rilascio del titolo edilizio;
- considerato che, al riguardo, va quindi ribadito quanto già evidenziato da tempo dalla giurisprudenza per cui l’ estensione della sindacabilità dell'esito negativo del procedimento d'ufficio di ritiro di un provvedimento preesistente va adeguato all'ambito proprio di valutazione del potere di ritiro, con la conseguente necessità di limitare l'ammissibilità della contestazione alla legittimità dell'atto di esercizio negativo del potere di autotutela, in specie relativamente alla verifica circa la sussistenza dei presupposti per l'esercizio di tale potere (ormai dettati anche ex lege, ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies l. n. 241 del 1990);
- atteso che se, in difetto dell'impugnativa diretta del titolo edilizio, non sussiste alcun dovere di riesame della sua legittimità in capo all'amministrazione comunale e provinciale, nondimeno, quando questa se ne sia data carico, attenendo l'esercizio dei poteri di autotutela all'apprezzamento di profili più generali d'interesse pubblico alla rimozione di un provvedimento illegittimo, nella complessiva ponderazione di tutti gli interessi, ivi compreso e valorizzato quello del destinatario del provvedimento, non può negarsi legittimazione e interesse alla impugnativa della determinazione negativa, naturalmente condizionata dai limiti più stringenti propri della medesima e, quindi, dovendo il sindacato giurisdizionale di legittimità estrinsecarsi non già con la pienezza e ampiezza propria della cognizione diretta sulla legittimità del titolo edilizio, bensì nei soli e più stretti ambiti della valutazione della ampiezza e sufficienza della motivazione del diniego ed essenzialmente sulla sua logicità e congruenza (Consiglio di stato, sez. IV, 23 gennaio 2013 n. 416);
- rilevato che, analogamente, si è eccezionalmente riconosciuta la legittimazione ad ottenere la declaratoria dell’obbligo di provvedere nel caso in cui la p.a. abbia effettivamente avviato un procedimento di autotutela con coinvolgimento del privato controinteressato nel relativo procedimento;
- atteso che in tale ultimo eccezionale caso il privato coinvolto nel procedimento vanta un peculiare interesse a che lo stesso iter sia chiuso;
- rilevato che nel caso di specie risulta decisivo considerare che il Comune ha avviato un procedimento successivamente alla presentazione dell’istanza di verifica da parte della società odierna appellata in data 4 agosto 2014, in merito al quale il rappresentante di parte istante risulta aver ricevuto notizie di aggiornamento ed è stato invitato alla diretta partecipazione agli incontri previsti;
- ritenuto che pertanto nella specie sussistano i presupposti per reputare sussistente la legittimazione e l’interesse degli originari ricorrenti alla conclusione del procedimento, nei limiti predetti;
- atteso che, pertanto, va confermata la statuizione con cui il TAR ha dichiarato la sussistenza dell’obbligo di provvedere, nei limiti della mera doverosa conclusione del procedimento, senza alcun riferimento al merito della questione ed alla fondatezza o meno dei rilievi proposti;
- ritenuto che, pertanto, in parziale riforma della sentenza impugnata l’accoglimento disposto debba essere limitato all’ordine di conclusione del procedimento effettivamente avviato entro un termine che appare congruo fissare in giorni novanta, a fronte della natura del potere in questione e della complessità della questione;
- considerato che a fronte della soccombenza reciproca e della natura giuridica delle posizioni coinvolte, sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 6911 del 2017, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibili le istanze di primo grado volte all’accertamento dell’obbligo del Comune di emanare specifiche misure al termine degli accertamenti dovuti ed ordina la conclusione del procedimento effettivamente avviato, entro il termine di giorni novanta decorrenti dalla comunicazione della presente sentenza, salvi i provvedimenti dell’Autorità amministrativa.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2017, con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Davide Ponte Luigi Maruotti