Cass. Sez. III n. 36565 del 24 settembre 2008 (Ud.8 lug.2008)
Pres. Onorato Rel. Squassoni Ric. Amato ed altro
Urbanistica. Ristrutturazione (demolizione e ricostruzione)
L\'art.3 c.l lett.b TU 380/2001 considera interventi di ristrutturazione edilizia la demolizione di un fabbricato e la sua ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente ; tale condizione non può considerarsi rispettata nel caso in cui il nuovo manufatto abbia una estensione volumetrica maggiore di quello abbattuto. Di conseguenza l\'intervento, di ampliamento dello edificio esistente allo esterno della sua originaria sagoma, è da qualificarsi come nuova costruzione per il disposto dell\'art.3 c.l sub 3 del TU .Tale intervento, se assistito da previa pianificazione di dettaglio potrebbe essere effettuato, a scelta discrezionale degli interessati, con permesso di costruire o denuncia di inizio di attività
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Pierluigi ONORATO Presidente
Dott. Agostino CORDOVA Consigliere
Dott. Claudia SQUASSONI Consigliere
Dott. Mario GENTILE Consigliere
Dott. Amedeo FRANCO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da :
1) AMATO RAIMONDO N. IL 21/02/1942
2) CHIAZZESE GIUSEPPA N. IL 22/01/1948
avverso SENTENZA del 14/12/2007
CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere SQUASSONI CLAUDIA
Udito il Procuratore Generale in persona del dott. G.D’Angello
che ha concluso per inammissibilità del ricorso
Udito, per la parte civile, l\'Avv.==
Udito il difensore Avv.==
MOTIVI DELLA DECISIONE
Confermando la decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Palermo, con sentenza 14 dicembre 2007, ha ritenuto i coniugi Amato Raimondo e Chiazzese Giuseppa responsabili dei reati previsti dagli artt.81 cpv cp-44 c.1 lett.b L.47/1985 - 93,94,95 TU 380/2001 e li ha condannanti alla pena di giustizia.
Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno ritenuto in fatto che gli imputati, privi di provvedimenti autorizzatori ed in violazione della normativa antisismica, avessero demolito un preesistente manufatto sito su di un terrazzo ( di mq 55) e ne avessero ricostruito altro (di mq 98).
La Corte ha rilevato:
- che l\'edificazione non potesse essere qualificata di restauro conservativo e necessitasse di permesso di costruire di cui gli imputati non erano muniti;
- che i lavori non fossero ultimati all\'epoca dell\'accertamento dei reati ( 20 ottobre 2003);
- che non fosse applicabile il condono;
- che dei reati dovessero rispondere in concorso entrambi gli appellanti.
Per l\'annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che l\'intervento di demolizione e ricostruzione era da qualificarsi come ristrutturazione edilizia fattibile con Dia:
- che l\'art.20 LR 4/2003 prevede una sanatoria istituzionale per le opere contestate agli imputati per cui i provvedimenti sanzionatori sono illegittimi;
- che non è esaustiva la motivazione sui presupposti temporali per l\'applicabilità del condono;
- che sono stati condannati per la sola qualifica di proprietari dello immobile senza la prova di elementi integrativi della loro partecipazione alla commissione dei reati.
Le censure dei ricorrenti sono manifestamente infondate e generiche. L\'art.3 c.1 lett.b TU 380/2001 considera interventi di ristrutturazione edilizia la demolizione di un fabbricato e la sua ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente; tale condizione non è stata rispettata nel caso in esame ove il nuovo manufatto ha una estensione volumetrica maggiore di quello abbattuto.
Di conseguenza, la tesi dei ricorrente è infondata e l\'intervento, di ampliamento dello edificio esistente allo esterno della sua originaria sagoma, è da qualificarsi come nuova costruzione per il disposto dell\'art.3 c.1 sub 3 del TU. Tale intervento, se assistito da previa pianificazione di dettaglio (particolare che non emerge dal testo della impugnata sentenza) poteva essere effettuato, a scelta discrezionale degli interessati, con permesso di costruire o denuncia di inizio di attività ; tale denuncia è carente nella ipotesi che ci occupa sicché, per il disposto del\'art.44 uc TU, la condotta degli imputati ha rilevanza penale.
L\'art. 20 LR Sicilia 4/2003 esonera dal regime concessiorio vari interventi tra i quali non sono annoverabili quelli per cui è processo. In merito alla epoca della edificazione, i Giudici hanno avuto cura di indicare le fonti probatorie dalle quali hanno tratto il convincimento che l\'edificazione non fosse ultimata al momento dello accertamento dei reati ( 20 ottobre 2003) e, di conseguenza, non fosse stata rispettata la soglia temporale utile per accedere al condono.
La motivazione sul tema è congrua, completa, corretta e, quindi, insindacabile in questa sede.
Non essendo applicabile il condono, legittimamente i Giudici non hanno sospeso il processo essendo inutile attendere l\'esito dell\'iter amministrativo che non poteva avere efficacia estintiva delle fattispecie di reato.
Relativamente alla residua deduzione, la giurisprudenza di legittimità ritiene che il proprietario del suolo, per questa esclusiva qualifica, non possa essere ritenuto responsabile della altrui condotta di abusivismo edilizio; anche la mera connivenza con l\'autore del reato non può essere ascritta al proprietario non essendo rinvenibile una fonte normativa dalla quale dedurre l\'obbligo giuridico di impedire l\' evento.
Tuttavia questa giurisprudenza, citata nell\'atto di ricorso, è del tutto inconferente dal momento che i Giudici di merito hanno evidenziato indici rilevatori dai quali hanno ragionevolmente dedotto che entrambi gli imputati siano responsabili in concorso tra di loro della abusiva edificazione.
Di tale apparato motivazionale, i ricorrenti non hanno tenuto conto nella redazione delle loro censure che sono, quindi, generiche perché non in sintonia con le ragioni argomentative dello impugnato provvedimento.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna solidale dei proponenti al pagamento delle spese processuali e singolarmente al versamento della somma - che il Collegio ritiene equo fissare in euro mille - alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento di euro mille alla Cassa delle Ammende.
Roma, 8 luglio 2008
Deposito in Cancelleria il 24/09/2008