TAR Campania (NA) Sez. II n. 4202 del 5 ottobre 2020
Urbanistica.Firma congiunta del responsabile del procedimento e del dirigente sul diniego di sanatoria
La possibilità di dare corso o meno alla misura ripristinatoria e la conseguente scelta tra demolizione d’ufficio ed irrogazione della sanzione pecuniaria, ex art. 34, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, successiva alla disposta ingiunzione. La circostanza che in calce la provvedimento finale di diniego di sanatoria siano state apposte le firme sia del responsabile del procedimento che del dirigente non costituisce motivo di illegittimità. La sottoscrizione congiunta, da parte del Dirigente e del Responsabile del procedimento, non è in grado d’ingenerare confusione circa la paternità dell’atto in questione, indubbiamente ascrivibile, giusta le disposizioni legislative citate, al Dirigente dell’ufficio comunale competente
Pubblicato il 05/10/2020
N. 04202/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00606/2012 REG.RIC.
N. 01883/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 606 del 2012, proposto da
Maria Guadagno, Augusto Piccolo, Mario Piccolo, rappresentati e difesi dall'avvocato Paolo Leone, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, viale Gramsci, 23;
contro
Comune di Casalnuovo di Napoli in persona del Sindaco pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Luisa Errichiello, domiciliato presso la T.A.R. Campania - Napoli Segreteria in Napoli, piazza Municipio, 64;
sul ricorso numero di registro generale 1883 del 2013, proposto da
Maria Guadagno, Mario Piccolo, rappresentati e difesi dagli avvocati Paolo Leone, Francesco Foggia, con domicilio eletto presso lo studio Paolo Leone in Napoli, via V. Mosca n. 41;
contro
Comune di Casalnuovo di Napoli in persona del Sindaco pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Luisa Errichiello, con domicilio eletto presso lo studio Maria Luisa Errichiello in Casalnuovo, piazza Municipio, 1 Casa Comunale;
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 606 del 2012:
dell'ordinanza di demolizione n.83/2011 emessa dal comune di Casalnuovo di Napoli.
quanto al ricorso n. 1883 del 2013:
della Determinazione dirigenziale n.40197 del 26/9/2012 di rigetto della domanda di Permesso di costruire in sanatoria, della nota n.32501 del 24/7/2012, dell'ordinanza di demolizione n.4 dell'8/1/2013, nonché di ogni atto presupposto.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Casalnuovo di Napoli in persona del Sindaco pro tempore e di Comune di Casalnuovo di Napoli in persona del Sindaco pro tempore;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 luglio 2020 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. 18/20, conv. nella l. 27/20;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso del n. RG 606 del 2012, i ricorrenti impugnano l’ordinanza di demolizione n. 83 del 18.11.2011 e il relativo atto di avvio del procedimento del 6 luglio 2010.
In detto provvedimento, il comune contesta ai ricorrenti, comproprietari di un villino bifamiliare, di aver edificato un sottotetto in difformità dal relativo permesso di costruire (n. 62/2003). In particolare, l’altezza degli appoggi della copertura a falde inclinate sarebbe 1.10 e 2,40 m. anziché 0,80 e 2.30 m, come autorizzato.
Riferiscono i ricorrenti che c’è stata interlocuzione procedimentale, con deposito di una memoria in data 22 luglio 2010, ma ciò nonostante il comune ha adottato l’impugnata ordinanza.
Il ricorso è articolato nei seguenti motivi:
1) difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento dei fatti.
Secondo la prospettazione sostenuta in ricorso, i signori Augusto Piccolo e Maria Guadagno si trovavano ad abitare il sottotetto solo occasionalmente, all’atto dell’ispezione, in quanto stavano eseguendo al secondo piano lavori in economia. Non vi sarebbe stato dunque nessun mutamento di destinazione d’uso.
2) stesse censure del precedente motivo e violazione dell’art. 34 del TU 380/2001, in quanto il permesso di costruire prevedeva in realtà come quota limite quella di m. 2,60, che non è stata superata. Inoltre, l’altezza autorizzata ai lati era 0,95 e non 0,80. Infine, tenuto conto del 2% di tolleranza, l’altezza ammissibile degli appoggi deve ritenersi circa di 0,95 e non di 0,80. Pertanto vi sarebbe solo un minimo distaccamento rispetto alle misure assentite.
3) violazione dell’art. 34 del TU 380/2001, del principio di proporzionalità e eccesso di potere per carenza di presupposti e travisamento dei fatti, in quanto la demolizione pregiudicherebbe anche la parte autorizzata dell’intervento, inoltre si tratterebbe di minime differenze rispetto a quanto assentito dal permesso di costruire (10 cm al colmo e 15 cm ai lati).
In data 23.01.2014, i ricorrenti chiedevano la cancellazione della causa dal ruolo delle sospensive.
Il Comune si è costituito e ha depositato la documentazione inerente il fascicolo, chiedendo, con memoria del 29.10.2019, il rigetto del ricorso perché infondato.
L’udienza fissata per il 3 dicembre 2019 è stata rinviata su richiesta di parte ricorrente per ragioni di connessione con il ricorso n. 1883 del 2013, chiamato all’udienza del 7 aprile 2020.
I ricorrenti hanno depositato una perizia giurata.
Inoltre, hanno depositato una memoria per l’udienza, insistendo nelle precedente difese.
Anche il comune ha depositato una memoria, corredata da una relazione istruttoria del Servizio Urbanistica con nota prot. n. 9064 del 03/03/2020alla quale si è riportato.
La causa, all’udienza pubblica del 7 aprile 2020 è stata rinviata ai sensi dell’art. 84 d.l. n. 18/20 e all’odierna udienza è stata trattenuta in decisione.
Con il ricorso n. RG 1883/2013, i ricorrenti, in sede di trasposizione dal ricorso straordinario al capo dello Stato, impugnano la determinazione dirigenziale n.40197 del 26/9/2012 di rigetto della domanda di Permesso di costruire in sanatoria e la nota n.32501 del 24/7/2012, nonché la conseguente ordinanza di demolizione n.4 dell'8/1/2013.
Il diniego di sanatoria è motivato sulla circostanza che l’altezza massima assentibile rispetto al REC è due metri per la copertura piana del solaio e che l’aumento volumetrico non sarebbe autorizzabile, in base al regolamento edilizio comunale. Inoltre, i bagni devono avere almeno l’altezza di 2.40.
Infine, il REC prevede altezza massima 2,30 misurata all’estradosso e non all’intradosso e così per i lati, gli 0,80 sono da misurare sull’estradosso.
Il ricorso è articolato nei seguenti motivi:
1) violazione art. 6 della l. 241/90, difetto di istruttoria e di motivazione per la mancanza del parere del responsabile di procedimento;
2) stesse violazioni di cui al primo motivo, incompetenza, in quanto non sarebbe sufficiente la firma del dirigente e del responsabile del procedimento, come nel caso in esame, operando una illegittima confusione tra le due figure, perché non sarebbe possibile capire a chi è imputabile l’istruttoria e a chi è imputabile la decisione finale;
3) violazione art. 36 tu 380/2001, eccesso di potere per carenza di istruttoria e sviamento, poiché la differenza rispetto al progetto autorizzato sarebbe minima e rientrerebbe in quella assentibile (25 cm) per interventi di riqualificazione energetica. Non vi sarebbe inoltre alcun aumento di volumetria non giustificato dall’intervento di recupero energetico e inoltre l’altezza del bagno non può che essere la stessa del sottotetto E cioè 2,30.
Vengono infine riproposte, in via derivata, le doglianze di cui al ricorso n. 606 del 2012.
Il Comune si è costituito con memoria di stile, corredata da documenti.
Il ricorso è stato dichiarato perento, ma con ordinanza n. 5007 del 2019 il decreto di perenzione è stato revocato.
I ricorrenti hanno depositato una perizia giurata, nella quale si contestano le misurazioni effettuate dal Comune, e una memoria, per insistere nell’accoglimento del ricorso.
Il Comune ha depositato una memoria in vista dell’udienza, corredata da una relazione istruttoria degli uffici comunali, di identico contenuto a quella depositata nel ricorso n. RG 606 del 2012.
All’odierna udienza, entrambe le cause sono state trattenuta in decisione.
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.
Essi sono entrambi infondati e devono pertanto essere respinti.
Occorre premettere che con concessione edilizia n. 62 del 2003, i ricorrenti, Domenico Piccolo e Maria Guadagno furono autorizzati alla realizzazione di un sottotetto non abitabile. A seguito di sopralluogo tecnico per accertamenti di abuso edilizio in data 27.4.2010, il Comune riscontrava la trasformazione del sottotetto in due piccole unità abitative, nonché una copertura a falde inclinate con un’altezza agli appoggi di m. 1,10 anziché di m. 0,80 e al colmo un’altezza interna di m. 2,40 anziché m. 2,30, come previsto dal progetto allegato al permesso di costruire.
In tale quadro, la circostanza, dedotta nel primo motivo di ricorso e anche in sede procedimentale, secondo cui l’occupazione del sottotetto sarebbe stata temporanea, poiché indotta dalla necessità di spostare il nucleo familiare mentre erano in corso lavori di manutenzione dell’appartamento sito al piano rialzato, non appare convincente. Infatti, a prescindere dalla natura temporanea o meno dell’occupazione ciò che rileva è che vi sia stata una indebita trasformazione di un sottotetto non abitabile in due piccole abitazioni, con aumento del carico urbanistico e modifica delle volumetrie.
L’aggravio del carico urbanistico deriva dal mutamento della destinazione dell’immobile da sottotetto non abitabile a destinazione abitativa. Pertanto non rileva, come vorrebbero i ricorrenti, la circostanza – di mero fatto - che gli occupanti del sottotetto sarebbero gli stessi proprietari del piano rialzato, senza aumento del numero degli occupanti dell’immobile.
Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, secondo il quale le difformità riscontrate rientrerebbero comunque nel limite di tolleranza di cui all’art. 34, comma 2 ter, TU edilizia e comunque le misurazioni sarebbero state effettuate in modo erroneo dal Comune, in quanto il titolo abilitativo autorizzava un’altezza della falda di copertura al colmo di 2,30 m + o – 0,30 m di spessore del solaio; inoltre, l’altezza autorizzata ai lati era 0,95 e non 0,80.
Occorre premettere che, contrariamente a quanto affermato dal Comune, l’invocata norma di cui all’art. 34, comma 2 ter, secondo la quale vi è il limite di tolleranza del 2% nella valutazione delle difformità delle opere edili dai titoli abilitativi, è stato aggiunto dall'articolo 5, comma 2, lettera a), numero 5), del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla Legge 12 luglio 2011, n. 106 e dunque non era in vigore al momento dell’adozione dell’ordinanza di demolizione n. 83 del 18 novembre 2011. Non rileva pertanto che il verbale di contestazione sia stato elevato in data 19.3.2009, trattandosi di un mero atto endoprocedimentale.
Tuttavia, come ha rilevato il Comune nella relazione istruttoria, vi sarebbe comunque il superamento del limite di tolleranza del 2%, in quanto l’altezza 2,30 potrebbe al più essere aumentata di 4,6 cm e non di 10 cm, così come l’altezza di m. 0,80 potrebbe al più essere aumentata di 1,6 cm. Il limite dovrebbe infatti riguardare le altezze del sottotetto, oggetto di specifico e diverso titolo edilizio, e non dell’intero immobile, come sostiene invece il consulente di parte ricorrente.
Quanto alla questione delle misure massime autorizzate, dal grafico allegato alla concessione edilizia (prodotto in allegato alla perizia giurata di parte ricorrente) non si evidenzia il dedotto possibile aumento di 0,30 m, rispetto all’altezza al colmo di 2,30 m. I 30 cm in più infatti attengono allo spessore della copertura del solaio. Di contro, negli accertamenti effettuati dal comune risulta un’altezza interna di 2,40 m.; inoltre, sempre dal grafico del prospetto dell’edificio, sezione C-D risulta che l’altezza autorizzata ai lati è di 80 cm.
Il secondo motivo deve quindi essere respinto.
Quanto al terzo motivo, con cui parte ricorrente lamenta che la demolizione potrebbe compromettere anche la stabilità delle parti legittimamente costruire, il Collegio non può che richiamarsi alla consolidata giurisprudenza secondo cui, la valutazione circa la possibilità di dare corso o meno alla misura ripristinatoria e la conseguente scelta tra demolizione d'ufficio ed irrogazione della sanzione pecuniaria costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, successiva alla disposta ingiunzione. La possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria - disciplinata con riferimento alle opere eseguite in parziale difformità dal titolo edificatorio dall'art. 34, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 - viene infatti valutata in un secondo momento, successivo ed autonomo rispetto alla diffida a demolire ossia quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione in danno delle opere edili costruite. Conseguentemente, l'esito negativo di tale valutazione non può costituire un vizio dell'ordine di demolizione, ma al più della fase di esecuzione in danno (cfr. ex multis T.A.R., Campania, Napoli sez. III, 03/02/2020, n.483).
In conclusione, il ricorso n. 606/2012 deve essere respinto.
Anche il ricorso n. 1883/2013, con cui i ricorrenti, in sede di trasposizione dal ricorso straordinario al capo dello Stato, impugnano la Determinazione dirigenziale n.40197 del 26/9/2012 di rigetto della domanda di Permesso di costruire in sanatoria presentata dai ricorrenti e la nota n.32501 del 24/7/2012, nonché la conseguente ordinanza di demolizione n.4 dell'8/1/2013, è infondato e pertanto deve essere respinto.
Quanto al primo e secondo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti lamentano la mancanza del parere del responsabile di procedimento in relazione al provvedimento di diniego di sanatoria e l’incompetenza, in quanto non sarebbe legittimo un provvedimento firmato sua dal responsabile del procedimento che dal dirigente, essi sono entrambi infondati.
Come ha rilevato il Comune nelle sue difese, risulta che nel diniego prot. n. 40197/2012, oggetto d’impugnativa, si rinviene un richiamo espresso alla relazione istruttoria dell’Ufficio Tecnico, prot. n. 1163 del 23.07.2012, il cui contenuto è anche riportato nel corpo del provvedimento e fatto proprio dal responsabile del procedimento (ing. Giuseppe Caruso) e dal Dirigente che hanno entrambi firmato il provvedimento di diniego finale.
Inoltre, la circostanza che in calce la provvedimento finale siano state apposte le firme sia del responsabile del procedimento che del dirigente non costituisce motivo di illegittimità. Osserva a questo proposito il Tribunale che l'art. 36, comma 3, del d. P. R. 380/2001 prevede che: “Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”, onde nessuna incompetenza può ravvisarsi, nella specie, in capo al Dirigente dell’Ufficio, che ha firmato il provvedimento.
Ne può ritenersi, come pure i ricorrenti sostengono, che la sottoscrizione congiunta, da parte del Dirigente e del Responsabile del procedimento, sia in grado d'ingenerare confusione circa la paternità dell'atto in questione, indubbiamente ascrivibile, giusta le disposizioni legislative citate, al Dirigente dell'ufficio comunale competente.
In ogni caso, si consideri che, per la giurisprudenza: "La firma congiunta, in calce all'atto, del responsabile del procedimento e del responsabile del provvedimento finale non vale a comprovare la sussistenza del dedotto vizio di incompetenza, essendo stata apposta da un soggetto - il responsabile del procedimento - che opera nello stesso ufficio amministrativo e non è privo di competenza specifica in relazione all'oggetto" (T. A. R. Liguria, Sez. I, 9/01/2012, n. 18. V. inoltre in termini T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 22/06/2020, n.698).
Con il terzo motivo, parte ricorrente sostiene che la differenza rispetto al progetto autorizzato sarebbe minima e rientrerebbe in quella assentibile (25 cm) per interventi di riqualificazione energetica. Inoltre, non vi sarebbe alcun aumento di volumetria non giustificato dall’intervento di recupero energetico e l’altezza del bagno non può che essere la stessa del sottotetto, e cioè 2,30.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Tra le varie ragioni sottese al diniego di sanatoria vi è infatti la circostanza che la nuova destinazione abitativa impressa al locale sottotetto determina un aumento di volumetria in contrasto con le previsioni del PRG zona B3, nella quale non è consentita la realizzazione di nuove volumetrie. In relazione a tale motivo di diniego parte ricorrente si limita a rilevare che non vi sarebbe alcun aumento di volumetria dell’edifico derivante dall’apposizione dello spessore di coibentazione, così dimenticando che il problema riguarda la trasformazione del volume tecnico del sottotetto non abitabile in volumetria ordinaria, a seguito dell’acquisto da parte del sottotetto della destinazione abitativa. La censura è dunque infondata.
Tale infondatezza rende improcedibili tutte le ulteriori censure mosse nel terzo motivo di ricorso.
Infatti, essendo il provvedimento di diniego di sanatoria fondato su plurime motivazioni, il rigetto delle censure relative anche ad una sola di dette motivazioni comporta l’improcedibilità delle censure volte a contestare le altre ragioni su cui si poggia il provvedimento impugnato, per sopravvenuta carenza di interesse.
Per quanto riguarda le censure proposte in via derivata, si rinvia a quanto detto sopra, a proposito del ricorso n. RG 606/2012.
In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere respinti.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li riunisce e li respinge entrambi.
Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di Casalnuovo di Napoli, che liquida in euro 3.000/00 (tremila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 21 luglio 2020, tenutasi in collegamento da remoto ai sensi dell’art. 84, comma 6, d.l. 18/20, conv. nella l. 27/20 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Corciulo, Presidente
Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore
Germana Lo Sapio, Primo Referendario