Scarico di Acque Reflue Industriali: Brevi Note sullo “stato dell’arte” sub art. 137 c. 1 D.Lgs. 152/06

di Fabio Zavatarelli

Cass. Pen. Sez. III 15 Dicembre 2010 (dep. 24 Gennaio 2011) n. 2313

Pres. Ferrua, Est. Mulliri, Imp. Librandi

Acque - Nozione di acque reflue industriali - acque di lavaggio di cassette d’uva durante il periodo della vendemmia – riconducibilità – reato di scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione o con autorizzazione sospesa o revocata - sussistenza

(D.Lgs. n. 152/06 – artt. 74 c. 1 ltt. g)-h) 137 c. 1).

Nella nozione di acque reflue industriali definita dall‘art. 74, comma primo, lett. h), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive, in quanto detti reflui non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche, come definite dall’art. 74, comma primo, lett. g), del citato decreto.

Integra il reato di cui all’art. 137 c. 1 D.Lgs. n. 152/06 (inizialmente contestato come art. 59 cv D.Lgs. 152/99) l’immissione in pubblica fognatura di acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche - per le quali risulta necessaria la preventiva autorizzazione - quale il deflusso in un canalone per la raccolta delle acque piovane di acque di lavaggio di cassette d’uva effettuato durante il periodo della vendemmia.

 

 

Scarico di Acque Reflue Industriali: Brevi Note sullo “stato dell’arte

sub art. 137 c. 1 D.Lgs. 152/06

sommario: 1. – La vicenda: brevi cenni; 2. – Il quadro generale del reato; 3. – La nozione di “acque reflue industriali” ed il metodo formale per la loro qualificazione ed identificazione; 4. – Lo “scarico” quale elemento qualificante l’operatività della norma; 5. – L’autorizzazione quale elemento chiave per la (il)liceità della condotta di “scarico”; 6. – Considerazioni Finali.

 

  1. La Vicenda: brevi cenni

La sentenza qui annotata permette, nella sua sinteticità, di fare un breve excursus sullo stato attuale nell’interpretazione dei concetti di scarico ed acque reflue industriali rilevanti al fine della configurabilità della contravvenzione di “scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione o con autorizzazione sospesa o revocataex art. 137 c. 1 D.Lgs. 152/06.

La vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte si caratterizza per la sua semplicità: l’imputato veniva condannato in primo grado perché lavava le cassette di uva durante il periodo della vendemmia, facendo defluire l’acqua di lavaggio in un canalone per la raccolta delle acque piovane, condotta che veniva ritenuta integrante uno scarico di acque reflue industriali, e, pertanto necessitante di una previa autorizzazione; provata la sua assenza, il giudice di primo grado dichiarava la sussistenza della responsabilità penale ai sensi dell’allora vigente secondo comma dell’art. 59 D.Lgs. 152/99, condannandolo alla sola pena di € 1500,00= di ammenda.

Una prima particolarità dell’investitura di questa vicenda in capo alla Suprema Corte è che il difensore dell’imputato proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Crotone, impugnazione di per sé non ammessa ai sensi di cui all’art. 593 c. 3 c.p.p. (in quanto condanna alla sola ammenda) e che quindi veniva “convertita” in ricorso per cassazione ai sensi di cui all’art. 568 c. 5 c.p.p.. Questo dato processuale ha però portato all’attenzione dei Consiglieri della Suprema Corte un atto strutturato come impugnazione nel merito della vicenda e quindi imperniato su richieste di nuove valutazioni delle risultanze istruttorie, della loro rilevanza ed attendibilità, che non potevano non risultare inammissibili in sede di giudizio di legittimità.

Tale situazione è probabilmente anche alla base della pronunciata laconicità della sentenza: in buona sostanza la Cassazione si è trovata a giudicare in spazi operativi molto ristretti e perciò si è sostanzialmente limitata a confermare la legittimità della motivazione di primo grado (della quale sottolinea a sua volta la estrema sintesi), ed a ritenere chiaramente desumibile (ab implicito) la riconducibilità della condotta all’art. 137 D.Lgs. 152/06 (fattispecie che per successione di norme, punisce le condotte originariamente sussumibili sotto l’art. 59 c. 2 D.Lgs. 152/99).

Il nucleo della sintetica motivazione si è così imperniato sul mero richiamo ai precedenti giurisprudenziali espressi dalla stessa Suprema Corte (e dalla stessa sezione, competente per ripartizione interna per materia) relativamente alla nozione ed alla qualificazione delle acque reflue industriali, nonché alla indicazione di altre situazioni assimilabili alle acque di lavaggio di cassette d’uva oggetto della sentenza che giustificavano la loro riconducibilità all’ipotesi di acque reflue industriali, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

Tali “insufficienze” argomentative ci permettono di utilizzare la sentenza stessa come un sintetico, ma utile, spunto di partenza per tracciare il percorso sullo “stato dell’arte” del reato ex art. 137 c. 1 D.Lgs. 152/06, e più in particolare relativamente ai suoi tre elementi cardine (le nozioni di acque reflue industriali, di scarico e di autorizzazione) ed alle relative criticità così come si sono venute a configurare a seguito del percorso di successioni normative avutosi nell’ultimo decennio.

2. -- Il Quadro Generale del Reato

Il sistema sanzionatorio della disciplina delle acque reflue è attualmente strutturato in larga parte sullo schema adottato dal precedente D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, che, in discontinuità con il modello pan-penalista adottato dalla “Legge Merli”, si struttura su un c.d. “doppio binario”, fondato su illeciti amministrativi e penalii ,che risponde ad una visione dell’oggetto della tutela identificato non nel bene finale delle acque, ma in quello strumentale della salvaguardia delle attività preventive di governo in via amministrativa delle acque stesse con conseguente tipizzazione e graduazione delle condotte illecite e del tipo di sanzioni che si ritengono meritevoli per ciascuna di esseii.

La fattispecie contravvenzionale in oggetto (come ben noto) la norma-cardine dell’attuale sistema sanzionatorio di tutela delle acque e svolge lo stesso “ruolo” rivestito, prima della sua entrata in vigore, , fattispecie perfettamente riprodotta di fatto dal D.Lgs. 152/06 (Codice dell’Ambiente).

La fattispecie di cui al primo comma punisce, come già l’art. 59 c. 1 D.Lgs 152/99iii, “chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali in assenza di autorizzazione, ovvero continui ad effettuare o mantenere detti scarichi, dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata”.

2.1. In tema di identificazione del soggetto attivo, si ritiene oramai da tempo come, a dispetto dell’iniziale pronome “Chiunque”, non ci si trovi di fronte ad un reato comune attribuibile a chiunque ponga in essere le condotte sanzionateiv, ma come una lettura sistematica del precetto all’interno della normativa ad esso collegata e la sua posizione a salvaguardia del bene giuridico dell’attività amministrativa in tema di acque, configurino più un reato proprio od almeno a soggettività ristretta, in cui potrà essere rimproverato il fatto tipico solamente a coloro che hanno un reale potere, anche se meramente di fatto, di disposizione gestionale dello scaricov. Proprio sulla scorta di tale interpretazione, la giurisprudenza ha stabilito l’attribuibilità delle condotte tipizzate non solo al titolare/rappresentante legale dell’insediamento, anche se abbia lo stesso addotto incompetenza tecnica e conseguente non conoscenza piena dello stato degli impiantivi o abbia assunto di essersi costantemente disinteressato delle vicende aziendali o degli aspetti tecnico-praticivii ma anche al gestore dello stessoviii.

Queste pronunce inevitabilmente impongono anche un breve accenno al delicato tema della trasferibilità delle funzioni e quindi dell’individuazione del possibile diverso soggetto cui imputare eventuali responsabilità, in presenza di una delega di funzioni dotata di adeguati requisiti, con conseguente esenzione di responsabilità in capo al soggetto delegante/trasferente.

2.1.1. Il tema è stato oggetto di note ed importanti analisi e interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali soprattutto in sede di diritto penale dell’impresa e del lavoro, ed attorno ai risultati ivi raggiunti si è sostanzialmente consolidato anche il dibattito in tema di diritto penale dell’ambiente, e quindi anche in tema di imputazione dell’individuazione della responsabilità per gli scarichi illeciti.

Per delega di funzioni attualmente dobbiamo intendere “lo strumento attraverso il quale, sussistendo determinati requisiti soggettivi ed oggettivi, possono essere trasferiti in capo ad altri soggetti gli obblighi relativi all’ottemperanza di particolari disposizioni di leggeix.

Dopo una prima e risalente lettura della questione che negava ogni capacità “trasferente” della delega di funzionix, ed una seconda che distingueva invece a seconda delle caratteristiche delle condotte e quindi attribuiva rilevanza alla delega conferita per le sole violazioni sostanziali caratterizzate dal superamento di determinati limiti tabellari (e non a quelle formali come, appunto, lo scarico senza autorizzazione)xi, la giurisprudenza si è oramai consolidata nell’attribuire efficacia liberatoria alla delega di funzioni nella posizione di garanzia e ciò però – come ancora recentissimamente chiarito dalla Cassazione - purchè “il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento che abbia accettato lo specifico incarico, fermo restando l’obbligo per il datore di lavoro di vigilare e controllare che il delegato usi poi, concretamente, la delega, secondo quanto la legge prescrive. La delega quindi è in linea generale ed astratta consentita, ma per essere rilevante ai fini dell’esonero da responsabilità del delegante deve avere i seguenti requisiti: a) essere puntuale ed espressa, senza che siano trattenuti in capo al delegante poteri residuali di tipo discrezionale; b) il soggetto delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) il trasferimento delle funzioni deve essere giustificato in base alle esigenze organizzative dell’impresa; d) unitamente alle funzioni debbono essere trasferiti i correlativi poteri decisionali di spesa; e) l’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certoxii.

Quindi, la delega di funzioni, per essere efficacemente trasferente deve vedere contemporaneamente presenti tutti i requisiti lì indicati.

Ciò comunque non esclude a priori il mantenimento di una responsabilità concorsuale del delegante a seguito del permanere di un obbligo di vigilanza “residuale” che varrebbe laddove questi non eserciti il potere di controllo sull’esercizio reale della delega o laddove la condotta punita costituisca il prodotto di scelte generali e di politica aziendale strutturalixiii o laddove, secondo alcune pronunce, l’omessa vigilanza sia relativa ad ipotesi di reato proprio, e ciò perché non sarebbe ipotizzabile che, almeno in presenza di certe condizioni quali la conoscenza di fatti idonei a causare la violazione del precetto, un soggetto qualificato si spogli del tutto di ogni responsabilitàxiv.

2.2. L’art. 137 c. 1 D.Lgs. 152/06 descrive un precetto a quattro condotte alternative che si polarizzano secondo due modelli a loro volta alternativi: un primo modello diretto a sanzionare condizioni di abusività originaria (“Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione …. ”) ed un secondo modello diretto a sanzionare condizioni di abusività sopravvenuta (“… oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa e revocata, è punito …..”)xv. Per entrambi non rileva tanto l’eventuale offensività reale o potenziale dello scarico rispetto al corpo ricettore, quanto l’effettuazione della condotta di scarico in assenza o mancanza o sospensione o revoca dell’autorizzazione abilitativaxvi. Quest’ultima infatti assume il ruolo di elemento cardine all’interno del precetto poiché, essendo l’interesse della P.A. a controllare preventivamente e gestire gli scarichi il bene giuridico tutelato, la relativa sanzione non sarà correlata all’effettivo inquinamento accertato, ma alla violazione della normativa specifica in tema di autorizzazionixvii.

Si delinea così un reato contravvenzionale formale e di pericolo astratto, avente natura permanente in quanto l’antigiuridicità della condotta ben può protrarsi oltre il perfezionamento della stessa sino a quando non intervenga un fatto storico utile (come la chiusura dello scarico, o il rilascio dell’autorizzazione o la revoca della sospensione dello stessa) ad interrompere tale situazione, determinandone così pure la consumazione, da cui inizierà a decorrere la prescrizione del reatoxviii.

2.3. Sotto il profilo della colpevolezza, e più in particolare dell’elemento soggettivo, la natura di contravvenzione dell’illecito comporta che l’autore ne risponderà, ex art. 42 c. 4 c.p., anche a titolo di colpa, non presentando tra l’altro il precetto caratteristiche tali da poterlo ricondurre alla figura (tra l’altro assai rara nella nostra legislazione, a parte il caso ben noto dell’art. 2621 c.c.) della contravvenzione dolosaxix. Questo, unito alla semplicità del fatto tipico, rende inoltre sicuramente limitato lo spazio applicativo per l’eccepibilità di un’ignoranza della norma penale e/o della buona fede del soggetto attivo. Ciò perché, sotto il primo profilo in questo settore si esige un più rigoroso esercizio del proprio dovere di informazionexx, anche laddove si debbano analizzare eventuali interferenze tra normativa statale e regionale in tema di legittimità e/o requisiti per la concessione del’autorizzazionexxi; sotto il secondo profilo, poi, la Cassazione vi attribuisce rilevanza unicamente laddove essa si risolva in uno stato soggettivo attribuibile ad elementi estranei all’agente - identificabili nel caso fortuito e nella forza maggiore e/o a situazioni riconducibili a tali figure - che lo portino alla violazione del precetto a seguito di un’inevitabile induzione in errore: la conseguenza è pertanto che di fatto si inverte l’onere della prova a carico del soggetto attivo, cui spetterà provare l’intervento di un avvenimento estraneo alla sua volontà ed imprevedibile da parte di questi pur con l’impiego di ogni diligenzaxxii.

Se questo è il quadro generale del reato, riteniamo portare ora la nostra attenzione - anche alla luce del contenuto della motivazione e della relative osservazioni appena esposte – sulla prima particolare definizione essenziale per la comprensione delle problematicità dell’illecito, e cioè quella di “acque reflue industriali”, così come attualmente rinvenibile nell’art. 74 c. 1 lett. h) D.Lgs. 152/06.

  1. -- La nozione di “acque reflue industriali” ed il metodo formale per la loro qualificazione ed identificazione

Tale definizione rappresenta il punto di arrivo di una “storia” travagliata caratterizzata dal continuo oscillare, lungo le successioni normative che si sono susseguite, tra due diversi ed oppostamente polarizzati criteri di definizione delle acque: uno formale, legato alla provenienza degli scarichi ed uno sostanziale/qualitativo, legato alla qualità del refluo con tutti i relativi problemi di accertamento.

    1. Già la Legge n. 319/76 seguiva a livello testuale il primo criterio, distinguendo tra provenienza da un “insediamento produttivo” e provenienza da un “insediamento civile”: nella prassi però la giurisprudenza ben presto si interpose “creativamente” sganciandosi progressivamente dal dato letterale ed introducendo la rilevanza del “riscontro reale sul refluo” al fine della corretta qualifica dello scarico, riconoscendo così un chiaro ruolo nelle proprie decisioni ad un parametro qualitativoxxiii.

La costanza della giurisprudenza in tema fece sì che all’atto dell’emanazione del Decreto Legislativo n. 152/99 il legislatore recepisse normativamente – all’art. 2 - tale interpretazione “sostanzialista” attribuendo alla qualità del refluo il ruolo di criterio selettivo dell’illecito (penale o amministrativo); già dopo pochissimo tempo però questi, con una repentina “inversione a 180°”, poneva l’accento sul tipo di attività svolta e non sulla qualità del refluo, e con l’art. 1 D.Lgs 258/00 modificava l’art. 2 c. 1 lett. h) D.Lgs. 152/99 ritornando sostanzialmente alla ripartizione formale della “Legge Merli” (acque da insediamenti civili = acque reflue domestiche // acque da insediamenti produttivi = acque reflue industriali)xxiv.

    1. Con l’emanazione del D.Lgs. 152/06 (il vigente c.d. “Codice Ambientale”), la primigenia versione dell’art. 74 c. 1 lett. h) D.Lgs. 152/2006 forniva una definizione “sostanzialistico-qualitativaxxv indicando nella nozione di acque reflue industriali i due elementi della provenienza delle stesse da insediamenti produttivi e della loro differenza qualitativa ripetto alle acque reflue domestiche e meteoriche di dilavamento (e quindi pure dai loro relativi criteri formali di identificazione) anche se “contaminate”. Pertanto, al fine della configurazione dell’illecito penale e della conseguente irrogazione di pena, rilievo centrale veniva assunto dalla rilevata diversa e più grave natura inquinante rispetto a quella degli scarichi di natura domesticaxxvi, qualità desunta attraverso un accertamento “in negativo” dalla nozione di acque reflue domestiche, e quindi dal fatto di averne una composizione diversaxxvii. Poco dopo però, con una mossa pressoché identica a quanto di cui al D.Lgs. 258/00, il legislatore con il D.Lgs. 4/08 ha deciso di ritornare ad una caratterizzazione formale della nozione di acque reflue industriali, legata al luogo di produzione del refluo poi scaricato, attraverso la cancellazione dell’inciso relativo alle acque meteoriche “contaminatexxviii, la sostituzione dei termini “provenienti”, “installazioni” e “differenti qualitativamente” rispettivamente con i termini “scaricate”, “impianti” e “diversexxix.

Al termine di questo percorso, il ritorno ad una concezione formale di acque reflue industriali ha comportato pertanto la riconduzione ad esse in presenza di un accertamento in via negativa della mera diversità e non riconducibilità del refluo alle acque reflue domestiche ed a quelle a quest’ultime assimilatexxx, riportando nelle mani degli organi inquirenti e giudicanti un precetto che - vista anche la necessità dell’ulteriore accertamento sulla insussistenza di un’autorizzazione capace di spiegare la propria efficacia - garantisce una maggiore precisione ai fini delle valutazioni sulla sussistenza del fatto tipico, con conseguente maggiore semplificazione nell’accertamento probatorio dello stessoxxxi.

Tale operazione ermeneutica, più in particolare, non solo esclude oramai recisamente ogni valutazione qualitativo/discrezionale in ordine all’efficacia inquinante o meno dei reflui, ma riduce profondamente gli spazi discrezionali anche in ordine alla provenienza degli stessi: il riferimento va a tutte quelle attività dal carattere artigianale e/o di prestazioni di servizi per le quali i reflui spesso presentano una natura anche mista o dall’origine non del tutto chiara. La giurisprudenza è oramai chiara nel ritenere che una volta verificata la diversità, anche parziale, dei reflui rispetto alle acque reflue domestiche ed alla loro stretta composizione tipica, nonché la loro non riconducibilità alle ipotesi che il codice ambientale esplicitamente ad esse assimila, ci si troverà di fronte ad acque reflue industriali, anche se provenienti da attività artigianali o relative a prestazioni di servizixxxii con sostanziale inversione dell’onere della prova per l’indagato/imputato cui spetterà il compito di provarne il carattere e la composizione indicanti la provenienza domestica, e/o l’assimilabilitàxxxiii.

3.2.1. Conseguentemente, la rinnovata definizione dell’art. 74 c. 1 lett. h) D.Lgs. 152/06 comporta che ora sia ricondotta all’ipotesi contravvenzionale ex art. 137 c. 1 D.Lgs. 152/06 anche tutta una serie di reflui che sotto la vigenza della prima versione della norma (cioè anteriormente al D.Lgs 04/08), in mancanza del riscontro qualitativo e valutati unicamente in base al criterio formale della provenienza, si ipotizzava integrassero un mero illecito amministrativo ex art. 133 D.Lgs. 152/06xxxiv.

Ecco quindi che in questa prospettiva sono state ricondotte alle acque reflue industriali provenienti da attività commerciali e di produzione di beni, le acque di lavaggio di cassette d’uva effettuato durante il periodo della vendemmia (oggetto della sentenza annotata), le acque scaricate da uno studio odontoiatricoxxxv e da un laboratorio di analisi chimichexxxvi e da un presidio medico-ospedalieroxxxvii, le acque di condensa di frigoriferi destinati alla conservazione di prodotti ittici e le relative acque di lavaggio dei macchinari con cui tali prodotti erano stati lavoratixxxviii, le acque reflue derivate da liquami di auto, di servizi igienici e di attività di autolavaggioxxxix, le acque provenienti dall’attività di un’autocarrozzeriaxl, le acque dei servizi igienici e delle docce di campi di tennis e calcettoxli, le acque di lavaggio dei pavimenti di un complesso industrialexlii e di un complesso di autolavaggioxliii e di piazzali adibiti a parcheggioxliv, le acque di lavaggio di betonierexlv e delle mani e scarpe degli operaixlvi e dei macchinari di una tipo-litografiaxlvii , le acque reflue derivanti dall’attività di molitura delle olive o pulitura dei frantoixlviii, le acque di prima pioggia o di dilavaggio provenienti da superfici scolanti e pertinenziali ad altre installazioni in cui si depositano rifiutixlix, e infine le acque da scarico provenienti dalle lavanderiel.

  1. Lo “scarico” quale elemento qualificante l’operatività della norma

Per la sussistenza della contravvenzione ex art. 137 D.Lgs. 152/06 e la piena integrazione del suo fatto tipico, è però necessario che le acque, qualificate come acque reflue industriali, vengano immesse nel corpo ricettore nella forma dello “scarico”, nozione oggetto anch’essa di una “storia” travagliata, direttamente proporzionale all’importanza che essa ha in funzione di “uno dei nodi interpretativi più complessi da risolvere” di tutta la disciplina ambientale e cioè il rapporto tra scarichi idrici e rifiuti liquidili.

Come abbiamo prima indicato, infatti, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 04/08 le acque reflue industriali sono state ricondotte a “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni (…)” e non più a “qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni (…)”.

4.1. La Legge Merli del 1976 si caratterizzava per l’assurdo fatto di avere nel suo oggetto di disciplina gli “(…) scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonché in fognature sul suolo e nel sottosuolo”, senza che fosse stata fornita la relativa definizione degli scarichi stessilii; tale lampante contraddizione ebbe come prevedibile conseguenza che la giurisprudenza si “caricò” negli anni dell’onore/onere di estrapolare i parametri che permettessero di distinguere gli scarichi di acque reflue penalmente rilevanti dai rifiuti liquidi. Gli scarichi venivano cosi caratterizzati per la loro permanenzaliii, la volontarietàliv, la natura della sostanza liquida e la non occasionalità della immissionelv.

Sulla base di questi criteri, dottrina e giurisprudenza concordemente concludevano nel ritenere penalmente rilevante la figura dello scarico c.d. “indirettolvi ma non quella dello scarico “occasionalelvii.

4.2. Alle residue incertezze emerse in ordine alla linea di demarcazione tra scarichi di acque reflue indiretti e rifiuti liquidi in particolare dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 22/1997 (il c.d. Decreto Ronchi)lviii per cui si erano venute a creare a loro volta evidenti incertezze giurisprudenziali, con non meno di tre filoni interpretativi, pose rimedio il D.Lgs. 152/99, il c.d. Testo Unico Ambientale, che finalmente all’art. 2 lett. bb) dava (dopo oltre 20 anni di diatribe dottrinali e giurisprudenziali) una definizione di scaricolix, unanimemente apprezzatalx per la sua precisione, che identificava gli snodi essenziali e caratteristici di esso nella [1] immissione diretta ed immediata da fonte di produzione [2] a corpo ricettore idrico (quali le acque superficiali, il suolo, il sottosuolo e la rete fognaria) – [3] a mezzo di un sistema stabile quale (ma non solo) una condotta - di [4] acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, indipendentemente dalla presenza di un carattere inquinante delle stesse.

La chiarezza dell’intervento normativo aveva avuto l’immediato effetto di ridonare all’interpretazione giurisprudenziale una certa omogeneità: si escludono così, in maniera netta, le immissioni c.d. “indirette” di acque reflue (caratterizzate da un’interruzione del collegamento tra fonte di produzione e corpo ricettore), nonché le immissioni c.d. “occasionali” cioè quelle prive del requisito della c.d. “continuitàlxi che venivano complessivamente entrambe ricondotte alla normativa sui rifiuti, liquidi in particolare.

Non erano certo mancate minime interpretazioni “dissenzienti” con pronunce che da un lato riconducevano ancora all’art. 2 lett. bb) la figura dello scarico “occasionale”lxii e dall’altro lato disputavano in ordine alla “tipologia” ed alle caratteristiche della conduttura/condotta che doveva essere presente ed, ancora, altre pronunce (immediatamente ben criticate dalla dottrina) che sembravano tentare di mantenere ancora all’interno della nuova disciplina degli scarichi idrici il c.d. scarico “indirettolxiii.

Le divergenze interpretative ben presto rientrarono anche perché la Cassazione chiarì come - anche a seguito delle modifiche subite dal D.Lgs. 152/99 col D.Lgs. 258/2000 - la norma non prescrivesse particolari modalità di esecuzione, né tanto meno prevedesse, quale unico mezzo essenziale per l’esecuzione dello scarico, la tassativa presenza di una tubazione o condotta in senso stretto, in quanto l’espressione “comunque convogliabili”, indicava qualunque mezzo di qualsiasi sistema stabile, anche se non ripetitivo, con il quale si consente il passaggio o il deflusso di acque refluelxiv. Tanto le immissioni “occasionali” quanto quelle “indirette” poi, dovevano essere ricondotte alla normativa sui rifiuti (artt. 8 lt. e) – 14 c. 1-2 D.Lgs. 22/97) in quanto la mancanza di “soluzione di continuità” nel collegamento tra produzione del refluo e immissione nel corpo ricettore spezzava la caratteristica fondante dello scarico ai sensi del D.Lgs. 152/99lxv.

4.3. Una situazione di simile consolidata stabilità interpretativa, veniva però inspiegabilmente compromessa a seguito dell’entrata in vigore del D.L.gs. 152/06 che all’art. 74 c. 1 lett. ff) offriva una nozione di scarico che risultava mutilata dell’aggettivo “direttamente”, dell’indicazione della modalità di immissione “tramite condotta”, e della duplice specificazione di acque reflue “liquide e semiliquidelxvi, e quindi proprio di tutti quegli elementi e definizioni che più di tutti avevano contribuito ad una omogeneità interpretativa dottrinale e giurisprudenzialelxvii.

Simile modifica poneva soprattutto inevitabili seri problemi interpretativi relativamente alla delimitazione dei confini tra rifiuti liquidi e scarichi di acque che alla luce di tale definizione vedevano riampliato il loro ambito operativo, con la conseguenza che i cd scarichi indiretti sarebbero rientrati di nuovo nella disciplina di questi ultimilxviii.

Le reazioni a tale modifica normativa furono dirette tutte a duramente criticare l’intervento (anche se non mancò chi sosteneva che nonostante tutto nulla fosse cambiatolxix), e la giurisprudenza intervenne immediatamente con una interpretazione adeguatrice che, prendendo atto dei cambiamenti apportati, chiarisse come si dovesse escludere un ritorno allo scarico indirettolxx e ritenere quale scarico in senso giuridico, “qualsiasi sistema di deflusso oggettivo e duraturo che comunque canalizza i reflui dal luogo di produzione al corpo recettore”, e ciò perché in difetto di tale precisazione, non si sarebbe potuto distinguere in generale lo scarico di acque reflue dallo smaltimento di rifiuti liquidi ex artt. 110 – 185 lett. b) D.Lgs. 152/06lxxi.

4.4. Il legislatore opportunamente interveniva con il c.d. Secondo Correttivo del Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 04/2008) con il quale riformulava la definizione di scarico nel senso di un “ritorno al passato” anche se non con una pedissequa riproposizione delle precedenti formulazioni, ma con correzioni sicuramente significativelxxii che hanno sortito finalmente l’effetto di risolvere numerose questioni controverse derivanti dalle precedenti successioni normativelxxiii.

Attualmente è pertanto scarico qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria”.

La nuova (e per adesso apparentemente finale) definizione infatti si caratterizza per avere riportato l’art. 137 c. 1 D.Lgs. 152/06 - attraverso l’esplicito riferimento ad un “sistema stabile di collettamento” - al suo corretto ambito applicativo, ridimensionando quanto impropriamente riampliato nella versione originaria a seguito dell’abrogazione di ogni riferimento alla “condotta”. Di ciò si è ovviamente giovata immediatamente l’interpretazione giurisprudenziale, soprattutto nel ritornare a risolvere la vexata quaestio del criterio discretivo tra rifiuti liquidi e scarichi di acque reflue, riutilizzando le espressioni ed i criteri interpretativi impiegati ante 2006 per individuare e risolvere i problemi interpretativi che, nonostante tutto, talvolta si appalesavano anche in presenza dell’espressione “condotta” del 1999lxxiv.

Ecco quindi che nell’ipotesi di immissione di acque reflue in vasche (impermeabilizzate o meno) che poi per un qualsiasi motivo si spandano o si riversino o si disperdano nel suolo la Cassazione è oramai costantemente orientata nel ritenere che in mancanza di una condotta o un sistema stabile di collettamento (dove la prima nozione deve ritenersi ricompresa dalla seconda) diretto nel corpo recettore, non sarà operativo l’art. 137 c. 1 D.Lgs. 152/06 ma l’art. 255 c. 1 D.Lgs. 152/06 che, in relazione agli artt. 185 c. 1 lett. b) n. 1 – 192 c. 2 D.Lg.s 152/06, punisce l’abbandono di rifiuti (liquidi in questo caso), perché tali dovranno essere qualificati i liquidi stoccatilxxv.

5. – L’autorizzazione quale elemento chiave per la (il)liceità della condotta di “scarico

Come la stessa rubrica della contravvenzione in oggetto recita, lo scarico di acque reflue industriali necessita di un’apposita autorizzazione che deve essere rilasciata dalla Provincia (salvo diversa normativa regionale) entro novanta giorni dalla domanda solamente in presenza dei parametri richiesti e richiamati dall’art. 124 D.Lgs. 152/06, e per una validità massima di quattro anni a partire dal rilascio stessolxxvi.

Il titolare deve chiederne il rinnovo almeno un anno prima della scadenza dell’autorizzazione, periodo lungo il quale lo scarico sarà di fatto provvisoriamente autorizzato in attesa degli esiti dei controlli necessari per l’emissione di un nuovo provvedimento.

5.1. All’interno della costruzione del precetto in oggetto, l’autorizzazione (o la sua mancanza) attribuisce carattere lecito o illecito allo scarico delle acque reflue industriali, ciò perché costituisce lo strumento amministrativo preposto al monitoraggio di tutti gli sversamenti di acque reflue non domestiche, che in sua presenza, dovranno ritenersi perfettamente ammissibili. E’ quindi logicamente la sua assenza, nella triplice sua articolazione della mancanza ab origine, sospensione e revoca, a dare “attivazione” al divieto, venendo così a costituire un vero e proprio elemento del fatto tipico, costruito negativamente del precetto penalelxxvii.

Tale ruolo cardinale per l’operatività dell’art. 137 c. 1 D.Lgs. 152/06 è pure spiegabile alla luce del bene tutelato (interesse delle P.A. a controllare e gestire gli scarichi): infatti ciò che rileva ai fini dell’irrogabilità della sanzione penale non è tanto la prova dell’effettivo inquinamento, quanto quella della violazione delle norme che impongono all’utente di richiedere le autorizzazioni ed i controlli agli enti pubblici preposti alla gestione del territoriolxxviii.

In questa prospettiva la giurisprudenza è chiara nell’affermare e (soprattutto) nell’esigere, nella richiesta di autorizzazione e/o nel suo rinnovo, un rigido rispetto delle formalità previste normativamente, nonchè della relativa tempistica secondo lo schema “richiesta tempestiva e completa verifica di tutti i presupposti rilascio/rinnovo autorizzazione entro i termini inizio/continuazione lecita degli scarichi”.

Ecco quindi che l’autorizzazione in sé non costituisce atto dovuto e scontato solamente perché richiesto (a titolo originario o di rinnovo) nei termini di legge, in quanto da un lato si impone un’attenta e completa verifica dei presupposti di leggelxxix e poi perché una richiesta tempestiva ma incompleta e non conforme ai requisiti di legge equivale ad una mancata richiesta perché l'Autorità Amministrativa non viene resa edotta e posta in grado di valutare se sussistono i presupposti per il rilascio della autorizzazione. Essa infatti deve essere altresì espressa e specificalxxx e necessariamente funzionale alle caratteristiche qualitative e quantitative dello scarico, alla indicazione dei mezzi tecnici indicati nel processo produttivo e nei sistemi di scarico nonché all'indicazione dei sistemi di depurazione utilizzati per conseguire il rispetto degli eventuali valori limite di emissionelxxxi.

5.1.1. Problematica è però la questione relativa a tutte le conseguenze penalistiche derivanti in quelle ipotesi in cui l’autorizzazione, regolarmente richiesta e concessa nei termini di legge, si rilevi illegittima, più in particolare la problematica correlata del sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo concessorio e dei limiti dello stesso.

La Cassazione ha recentemente “rivalutato” un orientamento interpretativo che sembrava essere caduto in desuetudine, almeno per quanto riguarda le contravvenzioni in tema ambientalelxxxii, secondo il quale risponderebbe della contravvenzione anche colui che si veda l’autorizzazione verificata e dichiarata come illegittima solamente a seguito di accertamento del giudice penale, indipendentemente dalla (erronea) legittimità dichiarata dall’organo amministrativo competente in risposta ad una corretta richiesta dell’interessato regolarmente propostalxxxiii. Simile presa di posizione, legata ad una visione di tutela dell’interesse sostanziale rispetto al quale il provvedimento autorizzatorio è strumentale, ritiene l’ottenimento dell’autorizzazione come situazione che non esaurirebbe ancora del tutto gli obblighi del cittadino di conformarsi alla normativa disciplinante l’attività di settore, con la conseguenza che al giudice spetterebbe la verifica non solo dell’esistenza formale del provvedimento ma pure della sua legalità, e ciò per una verifica puntuale dell’offesa tipica del reatolxxxiv.

Trattasi di presa di posizione che però suscitava in passato e suscita tuttora grosse perplessità: così opinando risulterebbe meritevole di pena anche il soggetto che, resosi adempiente in maniera corretta sotto il profilo dei propri doveri, si venisse a ritrovare in situazione di illegittimità - accertata successivamente – riferibile a negligenza o imperizia altrui (l’autorità concedente). Ragionando in questo modo infatti la colpa dell’agente sarebbe ridotta ai minimi termini, tanto da porsi ai limiti della responsabilità oggettivalxxxv, con sostanziale inversione dell’onere della prova per il soggetto che dovrebbe dimostrare paradossalmente di essersi diligentemente attivato in un ulteriore esame del rispetto della normativa anche dopo il rilascio dell’autorizzazione, a suo modo ponendosi nella posizione di controllore dell’operato della P.A..

Ben preferibile è l’impostazione dell’orientamento, maggioritario e ben più garantista, per il quale al giudice penale in simili ipotesi spetterebbe l’unico onere di una verifica della sussistenza dell’atto autorizzativo fondata sulla sua esteriorità formale e sul fatto che esso provenga dall’organo legittimato ad emetterlo, astenendosi da ogni ulteriore approfondimento sul controllo della legittimità dello stessolxxxvi, a meno che il requisito stesso costituisca elemento costitutivo espresso della fattispecie di reatolxxxvii. In tale modo si è pure recentemente pronunciata la Suprema Corte - in fattispecie “speculare” pienamente sovrapponibile per quanto attinente al settore dei rifiuti - in cui, in una vicenda di smaltimento di rifiuti senza autorizzazione, ma su “input” della P.A. competente che si era esplicitamente pronunciata nel dichiarare non necessaria la autorizzazione stessa non era necessaria, ha ribadito la necessità ed il diritto per il cittadino diligente di riporre un legittimo e pieno affidamento nel contenuto dei provvedimento della P.A. competente formalmente validi e (ovviamente) non frutto di alcun accordo criminosolxxxviii.

6. – Considerazioni Finali

Definito a questo punto lo “stato dell’arte” della contravvenzione di scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione ex art. 137 c. 1 D.Lgs. 152/06 dobbiamo dire che la sentenza della Cassazione qui annotata, si pone – nei limiti di quanto massimato - in termini di piena continuità con gli orientamenti oramai consolidati della Sezione sopra descritti.

In primo luogo, partendo dai punti fermi sopra esposti e così come cristallizatisi dopo il D.Lgs. 04/08, ed operando la relativa verifica in negativo, la Suprema Corte ha qualificato le acque di lavaggio delle cassette d’uva usate durante la vendemmia quali acque reflue industriali ed in quanto acque di risulta (anche se residuale) di un’attività di trasformazione legata ad un ciclo comunque produttivo. Con ciò “allineandosi” al consolidato orientamento che ritiene di qualificare come acque reflue industriali tutte le acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive che non attengano prevalentemente al metabolismo umano e non presentino caratteristiche qualitative equivalenti alle attività domestiche cui la nozione di acque reflue domestiche ex art. 74 c. 1 lt. g) D.Lgs. 152/06lxxxix.

Ora, l’assoluta genericità della motivazione non ci permette però di approfondire se sia stata operazione del tutto pertinente, se non altro con riferimento al caso concreto affrontato nelle sue evidenze fattuali in primo grado.

La sentenza fa un chiaro richiamo (ancorchè piuttosto formale e superficiale) alla sentenza “De Gregoris” del 2008 in tema di rilevanza quali acque reflue industriali delle acque derivanti dall’attività di molitura delle olive o pulitura dei frantoi (cfr. sub nota n. 34), assimilando chiaramente, con un uso pressoché analogico, queste alle acque di lavaggio delle cassette di uva. Essa però omette di richiamare il passaggio argomentativo là invece contenuto (forse perché non vi era un esplicito motivo di impugnazione ed argomentazione da parte della difesa, rispetto a quanto presente nell’altra precedente sentenza) secondo il quale le acque derivanti da un centro di produzione di olii (più specificamente le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive) hanno una prevalente caratterizzazione e qualità industriale quando non riconducibili al disposto di cui all’art. 101 c. 7 lett. c) D.Lgs. 152/06 relativamente all’assimilabilità alle acque reflue domestiche delle acque reflue provenienti da imprese dedite esclusivamente a coltivazione del terreno e/o silvicoltura e/o allevamento di bestiame che “esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall'attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilitàxc.

In questo modo ci si ritrova limitati nel valutare alcune caratteristiche che contestualizzerebbero meglio il fatto e che avrebbero comunque potuto riverberarsi sulla percezione della corretta applicazione della legge da parte della Corte. Ciò perché l’art. 101 c. 7 lett. c) D.Lgs. 152/06 sopra citato è in tutta evidenza riferibile anche al caso concreto delle aziende che operano nel settore vitivinicolo, e sorge il dubbio che il caso potesse riferirsi, anche per la provenienza dei reflui, qualificati nel capo di imputazione come “acque di lavaggio di cassette d’uva effettuato durante il periodo della vendemmia”, proprio ad un’azienda/impresa del settore che svolgeva la propria attività all’interno dei parametri della norma predetta. L’esperienza concreta insegna infatti come in tali cicli produttivi si possano realizzare variabili esperienze aziendali, alcune più organizzate ma altre molto più di stampo artigianale e/o direttamente legate ad un ciclo produttivo dalle caratteristiche in astratto riconducibili alla figura delle acque reflue domestiche e ad esse assimilabili, con tutte le ovvie conseguenze in ordine alla (in)sussistenza del reato.

Nessun riferimento, neanche attraverso l’istituto dell’obiter dictum, è rinvenibile nella motivazione dal quale poter ricostruire le ragioni in base alle quali la Corte avrebbe escluso la riconducibilità dei fatti al contenuto dell’art. 101 c. 7 lett. c) D.Lgs. 152/06. Pertanto, alla luce di quel poco che inevitabilmente “dice” la Corte, non si può fare altro che prendere atto della decisione, ma con la pari sensazione che forse sia stata operata un’operazione analogica non del tutto convincente o comunque non adeguatamente motivata. Dubbi che si appalesano maggiormente quando poniamo la nostra attenzione sull’altro aspetto di incompletezza della sentenza, in punto definizione di “scarico”.

6.1. I motivi di impugnazione della sentenza di prime cure, infatti, erano impostati attorno ad una sostenuta differenza tra lo “scarico di acque”, in quanto risultato di un ciclo produttivo industriale, ed il “lavaggio con acqua” quale mero fatto occasionale non riconducibile al primo e quindi sanzionabile unicamente attraverso la sanzione amministrativa.

Attorno a tali obiezioni in tema di differenza ontologica ed occasionalità del lavaggio, la Corte ha però radicalmente omesso qualsiasi considerazione non spendendo neanche una riga in merito né tantomeno facendovi qualche implicito riferimento attraverso il metodo del richiamo al “precedente” di sezione così come utilizzato proprio negli accennati passaggi iniziali della stessa motivazione in tema di acque reflue industriali.

Su tale “omessa motivazionexci probabilmente ha avuto una decisiva influenza, il già citato vizio di origine della vicenda, il fatto di essere stata la Suprema Corte radicalmente condizionata dai limiti di un ricorso concepito e strutturato come un’impugnazione di merito in appello e quindi dal più limitato spazio operativo ad essa spettante ed esigibile (valutazioni di legittimità).

Nonostante ciò però, la lettura della motivazione non soddisfa del tutto, soprattutto laddove nella narrativa della vicenda stessa si da conto delle ragioni di diritto invocate dalla difesa in punto scarico, cioè che il fatto attribuito all’imputato non si potesse ricondurre a tale nozione, essendo il mero “lavaggio con acqua” un fatto diverso ed occasionale. Il tema, che riecheggia la storica questione della (ir)rilevanza del cosiddetto scarico occasionale, avrebbe meritato qualche considerazione in più, anche in ragione del fatto che la storia di questa vicenda processuale ha attraversato proprio i diversi regimi temporali relativi alle successioni normative in materia, nascendo sotto la vigenza del D.Lgs. 152/99 e passando attraverso le diverse modifiche delle nozioni di “acque reflue industriali” e “scarico” degli anni 2000 e 2008. Indubbiamente però si deve ammettere che questo forse, più di ogni altro, è un tema di impugnazione che faceva più direttamente riferimento a circostanze di merito emergenti dagli atti processuali che quindi ben difficilmente avrebbero potuto trovare ingresso nelle considerazioni di legittimità spettanti alla Suprema Corte.

In questo senso forse sarebbe stato sufficiente dare conto del fatto che con il consolidamento derivante dal correttivo del D.Lgs. 04/08 le espressioni utilizzate dal legislatore si sono modellate attorno a quelle più volte impiegate dalla Corte nel momento di individuazione del criterio discretivo tra rifiuti liquidi e scarichi di acque reflue per cui i problemi interpretativi che, nonostante tutto, anche vigente la definizione del 1999, talvolta si appalesavano, risultano risolti con la “nuova” definizione di scarico attraverso la quale “sono state eliminate definitivamente alcune incertezze interpretative che erano derivate dalla definizione riportata nel D.Lgs. 152/99xcii, tra cui, proprio la questione dello “scarico occasionale”.

 

i Fondato sulla previsione di una serie di sanzioni amministrative comminate per condotte in violazione della disciplina settoriale (art. 133 D.Lgs. 152/06), fatta salva la clausola di riserva per cui il medesimo fatto non sia tale da integrare anche un illecito di natura penale (art. 137 D.L.gs. 152/06)

ii L’intuizione fondamentale si deve al fondamentale e preveggente lavoro di Bajno, La Tutela Penale del Governo del Territorio, 1980; per lo sviluppo ed il completamento/consolidamento di tale intuizione cfr. Vergine, Ambiente nel Diritto Penale (Tutela dell’), in Dig. Pen. (Agg.) 1995, 757

iii A sua volta questo “doppio binario” deve a sua volta coordinarsi con il sistema degli illeciti in tema di rifiuti di cui alla Parte IV del Codice dell’Ambiente (sostitutivo del D.Lgs. 22/97 – c.d. “Decreto Ronchi”). Relativamente al carattere innovativo che l’adozione di questo modello ha rappresentato nell’affrontare le problematiche sanzionatorie della tutela delle acque cfr. per tutti Vergine, pre art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), Commentario Breve alle Leggi Penali Complementari, II Ed. 2007, 67;

iv In questo senso parte della dottrina: Cervetti Spriano-Parodi, La Nuova Tutela delle Acque – Lettura Sistematica e Commento del D.Lgs. 152/99 integrato nel complesso normativo e nella giurisprudenza, 2001, 476; Giunta, Codice Commentato dei Reati e degli Illeciti Ambientali, II^ Ed., Padova, 2007; Chiaromonte, Gli Illeciti Penali relativi allo Scarico di Acque Reflue tra norme speciali e previsioni codicistiche, Relazione a Convegno CSM 14-16 Marzo 2011, 4

v Cass. Pen. III 10.05.2005,Giur. It. 2006, 1028; Cass. Pen. III 05.04.2002 n. 796, P.M. in proc. Kris, Ambiente 2002, 9, 872 con nota di Beltrame. In dottrina Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), Commentario Breve alle Leggi Penali Complementari, II Ed. 2007, 80;

vi Cass. Pen. III 28.04.2004, Dir. Giur. Agr. Amb. 2005, II, 398;

vii Cass. Pen. III 17.12.2002, Cass. Pen. 2003, 3929

viii Cass. Pen. III 23.06.2004, Giur. It. 2005, 1259; per un aggiornatissimo e completo esame della questione cfr. Alessandri, Diritto Penale ed attività economiche, Il Mulino, 2010.

ix Ramacci.L, Diritto Penale dell’Ambiente, II Ed. 2009, 47, che tra l’altro opportunamente distingue da essa la delega di esecuzione (in cui il titolare dell’ente affida a terze persone attività meramente esecutive, mantenendo per se la posizione di garanzia e le relative possibilità) e la cessione di attività dell’azienda (in cui l’attività di impresa viene, anche temporaneamente, trasferita in capo a soggetti terzi estranei all’organizzazione della stessa che quindi si accollano comunque le responsabilità per l‘attività svolta dal momento della cessione).

x Cass. Pen. III 17.01.2000 n. 422, Natali, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2000, 449 con nota di Vergine in cui il Supremo Collegio argomentava la ritenuta inammissibilità di una delega di funzioni in ragione del principio di personalità della responsabilità penale, della mancanza di uno specifico precetto in tema delegabilità, nelle finalità della norma e soprattutto in ragione dell’“incipit” del precetto che recitando “chiunque effettua lo scarico” incardinerebbe sempre la possibilità di una responsabilità concorsuale da cui sarebbe stato impossibile sfuggire; conf. Cass. Pen. 08.01.1992, Cass.Pen. 1993, 1819

xi Cass. Pen. III 09.10.1996, Ambiente 1996, 983

xii Cass. Pen. III 19.01.2011 n. 6872, Trinca. Si tenga ben in conto poi la rilevante novità normativa rappresentata dalla prima vera e propria “normativizzazione” dell’istituto della delega di funzioni operata nel settore della Sicurezza sul Lavoro, all’art. 16 D.Lgs. 81/08 anche così come risulta alla luce del “correttivo” operato dal D.Lgs. 106/09; la norma oltre a recepire tutta una serie di elementi cardine consolidati in dottrina e giurisprudenza indica anche specificamente situazioni ed ipotesi in cui alla delega non può essere comunque attribuita totale capacità trasferente.

xiii Cass. Pen. III 16.05.2007 n. 26708, Manica, in www.lexambiente.it ; Cass. Pen. III 17.11.2005, in www.lexambiente.it ; Cass. Pen. III 17.01.2000 n. 422, Natali, cit.

xiv Cass. Pen. III 17.01.2000 n. 422, Natali, cit.; Cass. Pen. III 07.02.1996 n. 4422, Altea, Cass.Pen. 1999, 2652. Su approdi pressoché simili è giunta la giurisprudenza relativamente alla delega di funzioni nell’ambito degli enti pubblici (cui qui si accenna solamente in quanto esulante dal caso concreto di cui ci si occupa) dove si ritiene come sia ammissibile una efficacia liberatoria della delega qualora essa – valutata anche la dimensione dell’ente pubblico e quindi la sua complessiva struttura ed articolazione - si caratterizzi (a) per essere adottata “verso il basso”, e relativamente al rispetto di precetti formali-amministrativi o l’adozione di tecniche di buon funzionamento, conduzione e manutenzione degli impianti e (b) non intercetti il limite esterno dell’obbligo di vigilanza e controllo del delegante e/o (c) una politica ambientale dell’impresa o dell’ente carente e/o elusiva: cfr. in questo senso Cass. Pen. III 11.03.1999 n. 19884, De Matteis, in www.lexambiente.it ; Cass. Pen. III 09.10.1996 n. 775, Bressan, Cass.Pen. 1999, 1344.

xv conf. Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit., 82;

xvi Cass. Pen. III 23.02.2000, Dir. Giur. Agr. Amb. 2001, II, 325; Cass. Pen. III 24.05.1997, Riv. Giur. Amb. 1998, 523; Bernasconi C., sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Costato-Pellizzer (a cura di), Commentario Breve al Codice dell’Ambiente, I Ed. 2007, 359; Chiaromonte, Gli Illeciti Penali relativi allo Scarico di Acque Reflue tra norme speciali e previsioni codicistiche, cit., 5; Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit., 80; Marinucci-Dolcini, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, III Ed. 2009, 197.

xvii Posizione assunta con preveggenza in epoca non sospetta da Vergine, Ambiente nel Diritto Penale (Tutela dell’), cit., 757 sgg.; recentemente cfr. Bisori, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Giunta (a cura di), Commento dei Reati e degli Illeciti Ambientali, Padova, 2007, 33;

xviii Cass. Pen. III n. 233299/2005; Antolisei, Manuale di Diritto Penale – Leggi Complementari, Vol. II, XII Ed. 2008 (a cura di C.F.Grosso), 503; Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit., 83; De Cristofaro-Di Plotti, Aspetti penalmente rilevanti del D.Lgs. n. 152 del 1999, in Cocco (a cura di), La tutela delle Acque dopo il D.Lgs. n. 152 del 1999, 282. Qualora la situazione di permanenza permanga lungo la vicenda processuale, la cessazione della permanenza, con conseguente inizio del decorso della prescrizione, decorrerà dalla data della sentenza di primo grado: per tutti cfr. Cass. Pen. S.U. 13.07.1998, Dir. Giur. Agr. Amb. 1999, II, 618.

xix Bernasconi C., sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Costato-Pellizzer, cit., 361; Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit., 86;

xx Cass. Pen. Sez. Un. 10.06.1995, Dir. Pen. Proc. 1995, 75; Bernasconi C., sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Costato-Pellizzer (a cura di), cit., 361;

xxi Cass. Pen. III 21.10.2009 n. 45293, Feriozzi, in www.lexambiente.it per cui non è coperto dall’ambito operativo della “buona fede” e/o dell’errore su norma extrapenale lo scarico effettuato dopo presentazione tardiva della richiesta di autorizzazione allo scarico stesso, con conseguente adempimento di tutti gli obblighi di legge e con modalità tali da far ritenere il rilascio dell’autorizzazione come un atto dovuto: ciò perché è irrinunciabile l’avvenuta verifica da parte dell’autorità competente di tutti i presupposti in fatto ed in diritto per la concessione del richiesto atto.

xxii Cass. Pen. III 19.01.2011 n. 6872, Trinca, cit.; Cass. Pen. III 05.02.2009 n. 12865, Bonaffini, ced 243122, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2009, 418. per cui non costituisce errore di diritto inevitabile riconducibile all’art. 5 c.p. l’aver avviato uno scarico senza autorizzazione sulla base di lettera del Comune che attesta la non necessità dell’autorizzazione in quanto acque reflue urbane o domestiche e non industriali in quanto l’imputato avrebbe potuto munirsi di consulente tecnico di parte o di professionista esperto nella materia che comunque diligentemente avrebbe potuto comunque avviare le pratiche per il rilascio dell’autorizzazione; Cass. Pen. III 19.10.2006 n. 41285, Zitelli in www.lexambiente.it per cui "il comportamento omissivo o irregolare tenuto dalla Pubblica Amministrazione è del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato, in quanto i soggetti interessati devono avere quale unico parametro di riferimento la legge penale. Oltretutto, versandosi in materia contravvenzionale, l'eventuale affidamento riposto dal ricorrente nell'inerzia della Pubblica Amministrazione non rende di certo configurabile la buona fede, ma, al contrario, evidenzia un indiscusso profilo di colpa, di per sé sufficiente al perfezionarsi del reato."; Cass. Pen. III 13.12.2005 n. 2751, Bianchi per cui "non è invocabile la buona fede da parte del titolare di uno scarico autorizzato con recapito nella pubblica fognatura allorché questi, dovendo eseguire lavori, non sospenda la propria attività effettuando lo scarico in acque superficiali senza la preventiva autorizzazione". Relativamente alle problematiche derivanti dal rilascio di autorizzazioni illegittime a soggetti diligenti cfr. infra, sub 5.1.1.

xxiii Amendola, La Tutela Penale dell’Inquinamento Idrico, 1996, 59 sgg.; Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit., 83; Fimiani, Acque, Rifiuti e Tutela Penale, Milano, 2000, 24.

xxiv Art. 2 c. 1 lt. h) D.Lgs. 152/99 (modif. art. 1 D.Lgs. 258/00): “<acque reflue industriali>: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”. Sotto la vigenza della Legge Merli del 1976 si intendeva come insediamento o complesso produttivo “uno o più edifici od installazioni collegati tra di loro in una area determinata dalla quale abbiano origine uno o più scarichi terminali e nella quale si svolgano, con carattere di stabilità e permanenza, attività di produzione di beni”.

xxv Art. 74 c. 1 lt. h) D.Lgs. 152/2006 (versione originale): “<acque reflue industriali>: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”.

xxvi Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit., 84 che osservava il carattere preminente che nell’interpretazione si sarebbe dovuto riservare al criterio qualitativo al fine della rilevanza penale della condotta; conf. in questo senso in giurisprudenza per tutti Cass. Pen. III 13.07.2004, Ambiente 2005, 282 con nota di Beltrame.

xxvii Principio costante anche in giurisprudenza amministrativa: cfr ex pluribus recentissimamente T.A.R. Campania – Napoli Sez. V 16.03.2011 n. 1479, Parco del Sole di GF snc vs. Comune di S.Agnello, in www.lexambiente.it per cui "La definizione di acque reflue industriali si caratterizza, ai sensi dell’art. 74, lett. h) del D.Lgs. n. 152 del 2006, per la sua connotazione negativa, essendo così definito qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento; il criterio generale adottato dal Legislatore per individuare le acque industriali è, dunque, quello afferente alla qualità del refluo, tant’è che, in applicazione del citato criterio sostanziale, sono individuate dall'art. 101, comma 7, del D.Lgs. alcune tipologie di acque assimilate quelle domestiche ai fini della disciplina degli scarichi."; In merito essenziale la lettura di Vergine, Caro Legislatore (Penale) Ambientale, Ti scrivo …., in Ambiente & Sviluppo 2008, 7, 605 sgg.

xxviii Vergine, La Tutela Penale delle Acque nel D.Lgs. 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni, in AA.VV., Novità Giurisprudenziali e Legislative in materia di Ambiente, Spec. Dir. Pen. Proc. 2010, 24 osserva tra l’altro il carattere piuttosto pleonastico dell’abrogazione dell’inciso, visto che comunque la giurisprudenza escludeva la possibilità di ricondurre alle acque reflue industriali delle acque meteoriche di dilavamento di aree esterne a siti industriali: cfr. Cass. Pen. III 15.01.2008, Mancini, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2008, 537 con nota di Vergine e la relativa giurisprudenza ivi citata

xxix Art. 74 c. 1 lt. h) D.Lgs. 152/2006 (modif. art. 2 c. 1 D.Lgs. 4/08): “<acque reflue industriali>: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”;

xxx Il riferimento è alle attività elencate nell’art. 101 c. 7 D.Lgs. 152/06 che rimangono soggette all’area sanzionatoria amministrativa di cui all’art. 133 c. 2 D.Lgs. 152/06, con l’unica residuale ipotesi di rilevanza penale ex art. 137 c. 14 D.Lgs. 152/06 qualora si trattino di scarichi da utilizzazione agronomica posti in essere “al di là dei casi o dei limiti consentiti”. Cfr. Cass. Pen. III 25.11.2009 n. 772, Ruffo Di Calabria in www.lexambiente.it per cui "la sussistenza dei requisiti intrinseci di assimilabilità di uno scarico di acque reflue a quelle domestiche, pur in mancanza della documentazione richiesta dalla normativa regionale per attestare tale assimilabilità, esclude il reato di scarico senza autorizzazione ed integra l'illecito amministrativo ex art. 133 c. 2 D.Lgs. 152/06”. (Fattispecie nella quale, secondo la normativa regionale, era sufficiente per l'assimilabilità un'autocertificazione del titolare dello scarico attestante un consumo medio giornaliero non superiore a 20 mc.)

xxxi Chiaromonte, Gli Illeciti Penali relativi allo Scarico di Acque Reflue tra norme speciali e previsioni codicistiche, cit., 6

xxxii Cass. Pen. III 11.03.2009, Giannettino, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2009, 1053 con nota di Vergine.

xxxiii Cass. Pen. III 18.06.2009 n. 35137, Tonelli, ced 244587, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2009, 1042; diff. però Cass. Pen. III 25.11.2009, Ruffo di Calabria, cit, per cui è sufficiente la verifica della riconducibilità intrinseca del refluo alle acque reflue domestiche, indipendentemente da ulteriore documentazione di supporto.

xxxiv Cfr. Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit. 84; è opportuno segnalare come nella giurisprudenza più recente costituisca illecito amministrativo lo scarico di effluenti da allevamento: cfr. Cass. Pen. III 10.06.2010 n. 22031; Cass. Pen. III 21.05.2008 n. 26532 ced 240552

xxxv Cass. Pen. III 18.06.2009, Tonelli, n. 35137, ced 244587, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2009, 1042;

xxxvi Cass. Pen. III 28.09.1999, RaGiusAn 2000, 194.

xxxvii Cass. Pen. III 17.03.2000, Riv. Giur. Pol. 2005, 899; Cass. Pen. III 17.11.1999, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2000, 1071.

xxxviii Cass. Pen. III 05.02.2009, Bonaffini, cit.

xxxix Cass. Pen. III 04.11.2008, Alibrando, in www.lexambiente.it in cui si è ritenuta la riconducibilità alle acque reflue industriali perché il mix di provenienza comportava una composizione chimico fisica complessivamente diversa da quella propria delle acque metaboliche e domestiche; Cass. Pen. 20.01.2004, Dir. Giur. Agr. Amb. 2005, II, 121 con nota di D’Avanzo; Cass. Pen. III 05.12.2003, Ambiente 2004, 782 con nota di Sabbatini; Cass. Pen. III 15.05.2003, Ambiente 2004, 181 con nota di Beltrame; Cass. Pen. III 12.03.2003, in www.ambientediritto.it ;

xl Cass. Pen. III 20.01.2004, RaGiusAn 2004, 247; Cass. Pen. III 27.11.2003, Cass.Pen. 2004, 3767; Cass. Pen. 05.06.2003, Riv. Giur. Amb. 2004, 675

xli Cass. Pen. III 30.09.2008, Margarito, cit.

xlii Cass. Pen. III 14.03.2003, Cass.Pen. 2004, 2127.

xliii Cass. Pen. III 18.06.2009 n. 39729, Belluccia + 1; Cass. Pen. III 21.05.2008 n. 26543, Erg Petroli s.p.a. + 1 Erg. Petroli & Co., Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2008, 537

xliv T.A.R. Campania – Napoli Sez. V 16.03.2011 n. 1479, Parco del Sole di GF snc vs. Comune di S.Agnello, in www.lexambiente.it

xlv Cass. Pen. III 04.04.2003, Riv. Pen. 2004, 545.

xlvi Cass. Pen. III 10.02.1999, Dir. Giur. Agr. Amb. 2011, II, 186 con nota di Bocci

xlvii Cass. Pen. III 24.10.2002, Cass. Pen. 2003, 3162.

xlviii Cass. Pen. III 20.05.2008 n. 26524, De Gregoris, ced 240549; Cass. Pen. III 31.05.2002, Cass.Pen. 2003, 3162.

xlix Trib. Varese Ries. 18.07.2008, Foro Ambr. 2008, 3, 316;

l Cass. Pen. III 17.05.2005 n. 18226, in www.ambientediritto.it ; Cass. Pen. III 13.09.2004 n. 35870; Trib. Milano 17.11.2003, Riv. Giur. Agr. Amb. 2004, 119 con nota di Milocco.

li Vergine, sub D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), Commentario Breve alle Leggi Penali Complementari, II Ed. 2007, 17

lii Cervetti Spriano-Parodi, La Nuova Tutela delle Acque – Lettura Sistematica e Commento del D.Lgs. 152/99, cit., 469

liii Cass. Pen. III 05.07 1991 n. 7180, Lombardi per cui permanenza dello scarico non dovesse essere confuso con la sua attualità, potendosi ravvisare la responsabilità penale anche quando questo non fosse attivo al momento dell’accertamento ma da questo si potesse evincere che lo scarico era stato in funzione - in modo illecito - in precedenza

liv Cass. Pen. III 17.06.1997 n. 5734, Manfredi intendeva il concetto di volontarietà nel senso che l’immissione delle acque doveva essere stata voluta dall’autore della condotta illecita o accettando il rischio del superamento dei limiti tabellari, o provocandone colposamente lo sversamento.

lv Vergine, sub D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit., 15 evidenziava come allo “scarico” sottoposto alla disciplina della Legge Merli dovessero comunque considerarsi estranei “gli scopi perseguiti, dalla frequenza e dalle modalità con le quali fosse effettuato”.

lvi Cass. Pen. III 23.09.1993, Foro. It. 1994, II, p. 596 con nota di Paone; nello stesso senso, Cass. Pen. Sez. Un. 13.07.1998, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 1998, p. 1082; Cass. Pen. III 10.11.1998, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 1999, p. 814; Cass. Pen. III 23.05.1997, Riv. Giur. Amb. 1998, p. 289 con nota di Prati; Cass. Pen. III 07.05.1997, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 1997, p. 1352; Cass. Pen. III 06.06.1996, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 1997, p. 1004; Cass. Pen. III 04.12.1995, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 1996, p. 647; Cass. Pen. III 14.09.1995, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 1996, p. 649; Cass. Pen. III 14.04.1995, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 1995, p. 1390 con nota di Vergine; Cass. Pen. III 20.01.1992, Riv. Pen. 1992, p. 646; Cass. Pen. III 24.01.1994, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 1994, p. 651 con nota di Morandi; contra isolata Cass. Pen. III 07.12.1994, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 1995, p. 1393

lvii Amendola, Inquinamenti, Roma, 1995, p.346 osservava come “tutta la struttura della legge (dai meccanismi di controllo al contenuto della autorizzazione, dalla gradualità delle tabelle alla normativa finanziaria) è con ogni evidenza studiata per immissioni continue, periodiche o anche saltuarie, ma mai singole o uniche o occasionali”; conf. antecedentemente Giampietro, I requisiti oggettivi e soggettivi dello scarico nella legge Merli e lo smaltimento dei rifiuti solidi nel d.P.R. 915/82, in Cass. Pen. 1982, p. 2082; più di recente Butti, Le nuove norme sull’inquinamento idrico. Normativa italiana e comunitaria, Milano, 1997, p. 25; Fonderico, L’ambiente nella giurisprudenza, Milano, 1995, 180; Vergine, nota a Cass. Pen. III 18.04.1997, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econom 1997, p. 1003

lviii Per un’analisi dei tre distinti e non coerenti orientamenti giurisprudenziali emersi, cfr. Butti, Giurisprudenza della Cassazione e disciplina dell’inquinamento idrico dalla Legge Merli al D.Lgs. 152/99, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2000, 251 sgg.; Giampietro, Il nuovo T.u. ambientale sulle acque, ovvero, del millennium bug della normativa antinquinamento, in Ambiente & Sviluppo 199, 7, 171 e sgg.; Vergine, Inquinamento delle Acque, Dig. Pen. - App. Agg. 2000, 431.

lix Art. 2 c. 1 lt. bb) D.Lgs. 152/99: “<scarico>: qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'art. 40”. Per la distinzione tra scarico e rifiuto liquido antecedentemente a tale norma cfr. C.Cost. 20.05.1998 n. 173, Ambiente 1998, 12, 1027 con nota di Butti; Cass. Pen. S.U. 27.09.1995, Riv. Giur. Amb. 1996, 686 con nota di Giampietro; Mucciarelli, Rifiuti (Reati relativamente ai), Dig. Pen., XXII, 1997, 283

lx Albertazzi, La nozione di scarico nella disciplina della tutela delle acque dall’inquinamento, in Giampietro (a cura di), Commento al Testo Unico ambientale, Milano, 2006, 89 e sgg.; Vergine, La Tutela Penale delle Acque nel D.Lgs. 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni, in AA.VV., cit., 20

lxi Nel primissimo periodo di vigore del Testo Unico Ambientale, sussisteva pure una disciplina ben specifica dello scarico occasionale poi abrogata con il D.Lgs. 258/00 durante il quale si erano focalizzati i principi attorno alla nozione di “continuità” che doveva caratterizzare lo scarico, principi a loro volta però a loro volta già emersi antecedentemente al D.Lgs. 152/99 per cui l’abrogazione non incise sul ruolo e sul rapporto tra immissioni occasionali e normativa in tema di acque e rifiuti. Cfr. in merito Pietrini, pre art. 318 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), Commentario Breve alle Leggi Penali Complementari, II Ed. 2007, 307;

lxii Cass. Pen. III 21.01.2004 n.14425, che spinse l’Ufficio del Massimario della Suprema Corte a parlare immediatamente di un vero e proprio contrasto di giurisprudenza in punto riconducibilità o meno dello scarico occasionale nella disciplina del D.Lgs. 152/99 (cfr. il documento in www.lexambiente.it )

lxiii Cass. Pen. III 29.02.2000, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2000, p.1069; Cass. Pen. III 28.09.1999, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2000, p. 458; Cass. Pen. III 28.09.1999, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2000, p. 460 tutte e tre con nota critica di Vergine; Cass. Pen. III 06.07.1999, Ambiente 1999, n. 11, p. 1071 con nota critica di Giampietro, nonché in Ambiente 1999, 12, p.1167 con nota critica di Paone.

lxiv Cass. Pen. III 11.10.2000 n. 10583, Banelli; Cass. Pen. III 16.02.2000, Scaramozza n. 1774; Cass. Pen. III 14.09.1999, n. 2774, Rivoli

lxv Cass. Pen. III 17.05.2005 n. 181218, Fiotto; Cass. Pen. III 04.05.2004 n. 20679, Sangelli; Cass. Pen. III 05.02.2003 n. 1071, Schiavi; Cass. Pen. III 24.10.2001 n. 38120; Cass. Pen. III 03.08.1999 n. 2358, Belcari; Cass. Pen. III 28.02.2001 n. 8337, Moscato; Cass. Pen. III 04.05.2000 n. 5000, Ciampoli; tutte ad evidenziare come “stante la nozione di scarico introdotta dal D.lgs 152/99, deve ritenersi che i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore di disfaccia senza versamento diretto nei corpi recettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti dettata dal D.Lgs 22/97 e il loro smaltimento deve essere autorizzati; mentre all’opposto lo scarico diretto di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, indirizzato a corpi idrici recettori, specificatamente indicati rientra nell’ambito del citato D.Lgs 152/99 sull’inquinamento idrico“.

lxvi Art. 74 c. 1 lt. ff) D.Lgs. 152/2006 (versione originale): “<scarico>: qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 114”.

lxvii Albertazzi, La nozione di scarico nella disciplina della tutela delle acque dall’inquinamento, in Giampietro (a cura di), cit. , 96; Vergine, La Tutela Penale delle Acque nel D.Lgs. 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni, in AA.VV., cit., 20

lxviii Per tutti cfr. Amendola, Scarichi Idrici e Rifiuti Liquidi nel nuovo Testo Unico Ambientale, in www.dirittoambiente.net manifestava decisamente la propria preoccupazione per la riproposizione di simili equivoci.

lxix Fimiani, in Rifiuti. Bollettino di Informazione Normativa 2006, n.128, 4; Santoloci, Confine tra acque di scarico e rifiuti allo stato liquido: il D.Lgs 152/2006 conferma la distinzione con qualche certezza in più ”... Nessun ritorno allo «indiretto»”; Vattani, Nessun ritorno allo «scarico indiretto» con il D.Lgs n. 152/2006, in www.dirittoambiente.net

lxx Cass. Pen. III 13.05.2008, O.M., Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2008, 1057; Cass. Pen. III 11.10.2007, S.P., Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2008, 542.

lxxi Cass. Pen. III 30.10.2007 n. 40191, Schembri, ced 238057; Cass. Pen. III 03.10.2006 n. 35888, De Marco, Impresa 2006, 1863; Chiaromonte, Gli Illeciti Penali relativi allo Scarico di Acque Reflue tra norme speciali e previsioni codicistiche, cit., 2; Simili reazioni però non mancarono di suscitare perplessità in alcuni autori perché in molti casi si rivelavano come palesemente dirette ad ignorare la modifica normativa (giusta o sbagliata che fosse) del 2006, cioè a criticare la stessa nel modo peggiore: cfr. Donini, Discontinuità del tipo di illecito e amnistia. Profili Costituzionali, in Cass. Pen. 2003, 2891 che, in tutt’altro ma per certi versi consimile contesto, ricorda come non spetti “ai giudici di accollarsi la responsabilità politica di cancellare pezzi di norme e reati in parte tuttora puniti, solo per gestire meglio una fase transitoria mal pensata e regolata da una novella legislativa”; Paone, Inquinamento Idrico: qual è il confine tra le immissioni occasionali e lo scarico?, in Ambiente & Sviluppo 2009, n. 3, 245

lxxii Maglia-Balossi, Il nuovo concetto di scarico, con particolare riferimento alla nozione di acque reflue industriali, in Ambiente & Sviluppo 2008, 4, 322 sgg; Vergine, La Tutela Penale delle Acque nel D.Lgs. 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni, in AA.VV., cit., 20; contra Chiaromonte, Gli Illeciti Penali relativi allo Scarico di Acque Reflue tra norme speciali e previsioni codicistiche, cit., 2 per cui “la novella, lungi dall’avere una portata innovativa, sembrerebbe avere soltanto rimediato ad un refuso lessicale della definizione di scarico contenuta nell’originale stesura del T.U. ambientale del 2006”.

lxxiii Cass. Pen. III 21.05.2008 n. 26543, Erg. Petroli & Co., cit., 537; Cass. Pen. III 15.01.2008, Mancini, cit., 537; Cass. Pen. III 27.03.2008, M.O., cit., 537

lxxiv Cfr. Note 53-54-55

lxxv Cass. Pen. III 13.04.2010, Chianura, in www.lexambiente.it che qualifica come abbandono incontrollato di rifiuti liquidi lo scarico su un terreno agricolo da parte di chi, attraverso un auto spurgo, svuota una cantina allagata; Cass. Pen. III 13.04.2010, Marcoz, in www.lexambiente.it esclude lo scarico di acque reflue e ritiene sussistente l‘abbandono incontrollato di rifiuti liquidi nel caso di reflui di allevamento tracimati in un canale da una vasca di contenimento non sufficientemente capiente; Cass. Pen. III 18.06.2009 n. 35137, Tonelli, cit., 1042; Cass. Pen. III 20.05.2008, C.D., Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2008, 1055 con riferimento a contenuti di una vasca di stoccaggi tracimati per lavori di ristrutturazione della stessa; Cass. Pen. III 20.05.2008, R., in www.lexambiente.it ritiene sussistente l’abbandono di rifiuti liquidi allorchè l’immissione avvenga in vasca impermeabilizzata e priva di collegamento con la rete fognaria che verrà interessata successivamente mediante una seconda immissione secondo diverse modalità; Cass. Pen. III 27.03.2008, M.O., cit., 537, non riconduce alla nozione di scarico la fuoriuscita occasionale di acque reflue da una vasca di stoccaggio a causa del cattivo funzionamento di una pompa.

lxxvi Tranne per le diverse ipotesi di cui al D.Lgs. 59/05

lxxvii Romano, sub art. 47 c.p., in Romano (a cura di) Commentario Sistematico del Codice Penale, III Ed. 2004, pg. 501, 37

lxxviii Cass. Pen. III 11.03.2009, Giannettino, cit.; Vergine, La Tutela Penale delle Acque nel D.Lgs. 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni, in AA.VV., cit., 26;

lxxix Cass. Pen. III 21.10.2009 n. 45293, Feriozzi, cit.;

lxxx Cass. Pen. III 19.10.2006 n. 41285, Zitelli, cit.

lxxxi Cass. Pen. III 21.12.2006 n. 2877, Camurati in www.lexambiente.it

lxxxii Per la ricostruzione delle due tesi in ordine al sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo concessorio in materia ambientale, cfr. Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit., 86; Vergine, Inquinamento delle Acque, Dig. Pen., cit., 3 in nota 41-42. Diverso sarebbe il discorso in altri settori quali quello urbanistico sul quale si rimanda in merito a Ramacci, I Reati Edilizi – Disciplina, Sanzioni e Casistica, 2010, pg. 147 e sgg..

lxxxiii Cass. Pen. III 11.03.2009 n. 17862, Bornigia, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 2009, 1050 con nota critica di Vergine.

lxxxiv Cass. Pen. III 12.11.1993, Cass.Pen. 1994, 901; Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit., 86;

lxxxv In tema si osservino le osservazioni di Ruga Riva.C, Diritto Penale dell’Ambiente, Giappichelli, 2011

lxxxvi Cass. Pen. III 03.04.1991, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ. 1991, 1228;

lxxxvii Costalunghi, sub art. 137 D.Lgs. 152/2006, in Paliero-Palazzo (a cura di), cit., 86;

lxxxviii Cass. Pen. III 04.11.2009, Cangialosi inedita ma citata da Vergine, La Tutela Penale delle Acque nel D.Lgs. 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni, in AA.VV., cit., 27;

lxxxix Cass. Pen. III 18.06.2009 n. 35137, Tonelli, cit., 1042; Cass. Pen. III 05.02.2009 n. 12865, Bonaffini, cit., 418: entrambe con nota/annotazione di Vergine; Cass. Pen. III 04.11.2008, Alibrando, cit.; Cass. Pen. III 30.09.2008, Margarito, in www.lexambiente.it

xc Cass. Pen. III 20.11.2007 n. 1817, Altobelli in www.lexambiente.it per cui "lo scarico di liquami derivante dalla molitura delle olive necessita dell'autorizzazione della competente autorità atteso che i frantoi oleari costituiscono installazioni in cui si svolgono attività di produzione di beni e le relative acque di scarico sono da considerarsi industriali. Solo nel caso in cui l'attività del frantoio sia inserita con carattere di normalità e complementarietà in una impresa dedita alla coltivazione del fondo ed alla silvicoltura (ed in presenza delle condizioni richieste dall'art.28 c.7 DLvo 152-1999 ora art.101 c.7 DLvo 152-2006) le acque sono assimilabili a quelle reflue domestiche". Si noti comunque che in tale ipotesi si prevede comunque un ambito di punibilità “residualeex art. 137 c. 14 D.Lgs. 152/06 per il mancato rispetto dei divieti di fertiirrigazione.

xci Ci si permette sommessamente di osservare come una simile omissione, fosse stata presente in una sentenza di merito, avrebbe essa stessa costituito un lampante e scolastico motivo di impugnazione ex art. 606 c. 1 lt. e) c.p.p.

xcii Cass. Pen. III 27.03.2008, M.O., cit., 1057. Fattispecie in cui la Corte si era pronunciata proprio su una questione che, come quella oggetto della sentenza qui annotata, era nata sotto la vigenza del D.Lgs. 152/99, e dove avesse dovuto verificare quale fosse la legge più favorevole al reo tra quella del 1999, quella del 2006 e quella riformata del 2008.